Utente:Claudio Gioseffi/Sandbox 2

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La donna è stata protagonista e generatrice della società fin dall'inizio dei tempi, ma la storia - nel territorio vicentino così come nella maggior parte degli altri - racconta delle donne in modo estremamente riduttivo, lasciando tutto il protagonismo all'uomo. Non si tratta solo di memoria, perché di fatto una reale emancipazione della donna - cioè la conquista della parità di diritti che le consentono una posizione sociale - inizia solo nell'Ottocento e si afferma nella seconda metà del Novecento.

Le donne nel culto[modifica | modifica wikitesto]

  • Simboli
  • Intercessori e protettori

I culti pre-cristiani[modifica | modifica wikitesto]

La maggior parte dei ritrovamenti di dediche o iscrizioni su pietra, di statuette devozionali, di are, sacelli e grotte sacre sparsi nella campagna e nelle valli[1] riguarda divinità femminili: Diana, Fortuna, Venere, Nemesi, le Ninfe, Iside[2], tutte divinità di origine greca, orientale o egizia il cui culto era stato importato e integrato nel pantheon ellenistico-romano.

La storica vicentina Lelia Cracco Ruggini fa osservare che si tratta sempre di dee della fertilità, della natura, della caccia, delle acque e ipotizza così che rappresentino la trasposizione nella cultura romana del più antico culto di Reitia - la venetica dea madre della fecondità di cui a Vicenza è stata ritrovata nel 1959 una laminetta votiva - o comunque di divinità femminili indigene protettrici delle forze della natura. Questo mantenimento di una devozione precedente alla conquista da parte di Roma sembra essere tipico delle popolazioni in cui l'assimilazione avvenne in modo pacifico e graduale, così come fu per Vicenza[3].

Il primo Cristianesimo a Vicenza[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del IV secolo risale l'edificazione di una chiesa cittadina che due secoli più tardi sarebbe divenuta la cattedrale di Santa Maria Annunciata; verso la fine del V secolo alla basilica dei Santi Felice e Fortunato fu affiancato un martyrion dedicato a Sancta Maria Mater Domini, in nome della devozione a Maria Madre di Dio, diffusasi dopo il Concilio di Calcedonia del 451[4].

I santi protettori della città[modifica | modifica wikitesto]

Durante il XIV e il XV secolo a Vicenza, come in altre città del Veneto, vi fu un rifiorire della devozione per i santi protettori locali e si affermò il loro culto. È il periodo in cui la città e il suo territorio, come d'altra parte molte altre zone d'Europa, vengono devastati da carestie e pestilenze; la popolazione sente il bisogno di affidarsi alla protezione dei patroni che intercedano presso Dio.

Maria, Madre di Gesù[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Madonna di Monte Berico e Vincenza Pasini.
L'attuale complesso del santuario della Madonna di Monte Berico

Il culto mariano è molto antico in Vicenza: sono del V secolo sia la dedicazione della chiesa, in seguito cattedrale, alla Vergine Annunciata sia quella del martyrion della basilica di San Felice alla Mater Domini. Nei secoli successivi, la titolare della cattedrale lo divenne anche di molte chiese parrocchiali del territorio.

Come è ovvio, questo culto visse periodi alterni di maggior vigore e altri di stanchezza, di devozione più spirituale alternata ad altri di venerazione più formale.

Formatosi probabilmente nell'ambito della rinnovata spiritualità cistercense, Bartolomeo da Breganze favorì la rinascita del culto mariano a Vicenza; egli pose sotto la protezione della Mater misericordiae le Congregationes Mariae - alle quali accenna nei suoi scritti - che, all'incirca due secoli più tardi si trasformarono nella Compagnia della Misericordia, diventata comune in tutta Italia, sull'esempio di quella fondata da Antonino da Firenze. Una buona testimonianza di questa devozione, nel Quattrocento, è data dall'azione del cavaliere vicentino Giampietro de Proti; egli, istituendo l'ospizio di Santa Maria della Misericordia in favore dei nobili vicentini decaduti, dispose per testamento che l'omonima fraglia realizzasse una pala d'altare per l'oratorio dell'ospizio: la raffigurazione della Vergine, in essa contenuta, corrisponde a quella che avrebbe poi creato lo scultore Nicolò da Venezia per la Madonna di Monte Berico[5].

Durante la prima metà del XV secolo si diffusero le confraternite cittadine intitolate a lei: non se ne conoscono le forme devozionali - probabilmente legate al movimento della penitenza - ma esse dovevano consistere nel ringraziamento per lo scampato pericolo, specialmente dalle ricorrenti carestie e pestilenze, e in opere di misericordia verso il prossimo. È il periodo in cui si costituiscono anche la chiesa di Santa Maria della Misericordia in fondo a Piazza Biade e una cappella in cattedrale ove aveva sede la confraternita di Sancta Mariae Pietatis.

