Thylacocephala

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Thylacocephala
Dollocaris ingens. Ricostruzione.
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
RamoBilateria
SuperphylumProtostomia
PhylumArthropoda
ClasseThylacocephala
Pinna et al., 1982
Ordini

Con il termine tilacocefali (Thylacocephala, dal greco θύλακος thylakos cioè "sacco" e κεφαλή kephalēs "testa") si indica una classe estinta di artropodi con carapace bivalve, di affinità incerta e tuttora in discussione.

Distribuzione stratigrafica[modifica | modifica wikitesto]

Scomparsi nell'estinzione di massa alla transizione Cretacico-Paleocene, i tilacocefali costituiscono un gruppo fossile enigmatico di artropodi probabilmente appartenente al subphylum Crustacea. Questi fossili sono piuttosto rari, ma hanno una distribuzione stratigrafica ampia, che va dal Cambriano inferiore al Cretacico, con un gap significativo corrispondente all'Ordoviciano[1], e una distribuzione geografica quasi ubiquitaria: si rinvengono infatti in Australia, Giappone, Cina, Austria, Repubblica Ceca, Francia, Italia, Spagna, Scozia, Slovenia, Libano, Madagascar, Stati Uniti, Messico.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La morfologia di questo gruppo è peculiare:[3][4] si tratta di artropodi caratterizzati da un carapace sottile a due valve identiche unite nella regione dorsale (prive di una struttura a cerniera definita), lateralmente compresso, di forma sub-ovale, ellittica o sub-trapezoidale, che racchiude quasi tutto il corpo ad eccezione della porzione caudale. Segmentazione addominale e telson sempre assenti.

Il margine dorsale separa le due valve del carapace e la sua parte frontale reca una cresta che si prolunga in un rostro più o meno lungo e affilato. La parte anteriore del carapace è concava e mostra un paio di occhi composti globulari, sovente ipertrofici, che sporgono da un incavo situato tra il rostro frontale e il margine del carapace. Presenza di alcune (almeno 5) appendici cefaliche corte e scarsamente conosciute dal materiale fossile (in parte probabilmente appendici mascellari). La nota più caratteristica è la presenza di tre paia di lunghe appendici raptatorie,[5] prensili, genicolate[6] e dotate di spine, talora provviste di chele), che sporgono dal margine antero-ventrale del carapace e decrescono in dimensioni verso la parte posteriore. Il margine posteriore del carapace è concavo e beante, e da esso sporge la parte posteriore del corpo (quando conservata), che reca diverse (almeno 8) serie oblique di appendici ventrali sporgenti poco sviluppate, stiliformi e filamentose, con funzione probabilmente natatoria e/o deambulatoria, simili ai pleopodi presenti nella parte ventrale dell'addome dei crostacei. I margini anteriore e/o posteriore possono essere dotati di spine. Otto paia di branchie generalmente ben sviluppate.

Superficie esterna convessa; spesso si osserva una carena dorsale dove si uniscono le due valve del carapace e talora carene e solchi laterali longitudinali più o meno sviluppati Ornamentazione generalmente poco sviluppata, con striature, corrugamenti, serie lineari di tubercoli e talvolta sottili coste verticali sinuose.[7]

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

La classe venne istituita nel 1982 sulla base del ritrovamento, presso la località di Osteno, di numerosi fossili di una specie mai osservata precedentemente e a cui venne dato il nome di Ostenia cypriformis[8][9]. Al momento dell'istituzione non venne data alcuna definizione formale della classe, bensì solo cinque caratteristiche diagnostiche.

Classificazione interna[modifica | modifica wikitesto]

La classe dei tilacocefali è suddivisibile in due ordini[10]: la Concavicarida Briggs & Rolfe, 1983, costituita da tilacocefali con un rostro aggettante dall'incavo visivo, e Conchyliocarida Secrétan, 1983, formata da tilacocefali dotati di un incavo visivo e un rostro mal definiti e di occhi situati sulla superficie di un "sacco" cefalico di grandi dimensioni.

Attualmente si suddividono 21 specie:

  • Ainiktozoon
  • Ankitokazocaris
  • Atropicaris
  • Austriocaris
  • Clausocaris
  • Concavicaris
  • Convexicaris
  • Coreocaris
  • Dollocaris
  • Harry Caris
  • Kilianicaris
  • Kitakamicaris
  • Mayrocaris
  • Micro Caris
  • Fossile di Ostenocaris cypriformis conservato presso il Museo Stoppani di Venegono Inferiore.
    Ostenocaris
  • Paraostenia
  • Protozoea
  • Pseuderichthus
  • Thylacocephalus
  • Rugocaris
  • Yangzicaris
  • Zhenghecaris

Anche le specie Isoxys e Tuzoia appartengono probabilmente alla classe dei tilacocefali.

