Crociata norvegese

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Crociata norvegese
parte delle crociate
Il viaggio di andata e ritorno dei norvegesi
Data11071111
Luogopenisola iberica, Isole Baleari, Palestina
Esitovittoria cristiana
Modifiche territorialiconquista cristiana di Sidone e susseguente creazione della Signoria di Sidone
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Norvegesi
4 000 o 5 000 uomini a bordo di 60 navi di tipo Skuldelev 2[1]
Crociati
Tra gli altri, inglesi, fiamminghi e danesi[2]
Veneziani
100 galee[3]
Fatimidi
probabilmente soltanto la guarnigione cittadina
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La crociata norvegese fu una lunga spedizione condotta tra il 1107 e il 1111 dal re norvegese Sigurd I, con l'intenzione di raggiungere la Terra santa e visitare i luoghi sacri del cristianesimo. Avvenuta poco dopo la prima crociata, resta oggetto di dibattito storiografico se essa possa essere qualificata alla stregua di una spedizione militare in piena regola, di un pellegrinaggio religioso armato o di una simbiosi tra le due ipotesi precedenti.

Al comando di una sessantina di imbarcazioni e di un numero compreso tra i 4 000 e i 6 000 uomini, il tortuoso e avventuroso viaggio di Sigurd durò diversi anni e toccò Inghilterra, penisola iberica (all'epoca in larga misura territorio musulmano, dove i norvegesi riportarono diverse vittorie), isole Baleari, Sicilia e, infine, la Palestina. Sigurd fu il primo sovrano cristiano occidentale a recarsi negli Stati crociati; una volta visitati diversi luoghi sacri, Sigurd collaborò con re Baldovino I di Gerusalemme nell'assedio di Sidone del 1110, culminato con un successo dopo poco meno di due mesi di attacchi. In seguito, abbandonò la Terra santa alla volta di Costantinopoli, dove si trattenne per un inverno intero e dove cedette il possesso delle sue navi ad Alessio I Comneno, che reclutò gran parte dei sopravvissuti nel suo corpo d'élite, quello delle Guardie variaghe. Re Sigurd, accompagnato nel suo viaggio a casa da un centinaio di uomini, percorse la strada del ritorno via terra attraverso la Bulgaria, l'Ungheria, la Germania e poi la Danimarca, venendo accolto come un eroe una volta arrivato in patria. Non una battaglia era stata persa dagli scandinavi durante questa spedizione.

Molti degli avvenimenti legati al viaggio sono raccontati da fonti norvegesi e islandesi, in particolare alcuni cicli di saghe, nelle quali spesso si tendeva a mescolare elementi fantasiosi legati all'antica cultura vichinga e alla mitologia norrena con riferimenti al mondo cristiano. Non mancano comunque opere straniere le quali, sia pur in via incidentale, narrano gli eventi e consentono di approfondire sulle vicende vissute dai guerrieri norvegesi. La spedizione suscitò un impatto positivo notevole sulla reputazione della Norvegia, squarciando quel velo di diffidenza paventato da chi ancora associava quella terra alle invasioni vichinghe compiute secoli prima. Inoltre, spronò nei decenni seguenti altri combattenti scandinavi a raggiungere la Terra santa, con il sogno di ripetere nuovamente l'impresa di Sigurd. Adeguandosi ai pareri entusiastici degli autori medievali, la storiografia dell'età moderna ha sempre acriticamente ritenuto valide le descrizioni realizzate in epoca precedente. Di recente, grazie all'adozione di approcci storiografici più consapevoli, è stato possibile scindere le informazioni più credibili da quelle meno affidabili, gettando luce sui molteplici aspetti tuttora ancora irrisolti.

Natura del viaggio[modifica | modifica wikitesto]

Scorcio di Bergen e del suo porto, la città da cui nel 1107 partirono migliaia di norvegesi alla volta della Terra santa. Il genere di viaggio che fu intrapreso è oggetto di discussione a livello storiografico

A livello storiografico, vi è incertezza sulla natura della spedizione compiuta dal re norvegese e su come essa vada classificata.[2][4][5] Nelle fonti storiche, l'impresa non viene infatti mai esplicitamente definita "crociata", malgrado si debba ricordare che quest'ultimo termine venne coniato in epoca successiva.[6] Si era ancora lontani dalla formazione di quell'interpretazione teologica secondo cui i successi militari sarebbero stati frutto dell'onnipotenza divina e che, per questo, chi partecipava alle campagne in Outremer sceglieva di servire il Signore, a rischio della vita, per diffondere il suo Verbo.[7] Secondo Jonathan Riley-Smith, «prima del 1187 è pertanto difficile distinguere le crociate dai pellegrinaggi armati o da altre forme di uso della forza per motivi religiosi».[7] Sigurd e i suoi uomini non avevano poi alcuna intenzione di rivendicare dei diritti territoriali, commerciali o di qualsivoglia altro genere in terre così lontane dalla Norvegia (al contrario di altre realtà come Genova, Pisa o Venezia).[8] E se anche queste caratteristiche mancavano, appare fuorviante, troppo semplicistico e decisamente superato il parere dello studioso balearico Álvaro Campaner, il quale, nel 1888, scriveva che Sigurd sarebbe stato smosso soltanto dalla brama di ricchezze e di sangue. Dovendo prendere posizione, Paul Alphandéry ha definito la spedizione alla stregua di un semplice pellegrinaggio armato, uno dei tanti che avrebbero avuto luogo nel corso del XII secolo.[6]

A rendere meno limpida la questione risultano le stesse fonti medievali, che in seguito al 1100 tendono a definire "pellegrini" anche gli uomini arruolati militarmente in Palestina.[2] A tal proposito, lo studioso Francesco D'Angelo ha provato a tenere nettamente distinti i due piani di pellegrino e soldato, ricordando come nei fatti la spedizione di Sigurd coinvolse dei guerrieri perfettamente equipaggiati e dalla comprovata esperienza, non dunque della gente comune.[9] Scopo del viaggio era sì quello di guadagnarsi il favore divino raggiungendo Gerusalemme, ma al contempo ognuno dei partecipanti sognava di certo di tornare in patria carico di gloria militare e ricchezze, motivo per cui la causa religiosa si sovrappose a motivazioni decisamente più terrene.[10] Neppure si può paragonare il viaggio compiuto da Sigurd a quello intrapreso dal re danese Eric I, avviatosi assieme ad alcuni guerrieri verso la Palestina per espiare i suoi peccati senza raggiungerla mai, in quanto nel 1103 morì a Pafo, sull'isola di Cipro. Nel caso norvegese non vi era alcun peccato di Sigurd da espiare, motivo per cui l'ipotesi del pellegrinaggio penitenziale può facilmente escludersi. Fu anche per questo che la proclamazione della spedizione attirò un vivace e convinto interesse di tutti i ceti popolari, che la avvertirono come una golosa opportunità; al contrario, i sudditi danesi furono addolorati dalla partenza di Eric, tanto da aver cercato più volte invano di dissuaderlo dai suoi propositi.[11]

Si è discusso a livello storiografico quanto nel viaggio di Sigurd abbia inciso una componente, per così dire, vichinga. Malgrado la loro epopea fosse ormai culminata all'alba del XII secolo, nella società scandinava sopravvivevano ancora varie pratiche legate all'Alto Medioevo (si pensi all'organizzazione sociale, mutata pochissimo nel corso dei secoli, così come alcune tradizioni socio-culturali o religiose) e sono diversi gli elementi vichinghi che permearono il viaggio. Basti pensare infatti al carattere primariamente marittimo della spedizione, alla presenza di guerrieri volontari che desideravano arricchirsi e accrescere la propria fama o ancora alle saghe che in futuro avrebbero ricordato le gesta compiute dai valorosi uomini che avevano lasciato la propria terra natia.[11] È in ultimo curioso ricordare l'itinerario seguito dai crociati norvegesi nel 1107, per larghi tratti sovrapponibile alla rotta percorsa dagli scandinavi che procedevano verso il mar Mediterraneo e che tanti combattenti vichinghi del IX-XI secolo avevano solcato a bordo delle proprie imbarcazioni.[12]

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Il Vicino Oriente[modifica | modifica wikitesto]

Cartina che mostra gli spostamenti delle truppe europee che raggiunsero la Terra santa e combatterono le battaglie storicamente comprese nella prima crociata

Quando nel 1099 si concluse la prima crociata, i cristiani erano riusciti a insediarsi stabilmente in Terra santa, conquistando Gerusalemme e realizzando l'obiettivo principale che si erano prefissati.[13][14] Restavano da decidere gli sviluppi successivi, motivo per cui i comandanti della spedizione si riunirono e decisero innanzitutto di nominare un'autorità spirituale in città, dopodiché si incontrarono per individuare la guida politica e militare che li avrebbe governati.[15] La prima fu individuata nell'arcivescovo Arnolfo di Rœux (sostituito presto da Dagoberto da Pisa), la seconda in Baldovino di Boulogne, divenuto re nel Natale del 1100, malgrado per nominare entrambe le figure fu necessario intavolare trattative e discussioni tutt'altro che semplici.[16]

Quando si affermò al potere, Baldovino, che avrebbe regnato per ben diciotto anni, intuì subito la necessità di conferire un'identità politico-amministrativa ai territori sottomessi e di liberarsi di nemici interni ed esterni che minavano la sicurezza della regione. Consapevole della necessità di rafforzare la propria posizione agli occhi di quei principi che avevano ambito alla carica da lui rivestita, seppe sfruttare probabilmente una delle sue migliori qualità, quella di sapiente generale, compiendo una serie di incursioni a est e a sud di Gerusalemme che gli permisero di estendere i propri possedimenti. Nel 1104 portò a termine l'assedio di Acri, grazie al quale si assicurò un porto prezioso e, per così dire, versatile, in quanto usufruibile a prescindere dalle condizioni meteorologiche in corso.[17] Si faceva a quel punto strada l'esigenza di presidiare le nuove conquiste dalle insidie nemiche, come già alcuni avevano intuito, e non restava che confidare nel crescente afflusso di pellegrini, in particolare di quelli disposti a battagliare, in visita nei luoghi sacri.[18] Questa speranza non fu mal riposta, poiché già tra il 1102 e il 1103 le rotte marittime che portavano alla Palestina, specialmente quelle che partivano dall'Italia meridionale, erano diventate particolarmente affollate e avrebbero a lungo continuato a esserlo.[19]

