Cornelia Barns

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Cornelia Barns (New York, 25 settembre 1888Los Gatos, 4 aprile 1941) è stata un'illustratrice statunitense, la cui attività artistica ebbe impronta socialista e femminista[1].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Cornelia Baxter Barns nacque nel 1888 nel quartiere Flushing di New York[2], la maggiore dei tre figli di Charles Edward Barns (giornalista e poeta) e Mabel Balston. Nel 1910 la famiglia si trasferì a Filadelfia, dove Charles Burnes iniziò a fare il manager teatrale[3] e Cornelia studiò arte.

Formazione artistica[modifica | modifica wikitesto]

"As They Pass By," copertina di Cornelia Barns. The Masses, settembre 1913.

Cornelia Barns si iscrisse alla Pennsylvania Academy of Fine Arts nel 1906,[4] dove divenne allieva di William Merritt Chase e John Twachtman.[1][5] Il suo nome è stato associato anche a Robert Henri e la sua Ashcan School.[6] Il suo lavoro fu premiato con due borse di studio dell'Accademia[1] che le permisero il suo primo viaggio in Europa nel 1910[7] e incentivarono un altro viaggio all'estero nel 1913.[8] Esibì le sue opere alla Pennsylvania Academy of Fine Arts,[4] e dal 1910 figurava come pittrice nell'American Art Annual.[9] A metà del suo secondo ventennio di vita sposò Arthur S. Garbett, un critico musicale britannico di stanza a Filadelfia.[5][6] La coppia ebbe un figlio in città e si ritiene che la famiglia trascorse un paio d'anni a New York.

Esordi[modifica | modifica wikitesto]

Cornelia Barns fu una dei ventitré artisti ospitati dall'American Salon of Humorists del 1915, una mostra tenuta alle Gallerie Folsom di New York e organizzata da Louis Baury.[10][11]

Suffragio e socialismo a New York[modifica | modifica wikitesto]

Vignetta di Cornelia Barns. "United We Stand: Anti- Suffrage Meeting," pubblicata su The Masses nel novembre 1914.
Copertina di Birth Control Review (Febbraio–Marzo 1918) disegno di Cornelia Barns, "The New Voter at Work."

Tra il 1913 e il 1917 Barns contribuì al The Masses, una rivista socialista che attrasse un gruppo di autori e artisti di talento. Per tre anni, Barns fece parte del suo consiglio editoriale. Quando la pubblicazione di The Masses fu sospesa in seguito a denunce governative, Max Eastman e Crystal Eastman fondarono una nuova rivista, The Liberator. Nel numero del 10 febbraio 1918 del New York Call, Cornelia fu annunciata come collaboratrice del The Liberator, insieme ai colleghi illustratori Robert Minor, Boardman Robinson e Art Young.[12] Nel 1925 il The New Masses fu annunciato come una nuova rivista senza affiliazioni politiche ma con simpatie verso il movimento dei lavoratori[13] e Cornelia Barns figurava come collaboratrice.[13] All'interno di questi periodici socialisti, molte vignette di Cornelia Barns riguardavano il suffragio femminile e l'uguaglianza di genere. Prevedibilmente, pubblicò illustrazioni sulle riviste a tema di diritto di voto, tra cui il Woman Voter di New York e il Suffragist del National Woman's Party.[2] "One Man--One Vote"[14] rappresentava due donne immigrate con figli piccoli, contrapposte allo sguardo di un dandy in completo e bastone da passeggio. La sua copertina, "Waiting," pubblicata sul The Suffragist nel 1919[15] è un potente ritratto di un'infinita massa di donne forzute, due delle quali con bambini tra le braccia, che tengono una torcia accesa nell'attesa del riconoscimento politico tramite il suffragio. Nel 1918, nel secondo anno di pubblicazione, Cornelia Barns and Lou Rogers furono redattori artistici (art editors) per il Birth Control Review di Margaret Sanger.[2] Il suo primo contributo fu "We Accuse Society."[16]

California[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1920 Cornelia Barns si trasferì in California con suo marito Arthur S. Garbett[1] e il loro figlio. Si stabilirono in un ranch nei pressi dei genitori di lei, che si erano trasferiti a Morgan Hill molti anni prima.[17] In cerca di opportunità lavorative, i Garbett si trasferirono ulteriormente a Berkeley. Cornelia Barns produsse vignette e copertine per la rivista Sunset dal 1921[18] e tenne la rubrica My City Oakland sull'Oakland Tribune. La famiglia si ritirò in pensione a Los Gatos, California,[6] poco prima che Cornelia morisse di tubercolosi nel novembre 1941.[19] È stato ipotizzato che l'uso costante degli acidi dell'acquaforte su piastre di zinco[20] in ambienti poco ventilati potesse aver danneggiato i suoi polmoni; altri hanno sottolineato come la nonna paterna e una prozia fossero decedute in seguito alla stessa malattia.[21] In seguito a un allagamento nell'abitazione di famiglia, sono sopravvissuti pochi pezzi originali dei suoi lavori artistici.[5]

