Utente:Delehaye/Sandbox Governo Commissariale Bellazzi

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la Parentesi "Commissariale" Bellazzi[modifica | modifica wikitesto]

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Il Governo "Commissariale" Bellazzi è stato in carica dal 14 settembre 1943 al 23 settembre 1943 (N.d.R.: ci sono atti firmati dai Commissari ancora il 19.10.1943) per un totale di 10 giorni.

  • Composizione del governo: Governo tecnico-militare

Il Generale di divisione, Comandante della Città Aperta di Roma, Conte Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, genero del Re d'Italia Vittorio Emanuele III di Savoia avendone sposata la primogenita Iolanda Margherita di Savoia, con propria Ordinanza n° 3 del 14 settembre 1943 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 223 del 24 settembre 1943)[1][2][3], "tenuto conto che: la presente situazione militare non consente il normale svolgimento dell'attività politica da parte dei Ministri e richiede l'immediato intervento dell'Autorità militare onde assicurare, nell'interesse del Paese, la prosecuzione dell'attività tecnica e amministrativa dei Ministeri", nomina per ciascun Ministero i seguenti Commissari che "esercitano, nell'ambito delle leggi vigenti, tutte le funzioni tecniche, amministrative, regolamentari, disciplinari devolute ai Ministri e li sostituiscono a tutti gli effetti, assumendo in proprio la responsabilità della condotta dei rispettivi Ministeri":

Con successiva Ordinanza n° 6 del 16 settembre 1943 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 223 del 24 settembre 1943)[4], nomina, inoltre, i seguenti Commissari:

Tale Governo "Commissariale" fu spodestato il 23 settembre 1943 dal Governo Fascista Repubblicano nella sua prima seduta[5] del 23 settembre 1943.

da intregrare[modifica | modifica wikitesto]

Elio Lodolini, "Roma 1943: una strana "città aperta"", in "Strenna dei Romanisti" - Natale di Roma - 2011 - Ab Urbe condita MMDCCLXIV, Vol. LXXII - 2011, Gruppo dei Romanisti, Roma Amor, Roma, 2011, Pagg. 407-421, Link: http://www.gruppodeiromanisti.it/wp-content/uploads/2014/10/2011.pdf (*)

(*) Per più ampie notizie sullo stesso tema ed altri connessi rinvio a: Elio LODOLINI, Dal Governo Badoglio alla Repubblica italiana. Saggio di storia costituzionale del "quinquennio rivoluzionario" 25 luglio 1943 - 1° gennaio 1948, Genova, Associazione culturale Italia, 2010, pp. 286, che esamina le vicende di quel tormentato periodo sotto l'aspetto del diritto costituzionale.

Nella seconda guerra mondiale, dopo i grandi bombardamenti aerei angloamericani su Roma, che avevano provocato gravi distruzioni di edifici, specialmente nel quartiere di San Lorenzo, e migliaia di morti fra gli abitanti, nell'agosto 1943 l'Urbe fu dichiarata "città aperta", cioè fu comunicato al nemico che si trattava di una città priva di uffici e apprestamenti militari, e che quindi, in base al diritto internazionale, non doveva costituire un obiettivo bellico.

La dichiarazione fu effettuata dal Governo Badoglio, un governo illegittimo, semplice "governo di fatto", nato con il colpo di Stato attuato da Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943, inviolazione delle norme costituzionali allora vigenti e con la successiva soppressione, con semplici regi decreti anch'essi assolutamente illegittimi, di tutti gli organi costituzionali e l'instaurazione di una dittatura militare. Sulla spietata durezza di quella dittatura militare, basterà citare la circolare 26 luglio 1943, a firma del Capo del Governo, Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, che comminava l'immediata fucilazione senza processo ai cittadini "colpevoli" di avvicinarsi ad un reparto militare o di "vilipendere le istituzioni" (1).

