Utente:CarmenCillo110298/Sandbox

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Reale e Virtuale è un saggio scritto da Tomás Maldonado, professore del Politecnico di Milano dal 1985, edito da Feltrinelli.

Il rapporto tra la realtà e le sue rappresentazioni è il tema affrontato in quest’opera dall'autore, il quale adopera un approccio filosofico più che altro analitico, quindi di chiarificazione concettuale: prima di cercare una soluzione agli svariati quesiti posti durante l’esposizione, si ingegna a comprendere prima quale sia la loro più corretta impostazione. La sua indagine sul virtuale parte dalla ricerca delle sue radici storiche, di quei germi, di quei presupposti che ne sono divenuti fondamenti e si avvale di strumenti filosofici, scientifici, della storia dell'arte e dei mezzi di comunicazione per esaurire nella sua complessa quanto affascinante totalità il discorso sul rapporto tra la realtà e le sue rappresentazioni.

Contenuti:

1:Reale e Virtuale Nella prima sezione sono trattate le diverse tecniche di rappresentazione del reale, il loro uso nella comunicazione e la loro valenza epistemica. Partendo dalla teoria della smaterializzazione, tesi che poggia sul presupporre una materia la quale va, per l’appunto, smaterializzandosi, arriva a constatare nella macrofisica l’avviarsi di una contrazione della materia, sempre più spesso sostituita da processi immateriali. Filosoficamente, la materia è la componente oggettiva del reale ed ha due proprietà: la permanenza e l’individualità. Oggi queste due proprietà vanno a diminuire: il ciclo di vita dei prodotti è sempre più breve. Ciò porta ad individuare una problematica: la realtà futura sarà costituita da enti ineffabili non fisici? Ciò è un’ipotesi estrema, perché l’uomo ha bisogno di esperire le entità confrontandosi fisicamente con esse, quindi non si può completamente eliminare la componente empirica. “Immateriale” diviene così un termine dal misticismo esagerato: definire immateriale anche un software è discutibile perché è uno strumento cognitivo che ha effetti concreti. Tra logica pensante e strumento esiste quindi un rapporto dialettico di interdipendenza.

Fantasmatica L’autore esamina l’immateriale attraverso la teoria del filosofo polacco Lem, la fantasmologia, che riflette sulla sempre più difficile distinzione tra gli eventi e i simulacri di questi ultimi nella realtà odierna. Questo fenomeno è causato dall’avvento della ‘cultura del meraviglioso’, una tendenza artistica ad estetizzare- e quindi legittimare- anche ciò che nel quotidiano è condannabile. I prodotti dell’industria del meraviglioso rendono sempre più credibile l’incredibile e sono la linfa del fenomeno preso in considerazione. Esso ha radici nella storia dell’arte quattrocentesca, dove produrre immagini sempre più credibili e fedeli alla realtà portava artisti a sperimentare e scoprire nuove tecniche di rappresentazione. Di qui la prospettiva, che in questo processo è una rivoluzione, un fattore importante che ha portato all’elaborazione di un sistema di rappresentazione visiva sempre più naturalistica.

Prospettiva Una rappresentazione prospettica del reale è la più verosimile, ma il suo realismo può essere valutato solo tenendo conto della nostra plasticità ricognitiva nei suoi confronti. Questo perché da osservatori, siamo coinvolti attivamente alla lettura di un’immagine. Si delinea così un ruolo partecipativo. La visione prevalentemente artistica della prospettiva, tuttavia, è un limite da superare per poter ricavare nuovi spunti di riflessione sull’ argomento.

Storia La prospettiva e la sua storia è considerata come parte della storia dell’arte, ma quest’ultima ha in sé dei limiti: il suo fine è di analizzare lo sviluppo dell’arte nel corso del tempo, ma è sempre più difficile inquadrare e spiegare un fenomeno artistico tenendo solo conto della vita degli artisti e il loro contesto sociale, il contenuto simbolico delle opere, le tecniche rappresentative e la dinamica degli stili, perché viviamo in una cultura pluralista che presenta un ventaglio troppo vasto e vario di manifestazioni artistiche.

Iconoclastia Fattore extrartistico della storia della prospettiva è il superamento dell’iconoclastia, movimento religioso contrario al culto delle immagini sacre, che spinge la Chiesa a sviluppare un sistema di rappresentazioni per propagandare la fede e renderla più accessibile ai fedeli. Ciò ha contribuito alla diffusione di un bisogno di maggiore realismo nel rappresentare la realtà.