Il Regno di Norvegia[modifica | modifica wikitesto]

Tra la fine del XI e l'inizio del XII secolo, il re di Norvegia Magnus III era riuscito a imporre il proprio dominio, nel giro di un anno soltanto, in varie isole situate dall'altra parte del mare del Nord, ossia le isole Orcadi, le Ebridi e l'isola di Man, compiendo altresì delle razzie nel nord del Galles.[20] Presso le isole Orcadi, Magnus aveva rimpiazzato il vecchio conte con il suo secondogenito di nove anni, Sigurd, che lo aveva accompagnato nel corso della campagna di conquista.[21]

Scorcio delle isole Orcadi, un arcipelago situato a nord della Scozia. Conquistate da Magnus III di Norvegia nella seconda metà del XII secolo, la loro gestione fu affidata al suo secondogenito Sigurd, che trascorse lì cinque anni della sua vita in veste di reggente

Nominato «signore di tutte le isole a ovest del mare» sottomesse dai norvegesi, o più correttamente di tutte quelle a ovest della Scozia, inclusa l'isola di Man, il piccolo Sigurd fu affiancato nella sua attività da fidati consiglieri.[21] In veste di reggente, egli trascorse una porzione consistente della sua adolescenza lontano dalla sua terra di origine, ovvero un lustro. Spinto dalla sete di conquista, Magnus tornò nuovamente a ovest nel 1103, stavolta in Irlanda, ma cadde vittima di un'imboscata per lui fatale nei dintorni di Dún Pádraig, morendo a soli ventinove anni.[20] Appresa la notizia, nell'autunno del 1103 Sigurd fece ritorno in patria assieme al seguito sopravvissuto di Magnus. La necessità più impellente appariva quella di colmare il vuoto al potere lasciato in Norvegia; rispettando le consuetudini dell'epoca, secondo cui tutti i discendenti diretti di sesso maschile di un sovrano defunto avevano egual diritto a succedergli, il regno fu spartito tra i tre giovani figli di Magnus.[22] A Øystein, che era il maggiore e aveva pochi anni più di Sigurd, toccò la parte settentrionale, a Sigurd la parte sud-orientale e al piccolo Olav, che aveva al massimo cinque anni, fu assegnata quella sud-occidentale.[23][24]

A giudizio di Dan Jones, questo compromesso dovette forse risultare stretto a Sigurd, che cominciò ad avvertire il desiderio di allontanarsi dalla Norvegia.[25] È probabile che lo incuriosirono particolarmente le gesta che aveva udito a proposito della conquista di Gerusalemme del 1099 compiuta durante la prima crociata,[25][26] alla quale, come attesta l'autore medievale Guglielmo di Malmesbury, avevano preso parte anche dei «crucesignati nordici».[27] A mano a mano che trascorrevano gli anni, questa sensazione di eccitazione per le vicende che avvenivano in Terra Santa pervase molti angoli della Norvegia, fino a tramutarsi in qualcosa di più concreto di un semplice interessamento grazie alla decisione che di lì a poco avrebbe preso Sigurd.[25][26]

Il viaggio di andata[modifica | modifica wikitesto]

Preparativi e tappa in Inghilterra[modifica | modifica wikitesto]

(a)
(b)
In alto (a), un modello di Skuldelev II, un modello di imbarcazione norrena scoperto in Danimarca che corrisponde a quello impiegato dalla flotta di Sigurd I di Norvegia per il suo viaggio. In basso (b), una ricostruzione moderna di una Skuldelev II vista di profilo e con equipaggio a bordo

Nel 1107, al suo terzo o quarto anno di regno,[28] Sigurd aveva ormai raggiunto i diciassette anni e aveva deciso di compiere un viaggio nel mar Mediterraneo.[25] Tra gli scopi dichiarati dal re rientrava la sua intenzione di guadagnare fama (in norreno frægð) e buona reputazione (orðstírr), ma non bisogna dimenticare che nel mondo norvegese le incursioni o le guerre di conquista venivano ritenute un'opportunità di arricchimento cruciale per la sopravvivenza. In questo meccanismo sociale, il ruolo del re appariva pertanto essenziale, quasi come se egli fosse chiamato ad adempiere a una sorta di dovere.[29] Secondo Gary Doxey, sarebbe stato addirittura il popolo a sollecitare i giovani monarchi a proclamare una spedizione, una proposta questa che fu raccolta e di cui si cercò subito di darne notizia in tutta la Norvegia.[28] In effetti, non si può escludere che tra i favorevoli al viaggio in Oriente rientrasse chi aveva accompagnato Magnus nelle scorrerie compiute nelle isole occidentali e desiderava godere di nuovo della compagnia di Sigurd, presente nella traversata di ritorno dalle isole Orcadi.[30]

A prescindere da chi fu il promotore, Sigurd strinse a quel punto un patto con il fratello maggiore Øystein, accettando di cedergli pro tempore il controllo dei suoi domini mentre egli era lontano da casa sua.[25] Sigurd inviò dei messaggeri in vari angoli della Norvegia alla ricerca di uomini valorosi che intendessero unirsi alla spedizione, indicando come luogo di raduno Bergen, sulla costa sud-occidentale norvegese, da cui sessanta navi (un numero questo riferito da tutte le saghe) si prepararono per alcuni mesi a salpare.[28][31] Ipotizzando che come imbarcazioni fossero state utilizzate delle Skuldelev II, le quali potevano ospitare tra i sessanta e gli ottanta uomini ed erano lunghe una trentina di metri, è verosimile credere che Sigurd avesse radunato tra i 4 000 e i 5 000 uomini (con meno probabilità 6 000), ma di certo non i 10 000 testimoniati da Alberto di Aquisgrana. Resta comunque una cifra ragguardevole, considerando che in quel preciso periodo storico la Norvegia era uno dei paesi meno popolosi d'Europa.[1]

Re Sigurd lascia il paese in un'illustrazione di Gerhard Munthe

I membri della flotta cercarono di evitare che la partenza potesse avere luogo nei mesi freddi, durante i quali la navigazione sarebbe stata resa più disagevole, ma poiché era già giunto l'autunno e non si voleva attendere oltre, si scelse di evitare una lunga e rischiosa traversata diretta verso sud, preferendo saggiamente compiere una tappa intermedia in Inghilterra.[32] L'approdo di genti scandinave su quell'isola non suscitava ormai più il terrore infuso nei secoli precedenti, quando erano in corso le feroci invasioni vichinghe. Ora il popolo di Sigurd vi giungeva in pace, in cerca di rifugio e viveri funzionali a proseguire il viaggio in serenità.[33] Secondo le saghe, Sigurd venne caldamente accolto dal re Enrico I, figlio di Guglielmo il Conquistatore.[28] Malgrado gli storici moderni tendano a dubitare della veridicità di questo incontro, non si può escludere che Enrico concesse a Sigurd sostegno di tipo economico e materiale per la spedizione. L'unico dato confermato con assoluta sicurezza è l'approdo di una grande flotta norvegese, come confermato anche da fonti anglosassoni.[34] Pare che, per ricambiare il trattamento riservatogli, il sovrano norvegese accettò di destinare una grossa somma di denaro a varie chiese inglesi.[35] La prolungata sosta sull'isola consentì di tenere compatta la flotta e gli uomini che ne facevano parte, munendosi di tutto l'occorrente per condurre agevolmente un viaggio dalla vasta complessità.[36] Fu soltanto quando migliorarono del tutto le condizioni climatiche, ossia nella primavera del 1108, che la flotta salpò e solcò l'Oceano Atlantico, con l'intenzione di fiancheggiare la Francia occidentale.[35]

La Galizia e al-Andalus[modifica | modifica wikitesto]

Capo Finisterre, in Galizia. Il frastagliato punto situato nell'estremo nord-ovest della regione fu sicuramente doppiato dalla flotta norvegese, al fine di costeggiare poi la sezione occidentale della penisola iberica

Dopo aver perso una nave nei pressi dell'isola di Alderney, nel canale della Manica, la flotta proseguì seguendo la linea delle spiagge e delle scogliere della Normandia, della Bretagna, della Loira e dell'Aquitania. La traversata delle coste francesi si rivelò estenuante, trascinandosi per l'intera estate per via della costante necessità di approdare in cerca di viveri e acqua.[37] Doppiato il golfo di Biscaglia, i norvegesi giunsero in Galizia (Galizuland) soltanto in autunno, dove forse Sigurd si recò in pellegrinaggio a Santiago de Compostela (Jákobsland, cioè la terra di [san] Giacomo).[35]

Fu in Galizia che, per la prima volta, il gruppo di guerrieri scandinavi entrò in contrasto con la popolazione locale, a dispetto di confronti sempre pacifici con gli inglesi e con i francesi.[37] Poiché il sovrano locale, Alfonso VI di Castiglia, era infatti impegnato in questioni relative alla successione al trono di sua figlia Urraca, l'ospitalità dei norvegesi fu decisamente demandata alla buona volontà della nobiltà locale.[38] Un conte/duca (jarl nelle saghe) locale dal nome non indicato nelle fonti medievali venne a patti con gli stranieri, promettendo loro che avrebbero potuto beneficiare di un mercato permanente per trascorrere in modo sereno l'inverno del 1108.[35] Quando una carestia sconvolse però la regione, l'offerta fu ritirata e, come conseguenza abbastanza prevedibile, Sigurd finì per scontrarsi con il conte, che preferì fuggire dal suo castello anziché combattere e lasciò che gli stranieri si impadronissero di gran parte delle scorte per riprendere il viaggio.[39] Provando a ricostruire la fisionomia del misterioso antagonista dei norvegesi, con ampia verosimiglianza dovette trattarsi del castellano del porto.[28] È invece possibile che i negoziati di tregua fossero stati discussioni con delegati di Enrico di Borgogna, unica autorità rimasta nella regione dopo la morte del cugino, da cui nominalmente dipendeva, Raimondo di Borgogna.[nota 4] La doppia indicazione come conte e duca sarebbe frutto della confusione, in quanto chi si fregiò di entrambe le designazioni fu il figlio di Enrico, Alfonso I (1128-1185), prima di quando divenne, nel 1139, re del Portogallo.[40]