L'affermazione che Roma fosse improvvisamente divenuta una "città aperta", cioè che Governo, comandi, uffici e reparti militari se ne fossero subitaneamente allontanati, era assolutamente falsa, oltre che poco credibile, dato che un simile trasferimento mai avrebbe essere effettuato dall'oggi al domani e senza che lasciasse tracce visibilissime. Comandi e uffici, viceversa, rimasero sempre a Roma e furono mascherati in maniera a dir poco ridicola - se non fosse per la gravità del momento -, e cioè... tenendo chiuse le persiane degli edifici in cui essi si trovavano. Il personale continuò a rimanere e ad operare dove si trovava prima, non più alla luce del sole, ma tenendo le luci elettriche accese nelle stanze e le finestre schermate anche a mezzogiorno.

Una simile superficialità potrebbe sembrare incredibile, se non ci fosse già stata l'altrettanto assurda superficialità con la quale il Governo Badoglio aveva condotto le trattative non per far uscire l'Italia dalla guerra, ma per continuare la guerra dalla parte del nemico (2). Migliaia furono le persone obbligate a partecipare a questa mascherata e più ancora quelle che ne furono a conoscenza, fra personale militare, impiegati civili dei dicasteri militari e relative famiglie. Fra di essi posso ricordarne uno appartenente alla mia famiglia, e precisamente mio Padre, il romanista Armando Lodolini, ufficiale di complemento, volontario di guerra (3) nella seconda guerra mondiale - come già nella prima, nella quale aveva ricevuto ben cinque decorazioni al valor militare -, che nel R. Esercito rivestiva il grado di Tenente Colonnello di Fanteria in Servizio di Stato Maggiore e prestava servizio nel Comando Supremo, SIM, che si trovava e continuò a trovarsi e ad operare in via XX Settembre.

Naturalmente anche il nemico ne era perfettamente informato, tanto che gli angloamericani continuarono ad effettuare su Roma bombardamenti e mitragliamenti, sia pur di minore intensità. Frequenti furono, in particolare, i mitragliamenti dei tram, sempre affollatissimi di civili (4).

Più tardi con quello che fu denominato "armistizio", e che fu invece un "documento di resa incondizionata" ("Instrument of surrender of Italy" è il titolo del documento ufficiale o "armistizio lungo", in cui è precisato che era stato accettato "senza condizioni" dal Governo Badoglio: si trattava, appunto, di una "resa incondizionata", che trasferiva tutti i poteri al nemico (5)), del settembre 1943, si verificò a Roma una situazione ulteriormente anomala. Partiti per Brindisi, per la via Tiburtina sino alla costa adriatica poi a bordo della corvetta "Baionetta", il Re, Badoglio ed i Ministri della Guerra e della Marina, scomparsi gli altri Ministri, la città, come l'intera Nazione italiana, rimase priva di capi responsabili. Il militare più elevato in grado presente in Roma era il vecchio Maresciallo d'Italia Enrico Caviglia, che, nato a Finalmarina (Genova) nel 1862, nel 1943 aveva ottantun anni. Toccò quindi a lui assumere il comando della città, in quanto, essendo stata instaurata una dittatura militare, l'incarico spettava automaticamente a lui (e non ad un civile) in ragione del grado militare rivestito

Secondo il lavoro di Tamaro sopra citato, di poco successivo agli avvenimenti in esso descritti, sarebbe stato Caviglia a sollecitare dal Sovrano il conferimento dei poteri necessari a "far funzionare il Governo durante l'assenza del Presidente del Consiglio". Il Re avrebbe risposto con due telegrammi, inviandogli con l'uno un saluto e conferendogli con l'altro il "potere mantenere funzionamento Governo durante temporanea assenza Presidente Consiglio che si trova con Ministri militari", ma i telegrammi non sarebbero giunti a Caviglia: "si ritiene generalmente - scrive Tamaro - che li abbia trattenuti Badoglio, timoroso e geloso che l'aborrito Caviglia si creasse una posizione di comando a Roma" (6). Invece, secondo quanto hanno scritto di recente Patrizio Rapalino e Giuseppe Schivardi, l'incarico sarebbe pervenuto a Caviglia: "Il maresciallo Caviglia aveva chiesto e ricevuto dal re che era ancora in navigazione sul Baionetta, tramite la radio dell'incrociatore Scipione, l'incarico di mantenere il funzionamento del governo a Roma durante l'assenza del maresciallo Badoglio e dei ministri militari" (7): la formula è identica a quella riportata da Tamaro.