La ragione principale del rifiorire della pietà mariana a Vicenza è però indubbiamente legata alle due apparizioni della Madonna a Vincenza Pasini nel 1426 e nel 1428, anni in cui imperversava una grave epidemia di peste. Nella sua apparizione, la Madonna chiese la costruzione di un santuario che, dopo la seconda apparizione, venne costruito in soli tre mesi e divenne il fulcro della devozione mariana cittadina.

Un nuovo forte impulso fu dato nella seconda metà del Cinquecento dall'azione pastorale della Chiesa cattolica che, dopo il Concilio di Trento, in contrasto con i protestanti si sforzò di diffondere e rivalutare in nuove forme il culto alla Vergine[6][7].

Eufemia e Innocenza[modifica | modifica wikitesto]

Secondo lo storico vicentino F. Barbarano, i quattro santi titolari della cattedrale - insieme con la Vergine Annunciata - e cioè Eufemia, Innocenza, Leonzio e Carpoforo, erano quattro fratelli vicentini che soffrirono il martirio nel IV secolo. In realtà il culto delle due Sante venne a Vicenza da Aquileia: nel 1482 poi, dopo la demolizione della cappella maggiore del Duomo, furono portati alla luce i corpi delle martiri Eufemia e Innocenza.

Epoca antica[modifica | modifica wikitesto]

Il diritto romano attribuiva una serie di diritti alla donna, cittadina romana, e anche alla libertà, la schiava emancipata. Nel territorio vicentino però mancano reperti che possano testimoniare tutto ciò, riportando nomi e fatti.

L'avvento del cristianesimo non diede alcun apporto in questo campo, limitandosi a idealizzare alcune figure di sante, in primo luogo quella di Maria.

Così la caduta dell'Impero e le invasioni dei barbari, la cui cultura era tutta incentrata sul maschio guerriero, mise nell'ombra la posizione della donna, ombra che durò durante tutto il Medioevo e per molti aspetti anche in età moderna.

Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

  • Vincenza Pasini (Sovizzo, 1356 – Vicenza, 1431), paesana che, secondo la tradizione, ebbe due apparizioni della Madonna
Monastero di San Pietro

Questo primo monastero, probabilmente benedettino e maschile, ebbe una vita difficile; quasi sicuramente - come l'altro dei santi Felice e Fortunato - subì le scorrerie degli Ungari alla fine del IX e agli inizi del X secolo, forse fu distrutto, In ogni caso stava per andare in rovina quando, nel 977, il privilegio del vescovo Rodolfo lo definiva "quasi annientato e deserto di ogni culto monastico e divino ufficio". Non servirono a molto un privilegio concesso dal vescovo Astolfo nel 1033 e un diploma di protezione da parte dell'imperatore Enrico III nel 1055.

Vi sono opinioni diverse sul momento in cui esso divenne un monastero femminile. Secondo il Mantese lo era già nella prima metà dell'XI secolo, secondo altri lo divenne qualche decennio dopo[8].

Così come era avvenuto per i benedettini di San Felice, anche al monastero di San Pietro i vescovi assegnarono in feudo una notevole quantità di possedimenti, estesi su tutto il territorio vicentino. Tra gli altri la vasta Selva Mugla, nella zona ora compresa tra gli abitati di Vivaro, Polegge e Cavazzale; la maggior parte del territorio a est della città, da Settecà a Casale, da Lerino a Grantorto e Rampazzo e fino a Grumolo, poi detto "delle Abbadesse".

Probabilmente nel corso dell'XI secolo - ma il periodo non è certo, data la scarsità dei reperti giunti fino a oggi, sostanzialmente i muri perimetrali e quelli della facciata - al posto della precedente venne costruita una seconda, più ampia, chiesa. Tenuto conto dell'epoca di costruzione, deve essere stato un edificio in stile romanico, con una navata centrale più alta e dotata di finestre che facevano entrare molta luce all'interno della chiesa, due navate laterali più basse e la facciata a tre salienti[9].

Dal monastero dipendevano anche altre chiese, come quelle di San Vitale[10] e di Sant'Andrea[11], anch'esse all'interno del borgo San Pietro, e la chiesetta di San Pietro in Monte alla sommità del percorso dove, in seguito, furono costruite le Scalette di Monte Berico, chiesetta che nel 1280 fu ceduta alla Compagnia dei Cavalieri Gaudenti[12][13].

Già dopo il 1000, però, questo immenso patrimonio venne messo in pericolo dai signori rurali e dai piccoli feudatari che tentavano di usurpare i fondi che, a loro volta, l'abate di San Felice e la badessa di San Pietro avevano loro concesso. Dato che ormai anche il vescovo di Vicenza aveva perso quasi tutto il proprio potere, questi ultimi si rivolsero all'imperatore germanico; così nel 1048 Enrico III firmava un privilegio in favore del monastero di San Pietro - la cui badessa si era ingraziata l'imperatrice per ottenere questo favore - e questo atto riuscì in seguito molto utile per la difesa del patrimonio del monastero[14].