Accoglienza[modifica | modifica wikitesto]

Max Eastman raccontò il primo incontro con l'artista intorno al 1913: «una ragazza con gli occhi da elfo e i capelli castani lisci, si presentò con un disegno che era comico in modo impressionante, diverso da qualsiasi cosa avessi mai visto».[22] Lo stile artistico di Barns si fondava sull'uso di pesanti linee a pastello e uno stile comico distintivo nei suoi ritratti della pretenziosità, del privilegio sociale, della dominanza maschile e dell'innocenza dei bambini. In un altro lavoro Eastman scrisse che «i disegni di Art Young, Cornelia Barns e William Groppen avevano un'intrinseca natura comica. Le didascalie non erano necessarie, o perlomeno erano superflue, spesso aggiunte dalla redazione.»[23]

Nel giudizio della storica dell'arte Rebecca Zurier, «la cosa più vicina a una dichiarazione femminista fatta da una redattrice di Masses appare nelle vignette di Cornelia Barns, che si asteneva da ogni seria analisi sociale.»[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Rebecca Zurier, Art for the Masses, Philadelphia, PA, Temple University Press, 1988, p. 216, ISBN 0-87722-513-3.
  2. ^ a b c Alice Sheppard, Cartooning for Suffrage, Albuquerque, University of New Mexico Press, 1994.
  3. ^ Philadelphia Ward 46, Philadelphia, Pennsylvania, collana 1910 United States Federal Census [database on-line], Ancestry.com.
  4. ^ a b Chris Petteys, Dictionary of Women Artists: An International Dictionary of Women Artists Born before 1900, Boston, MA, G. K. Hall, 1985, p. 45.
  5. ^ a b c Cornelia Baxter Barns (1888 - 1941), su askart.com, AskArt. URL consultato il 17 gennaio 2013.
  6. ^ a b c Terence E. Hanley, Arthur Selwyn Garbett (1883-1955), su Tellers of Weird Tales. URL consultato il 26 gennaio 2013.
  7. ^ Philadelphia Passenger Lists, 1800-1945 [database on-line]., su Passenger Lists of Vessels Arriving at Philadelphia, Pennsylvania, 1883-1945., Ancestry.com. URL consultato il 28 gennaio 2013.
  8. ^ 1913; Arrival; Microfilm Serial: T715; Microfilm Roll:, su New York, Passenger Lists, 1820-1957 [database on-line]., Ancestry.com. URL consultato il 27 gennaio 2013.
  9. ^ American Art Annual, New York, American Art Annual, 1910, p. 91.
  10. ^ Louis Baury, Wanted: An American Salon of Humorists, in The Bookman, June 1915, p. 5250540. URL consultato il 27 gennaio 2013.
  11. ^ Humor has its First Salon, in Washington Herold, 6 giugno 1915.
  12. ^ The Liberator is Now on Sale, in New York Call, 10 febbraio 1918.
  13. ^ a b Radical Magazine Backed By $1,500,000, in The New York Times, 8 dicembre 1925. URL consultato il 26 gennaio 2013.
  14. ^ Cornelia Barns, One Man--One Vote, in Woman Voter, April 1914, p. 10.
  15. ^ Cornelia Barns, Waiting, in The Suffragist, vol. 7, n. 19, 17 maggio 1919.
  16. ^ Cornelia Barns, We Accuse Society, in Birth Control Review, vol. 1, December 1917, p. 5.
  17. ^ Donna Jose, Of Interest to Women, Society, in San Jose Evening News, 13 luglio 1920. URL consultato il 27 gennaio 2013.
  18. ^ The Magazines: Sunset, in Oakland Tribune, 29 maggio 1921.
  19. ^ California, Death Index, 1940-1997 [database on-line]., su search.ancestry.com, Ancestry.com. URL consultato il 21 gennaio 2013.
  20. ^ Cedric Green, Bordeaux Etch, su greenart.info. URL consultato il 27 gennaio 2013.
  21. ^ Antoinette M. Fulton, Honeymoon Home Built Century Ago By David Wells is New Bus Station, in Burlington Free Press, 15 aprile 1954.
  22. ^ Max Eastman, Enjoyment of Living, New York, Harper & Brothers, 1948, pp. 407.
  23. ^ Max Eastman, Enjoyment of Laughter, New York, Simon and Schuster, 1936, pp. 72.

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