Ristabilita la pace con i galiziani, i norvegesi lasciarono la regione soltanto nella primavera del 1109, «addentrandosi per la prima volta in acque nemiche». Le fonti forniscono informazioni poco precise dal punto di vista storico sulle terre raggiunte dai crociati, limitandosi a ricorrere al toponimo "Spagna" (Spánn). Realisticamente, ciò si deve alla scarsa conoscenza o al disinteresse da parte degli autori delle saghe ad approfondire lo scenario geopolitico di al-Andalus, la porzione musulmana della penisola iberica che all'epoca era amministrata dagli Almoravidi.[41] Si narra quindi di uno scontro avvenuto in mare che coinvolse Sigurd e alcuni pirati (víkingr)[nota 5] saraceni a bordo di galee (galeiðr), una cruenta lotta terminata con la cattura da parte del re norvegese di sette (oppure otto)[28][42] imbarcazioni nemiche e di un grande bottino.[43] Malgrado la battaglia possa apparire dallo scarso rilievo e frutto di un incontro casuale, non si può escludere l'ipotesi che, invece, la flotta fosse stata avvistata dai musulmani e che alcune galee fossero state spedite dal porto più grande e più vicino, probabilmente Lisbona, per intercettarle.[44]

Veduta del castello moresco di Sintra, in Portogallo. La città, allora in mano musulmana, fu attaccata da Sigurd e dal suo seguito nel 1109 e i suoi abitanti sterminati, quando rifiutarono di rinnegare l'islam e convertirsi al cristianesimo

Raggiunta la foce del fiume Colares, gli uomini approdarono e, compiendo una scelta ancora oggi ritenuta incomprensibile dagli studiosi, si allontanarono per ben nove chilometri dalla costa raggiungendo l'imponente castello moresco di Sintra (Sintré), in Portogallo. Muovendosi in un territorio di cui conoscevano poco o nulla, per lo studioso portoghese Hélio Pires i nordici sarebbero stati spinti dal desiderio di eseguire una qualche rappresaglia per la precedente aggressione subita; una volta avvistato il castello locale, Sigurd si sarebbe istintivamente convinto del fatto che i predoni da lui sconfitti fossero stati per forza mandati da lì.[44] Ciò lo spinse ad attaccare immediatamente la fortificazione, ma gli abitanti e le guardie del posto resistettero strenuamente ai loro aggressori, rifugiandosi al suo interno. Malgrado ciò, alla fine i difensori dovettero capitolare e il sovrano norvegese disse loro che gli avrebbe risparmiato la vita qualora si fossero convertiti al cristianesimo; poiché nessuno di loro optò per questa scelta, i catturati furono tutti uccisi. Ritornati alle imbarcazioni, i guerrieri si diressero verso Lisbona (Lizibón), che aveva la fama di città ricca, «per metà cristiana e per metà musulmana» e ben fortificata (borg) e dove, di certo, ci si aspettava di imbattersi in ricchissimi bottini.[42] Preparatosi a colpire Lisbona, Sigurd seppe brillantemente espugnarne il distretto occidentale, un'area vicina alla foce del Tago e importante sia dal punto di vista commerciale sia demografico, anche se al prezzo di varie perdite. Stavolta non ne massacrò però la popolazione, in quanto diverse persone accettarono la conversione religiosa.[45]

Ripartito da Lisbona, Sigurd ebbe modo di compiere un'ultima tappa sulla terraferma ad Alkasse, una località generalmente associata alla moderna Alcácer do Sal, presso la foce del fiume Sado.[28] Invertendo la tendenza di Lisbona, le fonti riferiscono che il re si astenne da qualsiasi atto di clemenza e si lasciò andare a un massacro senza pari, sterminando gli abitanti e depredandoli di ogni avere. Sigurd concluse infine la lunga traversata dell'Atlantico superando lo stretto di Gibilterra (Nörvasund) e facendo l'ingresso nel mar Mediterraneo.[46] I norvegesi abbandonavano così la penisola iberica al netto di cinque vittorie, ma la devastazione e i danni causati dagli attacchi norvegesi rimasero palpabili soltanto nelle saghe, poiché, nella sostanza, le razzie di Sigurd non apportarono alcuna modifica alla situazione geopolitica dell'area.[47]

Baleari[modifica | modifica wikitesto]

Sigurd non aveva superato da molto Gibilterra che subito alcune bande di pirati saraceni assalirono la sua flotta.[48] Tuttavia, gli aggressori furono costretti alla fuga e i norvegesi poterono proseguire in serenità la propria navigazione.[49] È verosimile che Sigurd avesse raggiunto il Mediterraneo prima dell'estate del 1109, avendo dunque attraversato nel giro di una stagione un territorio ostile e pericoloso, ma si tratta soltanto di una supposizione, poiché l'ultimo riferimento cronologico fornito dalle saghe risale alla primavera di quello stesso anno, quando i crociati abbandonarono la Galizia.[48]

Il frastagliato panorama orientale dell'isola di Formentera, dove i soldati norvegesi attaccarono i pirati saraceni e africani

Temendo di patire imboscate nemiche, Sigurd ordinò che venisse fatta rotta verso nord e che si procedesse il più in fretta possibile, ma per compiere una traversata veloce occorreva non allontanarsi troppo dalla costa e, al contempo, poter contare su un numero di viveri più che sufficiente.[50] Fu per questo motivo che, quando la flotta raggiunse Formentera (Forminterra), appartenente alla taifa di Minorca, decise di aggredirla.[51] Le saghe dedicano i maggiori dettagli proprio a questo episodio, dichiarando che l'isola delle Baleari era abitata «esclusivamente da pirati pagani» e che tra di loro vi erano sia «saraceni» (serkir) sia «uomini neri» (africani, blámenn).[49][52] I pirati avevano sfruttato un reticolo di grotte (hellir) rocciose protette da una sporgenza in alto e da un ripido pendio in basso, convertendole in una fortezza di fortuna.[49] Avevano inoltre costruito un muro di pietra, alle spalle del quale custodivano i tesori ottenuti con le loro razzie.[49][52] Gli studiosi hanno circoscritto la località descritta alla punta orientale dell'isola, intorno a dove oggi sorge il faro di La Mola, il punto più elevato di Formentera.[49][53] Consapevoli dei vantaggi naturali conferiti dalla posizione in cui si trovavano i nemici, pare che i norvegesi esitarono ad attaccare, cambiando idea soltanto quando furono provocati e derisi per lo scarso coraggio.[49] Secondo le saghe, in quel frangente il giovane Sigurd ebbe modo di dimostrare appieno il suo genio militare.[52] Il re ordinò infatti ai suoi di portare a riva due piccole lance (barki), utilizzate all'occorrenza come scialuppe, e di trascinarle sulla sommità del dirupo, da un punto da cui potevano sovrastare i nemici.[54] Fu un'impresa difficile, tenendo conto della considerevole ripidezza della scogliera.[49] Fatti salire sui barchini quanti più guerrieri poté, perlopiù arcieri, li fece poi calare con delle corde fino all'imboccatura della caverna; mentre procedevano nella discesa, i norvegesi scagliarono quante più frecce e pietre possibili contro gli avversari, uccidendone alcuni e costringendo gli altri ad abbandonare l'ingresso e a ripiegare all'interno delle grotte.[52][54] Sbarazzatosi con questo stratagemma della minaccia principale, accatastò grossi pezzi di legno nelle caverne e li incendiò, facendo propagare presto le fiamme.[54] Ciò costrinse i pirati a decidere se tentare di uscire fuori, ma rischiando la vita perché attaccati dalle spade norvegesi, oppure morire bruciati o per asfissia a causa del fumo.[55]

Scorcio di Minorca. Come Formentera e Ibiza, fu attaccata dalla flotta norvegese

Archiviato lo scontro, restava da spartire il bottino, che fu presumibilmente il più ricco mai ottenuto nel corso dell'intera spedizione.[55] Secondo lo studioso Doxey, l'attacco a Formentera fu probabilmente l'evento di maggiore rilievo mai verificatosi nella storia della piccola isola.[52] Stando alla testimonianza fornita dal Liber maiolichinus, realizzato nel 1125, l'episodio ebbe luogo invece a Ibiza e favorì alcuni rifugiati pisani, sbarcati sull'isola dopo essere stati attaccati dai pirati saraceni e che avevano trovato rifugio in un castello.[55][56] Francesco D'Angelo tende a ritenere più attendibili le fonti nordiche in questo caso, ma ha sottolineato come sia fondamentale la testimonianza dell'opera appena sopra citata, in quanto conferma ulteriormente come uno scontro tra musulmani e norvegesi ebbe effettivamente luogo sulle Baleari.[55] Ibiza (Íviza) fu poi comunque raggiunta davvero da Sigurd, che surclassò i musulmani lì presenti provocando ingenti perdite, e riportò dunque la settima vittoria della sua spedizione.[57] Stranamente, lungo il percorso la flotta ignorò l'isola maggiore delle Baleari, Maiorca, e approdò invece a Minorca (Manork), dove ancora una volta si verificò uno scontro con la controparte e ancora una volta, l'ottava, Sigurd prevalse.[57][58] È legittimo credere che Maiorca fosse stata evitata perché ben fortificata e meno facile da assaltare, ragion per cui i norvegesi agirono nella maniera più opportunistica possibile colpendo gli obiettivi più vulnerabili.[51] Ad ogni modo, sebbene le saghe celebrino questi successi nelle Baleari con grande enfasi, affermando che addirittura il possesso dell'arcipelago sarebbe stato ceduto a un nobile cristiano, non bisogna credere che la campagna condizionò alcun mutamento geopolitico, né che ciò avvenne in maniera stabile dopo la successiva spedizione alle isole Baleari condotta da una coalizione pisano-catalana a partire dal 1113.[59]

