Utente:Falco-85/Sandbox2

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Gaetano Salvemini

Deputato del Regno d'Italia
LegislaturaXXV (1919)
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito dei Combattenti
Titolo di studioLaurea in Lettere
Professioneinsegnante, giornalista pubblicista

Gaetano Salvemini (Molfetta, 8 settembre 1873Sorrento, 6 settembre 1957) è stato uno storico e antifascista italiano. Allievo di Paquale Villari, ha insegnato nelle università di Messina, Pisa, Firenze ed Harvard, ed è stato autore di numerosissimi saggi su temi storici e politici. E' unanimemente considerato tra i maggiori storici del XX secolo.

Studioso inizialmente della Firenze medievale spostò in breve tempo il suo interesse per l'età contemporanea, all'inizio privilegiando argomenti come la Rivoluzione francese e il Risorgimento italiano. Scrisse molto su argomenti quali la questione meridionale, i rapporti tra Stato e Chiesa e vari problemi politici e sociali nell'Italia postunitaria, fino ad essere il principale accusatore di Giovanni Giolitti (che definì notoriamente "il ministro della malavita"); fu inoltre tra i primissimi autori ad analizzare la politica estera italiana, specie per gli anni tra il 1871 e il 1915. In base alla sua esperienza di insegnante prima e docente universitario poi, ha lasciato anche vari scritti sul tema dell'insegnamento scolastico.

Inizialmente di idee socialiste, uscì poi dal partito facendosi fautore di un pensiero democratico di stampo riformista e laico. Interventista e volontario in guerra, fu eletto alla Camera dei deputati del Regno d'Italia nella venticinquesima legislatura (1919-1921). Dopo l'avvento di Mussolini al potere fu uno dei primissimi esponenti dell'antifascismo, venendo anche incarcerato per un periodo. Fuoriuscito quindi all'estero, e privato della cittadinanza italiana, combatté assiduamente la propaganda del regime fascista. Tra i fondatori di "Giustizia e Libertà", si stabilì ad un certo punto negli Stati Uniti (di cui divenne anche cittadino per un certo periodo), tornando in Italia dopo la guerra.

Vita[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Molfetta in una famiglia piccolo-borghese e numerosa. Salvemini fu il secondogenito primo maschio di nove figli, su dodici totali partoriti. Il padre Ilarione, ex garibaldino, era un piccolo proprietario che faceva anche l'istitutore in un collegio. La madre, Emanuela Turtur, era figlia di commercianti; donna di grande vivacità, sarà lei perlopiù a rimanere impressa nei ricordi del figlio, rispetto alla figura paterna. In famiglia viveva anche uno zio paterno, sacerdote e nostalgico borbonico, che prese in simpatia il giovane Gaetano, e a otto anni gli insegnò i primi rudimenti del latino.

Per le ristrettezze famigliari Salvemini studiò al seminario di Molfetta, dove l'istruzione era gratuita. Fino ai quattordici anni ricorderà di aver vissuto una vera e propria "inedia intellettuale". Poche furono le letture e gli insegnamenti che gli rimasero impressi[1].

A diciotto anni però - volendo evitare la prospettiva del sacerdozio, avendo anche perso la fede cattolica[1] - partecipò a un concorso per borse di studio per studiare all'università. Vinse la più piccola, del valore di sessanta lire mensili. Con quella somma, e alcune ripetizioni, Salvemini poté pagarsi gli studi universitari all'Istituto di studi superiori di Firenze.

A Firenze seguì - tra le varie - le lezioni di Achille Coen (in storia antica), Cesare Paoli (in paleografia) e Pasquale Villari (suo professore di storia moderna). Fu in quell'occasione che si avvicinò alla passione per gli studi storici. A questo contribuì la caratura professionale dei suoi maestri - tra i migliori dell'Italia del tempo - e specie il Villari. Con quest'ultimo Salvemini instaurò anche un profondo legame umano[1].

Risale allo stesso periodo il vero avvicinamento di Salvemini alla politica. Divenne amico dei futuri coniugi Battisti - il trentino Cesare e soprattutto Ernesta Bittanti - e del loro gruppo, di cui facevano parte i fratelli Ugo Guido e Rodolfo Mondolfo; tutti personaggi destinati a diventare figure eminenti del socialismo italiano. Con loro Salvemini aderì alle idee socialiste e lesse il "Manifesto" e altri testi di Marx. Nel 1897 si iscrisse al partito, e iniziò a collaborare alla "Critica sociale", la rivista diretta da Filippo Turati.

Nel frattempo, dopo la laurea (nel 1894) aveva iniziato l'insegnamento per alcuni anni in ginnasi e licei del Regno, a Palermo, Faenza, Lodi, tornando poi a Firenze. Grazie alle sue pubblicazioni di medievistica[2], nel 1901 Salvemini vinse la cattedra universitaria a Messina. Qui verrà colpito dalla principale tragedia della sua vita, visto che il terremoto che dilaniò lo stretto nel dicembre 1908 gli portò via la moglie, una sorella e i cinque figli[3]. Salvemini stesso rischiò di restare analogamente vittima (si salvò restando attaccato a ) e sulle prime fu creduto morto[4].

In quegli anni intensificò sempre più la sua battaglia politica. Fu notoriamente il maggiore accusatore di Giovanni Giolitti per i suoi metodi di governo, specie nelle regioni del sud[5]. Cercò di sensibilizzare il partito socialista alla questione meridionale. Chiedeva riforme, come quella del federalismo[6] e soprattutto il suffragio universale.

