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Industria preunitaria ligure[modifica | modifica wikitesto]

Introduzione[modifica | modifica wikitesto]

Industria meccanica[modifica | modifica wikitesto]

Industria siderurgica[modifica | modifica wikitesto]

Al 1846 erano attive in tutta la Liguria 44 ferriere, di cui 40 ferriere alla catalana, 3 ferriere alla bergamasca e 1 ferriera alla inglese. Il territorio ligure era molto povero delle materie prime necessarie all'industria siderurgica: il minerale di ferro necessario era quasi del tutto importato dalle miniere dell'isola d'Elba, mentre il carbon fossile era importato dall'Inghilterra e dalla Francia, a volte sostituito con del carbone vegetale importato dalla Toscana, che tuttavia aveva una resa minore[1].

Di tutte le 40 ferriere alla catalana, solo 3 erano in prossimità della costa, mentre le altre erano situate nella zona appenninica che garantiva l'approvvigionamento di combustibile dai boschi e la forza motrice dei torrenti. La produzione complessiva di queste 40 ferriere era di circa 4500 tonnellate l'anno per 4100 operai stabilmente impiegati, di cui 320 impiegati nelle effettive opere di fonderia, per un impiego di personale medio di circa 102 operai e una produzione media di circa 112 tonnellate l'anno. Tra questo tipo di ferriera venivano segnalate le ferriere Pallavicini a Sassello per la modernità degli impianti[2].

Le 3 ferriere alla bergamasca ricoprivano un ruolo del tutto marginale nella produzione della regione: assieme producevano ferro per 162 tonnellate e occupavano 75 operai[3].

La ferriera Pezzi di Genova era l'unica ferriera alla inglese della Liguria al 1846: fondata nel 1842 fu la prima di questo genere in Italia. L'attrezzatura era composta da 3 forni a riverbero (o "a pudellaggio") più 1 forno riscaldatore, 1 maglio, 2 cilindri alimentati da una macchina a vapore per la laminatura del ferro, 2 torni e vari accessori minori, oltre a 2 cubilotti per getti di ghisa. Per confermare come questo tipo di ferriera fosse tra tutte del tipo più moderno è sufficiente fare un confronto di dati: occupava infatti 60 operai per una produzione di circa 540 tonnellate di ferro, ovvero più del triplo delle ferriere alla bergamasca messe assieme e più di quattro volte la produttività media delle ferriere alla catalana[4].

La produzione aggregata di ghisa al 1848 era quindi pari a poco più di 5000 tonnellate di ghisa: nel 1853 la produzione di ghisa della Liguria era quasi raddoppiata con 9000 tonnellate di ghisa prodotta, anno in cui raggiunse il picco per poi ritornare negli anni successivi alla produzione di circa 5000 tonnellate[5].

Per quanto riguarda le ferriere miste a fonderie, si segnalano nel 1860 le Officine De Mari nell'odierna Cairo Montenotte, la quale partendo dal minerale di ferro estratto dall'isola d'Elba produceva ogni anno 200 tonnellate di utensili in ferro, perlopiù parti per strumenti agricoli. La fabbrica impiegava circa 20 operai stabilmente: questo elevatissimo livello di produzione per operaio era raggiunta grazie all'adozione di numerose "novità", su tutte la sostituzione degli antichi magli con dei cilindri di laminazione per la riduzione di sezione dei profilati in metallo; dall'analisi della produzione prima e dopo l'adozione dei cilindri si può verificare come ciò portò ad un aumento di produttività di circa 20 volte a parità di manodopera. Altre attività simili degne di menzione erano le officine fratelli Ponzoni di Bormida e le officine Piantelli a Mallare, ognuna delle quali aveva un produzione di circa 150 tonnellate annue di utensili vari in ferro[6].

Tra le maggiori fonderie di getti di ghisa della Liguria si può citare la fonderia di Ballaydier. Fondata nel 1832, al 1846 era composta da due cubilotti, la cui alimentazione ad aria era fornita da una macchina a vapore da 8 cavalli, capaci di fornire fino a 3 tonnellate di ghisa al giorno, anche se la produzione annuale si attestava a circa 180 tonnellate di getti di ghisa all'anno. La fonderia forniva soprattutto travi per grandi opere civili, parti medie e piccole per l'industria bellica oltre a una grande varietà di piccoli oggetti di uso civile come pentole: la fonderia impiegava nell'anno sopracitato fino a 60 operai quotidianamente[7]. Nel decennio successivo, la fabbrica fu in costante crescita fino a giungere al 1857, alla morte del fondatore Giuseppe Maria Ballaydier, ad impiegare 350 operai, mentre nel 1860 lo stabilimento era arrivato a consumare 45000 tonnellate l'anno tra ghisa e carbone[8].