Sicilia[modifica | modifica wikitesto]

Per un discreto tratto, le mete raggiunte dopo la partenza da Minorca verso occidente restano avvolte del mistero.[60] Ciò ha costretto gli studiosi a fare affidamento su fonti nordiche realizzate in epoca successiva, in particolare quelle incentrate su viaggi compiuti da equipaggi scandinavi nel bacino del Mediterraneo. È stato osservato che, in ognuna delle opere scritte tra il 1153 e il 1275, le rotte seguite dai navigatori nordici rimasero sostanzialmente invariate tanto nell'Atlantico quanto nel Mediterraneo. Per chi da ovest o da nord navigava verso oriente, «il percorso più breve e immediato conduceva infatti in vista delle coste sud-occidentali della Sardegna, isola che rappresentava dunque una tappa intermedia, o quantomeno un importante punto di riferimento per i viaggiatori».[61] Ciò ha permesso di dedurre che quando Sigurd abbandonò le Baleari, secondo gli storici nella tarda primavera del 1109, risulta abbastanza inverosimile credere che egli sostò in Provenza oppure in Corsica.[60][62]

Il Palazzo dei Normanni di Palermo, verosimile residenza di Ruggero d'Altavilla (il futuro Ruggero II di Sicilia). Sebbene non vi sia certezza, pare che egli incontrò Sigurd e i norvegesi nel 1109, quando essi raggiunsero la Sicilia

Altrettanto ignoto è se il seguito si fosse recato in pellegrinaggio religioso a Roma, come avrebbero fatto anche in futuro gruppi di crociati di diversa provenienza geografica.[60] Le opere menzionano soltanto dell'arrivo in Sicilia (Sikiley) nel 1109, malgrado non concordino sul momento esatto in cui avvenne lo sbarco né si indica il luogo di arrivo.[63] In passato si era sostenuto che i norvegesi fossero arrivati a Messina, ma questa scelta avrebbe implicato una significativa e ingiustificata deviazione verso est, seguendo la linea delle coste tirreniche italiane.[60] Malgrado tuttora non vi sia alcuna certezza, è più legittimo ipotizzare che lo sbarco ebbe luogo a Palermo, «città che costituiva un approdo naturale per chi proveniva da ovest attraverso il canale di Sardegna».[61] Sull'isola di Sicilia gli scandinavi avrebbero trascorso molto tempo, anche perché le navi necessitavano di lunghe riparazioni e di approvvigionamenti.[19] Inoltre, era opportuno che una flotta così vasta come quella radunata da Sigurd si raggruppasse nuovamente, pronta a muoversi verso la destinazione finale senza alcuna grossa problematica.[60] Sulla base di un'identificazione compiuta dagli storici, i viaggiatori incontrarono, forse nella città di Palermo, il giovane e quattordicenne Ruggero d'Altavilla (Roðgeirr), colui che nel 1130 divenne noto come Ruggero II di Sicilia.[64] Egli viene definito dalle saghe indifferentemente conte e duca e ritenuto un personaggio potente, in quanto fautore della conquista della Puglia (Púll), un'affermazione anacronistica, poiché in realtà all'epoca era sotto la reggenza di sua madre, l'influente Adelasia del Vasto.[63] Va sottolineato che le fonti norrene medievali ricorrevano al toponimo "Puglia" in maniera estensiva, indicando l'insieme dei domini normanni peninsulari (ducato di Puglia e Calabria).[65] La serie di informazioni riferite lascia trapelare l'intenzione dei cantori islandesi e norvegesi di esaltare la stirpe normanna.[63] Resta comunque storicamente incerto se l'incontro summenzionato avvenne davvero, tanto che non ne conferma la notizia nessuna fonte siciliana.[64]

In passato, si era erroneamente associata la figura di Roðgeirr a Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo e duca di Puglia e Calabria (1085-1111), e che l'incontro fosse avvenuto lungo la costa tirrenica, magari a Napoli, Amalfi o Salerno. In realtà, poiché le saghe menzionano esplicitamente il toponimo Sicilia, quest'interpretazione è stata del tutto fugata dalla storiografia.[65] Si deve comunque sottolineare che, in maniera insolita rispetto al resto della spedizione, viene riferito poco o nulla in merito agli avvenimenti che ebbero luogo in Sicilia, eccezion fatta per una serie di banchetti trascinatisi per una settimana che vide come protagonisti Ruggero, Sigurd e i rispettivi seguaci.[66] Sull'isola i norvegesi trascorsero il loro terzo inverno lontani da casa, ricevendo sempre un trattamento cortese e partendo nell'estate del 1110 alla volta della loro tappa finale, Gerusalemme.[67]

La crociata in Terra Santa[modifica | modifica wikitesto]

Arrivo in Outremer[modifica | modifica wikitesto]

Re Sigurd e Re Baldovino cavalcano da Gerusalemme verso il fiume Giordano in un'illustrazione di Gerhard Munthe

A discapito della lunghezza della traversata, pare che Sigurd non ordinò di effettuare alcuno scalo intermedio nel «mare di Grecia» (Grikklands hafi), ovvero il mar Egeo, e nel mar di Levante. È stato a lungo incerto dove, nell'autunno del 1110, avvenne lo sbarco in Palestina: secondo le saghe nordiche, Sigurd puntò convintamente verso il porto di Ascalona, a sud-ovest di Gerusalemme, che allora si trovava sotto il controllo del Califfato fatimide d'Egitto.[68] La città era invero già stata attaccata dai cristiani nell'agosto del 1099 (battaglia di Ascalona), ma non era capitolata del tutto e aveva continuato a fungere da avamposto principale per le navi militari egiziane, sovente cariche di soldati dirottati negli insediamenti fatimidi più prossimi alla costa.[69] Giunto in vista della terraferma, il re norvegese attraccò in vicinanza del porto e lì vi rimase in attesa che il nemico lo aggredisse, desideroso di poterlo colpire a sua volta e in seguito travolgerlo. Nonostante quel gran numero di navi fosse giunto in prossimità di Ascalona, in realtà non vi fu alcuna reazione da parte della popolazione e così Sigurd si convinse ad andare via in direzione di Giaffa, conquistata dai crociati nel 1100.[70]

I cronachisti latini, invece, forniscono due versioni differenti, con alcuni autori che indicano Giaffa, la città più vicina ai luoghi sacri del cristianesimo, e altri Acri (Akrsborg), che pur essendo più a nord era uno dei principali porti di riferimento per i pellegrini in arrivo in Palestina.[71] A giudizio di Francesco D'Angelo, la soluzione definitiva sarebbe quella fornita da Fulcherio di Chartres, che andrebbe considerato come informatore più credibile in quanto cappellano di Baldovino I, l'allora re di Gerusalemme.[72] Quest'ultimo aveva da poco concluso una fruttuosa campagna contro la città di Beirut,[31] e alla notizia dello sbarco di Sigurd si recò subito da lui per incontrarlo, con l'intenzione di conoscere le ragioni del suo arrivo.[73] Una volta saputele, quando tempo dopo Baldovino pianificò una campagna militare congiunta, come si dirà più avanti, si convinse su suggerimento dei suoi consiglieri a scartare l'idea di attaccare Ascalona, dove dunque Sigurd non andò mai, e si concentrò su Sidone. Baldovino decise allora di radunare un esercito ad Acri, una scelta che risultava più comoda per motivi logistici.[nota 6] Lì sarebbero poi dovute giungere, come specifica il cronachista, anche le navi norvegesi ormeggiate a Giaffa, un'affermazione questa che permette di dedurre quale fosse stata la prima destinazione raggiunta da Sigurd e dal suo seguito. Se questa ricostruzione fosse quella corretta, si dovrebbe allora ritenere che gli scritti nordici giudicarono veritiera una versione distorta degli eventi.[72]

La valle del Giordano, visitata dai norvegesi mentre erano in Terra santa, a sud del mare di Galilea

Sigurd fu il primo re occidentale a visitare gli Stati crociati e Baldovino lo trattò perciò con enorme rispetto, scortandolo fino a Gerusalemme (Jórsalaborg).[31] Durante il cammino, venne a conoscenza delle intenzioni di Sigurd di recarsi presso i luoghi santi di Gerusalemme e della valle del Giordano.[31][69] Conquistatosi il favore del sovrano gerosolimitano, a Sigurd fu riservato l'onore di venire accompagnato in varie località, tra cui la collina del Golgota, la stanza dell'Ultima Cena e della Pentecoste, il giardino del Getsemani, la tomba della Vergine Maria, nella valle di Giosafat, il fiume Giordano (dove Sigurd si immerse), il Santo Sepolcro e tante altre ancora.[74] Al termine di questa serie di pellegrinaggi, egli ricevette vari doni e persino un frammento della Vera Croce, una delle reliquie cristiane più venerate.[75] Al contempo, dovette giurare di compiere alcune riforme religiose in Norvegia, sebbene a questi impegni presi non diede mai del tutto seguito. La fondazione di un arcidiocesi norvegese, ad esempio, avvenne soltanto nel 1152, quando Sigurd era ormai già morto da più di un ventennio.[76] Inoltre, anche la richiesta di posizionare il frammento della Vera Croce presso la tomba del re Olaf II di Norvegia, venerato come santo, rimase disattesa, poiché Sigurd ne mantenne gelosamente il possesso per tanti anni ancora, fino a quando non la depositò nel 1127 alla chiesa della Santa Croce (Krosskirkja) edificata a Kungahälla.[77]

L'assedio di Sidone[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Sidone.