L'investitura di Caviglia da parte del Re avrebbe avuto quindi addirittura la natura di una nomina a facente funzione di Capo del Governo per Roma e per i territori non occupati dagli angloamericani, mentre Vittorio Emanuele, Badoglio e due Ministri militari si trasferirono in quelli sotto occupazione nemica.

In ogni caso, Caviglia (8) assunse tutti i poteri e intraprese trattative con il Comando germanico, a seguito delle quali fu nominato Comandante della "città aperta" il generale di divisione conte Carlo Calvi di Bèrgolo (genero di Vittorio Emanuele III, in quanto ne aveva sposato una delle figlie, Jolanda), "che avrà alle sue dipendenze una Divisione di Fanteria per il mantenimento dell'ordine pubblico, oltre a tutte le Forze di Polizia". Un comunicato ufficiale, diramato alle ore 16 del 10 settembre 1943, affermava: "I Ministri rimangono in carica per il normale funzionamento dei rispettivi dicasteri", cosa che risultò quasi subito non vera.

In realtà, l'incarico di Calvi di Bergolo durò appena una dozzina di giorni, dallo stesso 10 al 22 settembre 1943. Cessò il 23 settembre, con la costituzione del "Governo fascista repubblicano" (9), poi Governo della Repubblica Sociale Italiana.

Subito dopo, l'11 settembre, Calvi di Bèrgolo indisse una riunione dei Ministri del Governo Badoglio rimasti in Roma, ma non sappiamo quanti abbiano risposto alla chiamata. Qualcuno, comunque, si presentò, se l'Agenzia giornalistica Stefani poté diramare la notizia che l'11 settembre si erano riuniti "i membri del Governo, sotto la presidenza del più anziano dei Ministri" presenti alla riunione, senza specificare chi fosse. Essi constatarono che "la situazione" era "affidata all'Autorità militare" e presero accordi "per il normale funzionamento" dei Ministeri cui erano stati preposti. "L'Autorità militare, da parte sua, sta adottando, d'intesa con tutti i Dicasteri competenti, i provvedimenti indispensabili per la normalizzazione dei servizi pubblici ed in particolare modo del servizio della alimentazione": (10). Si considerarono poi tutti dimissionari e abbandonarono i rispettivi uffici.

Pochi giorni dopo, con "Ordinanza n. 3" del 14 settembre, e "Ordinanza n. 6" del 16 settembre 1943, entrambe pubblicate nella "Gazzetta ufficiale" del 24 settembre, n. 233, Calvi di Bergolo nominò un "Commissario" per ciascun ministero, considerando decaduti tutti i Ministri del Governo Badoglio, ivi compresi quelli della Marina e dell'Aeronautica, gli unici due che avessero seguito a Brindisi il Re e Badoglio.

Commissari furono:

  • il dott. Gian Giacomo Bellazzi per la Presidenza del Consiglio,
  • il dott. Augusto Rosso per il Ministero degli Affari esteri,
  • il dott. Lorenzo La Via per il Ministero dell'Interno,
  • il dott. Enrico Cerulli per il Ministero dell'Africa italiana,
  • il dott. Giovanni Novelli per il Ministero di Grazia e giustizia,
  • il dott. Ettore Cambi per il Ministero delle Finanze,
  • il dott. Giuseppe Giustini per il Ministero dell'Educazione nazionale,
  • l'ing. Paolo Salatino per il Ministero dei Lavori pubblici,
  • il prof. Vittorio Ronchi per il Ministero dell'Agricoltura e foreste,
  • l'ing. Luigi Velani per il Ministero delle Comunicazioni,
  • il dott. Ernesto Santoro per il Ministero dell'Industria, commercio e lavoro,
  • il dott. Amedeo Tosti per il Ministero della Cultura popolare,
  • il dott. Francesco Cremonese per il Ministero degli Scambi e valute,
  • il dott. Francesco Liguori per il Ministero della Produzione bellica (tutti con Ordinanza n. 3 del 14 settembre 1943),
  • il Generale di Corpo d'Armata nella riserva Remo Gabelli per il Ministero della Guerra,
  • l'Ammiraglio di Divisione Emilio Ferreri per il Ministero della Marina,
  • il Generale A. A. [=Arma aerea] pilota Aldo Urbani per il Ministero dell'Aeronautica (questi ultimi tre con Ordinanza n. 4 dal 16 settembre 1943).