Sempre per quanto riguarda la ghisa, la fonderia fratelli Westermann di Sestri Ponente aveva nel 1860 un output in getti di ghisa pari a 150000 franchi (nello stesso periodo, con 4500 tonnellate di ghisa consumata, la Ballaydier appena citata aveva un volume d'affari di circa 600000 franchi) per circa 120 operai stabilmente impiegati[8]. Un'altra fonderia relativamente grande era la fonderia Pezzi di Cogoleto fondata nel 1845 che arrivò ad impiegare dopo poco tempo 60 operai.

Vi erano infine 124 piccole officine per la produzione di semilavorati intermedi che impiegavano 1066 operai complessivamente per un output di poco più di 1860 tonnellate l'anno[9].

Altre industrie metallurgiche[modifica | modifica wikitesto]

Nella provincia di Genova erano presenti al 1846 3 fucine per la fabbricazione di oggetti di rame di seconda fusione: data la mancanza di miniere sul proprio territorio si ricorreva a rame importato dall'estero. Vi si lavorava all'anno poco meno di 60 tonnellate di metallo per circa 40 operai impiegati stabilmente. I prodotti venivano smerciati in tutto il Regno di Sardegna[10].

Erano poi presenti nel territorio ligure alcuni filoni per l'estrazione d'oro: questo veniva usato nella fabbricazione di utensili di lusso assieme all'argento. All'incirca 500 operai erano impiegati nella produzione industriale di questi beni, di cui fino a 200 erano impiegati nella sola fabbrica Pisani, mentre le altre officine impiegavano mediamente 10 persone[11]. I prodotti di questa industria genovese rifornivano il mercato interno, oltre che quello della Toscana e del Sudamerica. Molto sviluppata a Genova era anche la fabbricazione di filigrana ed occupava dai 300 ai 600 operai[12].

Industria metalmeccanica[modifica | modifica wikitesto]

Punto di forza dell'industria ligure era sicuramente l'industria metalmeccanica: nonostante molti stabilimenti di questo tipo fossero presenti in altre città del regno di Sardegna, specie Torino, Genova era sicuramente la città del regno in cui tale industria era maggiormente sviluppata.

Dal punto di vista dei cantieri navali, si possono citare i cantieri Orlandoni e C. che al 1861 impiegavano stabilmente fino a 300 operai[13]. I cantieri, responsabili nel 1860 di lavorazioni per 600 tonnellate di ghisa e 150 in ferro, oltre a dedicarsi alla costruzione di navi in carpenteria metallica (tra cui il segnalato "Piroscafo Lerici" con motore da 80 cavalli) iniziò negli anni precedenti all'unità d'Italia la costruzione di ponti in ferro[14].

Le officine Robertson di Sampierdarena si occupava della fusione e della lavorazione di parti meccaniche: particolarmente celebre era la produzione di turbine e motori idraulici. Al 1860 viene segnato un consumo di ghisa e carbone pari a 7000 tonnellate, per un totale di 300 operai stabilmente impiegati, tuttavia nei momenti di maggiore produzione gli addetti impiegati arrivavano fino a 400 unità[15]. Dedicato alla fabbricazione di macchinari per uso agricolo era lo stabilimento Molinari di Genova, occupava 60 operai e disponeva di un motore a vapore di 15 cavalli per effettuare le varie lavorazioni[16].

Al di fuori di Genova, venivano segnalate le officine Mascardi e C. di Savona, che con una lavorazione annua di 3000 tonnellate di ghisa occupava stabilmente una trentina di operai[17].

  • Officine meccaniche Westermann

Ansaldo[modifica | modifica wikitesto]