Ceroplastica Tendenza al naturalismo, alla verosimiglianza è riscontrabile nella tecnica della ceroplastica ed ha il suo culmine nella pittura fiamminga, caratterizzata dal gusto per il dettaglio e quell’intimismo verista dato dalla cura al particolare. L’impatto delle figure di cera, a parere dell’autore, deve essere considerato una tappa importante nel processo di perfezionamento della verosimiglianza delle opere d’arte.

Teatralità Un fattore importante nella genesi della figurazione naturalistica moderna è la teatralità, che risponde ad una esigenza di maggiore efficacia comunicativa, facendo vestire all’artista i panni di scenografo e sceneggiatore. La spettacolarizzazione visiva non è però vista di buon occhio da autori come Rousseau, secondo cui essa ci allontanerebbe dal reale. Tesi contraria è quella di Baudrillard per cui è "il mondo reale il vero spettacolo".

Ricognizione Il legame di un’immagine illusoria con il reale è sempre il risultato di una decodificazione fatta dall’osservatore, ciò fa della tendenza al naturalismo un mezzo conoscitivo. Ma perché un soggetto riconosca l’oggetto di una rappresentazione, deve prima conoscerlo e quindi deve averlo esperito. Per far fronte a questa condizione, ci si può avvalere della compresenza, ovvero il confrontare la presenza reale e la sua rappresentazione, per far sì che un soggetto privo di esperienza dell’oggetto e della tecnica con cui esso è rappresentato, possa riconoscerlo. Non è detto però che un oggetto si possa riconoscere solo se la sua rappresentazione è impeccabilmente credibile, ad esempio le caricature si focalizzano su determinati fattori che caratterizzano gli oggetti rappresentati. Questi fattori sono detti iconemi e se sono presenti anche in un contesto in cui i dati scarseggiano, possono garantire il riconoscimento dell’oggetto dell’opera.

Specchio Avendo toccato il tema del riconoscimento, l’autore cita Eco, il quale descrive gli uomini come animali catottrici, ovvero che hanno fatto l’esperienza del riconoscersi attraverso la superficie riflettente dello specchio. Quest’oggetto produce immagini non surrogate e rende l’osservatore nello stesso tempo anche l’oggetto rappresentato. Egli superato lo stupore iniziale di vedersi riflesso, vive il fenomeno come una sfida cognitiva. Si può affermare che lo specchio sia, in tutti in sensi, fonte di riflessione: l’oggetto percepito ha una dipendenza con la fonte luminosa che lo rende visibile, nel caso dello specchio, l’osservatore coincide con l’oggetto della rappresentazione ed è vicario della fonte luminosa. Inoltre si insinua in esso il sospetto che sia l’immagine ad osservarci e ciò mette in discussione il nostro ruolo di osservatori, sospetto che ci porta a verificare la nostra identità tramite dei movimenti. Di qui, l’autore ci pone di fronte all’esperienza che ci vede tra due specchi paralleli, coinvolti in un “effetto droste” in cui la nostra immagine si riflette all’infinito, sostenendo come lo specchio sia un dispositivo al contempo autonomo per noi ed eteronomo per la realtà rispecchiata. Ciò fa di esso il modello principale nello sviluppo storico delle rappresentazioni.

Trompe-L’oeil Nei dipindi Trompe-L’oeil è lo specchio il banco di prova dell’affidabilità realistica della rappresentazione. Questa tecnica segna l’identificarsi del diletto per l’imitazione tipico dei pittori ed il diletto per l’appropriazione dell’immagine speculare e le immagini trompe-l’oeil, grazie al contributo di nuove tecnologie di produzione iconica, raggiungono un’impressionante resa veristica. Tuttavia, poiché il realismo non è il solo fine del progredire delle tecniche artistiche, è sbagliato far andare di pari passo il progresso artistico e quello della rappresentazione naturalistica dello spazio.

Virtualità E’ sbagliato pensare che il nostro mondo possa essere totalmente virtuale, perché non potremo mai vivere una realtà illusoria come se fosse reale. Le realtà virtuali possono essere deleterie su molti aspetti della nostra vita: una telepresenza lavorativa porterebbe alla de-socializzazione, ma non manca chi sostiene che una diffusione delle realtà virtuali contribuisca a rendere la società meglio organizzata, pertanto più efficiente ed anche più democratica. C’è anche chi, animato da misticismo, vede nelle realtà virtuali l’occasione di “uscire dal mondo”.