Inoltre, con Ordinanza n. 2 del 14 settembre, il Comandante della "Città aperta" decretò la immediata consegna alla Polizia delle armi, allora possedute da gran parte delle famiglie in quanto portate a casa come cimelio da moltissimi reduci della prima guerra mondiale. L'ordinanza stabiliva che dopo le ore 24 del giorno seguente, 15 settembre, chiunque fosse stato trovato in possesso di armi sarebbe stato "giudicato e fucilato per giudizio sommario".

Con la costituzione del Governo della Repubblica Sociale Italiana - un Governo di fatto, ma indipendente e sovrano - le sedi ministeriali, nonché quelle centrali di enti pubblici nazionali, lasciarono Roma e si trasferirono nell'Italia settentrionale, in città diverse, sia per attuare realmente la natura di "città aperta" di Roma, sia nella previsione di un'avanzata nemica che avrebbe potuto investire la stessa Capitale (cosa, questa, che si verificò soltanto il 4 giugno 1944).

In alcuni casi, invece, prevedendosi l'interruzione delle comunicazioni, fu effettuato uno sdoppiamento delle istituzioni.
Così avvenne, ad esempio, per la Corte di Cassazione. In base ad un accordo fra il Ministro della Giustizia della Repubblica, Piero Pisenti, ed il Primo Presidente e il Procuratore generale della Corte - rispettivamente, Francesco Messina e Carlo Saltelli -, la sede principale della Cassazione rimase a Roma e funzionò con lo stesso personale sia nella Repubblica Sociale Italiana che, dopo il passaggio del fronte, durante il "Governo regio" (ormai divenuto luogotenenziale); ma fu inoltre istituita una Sezione di essa nell'Italia settentrionale. Il caso opposto si verificò per il Consiglio di Stato: la sede centrale del Consiglio di Stato si trasferì nell'Italia settentrionale, ma una delle sue Sezioni giurisdizionali fu mantenuta nella sede di Roma per Decreto del Duce della Repubblica Sociale Italiana del 5 dicembre 1943-XXII, "Mantenimento in Roma di una Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato" pubblicato nella "Gazzetta ufficiale d'Italia", anno 84°, n. 302, del 29 dicembre 1943-XXII.

Norme cogenti furono emanate dai Commissari dei Ministeri in Roma, sotto la denominazione di "determinazioni" o "decreti". Essi furono sovente adottati "udito il Consiglio di Stato", "registrati dalla Corte dei Conti", muniti del sigillo dello Stato, muniti del "visto" del Commissario per il Ministero di Grazia e giustizia, inseriti nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, pubblicati nella "Gazzetta ufficiale". Quantunque fossero stati nominati da un'autorità di carattere locale, il Comandante della Città aperta di Roma, adottarono provvedimenti relativi anche a tutto il territorio nazionale o, comunque, a località lontane dalla Capitale.

La circostanza più singolare, però, fu la permanenza, anche dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana, dei Commissari ai Ministeri nominati dal Comandante della "Città aperta" di Roma e contemporaneamente all'esistenza dei Ministri della stessa Repubblica.

I Commissari rimasero difatti in carica ed esercitarono le loro funzioni per varie settimane, contemporaneamente ai Ministri del Governo della R.S.I..