Probabilmente il più importante complesso industriale italiano al momento dell'unificazione, merita un capitolo a sé stante l'Ansaldo fondata a Sampierdarena nel 1852 da una cordata di imprenditori liguri aiutati dal sostegno politico e finanziario del primo ministro del Regno di Sardegna Camillo Benso Conte di Cavour. L'Ansaldo si avvalse del materiale e dei capannoni lasciati dalla fallita Taylor & Prandi, azienda meccanica genovese che da pochi anni aveva cessato l'attività[18]. Nel 1854 dall'Ansaldo esce la prima locomotiva progettata e realizzata interamente in Italia: nei successivi sei anni (1854-1860) lo stabilimento produrrà 18 locomotive, alcune destinate all'esportazione in altri stati italiani. Per fare un raffronto, le officine di Pietrarsa del Regno delle Due Sicilie, paragonabili per entità alle officine genovesi ed immediato "concorrente", in un periodo di dieci anni (1850-1860) produssero 13 locomotive[19]. Il progresso tecnico di quegli anni dell'Ansaldo è inoltre testimoniato da alcuni dati: nel 1860 l'azienda arrivò ad impiegare stabilmente 1000 operai, mentre nell'esposizione industriale di Firenze del 1861 fu dell'Ansaldo la macchina a vapore più potente presentata, con 32 cavalli vapore[20].

Industria tessile[modifica | modifica wikitesto]

Industria cotoniera[modifica | modifica wikitesto]

L'industria della filatura del cotone era attiva in Liguria sin dal 12° secolo: non esistendo coltivazioni di questa pianta nel territorio, questo veniva perlopiù importato in tempi moderni dall'America del nord o dall'Egitto[21]. A partire dal 1840 vi era stata un grande corsa all'innovazione nel territorio genovese grazie all'adozione di macchine moderne e nuove tecniche di filatura: nel 1841 vi erano nella sola provincia di Genova 8 filatoi principali con 140 telai e complessivamente 600 operai stabilmente addetti alla produzione di 600 tonnellate di filato annue; mentre in tutta la Liguria vi erano 25 fabbriche principali che occupavano poco meno di 900 operai[22]. Nel 1846 la principale filanda di cotona era il cotonificio Rolla di Voltri, con macchine moderne continue mosse grazie alla forza motrice dell'acqua, capace di produrre fino a 600 chili di filato al giorno suddivisi su circa 16000 fusi. Altra filanda degna di nota era la cotonificio Sciaccalunga presso Ceranesi, con circa 4000 fusi e 70 operai per una produzione di 120 chilogrammi di filato al giorno. Altre filature di cotone all'epoca segnalate sono il cotonificio Marengo sempre di Ceranesi, con una produzione di filato fino per 140 chilogrammi al giorno, il cotonificio Rossi e Peirano con 200 chilogrammi al giorno[23].

L'industria cotoniera viene indicata in costante crescita a partire dal V decennio dell'Ottocento: nel 1855 il più importante stabilimento di filatura di cotone della Liguria, la manifattura Castelli, contava 500 operai per 300 telai e 15000 fusi, pochi meno che tutta la Liguria dieci anni prima[24]. Tra gli altri stabilimenti importanti vengono indicati lo stabilimento fratelli Rolla di Cornigliano, con 10000 fusi e 200 telai, e lo stabilimento Francesco Rolla di Voltri con 8000 fusi[25].

Per quanto riguarda la fabbricazione di tessuti in cotone, nel 1841 la Liguria contava 7433 telai suddivisi in 85 stabilimenti che impiegavano un totale di poco più di 7400 operai: la divisione ligure annoverava quindi all'incirca la metà dei telai di tutto il Regno di Sardegna che ammontavano a poco meno di 15000[26].

Industria serica[modifica | modifica wikitesto]

Nell'attuale liguria la filiera di produzione della seta comprendeva ogni passaggio dall'allevamento dei bozzoli alla creazione di tessuti di seta.

Per la materia prima di fabbricazione, la divisione di Genova nel 1846 produceva 620 tonnellate di bozzoli, che venivano perlopiù allevati nell'entroterra ligure, su un totale di circa 80000 tonnellate complessivamente prodotti in tutto il Regno di Sardegna. Di queste, parte venivano utilizzate per fabbricare poco meno di 100 tonnellate l'anno di filato sul totale di 560 tonnellate di tutto il Regno di Sardegna: al 1846 vi erano nella divisione di Genova 30 filande per poco più di 2000 operai occupati, perlopiù donne. Di questa produzione, all'incirca 35 tonnellate veniva destinata all'esportazione nei mercati inglesi[27]. A partire dal sesto decennio dell'Ottocento si assistette ad un'importante incremento della produzione ligure su quella del resto del Regno di Sardegna: nel 1855 il numero di filande era passato a 55[28].

Per quanto riguarda la produzione di tessuti in seta, nel 1846 vi erano 14 fabbriche: in tutto il genovesato si contavano 1500 telai e 3000 operai impiegati in tale industria per un output di 34 tonnellate di velluti e tessuti (sul totale del Regno di Sardegna di 110 tonnellate). Nel 1856 venivano invece segnalati, in leggera crescita, 1900 telai per 3900 operai impiegati. I prodotti ottenuti venivano soprattutto esportati nel Regno delle Due Sicilie, America meridionale, Germania e Russia[29][30].