Finita, con il concordato di Worms, la lunga lotta per le investiture, la tutela del monastero di San Pietro passò sotto l'egida del papa; Callisto II con un suo privilegio del 1123 lo prese sotto la protezione apostolica. Il vescovo di Vicenza Lotario promosse il restauro degli edifici e nel 1136 confermò alle benedettine di San Pietro tutti i privilegi emanati dai suoi predecessori[15].

Nel XIII secolo iniziò una generale decadenza dell'ordine benedettino, nonostante i tentativi fatti da papi e da vescovi vicentini per richiamare i monasteri al primitivo fervore, tentativi che però non ottennero buoni effetti. Nel 1254 papa Innocenzo IV incaricava l'allora vescovo di Vicenza Manfredo dei Pii e Bartolomeo da Breganze di visitare il monastero di San Pietro disciplinarmente decaduto e infetto di eresia, per operarvi una riforma. Una riforma che proprio non riuscì, tanto che nel 1291 papa Niccolò IV doveva chiedere al vescovo Pietro Saraceni di andare personalmente al monastero e di riformarlo e, se questo non fosse stato possibile, di trasferire le monache altrove[16].

In seguito il patrimonio si arricchì e si diversificò: nel Trecento, le monache possedevano anche delle officine per la lavorazione della lana e altre per la lavorazione del ferro lungo il Bacchiglione, una bottega per la lavorazione delle pelli in piazza Biade a Vicenza e una fornace a Camisano[17][18][19].

Il monastero comunque restò in vita, sempre titolare dei suoi numerosi possessi, ricevendo nel 1318 dal vescovo Sperandio e nel 1335 dal vescovo francescano Biagio da Leonessa la riconferma degli antichi privilegi concessi dai predecessori; in realtà questi privilegi erano più formali che reali, essendo stato il patrimonio del monastero ampiamente eroso e le badesse continuamente coinvolte in vertenze giuridiche. Fiore de' Porcastri, proveniente da nobile famiglia vicentina, fu la più grande badessa di San Pietro nel XIV secolo. Sotto la signoria scaligera, i beni della chiesa furono ulteriormente depredati, ma il monastero di San Pietro riuscì a farsi rinnovare, dapprima nel 1375 da papa Gregorio XI e poco dopo da papa Urbano VI, il diretto patrocinio della Santa Sede; alla fine del secolo, comunque, vivevano nel monastero solo 5 monache, di cui due straniere[20].

Monastero di Araceli

Età moderna[modifica | modifica wikitesto]

  • Giovanna Maria Bonomo (Asiago, 15 agosto 1606 – Bassano del Grappa, 1º marzo 1670), religiosa
  • Elisabetta Caminer Turra (Venezia, 29 luglio 1751 – Orgiano, 7 giugno 1796), scrittrice ed editrice
  • Maddalena Campiglia (Vicenza, 13 aprile 1553 – Vicenza, 28 gennaio 1595), poetessa
  • Maddalena Valmarana, fondatrice della Chiesa delle Convertite (o di Santa Maria Maddalena), in contrà della Misericordia a Vicenza

Monasteri femminili[modifica | modifica wikitesto]

San Pietro
Chiostro quattrocentesco

Durante il XV secolo tutte le architetture del monastero vennero rinnovate: nel 1427 furono effettuati lavori di ricostruzione e abbellimento del chiostro, con le caratteristiche decorazioni in cotto e nella seconda metà del secolo venne completamente ristrutturata - e riconsacrata nel 1596 - la chiesa; fu innalzato il piano di calpestio, probabilmente per difendere meglio l'edificio dalle alluvioni del vicino Bacchiglione, fu abbassata la navata centrale e la facciata assunse l'attuale forma a capanna, rinnovato l'interno dove colonne di marmo, ornate di preziosi capitelli, furono poste per sostenere le poderose arcate.

Tutti gli edifici furono quindi rinnovati secondo il gusto tardo gotico e neorinascimentale del tempo, potendo contare sui cospicui finanziamenti che le monache, ormai quasi tutte appartenenti alle famiglie aristocratiche della città, apportavano al monastero[21]; durante questi lavori vennero disperse le precedenti opere e le lapidi esistenti; anche di questi lavori però, al giorno d'oggi, resta poco[22][23].