Il Governo repubblicano non solo riconobbe i Commissari, ma addirittura mantenne la separata gestione commissariale per i dicasteri militari, evidentemente per il solo funzionamento della sede romana dei Ministeri, mentre nello stesso Governo repubblicano i tre dicasteri militari furono unificati in un unico Ministero delle Forze Armate, di cui fu titolare il Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani. E non solo: due dei Commissari titolari dei dicasteri militari furono sostituiti con altri dalla Repubblica sociale, confermando quindi e mantenendo, cioè, l'istituzione: con Ordinanza n. 12 del 10 ottobre 1943 di un "Commissario superiore dei Ministeri militari", pubblicata nella "Gazzetta ufficiale" del 25 ottobre 1943, n. 249, furono nominati Commissari:

  • per l'Amministrazione centrale della Guerra, dal 29 settembre 1943, il Generale di Divisione in s. p. e. [=servizio permanente effettivo] Domenico Chirieleison "in sostituzione del generale di Corpo d'Armata nella riserva Remo Gambelli, nominato con ordinanza n. 6",
  • per l'Amministrazione centrale della Marina, dal 30 settembre 1943, l'Ammiraglio di Squadra Mario Falangola, patrizio di Sorrento, in sostituzione dell'Ammiraglio di Divisione Emilio Ferreri.

I decreti della Repubblica Sociale Italiana continuarono la numerazione non solo di quelli dei precedenti Governi, ma anche di quelli dei Commissari ai Ministeri, ed anzi talvolta con essi si intersecarono, nel senso che addirittura per alcuni mesi, sino alla fine del 1943, vi furono decreti della R.S.I. successivi a quelli dei Commissari ai Ministeri, ma anche decreti dei Commissari ai Ministeri successivi - quanto meno nella numerazione e nella data di pubblicazione - a quelli della R.S.I. (11).

I decreti dei Commissari e quelli dei Ministri della R.S.I. furono ugualmente registrati dalla Corte dei Conti, tanto che potrebbe quasi parlarsi di un passaggio di consegne fra i Commissari ed i Ministri della R.S.I..

Il "Governo" regio del Sud, invece, non riconobbe né l'operato del Comandante della "Città aperta" di Roma, quale, ad esempio, la sostituzione, con Commissari, dei Ministri della Guerra e della Marina che avevano seguito Vittorio Emanuele III e Badoglio a Brindisi, né la nomina degli stessi Commissari e le norme da essi emanate (12).

Il riconoscimento, da parte del Governo della Repubblica Sociale Italiana e il mancato riconoscimento da parte del "Governo" del così detto "Regno del Sud", dei Commissari ai Ministeri romani, nominati da un'autorità riconducibile al Governo regio anteriore all'8 settembre 1943, è un ulteriore paradosso di questa strana "città aperta" di Roma.

Post scriptum - Dopo la correzione delle bozze di questo articolo, molti, fra i decreti dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana e fra le determinazioni dei Commissari della "Città aperta" di Roma del 1943, sono stati compresi fra le "disposizioni regolamentari che sono o restano abrogate" dal Decreto del Presidente della Repubblica 13 dicembre 2010, n. 248, "Regolamento recante abrogazione espressa delle norme regolamentari vigenti che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete, a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della legge 23 agosto 1988, n. 400". Quel D.P.R. è stato pubblicato in un supplemento ordinario alla "Gazzetta ufficiale" n. 20, del 26 gennaio 2011, in tre grossi volumi di 3.087 pagine complessive, e comprende 132.393 norme, dal 21 aprile 1861 al 13 giugno 1986. È entrato in vigore, in base alla normale vacatio legis, il 10 febbraio 2011.

Ne diamo qualche esempio. La determinazione del Commissario al Ministero per le finanze n. 151 del 29 settembre 1943, sopra citata alla nota 11, che si riferiva a "Modalità di pagamento da parte delle Amministrazioni dello Stato" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" dal 10 febbraio 2011, al n. 50.510.
La determinazione del Commissario al Ministero per l'Agricoltura e per le Foreste del 29 settembre 1943, senza numero, "Norme per l'attuazione dell'ammasso dell'olio di oliva nella campagna 1943-44" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 50.508.

Il decreto del Ministro delle Finanze della R.S.I. 5 ottobre 1943, "Proroga dei termini di prescrizione e di decadenza in materia finanziaria" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 54.524.