Industria della lana[modifica | modifica wikitesto]

Tra i maggiori stabilimenti nella produzione della lana si può citare il lanificio d'Albertis di Voltri che al 1840 occupava stabilmente 300 persone impegnati su 40 telai e un centinaio di altre macchine.

Altre industrie[modifica | modifica wikitesto]

Industria cartaria, tipografia e connesse[modifica | modifica wikitesto]

Al 1848 la Liguria contavano 21 tipografie, di cui 12 nella sola città di Genova: la carta di stampa era prodotta nella regione, nel regno, o al più importata dalla Franca[31]. La carta era infatti una produzione di antica tradizione: nel 1835 vi erano in tutta la Liguria 160 fabbriche con 3600 persone impiegate nella fabbricazione della carta. Nel 1846 le cartiere erano scese a 138 (sul totale del regno di Sardegna di 183) per 1874 operai impiegati: la produzione era di 226 tonnellate di carta (sul totale del regno di poco più di 1000 tonnellate). La produttività degli stabilimenti genovesi era quindi molto bassa se rapportata a quella del resto del Regno di Sardegna (1640 chili all'anno medi per stabilimento contro più di 16000): ciò era dovuto perlopiù all'uso di macchinari obsoleti in molte delle antiche fabbriche genovesi; la produzione genovese era infatti perlopiù smerciata internamente, potendo difficilmente competere con le cartiere francesi ed inglesi. Non mancavano tuttavia esempi virtuosi, come la cartiera Ghiliotti di Pegli che grazie all'adozione di cilindri continui per la fabbricazione della carta arrivò ad un produttività giornaliera di picco di 350 kg[32].

Vi erano infine al 1845 quattro fabbriche di carte da gioco: due di queste situate a Genova destinavano 50000 mazzi all'anno per l'esportazione in America[33].

Industria ceramica e del vetro[modifica | modifica wikitesto]

Centro dell'industria della ceramica era la provincia di Savona, specialmente attorno ad Albissola, la cui tradizione in questo tipo di lavorazioni proseguiva dal XVI secolo: all'inizio del XIX secolo i documenti dell'epoca segnavano nella provincia savonese 45 fabbriche di maioliche per un totale di circa 1800 operai impiegati nelle lavorazioni; mentre nel 1860 la provincia poteva contare su 30 fabbriche e un totale di 800 operai dedicati[34]. Tra le fabbriche maggiori di Savona, la fabbrica Ferro lavorava ogni anno 66 tonnellate di materia prima ed impiegava stabilmente 50 operai[35].

Sempre in provincia di Savona, più precisamente nell'entroterra, vi era un'intensa attività di lavorazione del vetro. Menzione particolare va data alla società vetraria di Altare: le singole vetrerie sempre più soggette alla concorrenza estera, che poteva smerciare i propri prodotti a prezzi sempre inferiori per via dell'industrializzazione crescente, decisero di fondersi in un'unico stabilimento che occupava fino a 1700 individui nel 1860. Grazie alle economie di scala così createsi i vetrai di Altare poterono reggere senza problemi la concorrenza dei più industrializzati concorrenti esteri[36].

Per la fabbricazione degli specchi invece, veniva segnalata la ditta Solei ed Herbert, con sede a Genova e laboratori a Genova, Roma e Napoli, che esportava specchi in gran parte d'Italia[37].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Quaglia, pg. 138
  2. ^ Quaglia, pg. 139-142
  3. ^ Quaglia, pg. 142
  4. ^ Quaglia, pg. 143-145
  5. ^ Sacchi, p. 167
  6. ^ Politecnico, p. 531
  7. ^ Quaglia, pg. 145-147
  8. ^ a b Sacchi, p. 164
  9. ^ Quaglia, pg. 148-150
  10. ^ Quaglia, pg. 152
  11. ^ Quaglia, pg. 171
  12. ^ Quaglia, pg. 173-174
  13. ^ Amati, p. 143
  14. ^ Politecnico, p. 534
  15. ^ Politecnico, p. 535
  16. ^ Sacchi, p. 165
  17. ^ Politecnico, p. 536
  18. ^ Castronovo, p. 36
  19. ^ Merger, p. 338
  20. ^ Castronovo, pp. 93-94
  21. ^ Quaglia, p. 85
  22. ^ Casalis, p. 1027
  23. ^ Quaglia, p. 86-88
  24. ^ Esposizione Genova 1854, p. 48
  25. ^ Esposizione Genova 1854, p. 50
  26. ^ Casalis, p. 1030
  27. ^ Quaglia, pp. 200 - 204
  28. ^ Esposizione Genova 1856, p. 16
  29. ^ Quaglia, pp. 208 - 210
  30. ^ Esposizione Genova 1856, p. 17
  31. ^ Quaglia, pp. 227-228
  32. ^ Quaglia, pp. 67-69
  33. ^ Quaglia, pp. 70-71
  34. ^ Politecnico, p. 540
  35. ^ Politecnico, p. 539
  36. ^ Politecnico, p. 541
  37. ^ Politecnico, p. 542