Cyberspace Il termine coniato da Gibson, cyberspace, indica un ambiente interattivo virtuale generato dal computer. Tra gli antenati dei cyberspaceians, navigatori di ambienti virtuali, troviamo Pascal e Leibniz, ma anche Descartes la cui algebrizzazione della geometria è alla base dell’impianto geometrico degli spazi virtuali. Nella filosofia dell’estasi plotiniana, invece si sente l’eco dell’idea di una virtualità come fuga dal reale. E se invece di impoverire il nostro rapporto conoscitivo con il mondo, la virtualità lo arricchisse? Magari potrebbe aiutarci a cogliere un di più del mondo reale. Per capire ciò, bisogna capire se è giusto o meno considerare quelle virtuali come delle esperienze, nonostante siano illusorie come i sogni, tuttavia non assimilabili totalmente ad essi. Così l’autore, ammettendo il valore conoscitivo delle realtà virtuali, considerandole come esperienze, oltre ad ammettere che esse allontanino dall’empiria, deve ammettere che esse non ne oltrepassano i confini.

Semiotica Una volta appurata la valenza epistemica dell’iconicità visiva, di fronte alle novità nel campo della produzione iconica, è ancora utilizzabile l’idea di una semiotica che studi la rappresentazione iconica su un supporto planare? Nello spazio virtuale, qual è il rapporto tra il rappresentante ed il rappresentato? E’ sempre più difficile rispondere a questa domanda, perché la semiotica è limitata dal suo legame troppo stretto con la linguistica strutturalistica e di fronte ad una inconicizzazione eccessiva delle immagini virtuali, il suo patrimonio analitico è messo a dura prova. E’ necessaria dunque una metamorfosi della semiotica, che diventi così una semiotica dell’agire comunicativo. Di qui, l’autore spiega i passi avanti fatti dalla semiotica nel campo della pittura, in particolare dell’arte astratta, autoreferenzialista, dove il referente è inseparabile dal supporto materiale. Si arriva alla tesi per cui lo scopo della semiotica dell’immagine è inquadrare i meccanismi simbolici di una raffigurazione e ciò la fa avvicinare all’iconologia. Dunque l’iconologia e la semiotica dell’immagine possono essere un supporto per lo studio di realtà virtuali, tuttavia, con le immagini della grafica computerizzata, è più difficile, perché sono dinamiche. Per superare questo problema, si può adottare l’approccio di Gottlieb, che interpreta il quadro come un processo in cui il movimento è insito ed è dunque intuibile. Affinché la semiotica non venga esclusa da future elaborazioni tecniche future, è necessario che si rinnovi. Il discorso è approfondito successivamente nella prima appendice dell'opera.

Telepresenza Viene argomentata la tesi secondo cui un’interazione con il mondo virtuale abbia una valenza epistemica per quanto riguarda il nostro rapporto con il mondo reale. E’ possibile considerare la prima come una rappresentazione della seconda: si delinea così un rapporto di corrispondenza ed interdipendenza tra le due realtà. La nostra capacità di ricognizione le fa corrispondere e la psicologia cognitiva ha tentato di spiegare come questo sia possibile. I modelli informatici sempre più avanzati consentono di configurare spazi virtuali in cui poter agire tramite un alter ego, in modo da offrire sempre nuove esperienze dall’indubbio valore conoscitivo. Questi modelli possono eventualmente anche subentrare nel concreto in quelle situazioni rischiose in cui è da escludere il diretto intervento dell’uomo, come nell’esplorazione di fondali oceanici. Finché si tratta di esplorazione, ciò può avere una valenza, ma se si tratta di apportare cambiamenti all’ambiente, quelli addotti al virtuale non avranno un riscontro reale, colpa del connotato autoreferenziale dello spazio virtuale, che non può autonomamente interagire con il fisico. La robotica può mediare tra le due realtà: si prospetta che le azioni dei robot possano replicare sempre più fedelmente le azioni umane (ad esempio di un astronauta nella navicella).

Aspettativa La modellistica virtuale si rivela un valido mezzo conoscitivo, promettente è il suo uso in ambiti quali biologia molecolare, medicina e didattica. I computer hanno rivoluzionato quest’ultimo campo, offrendo un nuovo modo di accedere al sapere che non è più mera fruizione passiva, ma un operare in modo più libero. Con lo sviluppo dei dispositivi virtuali dei computer si potrà imparare anche tramite convalida empirica che farà del soggetto un agente e non solo un conoscente. Inoltre è doveroso approfondire il rapporto tra arte e virtualità. L’autore osserva come scenari prospettati dall’arte non siano stati pienamente realizzati a causa del suo essere priva di mezzi tecnici efficaci. L’arte non va scissa, malgrado vada distinta. dalla scienza ed i mezzi tecnici devono arricchire il rapporto con il reale e non fornirci un pretesto per la nostra alienazione, per una mistica fuga mundi, bensì incentivare una creatio mundi.