All'arrivo di Sigurd in Oriente, gli Stati crociati avevano subito già un non indifferente percorso di espansione. Il regno di Gerusalemme era cresciuto fino a dominare più o meno tutta la costa tra Giaffa e Acri, come detto caduta nel 1104. A nord, era sorta la neonata contea di Tripoli e, oltre ad essa vi era il principato di Antiochia, che di fatto accorpava quasi tutti i principali insediamenti tra Beirut e Alessandretta. Tra queste due zone, le città libanesi di Tiro e Sidone apparivano le uniche a resistere ostinatamente.[78]

Sigurd aveva trascorso l'estate del 1110 frequentando luoghi sacri e partecipando a eventi mondani svoltisi alla corte di Baldovino.[79] Avendo appreso delle imprese vissute dai norvegesi, il re di Gerusalemme si consultò con i suoi consiglieri e individuò il bersaglio dove i guerrieri stranieri avrebbero potuto mettere alla prova il proprio valore.[2] L'obiettivo infine prescelto fu Sidone (Sætt), una città della Siria (Sýrland) che, a giudizio del cronachista Alberto di Aquisgrana, soleva attaccare i pellegrini cristiani.[2] La strategia concordata fu la seguente: Baldovino avrebbe attaccato la città via terra, mentre la flotta nordica avrebbe colpito dal mare.[79] Oltre che sui suoi uomini e sui norvegesi, Baldovino poteva contare sull'arrivo di alcuni gruppi di inglesi, fiamminghi e danesi che precedentemente avevano visitato i luoghi sacri.[2] Salpato da Acri,[72] Sigurd mise in atto un autentico blocco navale a ridosso di Sidone, essendogli stato assegnato il compito di proteggere gli uomini dispiegati sulla terraferma qualora altre città egiziane avessero inviato soccorsi via mare.[78] Il timore che potessero giungere dei rinforzi si concretizzò quando arrivò un enorme gruppo di imbarcazioni fatimidi, partite da Tiro in direzione di Sidone.[31] Sigurd e il suo seguito soffrirono innegabili difficoltà, ma vennero provvidenzialmente soccorsi da una flotta composta da un centinaio di galee della Repubblica di Venezia, guidata dal doge Ordelaffo Falier in persona.[3][31] Secondo una diversa ricostruzione, una grande flotta egiziana si preparò a bersagliare la città di Acri, ma alla notizia dell'imminente transito delle navi cristiane verso Sidone esse ripiegarono nel sicuro porto di Tiro, da cui «nessuno osò» allontanarsi «per affrontarl[e]».[80] Ciò permise al re di Norvegia, con tutte le sue forze al completo, di gettare le ancore e di rafforzare la sua morsa intorno alla città, dalla parte del mare.[81]

La moderna Sidone vista dal Castello del Mare

Frattanto, sulla terraferma, alle porte del mese di ottobre gli ingegneri di Baldovino avevano ultimato svariate torri d'assedio e macchine da lancio, funzionali a colpire incessantemente le mura difensive che i musulmani avrebbero disperatamente cercato di riparare. Quando la guerra sembrava inevitabile, l'emiro di Simone implorò i suoi avversari di non attaccare, offrendosi di concedere un'ingente somma di denaro, ma la controparte rifiutò la proposta e si preparò a cominciare le ostilità.[81] Secondo lo storico coevo siriano Ibn al-Qalanisi, l'attacco partì il 19 ottobre e durò quarantasette giorni. Poiché gli assedianti erano stato in grado di costruire delle torri più alte delle mura di Sidone, i balestrieri ebbero gioco facile nel colpire i musulmani. Per difendersi dal rischio di incendi, ogni uomo era stato dotato di un secchio di acqua e di aceto.[78] L'impossibilità di fronteggiare un nemico del genere costrinse la guarnigione di Sidone a studiare un contrattacco, motivo per cui si escogitò di costruire diverse gallerie sotterranee sotto la torre d'assedio, per farla crollare.[82] Al contempo, il governatore cittadino ordì un complotto per assassinare Baldovino; così, strinse contatti con un musulmano rinnegato addetto al servizio personale del re, che in cambio di una notevole quantità di denaro accettò l'incarico. Tuttavia, i cristiani indigeni di Sidone ne vennero a conoscenza e scoccarono verso l'accampamento crociato una freccia con un messaggio, al fine di mettere in guardia il re.[31] Poiché entrambi i piani furono sventati, in quel momento l'unica soluzione sensata rimasta appariva la resa.[83]

La strategia di conquista escogitata da Baldovino raggiunse nel giro di meno di due mesi lo scopo prefissato: gli stremati abitanti della città si dissero pronti ad arrendersi, a condizione che fosse loro garantito un salvacondotto e avrebbe consentito, a chi non volesse rimanere, di raggiungere Damasco con tutti i loro beni.[81] Il 4 dicembre, Baldovino accettò la proposta e impose il pagamento di un esoso tributo pari a 20 000 dinari (o bisanti aurei), una cifra che consentì soltanto ai notabili cittadini di andar via, costringendo gli abitanti poveri a rimanere.[83][84] I cristiani si assicurarono così il possesso di un altro importante avamposto, considerando che a quel punto l'intera costa siriana era in loro controllo, fatta eccezione per Ascalona a sud e Tiro al centro. Ciò rese il governatore di quest'ultima città particolarmente inquieto, ma anche in altre latitudini del mondo arabo si apprese la notizia con grande costernazione.[85] Pare che persino la remota Baghdad, capitale del Califfato abbaside, cercò di spronare una reazione contro la minaccia cristiana.[81] Quanto al ruolo assunto da Sigurd durante la battaglia, la storiografia gli ha solitamente riservato un ruolo tutto sommato secondario. Al contrario, secondo le saghe si consacrò proprio in quell'occasione, motivo per cui la guerra contro Sidone sarebbe coincisa con l'apice della crociata norvegese.[86]

Il resoconto dell'assedio sopravvisse perlopiù in forma orale per diverso tempo, venendo poi ripreso brevemente da Teodorico monaco e, in seguito, da altre fonti scandinave.[86] A giudizio degli autori, Sigurd si dimostrò addirittura magnanimo, considerando che, secondo le consuetudini del tempo, a lui sarebbe spettato il possesso della metà della città conquistata e ai suoi uomini la metà del bottino. Tuttavia, con grande cavalleria e cortesia, egli vi avrebbe rinunciato, cedendo tutto al suo alleato Baldovino.[87] Per Sigurd si trattò della nona vittoria su nove riportata sul campo di battaglia, ma a differenza della sequela di lotte precedenti che «era stata segnata da exploits tanto eclatanti quanto estemporanei, perché privi di conseguenze geopolitiche», in questo caso l'intervento norvegese era stato fondamentale per consentire la presa di un porto fondamentale e una concreta espansione del regno di Gerusalemme.[88] Secondo alcuni cronisti inglesi, probabilmente traviati dal resoconto testimoniato da alcuni pellegrini o crociati di ritorno dall'Oriente, Sigurd avrebbe attaccato assieme a Baldovino anche il porto di Tiro.[87] Tale versione deve considerarsi frutto di confusione, in quanto il re di Gerusalemme effettivamente attaccò quella città (assedio di Tiro), ma con esiti infausti, senza supporto esterno e soprattutto tra l'autunno del 1111 e la primavera del 1112, dunque quando Sigurd aveva già da tempo abbandonato la Terra Santa.[89]

Il viaggio di ritorno[modifica | modifica wikitesto]

Cipro e Costantinopoli[modifica | modifica wikitesto]

Pafo, il porto cipriota raggiunto dai norvegesi alla fine del 1110

Concluse le operazioni a Sidone, Sigurd considerò esaurita la propria missione e si recò ad Acri.[83] Così, nel dicembre del 1110, salpò dalle coste palestinesi con il suo «muro ininterrotto» di navi (come le definisce il poeta islandese Snorri Sturluson)[83] e si diresse in principio verso Cipro, sostandovi per qualche tempo. Fu lì che i norvegesi incontrarono per la prima volta dei guerrieri della loro stessa etnia, i membri della Guardia variaga di stanza a Pafo, nel sud-ovest dell'isola. Si trattava del seguito che aveva accompagnato, senza far ritorno a nord, il re danese Eric I, recatosi in pellegrinaggio in Terra Santa e morto nel 1103 proprio a Pafo. La loro presenza, attestata con certezza almeno dal 1150 circa, fu con grande verosimiglianza voluta già dall'allora regnante Alessio I Comneno tempo addietro, ossia a cavallo dei primi anni del XII secolo. A Cipro Sigurd e il suo seguito trascorsero il Natale, facendo poi rotta verso nord, più precisamente verso lo stretto dei Dardanelli. Qui, in una località indicata come Engilsnes ("Promontorio dell'angelo") situata forse nella penisola di Gallipoli, sostò per due settimane, in attesa che spirasse una diversa brezza.[89]

L'intenzione era quella di presentarsi in pompa magna a Costantinopoli (Miklagarðr), che godeva della fama di metropoli più grande del continente. Le fonti riferiscono che l'arrivo di una flotta così immensa nel mar di Marmara fu seguita con attenzione dagli abitanti che vivevano a ridosso delle coste. Informato dell'imminente arrivo di Sigurd, pare che Alessio Comneno (detto nelle saghe Kirjalax, una contrazione di Kirye e Alexie che sta per "Grande Alessio") fece spalancare la Porta d'Oro (in norreno Gullvarta) e distendere preziose stoffe che avrebbero accompagnato l'ingresso dei norvegesi.[90] Discesi a terra prima dell'ingresso cittadino, i guerrieri procedettero in sella verso le porte di Costantinopoli, malgrado non venga spiegato dalle saghe dove gli uomini ebbero modo di munirsi dei cavalli. Si racconta poi che Sigurd cavalcò a passo d'uomo su un equino munito di ferri di cavallo appositamente realizzati in oro e che, di proposito, egli ne fece cadere uno a terra lasciandolo lì, al fine di suscitare impressione tra la folla. L'episodio risulta sicuramente frutto del folklore, così come il racconto secondo cui a Sigurd fosse stato concesso di recarsi nel sontuoso palazzo delle Blacherne (Laktjarnir), la residenza imperiale più lussuosa della capitale. La carica dell'imperatore bizantino era infatti circondata da un'aura di sacralità quasi inscalfibile, e determinati luoghi risultavano esclusivamente riservati alla sua persona.[91] Si susseguono poi aneddoti poco realistici inerenti alla fama e alla generosità di Sigurd verso i suoi sudditi, addirittura concessosi il diritto di declinare gentilmente, e più volte, i doni e le ricchezze a lui offerte da Alessio pur di poterle consegnare direttamente ai suoi uomini. Più veritiera appare l'ipotesi secondo cui a Sigurd e al suo seguito più fidato fu concesso di risiedere in una qualche residenza imperiale secondaria.[92] È inoltre probabile che avesse avuto luogo un banchetto che coinvolse i due sovrani e l'imperatrice Irene Ducaena, che si sarebbe anch'essa complimentata con Sigurd per la sua munificenza.[93] Un altro momento di svago avvenne poco dopo, quando pare che, dinanzi ad alcuni messaggeri imperiali bizantini i quali chiedevano a Sigurd se preferisse avere ancora oro oppure partecipare a dei giochi che si sarebbero organizzati presso l'ippodromo di Costantinopoli (paðreimr), egli optò per quest'ultima scelta e vi assistette in prima persona.[94]