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri da consultare[modifica | modifica wikitesto]

  • Industria e commercio in Liguria
  • Storia e itinerari dell'industria ligure

altro[modifica | modifica wikitesto]

sottigliezze sulla Lombardia

Ferrari, pg. 60

  • Giorgio Mori, nel distinguere tra attività artigianali e produzione industriale di tipo moderno, identifica gli impiegati in quest'ultimo campo impiegati per gli stati preunitari alla fine degli anni '50 dell'Ottecento: oltre 50000 per il Lombardo-Veneto, circa 25000 nel Regno di Sardegna, 15000 nelle Due Sicilie.


Non ho referenze sottomano, per ora, tuttavia la siderurugia e l'estrazione di ferro nel bresciano sono funzionali alla nascita e sviluppo della Fabbrica d'Armi Pietro Beretta e le altre armerie bresciane.


Della Peruta, pg. 53

  • Approfondire: Officine Izar, Officine Gerolamo Mussi, Officine Carlo dell'Acqua, Officine Edoardo Guioni, Officine Giuseppe Suffert

Dalmasso, pg. 163

  • Approfondire, metallurgia e meccanica: Opifici Dufour, Muller e Stury, Leber
  • Approfondire, tessile: Opifici Vernay, Gilat, Goz, Jacquet Rour e C., Kramer di Milano, Schmutz di Lecco, Krumm di Legnano, Bodener di Malnate, Schock di Castiglione. Tutte gli opifici rientrano in una migrazione di francesi, svizzeri e tedeschi altamente qualificati in Lombardia.

Romeo, pg. 14-15

  • Nel 1860 in Italia venivano prodotte 29000 tonnellate di ghisa, di cui circa un terzo provenivano dalla sola Lombardia. Nel 1855 l'Inghilterra produceva 3000000 di tonnellate di ghisa.

Luigi Borghi (dizionario biografico degli italiani), su treccani.it.

  • Cotonificio Pasquale e f.lli Borghi nel 1844 occupa 320 lavoratori. Nel 1852 è installata nello stabilimento di Varano una macchina a vapore. Nel 1856 ebbe in dotazione un gasometro per l'illuminazione.
  • Approfondire ditte Schoch, la Frej, la Grassi F.lli e la Crespi Buccellati.

Enrica Falck (dizionario biografico degli italiani), su treccani.it.

  • la ditta Badoni e comp. nei suoi impianti assunse Georges Henri Falck per ammodernare i propri impianti dopo il suo viaggio in Europa, a partire dal nel 1850 . La società a fine anni '50 produceva 1.300 tonnellate annue di ghisa, diventando la prima produttrice degli stati italiani. Gli impianti della Badoni e Comp. erano distribuiti in tre stabilimenti: a Castello, nei pressi di Lecco, equipaggiato con due forni a riverbero, laminatoi, una fonderia di ghisa, un'officina meccanica, Mandello e la ferriera di Bellano dove fu installato il primo moderno treno italiano per lamiere, mosso a forza idraulica. Nel 1850 si segnala già l'uso di "puddler" nello stabilimento di Castello


  • Produzione di Ghisa mondiale al 1860: Inghilterra 3,83 milioni di tonnellate, Stati Uniti circa 1 milione di t, Francia 884 mila t, Stati tedeschi 521 mila t, Impero russo 370 mila t, circa 300 mila t Belgio, circa 200 mila t Austria-Ungheria, Stati italiani circa 30000, sola Lombardia 10000, Regno delle Due Sicilie 1500

Statistica 1854, pg. 242-260

  • La ditta Gioia e Gentilini fabbrica carte e vi occupa 60 operai.

Bibliografia

Approfondimenti