Rifacimento cinquecentesco della facciata

Il secolo XV si era aperto comunque con un livello di vita monacale molto degradato, anche per il malgoverno delle badesse del tempo, quasi tutte appartenenti all'aristocrazia cittadina, entrate in convento non per vocazione ma per costrizione e quindi portate a esercitare il prestigio e il potere che derivavano dalla loro condizione. Così nel 1435 il vescovo di Vicenza Francesco Malipiero si impegnò nella riforma degli ordini religiosi della diocesi e in particolare di quello benedettino, cui appartenevano le monache di San Pietro; egli privò la badessa del potere amministrativo, affidandolo a monache elette annualmente, quindi riconobbe al capitolo il diritto di eleggere la badessa con cadenza annuale. Egli vietò anche l'ingresso nei luoghi di clausura a ogni persona d'ambo i sessi secolare o ecclesiastica e ordinò che ai parlatori venisse applicata una grata di ferro; disposizioni che però vennero poco rispettate, tanto che dieci anni dopo papa Eugenio IV, confermando con una bolla le disposizioni del vescovo, disapprovava la cattiva condotta delle monache, che dava adito alle mormorazioni della gente. Dopo questa presa di posizione il monastero ebbe una notevole ripresa e aumentò il numero delle monache che, agli inizi del secolo successivo, erano quasi una cinquantina; nel 1524 erano ormai 80 e conducevano un'esemplare vita religiosa. Si trattava di una riforma simile a quella del monastero maschile di San Felice e, come era avvenuto per questo, nel 1499 anche San Pietro fu incorporato nella Congregazione di santa Giustina di Padova[24].

Nel 1520 papa Leone X emanò una bolla contro gli illegittimi possessori e usurpatori dei beni delle monache di San Pietro. Non soltanto le vaste estensioni terriere del suburbio, di Schio e altre zone erano state manomesse, ma perfino gli antichi diritti e privilegi che le monache avevano sulle acque del Bacchiglione venivano contestati[25].

Nel 1560 le monache di San Pietro fecero chiudere la porta di Camarzo, apertura nelle mura scaligere che si trovava a sud del monastero vicino al Bacchiglione.

In seguito alla soppressione di tutti gli ordini religiosi determinata dai decreti napoleonici del 1806 e 1810, le monache dovettero abbandonare il monastero che divenne patrimonio demaniale. La chiesa, in base alla riorganizzazione ecclesiastica, divenne sede parrocchiale.

Santa Caterina

Attiguo alla chiesa, sul lato sinistro, venne costruito anche il monastero, che però non riuscì a durare a lungo. Verso il 1320 e a motivo di difficoltà di ordine economico restò senza fratres e passò dapprima agli Umiliati di Ognissanti, poi nel 1326 alle monache benedettine di San Donato di Barbarano, che acquistarono chiesa e monastero per trasferirsi in città. Ad esse nel 1420 si aggiunsero quelle di San Biagio Vecchio, dopo un processo celebrato contro di loro, a causa della paurosa decadenza morale e religiosa in cui erano cadute[26][27].

Nel corso del XVI secolo il monastero era abbastanza fiorente, con la presenza di una trentina di monache: lo testimonia la relazione della visita effettuata nel 1584 dal cardinale Agostino Valier - una ricognizione conseguente ai decreti tridentini - che descrive la chiesa parva, tota elegans ("piccola, tutta elegante"), con il tetto e il pavimento in laterizi, un unico altare dedicato a santa Caterina[28].

Con la caduta della Repubblica veneta il monastero, che ormai contava un esiguo numero di suore, fu occupato dalle truppe austriache nel 1798, quando il Veneto fu ceduto all'Impero asburgico. Ritornati i francesi, con il decreto napoleonico del 1806 le monache furono concentrate nel convento del Corpus Domini e con quello del 1810 che disponeva la soppressione degli ordini religiosi il monastero di Santa Caterina passò definitivamente al demanio.

Corpus Domini

Chiesa e monastero del Corpus Domini, nell'omonima contrà, non più esistenti. Furono fondati nel 1539 da monache canonichesse lateranensi della regola di Sant'Agostino, appartenenti a famiglie nobili. Nel 1810 il monastero fu soppresso e tutti gli edifici ridotti a private abitazioni.

San Silvestro

Nel 1523 Domicilla Thiene e Febronia Trissino, monache della comunità benedettina di San Pietro in Vicenza - forse su ispirazione di san Gaetano Thiene - alla ricerca di un luogo più ritirato chiesero di potersi insediare, insieme ad altre compagne[29], nel monastero di San Silvestro. Questo ritornò così a rivivere, animato dalla fede e dallo zelo delle monache, talmente alto che - si ricorda nelle cronache - il vescovo dovette intervenire per temperare le regole troppo severe che Domicilla, la badessa, aveva imposto. Nel 1551 nel monastero, il più florido della città, erano presenti ben 25 monache[30] e fino alla metà del Settecento superarono sempre la trentina[31][32].

Nella seconda metà del Settecento le vocazioni diminuirono e il numero delle monache si dimezzò. Il 15 maggio 1797, con l'arrivo dell'armata napoleonica, le monache furono obbligate a lasciare il convento - che fu occupato dalle truppe francesi - e trasferirsi in quello di San Pietro. Nel 1805, con il ritorno dei francesi, il convento fu nuovamente requisito. La chiesa, che conservava ancora funzioni di parrocchia, dove un sacerdote veniva mantenuto con le rendite del monastero, rimase aperta fino al 1810, anno in cui, in base ai decreti napoleonici, la cura d'anime fu trasferita nella chiesa del soppresso monastero benedettino di Santa Caterina. Tutto il convento di San Silvestro fu ridotto a caserma e la chiesa venne chiusa.