Sempre più in disaccordo coi socialisti, Salvemini ruppe di lì a non molto con il partito. Dopo una breve esperienza con "La Voce" di Giuseppe Prezzolini (terminata per il dissidio sulla guerra di Libia, cui era fortemente contrario), nel 1911 fondò "L'Unità", un settimanale di indirizzo democratico e contrario al nascente movimento nazionalista.

Allo scoppio della Grande Guerra fu invece favorevole all'intervento dell'Italia nel conflitto contro gli Imperi centrali a fianco dell'Intesa, allineandosi alla posizione di Leonida Bissolati[7]. Arruolatosi anche volontario, Salvemini venne congedato poco dopo per motivi di salute. Ripreso l'insegnamento universitario - prima a Pisa e poi a Firenze (qui sulla cattedra del suo ex maestro Villari) - Salvemini continuò a occuparsi di temi legati al conflitto. Fu soprattutto contrario alla rivendicazione italiana della Dalmazia e anzi favorevole ad un'intesa tra italiani e jugoslavi per la "questione adriatica"[8].

Alle elezioni del 1919 fu eletto alla Camera in una lista di combattenti, per la circoscrizione della Terra di Bari. Deluso dall'esperienza non si ricandidò alle successive elezioni. Avversò il ritorno al potere di Giolitti e fu fermamente contrario sia all'impresa di Fiume di Gabriele d'Annunzio che al movimento fascista e alla sua affermazione nel paese.

Dopo il delitto Matteotti, Salvemini passò apertamente nel campo degli oppositori al nascente regime[9]. Capo spirituale del "Circolo Salvemini" (formato da un gruppo di amici, tra cui i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e Piero Calamandrei) e tra gli ispiratori del foglio clandestino antifascista "Non mollare", nel giugno del 1925 Salvemini venne arrestato grazie alla soffiata di un tipografo. Incarcerato a Regina Coeli, fu messo in stato di libertà vigilata durante il processo[10]. Scampò a più tentativi di spedizione punitiva degli squadristi fiorentini e intervenuta infine un'amnistia[11] Salvemini lasciò l’Italia quella stessa estate, passando clandestinamente la frontiera con la Francia[10]. Poche settimane dopo si dimise dalla carica di professore universitario[12], e in cambio il regime lo privò in seguito della cittadinanza italiana in quanto "fuoriuscito"[13].

Per tutto il corso degli anni venti Salvemini si spostò tra la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti, intento ad esporre il punto di vista antifascista sul regime di Mussolini, in opposizione ai propagandisti fascisti e filofascisti[14].

Nel 1929, dopo la fuga di Carlo Rosselli ed Emilio Lussu dal confino a Lipari e il loro riparare a Parigi, fu tra i fondatori di "Giustizia e Libertà". Non condivise però il successivo indirizzo di Carlo Rosselli, favorevole all'intesa con i comunisti.

Nel 1934 si stabilì negli Stati Uniti, chiamato alla cattedra di "storia della civiltà italiana" all'università di Harvard[15]. Divenuto nel 1940 - dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale e l'intervento dell'Italia fascista a fianco della Germania nazista - cittadino americano, si adoperò negli Stati Uniti per una propaganda tesa a distinguere l'operato del regime mussoliniano dal popolo italiano, e chiedente per l'Italia che sarebbe uscita dalla guerra la fine della monarchia e nuove istituzioni democratiche. A tale scopo nel contribuì a fondare la "Mazzini society" assieme a . La sua volontà però nel non voler collaborare col governo Badoglio (dopo la caduta del fascismo e l'armistizio) lo allontanò dal gruppo di esuli antifascisti negli USA facente capo a Carlo Sforza, che invece avevano accettato di supportare la politica dei governi del Regno del sud.

Rientrato per un breve viaggio in Italia subito dopo la fine della guerra, fece ritorno definitivo nel 1949. Gli furono riconcessi i diritti toltigli dal passato regime, e venne reintegrato nel ruolo[16].

Ritiratosi a vita privata, continuò tuttavia a commentare la politica e la società italiana con numerosi articoli (specie su riviste come "Il Mondo" e "Il Ponte").

Salvemini si spense a due giorni dal suo ottantaquattresimo compleanno il 6 settembre del 1957, nella villa "La Rufola" (vicino Sorrento) di cui era ospite da tempo.

Le sue spoglie si trovano al cimitero delle Porte Sante a Firenze.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Salvemini 1949
  2. ^ Magnati e popolani e Dignità cavalleresca di Firenze
  3. ^ Filippetto.
  4. ^ Telegrammi. Cfr Salvadori 1963
  5. ^ Ministro della malavita. Episodi citati nel libro.
  6. ^ Scoperta di Cattaneo a Lodi.
  7. ^ Interventismo democratico.
  8. ^ Patto di Londra. Citare Questione dell'Adriatico
  9. ^ Salvemini 1960, cfr anche Salvadori 1963 e Tagliacozzo 1963
  10. ^ a b Salvemini 1960
  11. ^ Fatta per gli assassini di Matteotti.
  12. ^ Lettera Salvemini 1960
  13. ^ Salvemini 1960. Cfr anche Salvadori 1963
  14. ^ Cfr Salvemini 1960, Salvadori 1963 e Tagliacozzo 1963.
  15. ^ Salvemini 1960.
  16. ^ Legge apposita limiti età. Cfr Tagliacozzo 1963.