Enrico Vezzalini

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Enrico Vezzalini (Ceneselli, 16 ottobre 1904Novara, 23 settembre 1945) è stato un prefetto italiano, in carica nelle province di Ferrara e Novara.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Laureato in giurisprudenza, avvocato, in gioventù si iscrisse al Partito Nazionale Fascista (PNF) e fu comandante provinciale della Gioventù Italiana del Littorio[1]; dopo l'8 settembre 1943 aderì al Partito Fascista Repubblicano (PFR). Durante il ventennio non riuscì a emergere nell'ambiente lavorativo, tanto che lo scrittore Sebastiano Vassalli lo definì «avvocaticchio senza cause e senza clienti»[2]; nella Repubblica Sociale Italiana, invece, fece una rapida carriera. Partecipò alla spedizione punitiva di Ferrara del novembre 1943, dove vennero uccisi 11 antifascisti in risposta all'uccisione del commissario federale Igino Ghisellini.

Successivamente fu nominato prefetto a Ferrara dove, nel corso della guerra civile, venne coordinata la lotta anti-partigiana, e operò in particolare nella Val d'Ossola. Durante la sua prefettura operò la malfamata compagnia "Giorgi" (un reparto speciale aggregato della Guardia Nazionale Repubblicana), detta dei "Tupin"[1]. Fu membro del collegio giudicante del Tribunale speciale per la difesa dello Stato della Repubblica Sociale Italiana in occasione del Processo di Verona, che processò i membri del Gran Consiglio che firmarono l'Ordine del giorno Grandi per la sfiducia al Presidente del Consiglio Benito Mussolini. In questa veste, si oppose al tentativo dell'altro giudice Renzo Montagna di salvare la vita al vecchio imputato Emilio De Bono[3].

Dal 22 luglio 1944 al 15 gennaio successivo fu prefetto di Novara; anche qui, Vezzalini si fece raggiungere dalla compagnia dei "Tupin", comandata dal capitano Tortonesi: il reparto divenne praticamente la guardia del corpo del capo della Provincia. Accanto a questi agiva la squadra speciale di polizia detta "Squadraccia" comandata prima dal questore Pasqualy e poi dall'agente Martino. Le due formazioni, su ordine di Vezzalini, seminarono il territorio di stragi e terrore; particolarmente efferata e brutale fu l'eccidio del 24 ottobre nel quale furono torturati ed uccisi 11 partigiani[1]. Il 22 settembre 1944 Vezzalini dispose l'arresto e l'assegnazione ad un campo di concentramento "di tutti i congiunti maschi, dai 15 ai 65 anni, di renitenti, disertori e banditi", nonché la confisca dei loro beni[4]. Dopo esser stato esautorato dall'incarico, si recò a Bologna - dove fu cacciato dal comando tedesco, che lo accusava di seminare il panico tra la popolazione con le violenze della sua compagnia - e poi a Modena[1].

Finita la guerra fu processato dalla Corte d'assise straordinaria di Novara e condannato a morte mediante fucilazione alla schiena insieme ad altri cinque con sentenza del giugno 1945. L'esecuzione fu eseguita presso il poligono di tiro novarese il 23 settembre 1945[5].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Camminando attraverso la Storia, isrn.it.
  2. ^ Sebastiano Vassalli, Terra d'acque. Novara, la pianura, il riso, Interlinea srl, Novara, 2005.
  3. ^ Amedeo Osti Guerrazzi, Storia della Repubblica sociale italiana, Carocci, Roma, 2012, p. 135
  4. ^ In Ieri Novara Oggi, aprile 1996 n. 4-5, p. 167.
  5. ^ L'attento esame dei documenti processuali è confluito in un libro edito nel 1999 da Sigem e scritto da Rolando Balugani: La scia di sangue lasciata dai Tupin (1943-1945). Se ne desume, tra l'altro, che la leggenda del coinvolgimento del futuro presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro nel processo Vezzalini, anche se largamente usata in anni recenti per ragioni di lotta politica, è del tutto priva di fondamento. Il presidente della Corte del processo Vezzalini era Costantino Grillo, mentre la pubblica accusa era rappresentata dall'avvocato Giuseppe Cantoni; in nessun atto del processo Vezzalini è nominato Scalfaro.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Rolando Balugani, La scia di sangue lasciata dai Tupin (1943-1945): seguirono Vezzalini da Ferrara a Novara e dalla Bassa Modenese a Dongo (Como), Sigem, 1999.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]