Ricostruzione grafica compiuta dagli studiosi della Costantinopoli medievale, in particolare della zona dell'ippodromo. Secondo le saghe nordiche, Sigurd assistette ad alcuni giochi che si svolsero appositamente in sua presenza

«Dopo settimane trascorse tra feste, banchetti e spettacoli circensi», alla fine dell'inverno del 1111 i guerrieri norvegesi decisero di abbandonare Costantinopoli e di partire via terra per la loro patria. Il cronista inglese Guglielmo di Malmesbury, contemporaneo agli eventi, e l'Ágrip, la saga cronologicamente più vicina alla crociata, riferiscono che il re scelse di cedere il possesso delle navi a Costantinopoli, il quale avrebbe esposto una prua a forma di drago (dreki, l'ennesimo elemento nordico tipico dell'epoca vichinga) sul tetto di Santa Sofia (Ægisif) a mo' di trofeo. Meno credibile appare l'informazione secondo cui Alessio Comneno avrebbe negato alla controparte il permesso di andare via, tanto sarebbe rimasto obnubilato dalla sagacia e dal valore di Sigurd e del suo seguito.[8] Al di là della dimostrazione di generosità che viene indicata dalle saghe, è più probabile che il re decise di rinunciare alle sue navi perché esse necessitavano di costante manutenzione e perché un ampio numero dei suoi uomini (circa 2 500 su un totale di 3 000 o 400 veterani della spedizione) aveva deciso di entrare a far parte della Guardia variaga, con l'intenzione di vivere stabilmente in territorio bizantino.[95] In ultimo, per le conoscenze navali dell'epoca ritornare ad attraversare lo stretto di Gibilterra in direzione dell'Atlantico risultava un'impresa al limite dell'impossibile, per via delle forti correnti che spiravano in maniera costante verso occidente.[96]

Ritorno in Norvegia[modifica | modifica wikitesto]

Le navi erano state scambiate con dei cavalli, grazie a cui i norvegesi avrebbero potuto intraprendere il viaggio di ritorno.[83] Essi partirono nella primavera del 1111 e, a differenza di ogni altra fase precedente della spedizione, il cammino fu privo di eventi di rilievo. Si trattò sicuramente di un viaggio dai toni dimessi, considerando che, al contrario delle sontuose premesse dell'andata, Sigurd tornava a casa al massimo con un centinaio di uomini al seguito.[97] Le terre da lui attraversate compresero nell'ordine la Bulgaria (Bolgaraland), all'epoca in mano bizantina, l'Ungheria (Ungaraland) e la Pannonia (Pannóníam), da cui si giunse poi in terra tedesca e si transitò in Baviera (Býaraland), in Svevia (Sváfa) e poi in Sassonia (Saxland).[83][97] Lì il gruppo fu ricevuto dal duca Lotario di Supplimburgo, definito già però, in maniera anacronistica, imperatore del Sacro Romano Impero dai testi nordici (lo divenne dal 1133). Lotario, dopo aver appreso le vicende che avevano visto come protagonisti il nugolo di combattenti norvegesi, indicò loro dei mercati dove poter acquistare merci e mise loro a disposizione delle guide, affinché potessero attraversare in totale sicurezza il territorio sassone.[97]

Sigillo dell'imperatore del Sacro Romano Impero Lotario di Supplimburgo. Quando era ancora soltanto duca di Sassonia, nel 1111, incontrò e accolse Sigurd e il suo seguito, scortandoli verso i confini settentrionali dei suoi domini
Frammento di una moneta che ritrae re Niels di Danimarca. Anch'egli incontrò Sigurd e il suo seguito nel 1111, mettendo loro a disposizione un'imbarcazione per ritornare in Norvegia

Intorno alla festa di mezza estate che lì si celebrava, Sigurd raggiunse la Danimarca, più precisamente lo Schleswig (attraversata oggi dal confine tra la Danimarca e la Germania), e incontrò il conte locale, che gli riservò un sontuoso banchetto. Nella città mercantile di Hedeby incontrò di persona il re Niels, il quale accolse i norvegesi calorosamente e si offrì di accompagnarli fino allo Jutland, da dove, con una nave regalatagli, il sovrano norvegese poté attraversare il canale dello Skagerrak.[97] Sempre nell'estate del 1111, Sigurd raggiunse verosimilmente il fiordo di Oslo, uno dei principali porti per le imbarcazioni che giungevano dallo Jutland, e da lì eseguì un cammino villaggio per villaggio allo scopo di incontrare i suoi sudditi e informarli sull'esito dell'impresa.[98] Incontrati i suoi fratelli, fu accolto in maniera festosa e trascorse diversi giorni celebrando l'impresa. In concomitanza di questi eventi, la spedizione poté dirsi definitivamente conclusa.[99]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Al suo ritorno, Sigurd aveva vent'anni e, a giudizio di Snorri Sturluson, mai una spedizione più onorevole era fino ad allora partita dalla Norvegia.[100] Durante la sua impresa, Sigurd aveva avuto il privilegio di incontrare diversi sovrani europei, malgrado non sia noto se effettivamente conobbe tutti quelli citati dalle saghe. Di certo ogni superstite della spedizione portò con sé, e per tutta la vita, un bagaglio di conoscenze geografiche, diplomatiche e militari difficilmente paragonabili a quelle dell'uomo comune. In un'ottica più ampia, il suo viaggio ebbe conseguenze molto importanti per la Norvegia, la quale venne definitivamente associata nell'immaginario collettivo al mondo della cristianità.[99] A compiere quest'associazione furono anche autori di testi scritti di origine non norrena, come nel caso del francese Pietro il Venerabile, che risulta la fonte scritta più cronologicamente vicina alle vicende di Sigurd, in quanto egli completò le proprie opere nel 1123, due anni prima rispetto al Liber maiorichinus.[101]

Le gesta del re norvegese si diffusero presto in vari angoli d'Europa ed egli fece sì che continuassero a sopravvivere anche in patria donando cimeli e reliquie portati dall'Oriente a varie chiese e città del suo regno.[101] Quando nel 1115 Olaf morì, i rapporti tra i due fratelli sopravvissuti, ovvero Sigurd e Øystein, si fecero tesi e pare che la spedizione divenne forte oggetto di controversia.[102] Se da una parte Sigurd rivendicava un ruolo di primo piano dicendo di aver compiuto un'impresa ai limite dell'impossibile e che aveva nobilitato il giudizio europeo sulla Norvegia, dall'altra Øystein rinfacciò al fratello le varie azioni da lui compiute in sua assenza, tra cui la costruzione di alcune chiese, e gli ricordò quanto fosse stato leale, poiché Sigurd era ritornato a casa praticamente senza esercito e sarebbe stato dunque facile detronizzarlo se lo avesse voluto.[103] Malgrado i dissapori, nessuna delle due parti alla fine arrivò a rompere la pace e la Norvegia non fu scossa da lotte intestine.[103]

Rovine del castello di Ragnhildsholmen. Fu costruito nei pressi di Kungahälla, la chiesa in legno in cui re Sigurd conservò il frammento della Vera Croce ricevuto da Baldovino I di Gerusalemme

Vi è un secondo episodio che riguardò Sigurd e le lotte religiose, la cosiddetta leva navale di Kalmar (Kalmarnar leiðangr), iscritta addirittura da Pietro il Venerabile al novero delle crociate. Nel 1123, il re norvegese decise di recarsi nella regione svedese dello Småland, come testimoniato con ampi dettagli da Snorri Sturluson. Quest'ultimo riferisce che l'intervento militare di Sigurd avvenne su sollecito di re Niels di Danimarca, lo stesso che nel 1111 aveva accolto il norvegese di ritorno dall'Oriente. Lo scopo formale appariva quello di convertire i numerosi abitanti pagani della regione, che costituivano ancora la maggioranza della popolazione. Niels radunò però troppo presto le sue truppe rispetto a Sigurd e ne attese invano l'arrivo al luogo convenuto, lo stretto dell'Øresund, circostanza che portò alla smobilitazione dei guerrieri danesi e al loro ritiro. Quando il re norvegese infine giunse, criticò a sua volta il comportamento della controparte, riunendo un consiglio di guerra e decidendo per ripicca di saccheggiare lo Småland; alla fine, gli abitanti del posto furono presumibilmente convertiti. La narrazione di questo episodio, se da una parte testimonia ancora una volta l'atavico istinto predatorio nordico di qualche secolo prima, dall'altro consente di affermare con sicurezza che gli autori giudicavano queste spedizioni alla stregua di un conflitto contro i «nemici della croce di Cristo».[104]