Santa Chiara

Nella prima metà del Quattrocento Bernardino da Siena, oltre ad aver frequentato come eremita la grotta di Mossano che da lui prese il nome, si recò alcune volte - almeno nel 1423 e nel 1443 - nella città di Vicenza dove infiammò il popolo con le sue ferventi predicazioni. Già dopo la prima volta si costituì in città una piccola comunità di monache che si diedero la regola di Santa Chiara e che dapprima furono ospitate nel monastero di San Biagio Vecchio appena liberato dalle benedettine[33], poi nel 1436 acquistarono dalle monache agostiniane di San Tommaso la parte del convento fino ad allora occupata dai Canonici regolari di San Marco in Mantova[34] - una parte che ormai stava andando in rovina - oltre alla "parte bassa" della chiesa di San Tommaso e ad un tratto di terreno; in tale acquisto e per il restauro degli ambienti furono molto aiutate da donazioni dei nobili vicentini, probabilmente anche grazie all'interessamento di Bernardino[35].

Dopo che nel 1450, cioè solo sei anni dopo la sua morte, Bernardino da Siena fu proclamato santo, la città volle erigere una chiesa a lui dedicata, oltre che una cappella nella chiesa francescana di San Lorenzo[36]. Le donazioni delle famiglie aristocratiche (tra essi i Trissino, i Calderari, i Bissari, i Pagello) furono molte e nel 1451 con una processione cittadina solenne venne posata la prima pietra; nel 1471 la chiesa era completata e, tempo un quinquennio, furono completati anche il coro e il chiostro; incerta la paternità del progetto, forse attribuibile, per le caratteristiche e la contemporaneità con altre opere, a Domenico da Venezia[37].

Nei secoli successivi chiesa e monastero subirono molti danni per cause naturali; intemperie, allagamenti (erano situati in una parte bassa della città), terremoti. Le monache dovettero ricorrere con varie suppliche al comune e ai benefattori perché venissero finanziati riparazioni e lavori di restauro[38][27].

A poco a poco il numero delle monache diminuì - nel Settecento non superò mai la decina - e al momento della soppressione degli ordini religiosi nel 1810 era di sole sei suore.

San Tommaso

monache agostiniane di San Tommaso

San Francesco

In Borgo Pusterla oltre all'ospedale di Santa Maria della Misericordia, nel Quattrocento esisteva nel Borgo - nel luogo in cui sarebbero stati poi costruiti la chiesa e il monastero di San Francesco delle Clarisse - un piccolo ospedale con chiesa intitolato a Santa Maria in Pusterla. Esso fu oggetto di una lunga contesa fra la Confraternita di Santa Maria, San Bartolomeo e San Marco[39] - che lo gestiva - e le monache benedettine di Santa Caterina in Borgo Berga; alla fine furono riconosciuti i diritti della Confraternita, che nel 1503 vendette l'ospedale alle Clarisse, le quali vi fondarono il monastero di San Francesco Nuovo[40].

Intorno al 1500, sul luogo di un'altra più antica intitolata a San Francesco d'Assisi, a spese del nobile vicentino Carlo Volpe[41] fu costruita una nuova chiesa e, contemporaneamente, accanto ad essa venne costruito un monastero intitolato allo stesso santo, nel quale confluì una parte delle Clarisse che provenivano da Borgo Berga, dove il monastero di San Bernardino era divenuto insufficiente. L'iniziativa della costruzione venne presa da cinque nobili vicentini[42], che nel 1497 avevano acquistato, per il prezzo di 600 ducati, unum sedimen magnum nel Borgo di Pusterla, con case, corte, orto, pozzo e forno, circondato in parte da mura e in parte da siepe.

Secondo la bolla di concessione del papa Alessandro VI, il monastero doveva sorgere in loco decenti ed onesto cum ecclesia, campanili umili, campana, dormitorio, refectorio, cemeterio, ortis, ortaliciis et aliis necessariis officinis. Ma la spesa per la costruzione non si dimostrò un problema e il monastero fu presto realizzato, così che nel 1503 vi entrarono sei monache, tutte di famiglie nobili della città; questo primo nucleo presto crebbe e in alcuni momenti il numero delle religiose arrivò fino a 70, oltre a quello delle coriste e delle converse[43].