Il decreto del Commissario al Ministero delle Comunicazioni del 13 ottobre 1943-XXI, registrato alla Corte dei Conti il 27 ottobre 1943-XXI, reg. 19, Uff. Rise. Poste, foglio 332, "Nuovi prezzi di vendita ai correntisti dei moduli del servizio dei conti correnti postali" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 50.544.

Da rilevare che fra le disposizioni abrogate sono elencate, frammiste fra loro in ordine cronologico e senza alcuna specificazione, sia disposizioni della Repubblica Sociale Italiana che disposizioni del così detto "Regno del Sud". Per esempio, al n. 50.562 figura il decreto del Duce del 27 ottobre 1943 "Legge fondamentale sulle Forze Armate" (ovviamente, della R.S.I.) e al n. 50.563 il precedente decreto del Duce della stessa data "Scioglimento delle Forze Armate regie e costituzione delle Forze Armate repubblicane", mentre al n. 50.573 figura il Regio decreto del 30 ottobre 1943, n. 1 (di una nuova numerazione adottata dal Governo di Brindisi), "Apposizione del visto alle leggi e ai decreti durante l'assenza del Ministro Guardasigilli per le contingenze di guerra" e al n. 50.574 il Regio decreto dello stesso 30 ottobre 1943, n. 3, "Pubblicazione di una serie speciale della Gazzetta ufficiale del Regno" (a Brindisi, con la numerazione da l/B).