Dopo la morte di Øystein, avvenuta nel 1123, Sigurd visse degli anni abbastanza travagliati e pare impazzì, malgrado non possa dirsi con sicurezza se si trattò di un disturbo da stress post-traumatico o di un disturbo bipolare.[100] Quando il re nel 1130 morì, il diritto alla successione al trono del suo figlio omonimo, Sigurd II, fu contestato da un pretendente irlandese di nome Harald che diceva di essere figlio di Magnus III (il padre di Sigurd I); lo scontro che ne seguì generò un lungo e tormentato periodo di guerre civili, trascinatosi addirittura fino al 1240.[105]

Quanto alle operazioni effettuate in Terra Santa, Baldovino I poté come detto entrare stabilmente in possesso di un presidio strategico e, a seguito della conquista, fu costituita la signoria di Sidone, assegnata ad Eustachio I de Grenier a titolo di feudo, il quale già era governatore di Cesarea.[85] Minore impatto ebbero invece gli attacchi in terra iberica, trattandosi di episodi sporadici, ma i sovrani di quella regione seppero in futuro comprendere il potenziale rappresentato dai gruppi di crociati stranieri e canalizzarono le loro forze incitandoli a combattere per la Reconquista. Si comprende così la natura di episodi storici, avvenuti in epoca successiva, che videro come protagonisti guerrieri scandinavi (è il caso dell'assedio di Lisbona del 1147, del massacro di Alvor del 1189 e dell'assedio di Silves, avvenuto sempre nel 1189).[100]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Pagina tratta dall'Ágrip af Nóregskonungasögum ("Compendio delle saghe dei re di Norvegia") del 1190 circa, una delle opere che descrive il viaggio compiuto dai norvegesi in Terra santa

Sfortunatamente, nessuno tra Sigurd e il suo seguito attestò di proprio pugno le vicende che coinvolsero gli equipaggi.[106] Furono i poeti di corte di Sigurd, prevalentemente islandesi, i primi a narrare le gesta dell'impresa, tramandando oralmente i racconti per decenni, fino a quando essi non vennero riportati e rielaborati in forma scritta nello Skaldatal ("Catalogo degli scaldi"), composto in Islanda nella metà del XIII secolo.[107] Altri testi importanti risultano i due sinottici norvegesi,[nota 7] di cui il primo è la Historia de antiquitate regum Norwagiensium ("Storia dell'antichità dei re norvegesi"), ultimata tra il 1177 e il 1188 dal norvegese Teodorico monaco, che a dispetto del soprannome era forse un canonico della cattedrale di Nidaros (la moderna Trondheim).[107][108] L'altro sinottico è l'Ágrip af Nóregskonungasögum ("Compendio delle saghe dei re di Norvegia") del 1190 circa, realizzato da un autore anonimo e anch'esso riconducibile all'ambiente culturale e letterario della cattedrale di Nidaros, oltre che in parte basato proprio sul lavoro di Teodorico.[107] Si tratta del più antico testo in antico norreno di cui si ha conoscenza inerente alla spedizione.[108]

Gli scritti risentono di un'impostazione prevalentemente clericale, a differenza di un altro filone decisamente più profano che consente di ricostruire gli eventi, ovvero le saghe.[109] Grazie ad esse il racconto delle molte avventure è tramandato in maniera vivida ed eroica e, nel corso delle opere, tendono a fondersi elementi tipici della mitologia norrena ad elementi cristiani, malgrado non si tratti di un'evidente contraddizione. Gli scaldi attingevano consapevolmente al patrimonio mitico del passato, poiché, nonostante avesse perso il valore religioso di un tempo, esso conservava comunque la funzione di «straordinario repertorio di immagini poetiche».[34] Le più antiche di cui si ha conoscenza risalgono alla metà del XII secolo e tra queste si distinguono le «Saghe dei re» (Konungasögur), dal cui nome si desume l'essere incentrate sulle vite dei sovrani nordici.[108] Sono essenzialmente tre le principali, tra cui la prima è l'anonima Morkinskinna (Pergamena scura),[110] redatta in Islanda nel 1220 circa e che ripercorre le vicende norvegesi avvenute tra il 1035 e 1157.[111] Poco prima del 1225 fu invece realizzata la Fagrskinna (Pergamena chiara), anch’essa anonima, scritta probabilmente da un islandese che si trovava in Norvegia e dedicata agli eventi accaduti tra il IX secolo e il 1177.[111] L'ultima, forse la maggiormente conosciuta, è la Heimskringla (Orbe terrestre), che deve il nome alle due parole di apertura della prima saga (Kringla heimsins); fu composta attorno al 1235 dal poeta islandese Snorri Sturluson e copre un arco temporale che va dalle origini mitiche del regno norvegese e fino al 1177.[111] Se nella Morkinskinna e nella Fagrskinna la narrazione è continua, nella Heimskringla ciascun re ha una saga a lui dedicata; il racconto della crociata è incluso nella Magnússona saga, ovvero la saga dei figli di Magnus.[111] Non si può escludere che nel novero delle fonti rientrasse l'ormai perduto Konunga ævi ("Vite dei re di Ari Þorgilsson"), scritto all'inizio del XII secolo e incentrato sulle vicende di un uomo che prese parte alla traversata verso la Terra santa.[110] Fra i punti dolenti legati alle saghe rientrano sicuramente gli sparuti riferimenti cronologici, poiché gli autori tendono a indicare gli anni o i mesi molto di rado e hanno costretto gli storici a compiere delle ardue ricerche storiografiche.[112][nota 8]

Vetrata della cattedrale di Moulins, in Francia, che ritrae alcuni crociati guidati da Goffredo di Buglione di strada verso la Terra santa

Nonostante l'impresa di Sigurd sia stata sviscerata anche da autori stranieri, una migliore ricostruzione degli eventi è possibile soltanto in maniera parziale, in quanto i maggiori dettagli sono riservati alle operazioni compiute nelle Baleari o in Palestina.[4][64] In Inghilterra, la prima tappa raggiunta dai norvegesi, alcune informazioni sono riferite da due monaci e cronachisti, Guglielmo di Malmesbury e Orderico Vitale.[111] Il primo, autore delle Gesta Regum Anglorum ("Gesta dei re degli inglesi") del 1125/1135 circa, ne parla al termine di una digressione sulla lotta dano-norvegese per il predominio navale nel XI secolo e sulla successione al trono di Norvegia; il secondo, nella sua Historia ecclesiastica ("Storia ecclesiastica") ultimata nel 1142, apre una breve parentesi parlando delle spedizioni militari condotte da Magnus, padre di Sigurd, nelle Orcadi. All'Italia si devono invece il Liber Maiorichinus de gestis Pisanorum illustribus ("Libro maiorchino delle gesta illustri dei pisani"), un poema epico in esametri scritto probabilmente da Enrico Pisano, cappellano dell'arcivescovo di Pisa, tra il 1117 e il 1125, e la Chronica Universalis ("Cronaca universale") del vescovo Sicardo da Cremona (1213 circa).[111][113] La prima opera menzionata ha un peso specifico maggiore, poiché riferisce l'esito della spedizione alle isole Baleari compiuta da italiani, catalani e occitani contro i musulmani e attesta, in modo inequivocabile, il passaggio del re norvegese (rex Norgvegius) avvenuto qualche anno prima.[114]

Tra gli autori medievali che si dedicarono alla narrazione delle crociate, e in particolare delle prime fasi, si devono menzionare Alberto di Aquisgrana (autore della Historia Ierosolimitana del 1121-1158), Fulcherio di Chartres (cappellano di re Baldovino I e autore anch'egli di una Historia Hierosolymitana del 1130 circa) e Guglielmo di Tiro (che scrisse nella seconda metà del XII secolo la Historia rerum in partibus transmarinis gestarum, ovvero la "Storia delle gesta compiute nelle terre d'Oltremare", attingendo sia ad Alberto sia a Fulcherio). Questi contributi risultano fondamentali, poiché oltre a confermare spesso quanto riferito dalle fonti scandinave, riferiscono, nelle parole di Francesco D'Angelo, «la versione cristiana o "crociata" dell'arrivo di Sigurðr e dell'assedio di Sidone». Quanto allo schieramento musulmano, il principale contributo è offerto dal siriano Ibn al-Qalanisi (morto nel 1160) nella cronaca nota come Dhail ta’rìkh Dimashq ("Seguito della Storia di Damasco").[115]

Appare singolare infine constatare che il soggiorno di Sigurd a Costantinopoli del 1111, tanto decantato dalle saghe norrene, passò in realtà praticamente inosservato negli scritti bizantini. È possibile che gli autori considerassero il passaggio di quegli uomini come un semplice transito, rilevante per la storia bizantina esclusivamente perché un gruppo di mercenari aveva deciso di unirsi alla Guardia variaga.[116] Se ne desume quindi che la permanenza di Sigurd a Costantinopoli ebbe un impatto e una rilevanza storica assai minore di quello che vorrebbero far credere i testi norreni.[117]

Giudizio storiografico[modifica | modifica wikitesto]

(a)
(b)
(c)
Thormodus Torfæus (a), Rudolf Keyser (b) e Peter Andreas Munch (c), tre dei principali storici che tra Settecento e Ottocento analizzarono le fonti relative alla crociata norvegese

Il ricordo della spedizione si mantenne vivo per diverso tempo sia in vari angoli d'Europa sia, soprattutto, in Norvegia.[118] Il viaggio valse a Sigurd il soprannome con cui è tuttora noto, ovvero Jórsalafari, che in lingua norrena significa letteralmente «che ha viaggiato a Gerusalemme», «gerosolimitano» (da Jórsalir, "Gerusalemme", e fari, "viaggiatore").[107] Come si è intuito dalla pressoché totalità delle fonti medievali menzionate, i toni inerenti alla spedizione risultano solitamente celebrativi ed entusiastici. Questo genere di retorica influenzò a lungo la storiografia dell'età moderna e della prima età contemporanea, se si pensa agli studi dell'islandese Thormodus Torfæus (1636-1719) e dei norvegesi Rudolf Keyser (1803-1864) e Peter Andreas Munch (1810-1863). Fece eccezione Christian Magnus Falsen (1782-1830), secondo il quale il viaggio di Sigurd fu insensato e privò la Norvegia di uno dei suoi uomini migliori, comportando la futura sequela di lotte al trono. La posizione di Falsen, tuttavia, rimase isolata: nel corso dell'Ottocento, la Norvegia entrò in unione con la Svezia e si affermò presto un sentimento nazionalista, esauritosi soltanto con la conquista dell'indipendenza, teso a esaltare le figure storiche che avevano innalzato la gloria della Norvegia (e quella dei membri della spedizione del 1107 erano tra queste).[119]