San Rocco

Ai Canonici subentrarono nel dicembre 1670 le Carmelitane "calzate" di San Zaccaria di Venezia, dette le Teresine, che avevano acquistato all'asta il monastero con le due pertinenze. A differenza di loro predecessori, esse costituirono una comunità piuttosto numerosa, e questo nonostante che per l'ammissione al monastero le famiglie dovessero versare una consistente dote patrimoniale, non certo alla portata di tutte. In questo modo la comunità monacale poté non solo estendere le sue proprietà immobiliari, ma anche erogare frequenti e cospicui prestiti e dotare la chiesa e il monastero di pregevoli arredi e di opere d'arte.

I resoconti redatti dai vescovi nel corso delle loro visite pastorali esprimono giudizi positivi sulla vita monastica a San Rocco, ordinata e tranquilla, con ampio spazio riservato alla liturgia, alla preghiera personale, al lavoro, all'educazione di giovani fanciulle che provenivano dall'esterno. Le monache vi rimasero fino al 1806 quando, dopo il ritorno a Vicenza dei francesi, dovettero andarsene nel convento di San Domenico. Nel 1810 poi, come tutte le altre corporazioni religiose della città, anche quella di San Rocco fu soppressa dai decreti napoleonici e tutti i beni furono demanializzati e incamerati dal Comune[44].

Età contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Ordini religiosi femminili fondati a Vicenza[modifica | modifica wikitesto]

Donne[modifica | modifica wikitesto]

XX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Sportive[modifica | modifica wikitesto]

Spettacolo[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesca Cavallin (Bassano del Grappa, 23 giugno 1976), attrice e conduttrice televisiva
  • Maria Cristina Maccà (Vicenza, 2 maggio 1967), attrice
  • Marta Marzotto, nata Marta Vacondio (Reggio nell'Emilia, 24 febbraio 1931), stilista ed ex modella
  • Dina Perbellini, nome d'arte di Dirce Bellini (Caldogno, 14 gennaio 1901 – Roma, 2 aprile 1984), attrice
  • Alessia Piovan (Noventa Vicentina, 20 maggio 1985), modella e attrice
  • Marcella Pobbe (Vicenza, 13 luglio 1921 – Milano, 17 giugno 2003), soprano

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

  • Rita Charbonnier (Vicenza, 24 marzo 1966), scrittrice, sceneggiatrice e attrice
  • Lelia Cracco Ruggini, storica
  • Luigina (Gina), Fasoli (Bassano del Grappa, 5 giugno 1905 – Bologna, 1992), storica
  • Annarosa Dal Maso (Chiampo, 13 aprile 1938), scrittrice
  • Maïmouna Guerresi, nata Patrizia Guerresi (Pove del Grappa, 1951), fotografa e scultrice
  • Luisa Muraro (Montecchio Maggiore, giugno 1940), filosofa e scrittrice
  • Flora Piccoli Mancini (Napoli, 1854 – Vicenza, 27 ottobre 1899), musicista e poetessa
  • Teresa Rampazzi, nata Rossi (Vicenza, 31 ottobre 1914 – Bassano del Grappa, 16 dicembre 2001), compositrice, pianista e ricercatrice musicale
  • Elisa Salerno (Vicenza, 16 giugno 1873 – Vicenza, 15 febbraio 1957) giornalista e scrittrice
  • Carola Susani (Marostica, 1965), scrittrice
  • Mariapia Veladiano (Vicenza, 17 aprile 1960), scrittrice e insegnante
  • Silvia Ziche (Thiene, 5 luglio 1967), fumettista

Politica[modifica | modifica wikitesto]