  1. Il testo completo di quella circolare è pubblicato da Attilio TAMARO, Due anni di storia (1943-1945), voll. 3, Roma, Tosi, 1948-1950, nel vol. I, pag. 140.
  2. Cosa, questa, che provocò, fra l'altro, lo spostamento delle operazioni militari sul territorio continentale italiano, precedentemente non previsto nei piani del nemico, con conseguenti enormi danni materiali, distruzioni e morte di tantissimi civili italiani.
  3. Sembra che questa qualità sia una tradizione di famiglia. Tre Lodolini furono volontari nella difesa della Repubblica Romana del 1849, uno fu volontario nella Legione italiana che difese l'indipendenza delle Repubbliche boere dell'Orange e del Transvaal nel Sud Africa contro gli inglesi alla fine dell'Ottocento, uno nella prima guerra mondiale, due nella seconda.
  4. Mi permetto qui di ricordare, fra i tanti uccisi dai mitragliamenti della popolazione civile di Roma operati da aerei angloamericani, il nome di una mia cara amica, Michelina Gorgolini, studentessa universitaria, che si trovava in un tram con due nipotine gemelle, cui cercò di fare scudo con il proprio corpo ed una delle quali fu anch'essa uccisa. Io ero allora giornalista professionista, redattore (poi capo servizio, poi corrispondente di guerra) dell'Agenzia giornalistica ufficiosa Stefani, trasferitasi al "Quartier Generale" della Repubblica Sociale Italiana, e ne ricordai il sacrificio con un trafiletto dal titolo Ho perduto un camerata (tratto dal titolo di una canzone del tempo di guerra), pubblicato da vari quotidiani e periodici della Repubblica Sociale Italiana: "Il Lavoro", quotidiano, a. XLII, n. 128, Genova, 7 maggio 1944-XXII (dove apparve con la mia consueta sigla "e.I." nella "terza pagina", subito dopo un articolo a firma di Armando Lodolini); "La Gazzetta di Venezia", quotidiano, a. CCIV, n. 144, Venezia, 12-13 maggio 1944-XXII; "Roma repubblicana", settimanale della Federazione fascista repubblicana dell'Urbe (nel quale apparve con l'occhiello "Ricordo di Michelina Gorgolini"), a. I, n. 2, Roma, 25 maggio 1944-XXII; "Folgore", settimanale dei Combattenti, a. II, n. 3, Milano, 31 maggio 1944-XXII; "Valanga repubblicana", quindicinale della Federazione fascista repubblicana modenese, n. 11, Modena, 15 giugno 1944-XXII, e forse altri.
  5. Il testo ne è pubblicato in: MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, COMMISSIONE PER LA PUBBLICAZIONE DEI DOCUMENTI DIPLOMATICI ITALIANI, I Documenti diplomatici italiani, serie decima, 1943-1948, vol. I, 9 settembre 1943 - 11 dicembre1944, Roma, MCMXCII, documento n. 20, pp. 18-26 e in più sedi in traduzione italiana. Quel testo fu tenuto segreto per tutta la durata della guerra guerreggiata ed oltre: gli italiani dovevano ignorare che i territori man mano occupati dal nemico erano governati non da un governo italiano (Badoglio, poi Bonomi), sia pure in istato di soggezione, ma esclusivamente dal nemico, con due modalità diverse, rispettivamente ad opera dell'AMG o dell'ACC.
  6. A. TAMARO, Due anni di storia (1943-1945), cit., vol. I, p. 426.
  7. Patrizio PAPALINO e Giuseppe SCHIVARDI, Tutti a bordo! I marinai d'Italia !'8 settembre 1943 tra etica e ragion di Stato. Prefazione di Gianni Riotta, Milano, Mursia, 2009, pp. 352, in cui cfr. la nota 3 del capitolo 19°, a p. 327 (il volume adotta il fastidioso sistema di porre le note in fondo al testo anziché in calce alle singole pagine).
  8. Quando si costituì la Repubblica Sociale Italiana (la quale, tra parentesi, non ebbe mai sede a Salò, tanto che parlare di "Repubblica di Salò" è un grosso errore, sia storico che geografico), Caviglia scrisse al Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani, Ministro delle Forze Armate, una lettera di piena adesione al Governo repubblicano, pur senza prendervi parte attiva. Approvò inoltre calorosamente la creazione del nuovo Esercito repubblicano ed auspicò che esso diventasse il nucleo del futuro Esercito italiano. Tornò a Finalmarina (Genova), dove era nato il 4 maggio 1862 ed ove morì il 22 marzo 1945, ad 83 anni di età. Il Governo della Repubblica Sociale Italiana gli decretò funerali di Stato.
  9. Enciclopedia italiana, Appendice II, 1938-1948, vol. II, voce Roma, Storia, di Enzo PISCITELLI, p. 734.
  10. ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Verbali del Consiglio dei Ministri, luglio 1943 - maggio 1948. Edizione critica, a cura di Aldo G. Ricci, con presentazione di Carlo Azeglio Ciampi (comitato scientifico: Claudio Pavone, Mario Serio, Giuseppe Talamo; direttore della ricerca Aldo G. Ricci), vol. I, Governo Badoglio, 25 luglio 1943 - 22 aprile 1944, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'Informazione e l'editoria, 1994. Si tratta di un'opera di ampio respiro, in dieci volumi, alcuni dei quali divisi in più tomi, edita fra il 1994 ed il 1998. Il passo qui riportato è nel vol. I, p. 59.
    A quella pubblicazione ha fatto seguito, alcuni anni più tardi, un'altra opera analoga, dedicata ai verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana: ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Verbali del Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana (settembre 1943-aprile 1945), edizione critica a cura di Francesca Romana Scardaccione, Roma, Ministero per i Beni e le attività culturali, Direzione generale per gli Archivi, 2002 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, serie "Fonti", XXXVIII), voll. 2.