L'avventuroso viaggio in Oriente fu altresì oggetto di disamina di storici stranieri: il francese Paul Riant (1836-1888), ad esempio, in una sua fondamentale opera incentrata sulle spedizioni scandinave in Palestina definì quella del 1107 «l'episodio più memorabile della storia delle crociate scandinave». Anche un altro francese prima di lui, Joseph-François Michaud (1767-1839), si dedicò al viaggio dei norvegesi, sostenendo con toni accorati che «la presenza di questi guerrieri formidabili [a Gerusalemme] era presagio certo di vittoria». Nello stesso periodo storico, anche l'erudito bresciano Virginio Soncini, autore di una Storia della Scandinavia, ossia Svezia, Danimarca e Norvegia (1825), si espresse a proposito dell'evento. Con un linguaggio tipico della sua epoca, riferì che fu la «più rinomata», e che «agli occhi degli scandinavi l'idea delle crociate [...] si confaceva molto al loro talento, e fu sostituita alle migrazioni e alle corse piratiche».[120]

È dall'inizio del XX secolo che la storiografia ha adottato un approccio più critico e consapevole delle fonti. Fu Halvdan Koht (1873-1965) ad analizzare la crociata secondo metodologie e criteri più moderni, confutando varie errate considerazioni avanzate nei secoli precedenti.[120] Nel frattempo, la letteratura sul tema è notevolmente proliferata e tra i lavori di recente conclusi rientra quello dello storico Francesco D'Angelo, il quale ha riservato il seguente giudizio a proposito dell'evento:[106]

«Sigurðr, anzitutto, si comportò davvero come un pellegrino: spinto dalla devozione e dal desiderio di prepararsi spiritualmente, abolì le "leggi inique" dei suoi predecessori e affrontò poi un lungo e pericoloso viaggio per recarsi "in adorazione" a Gerusalemme, immergendosi anche nelle acque del Giordano come usavano fare i palmieri; infine, una volta assolto il proprio voto, egli riportò con sé un frammento della reliquia più preziosa della cristianità, la Vera Croce.
Al tempo stesso, però, non possiamo non reputarlo un crociato: benché le fonti non usino mai espressamente un simile appellativo e la sua spedizione non rientri in una offensiva su larga scala contro i musulmani, le testimonianze esaminate, in particolare la lettera di Pietro il Venerabile, dimostrano chiaramente che, agli occhi dei contemporanei, quello del re norvegese fu un negotium Christi, un'impresa finalizzata a combattere i nemici di Cristo e a supportare con le armi l'avanzamento del cristianesimo, facendo ricorso persino alle conversioni forzate dei saraceni, se necessario. Dall'inizio alla fine, la sua spedizione rivela inoltre la medesima tensione tra l'elemento secolare e quello devozionale, tra l'interesse economico e il fervore religioso, che caratterizzò il movimento crociato. Da questo punto di vista specifico, la figura di Sigurðr merita allora di essere rivalutata perché, dopotutto, egli non fu molto dissimile dai signori che lo avevano preceduto in Outremer e da quelli che vi si sarebbero recati dopo di lui. Non fu, insomma, meno "crociato" di loro.
In quanto pellegrino e crociato, Sigurðr è dunque un uomo del suo tempo, perfettamente immerso nel milieu culturale e sociale europeo del XII secolo; in lui, tuttavia, queste due anime convivono con una terza più antica, [quella vichinga], retaggio di un'epoca giunta inesorabilmente al tramonto.»

Croce in pietra realizzata in epoca medievale a Gloppen, in Norvegia

Il viaggio di Sigurd, stimolato dalle conseguenze della prima crociata, consente di affermare che l'intera cristianità occidentale si sentì coinvolta in un processo di cooperazione finalizzato a espandere e a difendere le terre cristiane.[8] Ciò spronò i discendenti e conterranei di Sigurd a ripetere, nei decenni successivi, l'avventuroso viaggio intrapreso verso la Terra santa.[121] Se da una parte è innegabile che i norvegesi suscitarono un vivace interesse agli occhi europei, dall'altra risulta difficile credere che fossero guidati da un uomo così cortese e raffinato come vogliono le saghe.[122] Pur scrivendo molto tempo dopo gli eventi, anche Snorri Sturluson alimentò il mito di Sigurd come autentico crociato, malgrado non avesse fatto alcun voto.[42] Si deve invece sottolineare come i membri della spedizione furono personaggi ibridi, spinti (quanto meno alcuni) sì da motivi religiosi e nobili, ma comunque ancora pervasi da quella tipicamente vichinga sete di avventure, di ricchi bottini e di esplorazione del mondo.[122] Questa sorta di confine tra le nuove usanze, credenze e istituzioni che sarebbero andate prepotentemente a influenzare il mondo norvegese si fuse in modo interessante con quel substrato culturale tipico dei secoli precedenti, generando un dualismo vissuto in maniera simbiotica nel corso della spedizione e che portò alla conclusione di un evento storico unico nel suo genere.[123]

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

La spedizione, e più in generale la vita di Sigurd, ispirarono vari autori. Tra questi, il drammaturgo norvegese Bjørnstjerne Bjørnson (1832-1910), vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1903, compose nel 1872 il Sigurd Jorsalfar, con musiche di Edvard Grieg (1843-1907).[124] Il poeta scozzese William Forsyth scrisse anch'egli una lirica incentrata sul re Sigurd e sull'impresa dal titolo King Sigurd the Crusader ("Re Sigurd il Crociato"), poi illustrata da Edward Burne-Jones nel 1862.[125]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Coinvolto/i soltanto nell'assedio di Sidone del 1110.
  2. ^ a b Una flotta della Repubblica di Venezia guidata da Ordelaffo Falier fu coinvolta soltanto nell'assedio di Sidone del 1110.
  3. ^ a b c d e Coinvolto/i in una o più battaglie avvenute nella penisola iberica.
  4. ^ Per maggiore chiarezza, è opportuno contestualizzare il quadro geopolitico della regione. Come riferisce Francesco D'Angelo, «dalla fine dell'XI secolo la Galizia, unita al regno di Castiglia e León sotto il re Alfonso VI († 1109), era stata suddivisa al suo interno in due contee, ciascuna affidata al governo di un nobile francese: a nord, la contea di Galizia propriamente detta era stata concessa a Raimondo (1088-1107), proveniente dalla famiglia dei conti di Borgogna [gli Anscarici]; a sud, la contea del Portogallo (o Portucale) – nominalmente subordinata alla prima e corrispondente alla parte più settentrionale dell'attuale Portogallo – era stata infeudata a Enrico di Borgogna (1093-1112), figlio cadetto del duca di Borgogna e cugino dello stesso Raimondo. Quando i crociati giunsero in Galizia, nell'autunno del 1108, Raimondo era morto da circa un anno ed è perciò probabile che fosse Enrico, sola autorità rimasta in carica in tutta la regione, a incontrarli per negoziare una tregua; del resto i norvegesi, proseguendo verso sud oltre il capo di Finisterre, avrebbero finito inevitabilmente per costeggiare la sua terra»: D'Angelo, p. 57.
  5. ^ Il termine víkingr ("pirata") «non aveva alcuna valenza etnica e assumeva un'accezione positiva o negativa a seconda del contesto: in questo caso, esso si riferisce non a dei guerrieri nordici bensì semplicemente a dei pirati o predoni»: D'Angelo (2021), p. 58.
  6. ^ Se si tracciasse una linea immaginaria da sud-ovest a nord-est lungo la costa medio-orientale del Mediterraneo, si incontrerebbero nell'ordine Ascalona, Giaffa, Acri e Sidone. Se ne deduce che Baldovino aveva tutto l'interesse a radunare le truppe ad Acri, in quanto più vicine all'obiettivo: D'Angelo (2021), p. 89.
  7. ^ I testi sinottici norvegesi sono detti così «per via di corrispondenze tematiche e linguistiche»: D'Angelo (2021), p. 13.
  8. ^ Le discrepanze traspaiono chiaramente non soltanto riguardo ai singoli eventi, ma anche rispetto all'intera durata del viaggio (ad esempio quando si indica erroneamente che durò solo due inverni, che i norvegesi sostarono in una piuttosto che in un'altra località e così via) o a quanto tempo si rimase in Terra Santa (l'assedio di Sidone avvenne per alcuni nel 1110, nel 1111 per altri). Nel tentativo di sbrogliare la matassa, Eric Doxey ha delineato la seguente linea temporale, seguita dalla maggioranza degli storiografi moderni: l'arrivo alle Baleari non avvenne di certo prima del 1107, ma più probabilmente nel 1108 o ancora più verosimilmente nel 1109. Il soggiorno in Terra Santa e la partenza verso Costantinopoli ebbero luogo nel 1110, con lo sbarco finale in Norvegia collocabile nel 1111: Doxey (1996), p. 156.

Bibliografiche[modifica | modifica wikitesto]

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    «[Q]uando a Clermont papa Urbano II aveva spronato le folle a difendere la cristianità dai nemici esterni (musulmani), difficilmente stava pensando agli scandinavi quali possibili destinatari del suo messaggio [...] Mutatis mutandis, la prospettiva "mediterraneocentrica" espressa dalle parole di Urbano II si è perpetuata nell'Europa centro-meridionale fino a tempi recenti, influendo sul modo di vedere le crociate e, non di rado, anche la stessa civiltà medievale, all'interno della quale i popoli nordici hanno lungamente faticato a trovare un altro posto o un altro ruolo che non fosse quello dei "feroci vichinghi".»
  124. ^ D'Angelo (2021), pp. 16-17.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]