Le donne nella resistenza vicentina
  • Gemma Filippi, diciassettenne partigiana di Valli del Pasubio, combattente nella Brigata "Apolloni" delle "Garemi". Caduta in uno scontro coi tedeschi nei pressi di Poleo di Schio il 29 aprile 1945. Decorata di Medaglia d'Argento al Valor Militare e di Croce al Merito di Guerra.
  • Emilia Bertinato "Volontà", staffetta della brigata Stella arrestata dalla X Mas e trasferita a Montecchio Maggiore.
  • Umbertina Brotto Salvalaggio
  • Eleonora Candia (Pergine Valsugana, 25 ottobre 1921), partigiana nella brigata Settecomuni, fece la staffetta tra Asiago e Vicenza. Venne arrestata il 4 gennaio 1945[45]
  • Alberta Caveggion "Nerina" (Vicenza, 8 aprile 1924), della divisione Vicenza, fece la staffetta; catturata il 31 dicembre 1944 assieme a Gino Cerchio, dalla banda Carità la quale aveva una sede staccata a Vicenza, fu imprigionata a villa Giusti a Padova.
  • Elena Cavion, arrestata a Torrebelvicino e torturata dai militi della Legione Tagliamento, comandati dal colonnello Merico Zuccari[46]
  • Maria Galio, entrò nella resistenza con gli amici Stella, lavorava in un bar vicino al distretto militare di Vicenza, diventato un punto di riferimento per il gruppo di Dino Miotti. Fu arrestata su delazione di Giuliano Licini, ex partigiano, rimanendo in carcere fino alla liberazione.
  • Maria Erminia Gecchele "Lena", di Zanè, comandante del Servizio Informazioni del Gruppo divisioni garibaldine d'assalto "Garemi", fu congedata col grado di capitano e con l'assegnazione di due Croci di guerra. Catturata nel dicembre del 1944, venne tradotta a Padova a villa Giusti per essere torturata dagli sgherri della Banda Carità. Le sevizie furono tremende e durarono a lungo, tanto che nel dopoguerra all'eroica partigiana venne riconosciuto un alto grado di invalidità. Nel 2006 le è stata dedicata una via a Montecchio Maggiore.
  • Cornelia Lovato (caduta il 28 aprile 1945), le venne intitolato il battaglione della brigata Stella. Le è stata dedicata una via ad Arzignano.
  • Wilma Marchi "Nadia", Luigina Castagna "Dolores", arrestate tra la fine di dicembre e i primi di gennaio del 1945, portate nella sede della brigate nere di Valdagno, torturate, bastonate,
  • Maria Matteazzi, impiegata al distretto militare, forniva i documenti necessari per i partigiani
  • Teresa Peghin, "Wally", staffetta portaordini della brigata Stella, si nascose in montagna perché ricercata per aver portato 18.000.000 del tempo da Selva di Trissino al CNL di Padova.
  • Wally Pianegonda, arrestata su delazione di un ex partigiano, Victor Piazza; condotta nel carcere di Rovereto assieme alle sorelle Adriana e Noemi, alla mamma Bariola Bon Maria e a due zii materni. Internate nel campo di concentramento di Bolzano. Poco dopo fu arrestato il fratello Walter, vicecomandante della Pasubio, battaglione della Gruppo Divisioni Garemi, torturato e trasferito a Dachau.
  • Maria Setti (Vicenza, 11 agosto 1899 - Vicenza, 6 febbraio 1996), staffetta della brigata di Antonio Giuriolo, è la partigiana Marta descritta ne I piccoli maestri di Luigi Meneghello. Dopo le torture subite si finse pazza e fu ricoverata all'ospedale psichiatrico di Montecchio Precalcino. Dopo la guerra insegnò francese al Liceo Pigafetta di Vicenza.
  • Rina Somaggio, a 18 anni entrò nel gruppo di Carlo Segato, tenendo i collegamenti, trasportando armi ed esplosivi; arrestata il 2 dicembre 1944, interrogata e torturata, fu trasferita nel carcere di San Biagio dove rimase fino alla liberazione.
  • Irene Chini Coccoli (Bassano del Grappa, 13 maggio 1893 – Bassano del Grappa, marzo 1977), partigiana, politica, deputata della I Legislatura. Con il marito - il professor Costantino Coccoli, che fu uno dei promotori delle prime bande partigiane in Val Camonica - Irene collaborò attivamente alla Resistenza e si prodigò soprattutto nel "Gruppo di assistenza" creato da don Giacomo Vender. Arrestata il 30 settembre 1944, con Luigi Ercoli, nella propria abitazione a Brescia, dopo essere stata sottoposta a pesanti interrogatori, la Chini venne tradotta nel campo di concentramento di Bolzano. Immatricolata col numero 6422, fu rinchiusa nel Blocco F e quindi alla Galleria del Virgolo, dove rimase sino alla Liberazione.
Altre donne in politica