Stile di vita e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Il modo di vita dei tilacocefali è stato a lungo dibattuto e rimane in gran parte una questione aperta. Inizialmente[11], erano interpretati come organismi sessili e filtratori, privi di occhi, parzialmente fossori[12], con affinità o convergenza evolutiva verso i cirripedi; questa interpretazione è stata in parte corretta successivamente[13] come organismi predatori, dotati di occhi composti (inizialmente interpretati come "sacco cefalico"), ma comunque essenzialmente bentonici e poco mobili; soprattutto con ridotte capacità di nuoto attivo, per la mancanza di un addome flessibile e di un telson e per le dimensioni ridotte delle appendici addominali. Osservazioni più recenti su materiale fossile meglio conservato però sembrano indicare che almeno alcune forme fossero capaci di nuoto attivo, per diverse caratteristiche[14]

  • l'assenza di appendici per la deambulazione, differentemente dai crostacei bentonici (le appendici raptatorie non sono adeguate in quanto specializzate per la predazione);
  • il carapace relativamente sottile e quindi leggero;
  • la presenza di numerose serie di appendici stiliformi, sporgenti dal margine postero-ventrale (pleopodi?), che suggeriscono una funzione locomotoria.

Lo stile di vita predatorio è indicato dalla presenza delle appendici raptatorie, molto robuste e provviste di spine, assai simili a quelle degli attuali stomatopodi (canocchie), che probabilmente venivano proiettate in avanti molto rapidamente chiudendosi dal basso verso l'alto sulla preda, che veniva in tal modo immobilizzata, forse in parte smembrata e portata all'apparato boccale. Una conferma viene dal contenuto dello stomaco di forme fossili (Ostenocaris) del Sinemuriano (Giurassico inferiore) lombardo[15] che consiste in resti di pesci, uncini di cefalopodi e frammenti di carapace di altri crostacei (inclusi tilacocefali di dimensioni minori).

La presenza in diverse forme di occhi composti molto sviluppati, simili a quelli di attuali forme di crostacei necto-planctonici (Hyperiidea) sembra indicare un adattamento a condizioni di elevata profondità del battente d'acqua e conseguente scarsa illuminazione.[16] L'habitat di elezione di queste forme, almeno nel Mesozoico, sembra essere di mare profondo, al di sotto dei 200 metri, rientrante quindi nel piano batiale, in un contesto quindi di scarpata continentale o di transizione scarpata-bacino dominato da sedimenti fini fangosi.[17] Forme più antiche (Cambriano inferiore) sono interpretate come predatori demersali di minore profondità (100-150 m), in grado di nuotare liberamente ma legati al fondale per il nutrimento.[18]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vannier et al. (2006),  p. 204; tab. 1.
  2. ^ Ehiro et al. (2015),  p. 269.
  3. ^ Vannier et al. (2006),  pp. 203-204; fig. 4.
  4. ^ Charbonnier et al. (2015),  pp. 117-121.
  5. ^ Appendici specializzate per la predazione, atte ad afferrare e trattenere la preda per portarla all'apparato boccale; un tipico esempio è il paio di zampe anteriori delle mantidi.
  6. ^ Con giunture a forma di ginocchio.
  7. ^ Ehiro et al. (2015),  p. 272; fig.4.
  8. ^ G. Pinna, P. Arduini, C. Pesarini, G. Teruzzi: Thylacocephala: una nuova classe di crostacei fossili. Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano 123, 1982: 469–482.
  9. ^ Giovanni Pinna, Animali impagliati e altre memorie, Jaca Book, 2006, pp. 44-45.
  10. ^ F. R. Schram: On Mazon Creek Thylacocephala. Proceedings of the San Diego Society of Natural History 3, 1990: 1–16.
  11. ^ Pinna et al. (1982), pp. 478-480.
  12. ^ Infossati nel sedimento, in parte endobionti
  13. ^ Pinna et al. (1985).
  14. ^ Charbonnier et al. (2009), pp.119-121.
  15. ^ Pinna et al. (1985).
  16. ^ Charbonnier et al. (2009), p.119.
  17. ^ Charbonnier et al. (2009), pp.129-130.
  18. ^ Vannier et al. (2006),  pp. 212-213.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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