Leone Sforza (1476-1496)

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Leone Sforza
Conte di San Secondo, Felino e Torrechiara
Stemma
Stemma
In carica1483 –
1496
PredecessorePier Maria II de' Rossi
SuccessoreBeatrice d'Este
Nascita1476
Morte1496
Luogo di sepolturaChiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano
PadreLudovico il Moro
MadreRomana
ConsorteMargherita de' Grassi
ReligioneCattolicesimo

Leone Sforza (14761496) fu conte di San Secondo, Felino e Torrechiara.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Era figlio illegittimo, probabilmente il secondogenito, di Ludovico il Moro e di una sua amante, Romana. Ludovico ebbe per lui un vivo affetto e molti sono i segni di ciò: nel 1481 gli donò il naviglio di Vigevano intrapreso da Filippo Maria Visconti; nel 1483 lo fece legittimare, riconoscendolo nel proprio testamento insieme all'altra figlia Bianca Giovanna, da lui amatissima,[1] e nominandolo suo erede universale nel caso in cui gli fossero mancati figli maschi legittimi dal matrimonio (ben lungi dal celebrarsi).[2]

Con un nuovo testamento gli assicurò poi una cospicua rendita e lo investì degli importanti feudi di Felino, Torrechiara e San Secondo, requisiti a Pier Maria II e Guido de' Rossi di Parma.[2][3]

Il suo primo incarico di rappresentanza ufficiale risale al gennaio 1485 quando, accompagnato da Galeazzo Sanseverino e passando per Mantova e per Ferrara, si recò a Venezia per presenziare a una grandiosa giostra in luogo del padre. Nel maggio dello stesso anno partecipò al solenne ricevimento di Ercole d'Este.[2]

Tra la fine del 1495 e l'inizio del 1496 sposò la giovane nobildonna Margherita Grassi,[2] di circa sedici anni,[4] orfana dell'usuraio Tommasone. Margherita - promessa sposa nel lontano 1480 al fratellastro di Leone, Galeazzo, morto precocemente - aveva sposato verso il 1492 suo zio Giulio Sforza, vecchio e malandato, il quale morì il 15 gennaio 1495, lasciandola incinta di un figlio che partorì poco dopo.[4][5]

Il matrimonio ebbe vita breve poiché Leone morì già nel 1496, ancor giovanissimo e senza aver avuto prole.[6] Gli succedette nei feudi, brevemente, la matrigna Beatrice d'Este.[7] Egli venne sepolto nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, nuovo mausoleo della famiglia Sforza; in seguito alle disposizioni del Concilio di Trento sulle sepolture (1564), la sua salma venne deposta in fondo al coro insieme a quelle della sorellastra Bianca Giovanna e della matrigna.[8]

Viene talvolta confuso con l'omonimo cugino, quest'ultimo figlio di Sforza Secondo del ramo di Borgonovo e abate di San Vittore a Vigevano dal 1495, morto nel 1508.[2]

La vedova, Margherita, era una giovane molto bella, ma vana:[9] sposò in terze nozze, per volontà del Moro, Francesco di Renato Trivulzio, nipote di Gian Giacomo Trivulzio, al quale diede un figlio chiamato Renato.[4] Neppure questo terzo matrimonio durò molto: civettuola la moglie, gelosissimo il marito, nel settembre 1498 Francesco finì per strangolare Margherita nel suo letto, dicendo poi di averla trovata già morta, e incappando così nelle ire del duca.[9][2]

Ascendenza[modifica | modifica wikitesto]

Genitori Nonni Bisnonni Trisnonni
Giacomo Attendolo Giovanni Attendolo  
 
Elisa Petraccini  
Francesco I Sforza  
Lucia Terzani  
 
 
Ludovico Sforza  
Filippo Maria Visconti Gian Galeazzo Visconti  
 
Caterina Visconti  
Bianca Maria Visconti  
Agnese del Maino Ambrogio del Maino  
 
Ne de Negri  
Leone Sforza  
 
 
 
 
 
 
 
Romana  
 
 
 
 
 
 
 
 

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Raccòlta vinciana, Numero 8, 1913, p. 157.
  2. ^ a b c d e f Giordano, pp. 98-100.
  3. ^ Arcangeli, Gentile, p. 253.
  4. ^ a b c Appunti e notizie, Archivio Storico Lombardo: Giornale della società storica lombarda (1912 set, Serie 4, Volume 18, Fascicolo 35), pp. 274-278.
  5. ^ Caterina Santoro, Gli Sforza.
  6. ^ Corio, p. 1102.
  7. ^ Malaguzzi Valeri, p. 381.
  8. ^ Beltrami, p. 9.
  9. ^ a b Annales de la Faculté des lettres de Bordeaux, Les Relations de Francois de Gonzague, marquis de Mantoue avec Ludovic Sforza et Louis XII. Notes additionnelles et documents, Di Léon-Gabriel Pélissier, 1893, pp. 72-73.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]