Religiose[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cracco Ruggini, 1988,  p. 268
  2. ^ Cracco Ruggini, 1988,  pp. 269-273
  3. ^ Cracco Ruggini, 1988,  p. 276
  4. ^ Cracco Ruggini, 1988,  pp. 298-300
  5. ^ Mantese, 1964,  pp. 577
  6. ^ Pacini, 1994,  pp. 1-6
  7. ^ Mantese, 1964,  p. 576
  8. ^ Mantese, 1954,  pp. 46-47, 533
  9. ^ Aristide Dani, in AA.VV., 1997,  pp. 19-22
  10. ^ Si affacciava sull'attuale piazza San Pietro; doveva essere già scomparsa nel XVI secolo, perché non si vede nella Pianta Angelica del 1580; se ne vede però ancora il campanile nella pianta del Monticolo del 1611. Aristide Dani, in AA.VV., 1997,  p. 27
  11. ^ Si trovava in contrà Sant'Andrea, nei pressi duella Corte dei Roda. Fu sede parrocchiale tra il XIII e il XV secolo; le monache la fecero restaurare nel 1536; fu abbattuta durante il periodo napoleonico. Mantese, 1958,  p. 223; Mantese, 1964,  p. 448-89
  12. ^ Mantese, 1952,  p. 151
  13. ^ Mantese, 1958,  pp. 331-36
  14. ^ Mantese, 1954,  pp. 48-53, 58-59, 89, 99, 193
  15. ^ Mantese, 1954,  pp. 67, 76-77, 144
  16. ^ Mantese, 1954,  pp. 278, 295, 312
  17. ^ Mantese, 1952,  p. 178
  18. ^ Mantese, 1954,  pp. 200, 449
  19. ^ Mantese, 1958,  p. 231, 271, 480, 486-87
  20. ^ Mantese, 1958,  pp. 150, 268-75
  21. ^ Aristide Dani, in AA.VV., 1997,  pp. 22-25
  22. ^ Mantese, 1958,  p. 617
  23. ^ Mantese, 1964,  p. 1037
  24. ^ Mantese, 1964,  pp. 130, 332-37
  25. ^ Mantese, 1964,  p. 258
  26. ^ Mantese, 1958,  p. 262
  27. ^ a b Sottani, 2014,  pp. 164-166 Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "Sottani" è stato definito più volte con contenuti diversi
  28. ^ Mantese, 1974/2,  pp. 1188-89
  29. ^ Dall'elenco risulta che tutte o quasi appartenevano a famiglie vicentine nobili: Muzani, da Schio, Caldogno, Loschi, Barbarano, Angarano, Zen, Valmarana, Braschi, Novello, Malclavelli, Scroffa ... a testimoniare la consuetudine di chiudere in monastero le figlie, per non dover sborsare la cospicua dote richiesta per un matrimonio
  30. ^ Mantese, 1964,  pp. 346-52
  31. ^ Mantese, 1974,  pp. 324-26
  32. ^ Mantese, 1982,  pp. 428-30
  33. ^ Trasferite in quello di Santa Caterina
  34. ^ che si erano trasferiti nel monastero di San Bartolomeo in Borgo Pusterla
  35. ^ Franco Barbieri in Fochesato, 2002,  pp. 31-35
  36. ^ La cronaca dell'anno 1451 riporta: "fo principià a far la chiexa de san Bernardin in lo borgo de Berga et … fu fatta la capella di san Bernardino in san Lorenzo di Vicenza"
  37. ^ Franco Barbieri in Fochesato, 2002,  pp. 26, 36
  38. ^ Franco Barbieri in Fochesato, 2002,  pp. 44-47
  39. ^ La Confraternita originava dalla fraglia dei Battuti. Mantese, 1964,  p. 683
  40. ^ Secondo il Mantese, lo storico vicentino F. Barbaran e altri hanno fatto confusione tra i documenti, traendone interpretazioni errate. Mantese, 1964,  pp. 343-45, 682-93
  41. ^ Colui che aveva fatto costruire il bel portale della chiesa di San Bernardino e Santa Chiara in Borgo Berga
  42. ^ Giacomo e Leonardo Thiene, Tommaso Scroffa, Cristoforo Barbaran e Giacomo Gualdo
  43. ^ Giarolli, 1955,  p. 412
  44. ^ Ermenegildo Reato in Cevese, 2001,  pp. 21-26
  45. ^ [1] Istrevi - visto 3 marzo 2009
  46. ^ [2] Fondazione RSI - scheda Merico Zuccari - visto 3 marzo 2009

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giorgio Cracco, Tra Venezia e Terraferma, Roma, Viella editore, 2009, ISBN 978-88-8334-396-4
  • Lelia Cracco Ruggini, Storia totale di una piccola città: Vicenza romana, in Storia di Vicenza, Vol. I, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Emilio Franzina, Vicenza, Storia di una città, Vicenza, Neri Pozza editore, 1980.
  • Alba Lazzaretto Zanolo, La parrocchia nella Chiesa e nella società vicentina dall'età napoleonica ai nostri giorni, in Storia di Vicenza, IV/1, L'Età contemporanea, Vicenza, Neri Pozza editore, 1991
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, I, Dalle origini al Mille, Vicenza, Accademia Olimpica, 1952 (ristampa 2002).
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, II, Dal Mille al Milletrecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1954 (ristampa 2002).
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/1, Il Trecento, Vicenza, Accademia Olimpica, 1958 (ristampa 2002).
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/2, Dal 1404 al 1563, Vicenza, Accademia Olimpica, 1964.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV/1, Dal 1563 al 1700, Vicenza, Accademia Olimpica, 1974.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV/2, Dal 1563 al 1700, Vicenza, Accademia Olimpica, 1974.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, V/1, Dal 1700 al 1866, Vicenza, Accademia Olimpica, 1982.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, V/2, Dal 1700 al 1866, Vicenza, Accademia Olimpica, 1982.
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, VI, Dal Risorgimento ai nostri giorni, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1954.
  • Giovanni Mantese, Organizzazione ecclesiastica e strutture religiose: dall'età tardo-romana al secolo XIX, in Storia di Vicenza, III, L'Età della Repubblica Veneta, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Gian Piero Pacini, Laici Chiesa locale Città. Dalla Fraglia di Santa Maria alla Confraternita del Gonfalone a Vicenza (Sec. XV - XVII), Vicenza, Ed. Egida, 1994

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]