  11. Per esempio: la "Gazzetta ufficiale" del 1° ottobre 1943, n. 229, pubblicò una determinazione del Commissario per le Finanze n. 751 del 29 settembre 1943; la "Gazzetta ufficiale" del 4 ottobre 1943, n. 231, pubblicò un decreto del Ministro delle Finanze della R.S.I., senza numero; quella del giorno successivo, 5 ottobre, n. 232, un decreto del Ministro dell'Agricoltura e foreste della R.S.I., senza numero; la "Gazzetta" del giorno seguente, 6 ottobre, n. 233, una determinazione del Commissario per l'Agricoltura e foreste del 29 settembre. La "Gazzetta ufficiale" dell'8 ottobre, n. 235, pubblicò tre provvedimenti, di cui uno del Ministro delle Finanze della R.S.I del 5 ottobre e due di Commissari, rispettivamente della Produzione bellica, del 3 ottobre, n. 752, e di Grazia e giustizia, del 6 ottobre. E potremmo continuare. Ancora il 31 dicembre 1943-XXII la "Gazzetta ufficiale" pubblicò una determinazione commissariale del 13 ottobre 1943-XXI (con tanto di data dell'era fascista: anno XXI), registrata alla Corte dei Conti il 27 ottobre 1943-XXI.
  12. Precisiamo, con l'occasione, che con la resa incondizionata il Governo Badoglio aveva ceduto tutti i poteri al nemico occupante, ed aveva quindi cessato di esistere anche come governo di fatto. Il nemico esercitò a propria discrezione il governo sui territori man mano da esso occupati in due diverse forme: con l'AMGOT (Governo militare alleato dei territori occupati), poi AMG, nella maggior parte dei territori, e con la così detta "Commissione Alleata di controllo" (ACC) - che non era semplicemente tale, ma un vero ed effettivo governo - su quattro province della Puglia. Il "Governo" Badoglio non poteva emanare alcun provvedimento senza il nulla osta del nemico e neppure scrivere alle Ambasciate italiane all'estero: ogni corrispondenza tra uffici italiani doveva essere redatta in lingua inglese e consegnata al nemico occupante, che a proprio insindacabile giudizio decideva se inoltrarla o meno (e, difatti, talvolta non la inoltrò). Le clausole del così detto "armistizio", con la resa incondizionata e la cessazione dell'esistenza del Governo Badoglio, furono tenute segrete sino alla fine della guerra guerreggiata ed oltre, e gli italiani le ignorarono per tutto il periodo bellico. Anche durante la "cobelligeranza" il "nemico" inglese, statunitense e sovietico rimase tale, in regime armistiziale, sino alla firma del diktat (non "trattato", perché imposto dal nemico e non negoziabile né modificabile) di pace del 1947, o, meglio, all'esecuzione di esso.
    Soltanto dal settembre 1947 cessò l'occupazione nemica e l'Italia cessò di essere "Stato nemico" degli Alleati (così si chiamavano fra loro i nostri nemici) e tornò ad essere una Nazione indipendente, retta da un Governo di fatto, provvisorio. Cfr. anche Pietro PASTORELLI, Il Ritorno dell'Italia nell'Occidente. Racconto della politica estera italiana dal 15 settembre 1947 al 21 novembre 1949, Milano, Led, 2009, p. 12: il 15 settembre 1947 ebbe termine il "regime di resa incondizionata" e l'Italia recuperò la propria sovranità, perduta nel settembre 1943.
    Con l'entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) si instaurò in Italia un Governo legittimo. Si trattò del tipico esempio della conclusione di un procedimento rivoluzionario che, giunto al termine, legittima retroattivamente gli atti che ne costituirono i precedenti: nel caso specifico, il decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, "Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, giuramento dei membri del governo e facoltà del governo di emanare norme giuridiche", adottato sotto l'occupazione militare nemica e per volontà dello stesso nemico. Quel decreto fu convertito in legge, soltanto dopo ben quattro anni, il 1° gennaio 1948, dalla stessa Costituzione nell'art. XV delle disposizioni transitorie e finali. Quindici anni prima, un insigne giurista aveva descritto quasi alla lettera, in linea ipotetica, il verificarsi di un caso del genere: Santi ROMANO, Corso di diritto costituzionale, Padova, Cedam, 1933, pp. 171-172. Il "Governo" Badoglio non ebbe invece alcuna legittimazione re- troattiva, e si conferma quindi che dalla data dell'armistizio del settembre 1943 sino alla cessazione (aprile 1944) era e rimase quindi giuridicamente inesistente, così come nulli furono gli atti da esso emanati per volontà o, comunque, con il nulla osta del nemico occupante, quale, p. es., la dichiarazione di guerra alla Germania (Pietro PASTORELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondiale: momenti e problemi della politica estera italiana, 1914-1943, Milano, Led, 1997; Sergio ROMANO, Guerre contro Germania e Giappone: nulle e mai avvenute, in "Corriere della Sera", 28 febbraio 2005).

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Note[modifica | modifica wikitesto]

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