2: Virtualità e nuovi materiali La seconda sezione è un’indagine sui progressi nel campo della produzione delle tecnologie. E’ in atto una virtualizzazione che assume i connotati di una smaterializzazione dei materiali, sempre più leggeri e rarefatti, anche se ciò non autorizza a dedurre che si stia percorrendo anche la strada verso una produzione a bassa intensità dei materiali, bensì di una produzione ad alta intensità di materiali leggeri. E’ analizzato il rapporto superficie-materiale, superficie tendente sempre più a celare le struttura del materiale, con la conseguenza di dover stabilire fin dove un materiale da naturale è considerabile artificiale. L’autore, riprendendo la riflessione sulla questione del filosofo Bachelard, arriva a relativizzare l’idea di una presunta genuinità dei materiali, che tuttavia non va esclusa del tutto. E’ un errore contrapporre, dunque, superficie e materiale, perché tutte le superfici con funzione di rivestimento hanno il fine di esprimere al meglio la materialità del proprio materiale e ciò non fa altro che rafforzare il nostro rapporto con esso.

3: Brevetto: tra virtualità dell’invenzione e realtà dell’innovazione La terza sezione tratta del brevetto e le sue implicazioni anche in ambito giuridico ed economico. Il brevetto tutela giuridicamente il diritto dell’inventore di usufruire dei benefici della propria invenzione. Egli ne è così beneficiario. Partendo da questo assunto, l’autore avvia un’indagine analitica riguardo il rapporto inventore ed invenzione, chiedendosi, prima di tutto, cosa significhi esattamente ‘inventare’. L’attività inventiva è delineata come un continuo processo, una dialettica che improvvisamente accelera con l’emergere non di novità singole intimamente connesse, dette ‘invenzioni a grappolo’. La differenza tra invenzione ed innovazione è il tema oggetto della riflessione di Georghiou: l’invenzione deve percorrere quello che è metaforicamente definito ‘corridoio’ per approdare ad un itinerario tecnologico, ovvero superare una serie di difficoltà che la ostacolano, quali la concorrenza tra le imprese e l’imprevedibilità del mercato. Dunque, non ogni invenzione porterà ineluttabilmente ad un’innovazione, che ne è un esito da non dare per scontato. Nel presente discorso c’è un intrecciarsi di temi tecnici, giuridici ed economici, dato che il brevetto rende possibile anche lo sfruttamento commercialmente un’invenzione. Più le invenzioni si allontanano dai tradizionali meccanici tradizionali, avvicinandosi alla microbiologia ad esempio, più sono difficili da brevettare, perché è complicato stabilire il limite tra l’invenzione e la scoperta, due concetti che si tende sempre di più a separare. Alla base di questa difficoltà, vi è il diverso intendere il termine ‘novità’ nei diversi sistemi legislativi dei paesi ed il fatto che la nuova invenzione sia chiamata a misurarsi con una pluralità di invenzioni già brevettate e simili. Va anche chiarito il termine ‘inventore’: la gratificazione economica mediante il brevetto ha contribuito all’aumento di inventori bricoleur, indaffarato nel febbricitante ideare oggetti tecnici, malgrado la mancanza di salde conoscenze tecniche, dando vita ad un modo tutto nuovo di intendere la creatività. Queste figure, tanto esaltati dai surrealisti, sono vittime da un lato e linfa vitale dall’altro, del fenomeno della brevetto-mania, al suo interno contrastata e vanificata dall’incalzare del rigore legislativo del brevetto. In futuro occorrerà sempre più mobilitare un coinvolgimento collettivo al processo produttivo per restituire un nuovo vigore al flusso inventivo.

4 Modello e realtà del progetto La modellazione è una tecnica creativa, ma anche conoscitiva. Occorre dunque, analizzare il rapporto tra creatività e conoscenza. Parlare di modellistica porta a considerare la tematica della similarità, al suo interno complicata dalle controversie linguistiche tra concetti di omologia, analogia e isomorfismo, che l’autore si appresta a chiarire: realtà omologhe hanno simile struttura, ma diversa forma e funzione; realtà analoghe hanno simile struttura e funzione, ma non forma; isomorfiche sono realtà aventi simile struttura e forma, ma non funzione. Il plastico, come mezzo ausiliario della progettazione, connota l’architetto come un visualizzatore, poiché permette di vedere in anticipo opere monumentali. Esso consente una rappresentazione tridimensionale ed il disegno, lo schizzo, una bidimensionale, ma come si fa ad inventare e dunque architettare nel senso più generico del termine, tramite la raffigurazione? E’ una domanda alla base della produzione iconica: modelli iconici sono detti anche replicativi, dunque torna il discorso della similarità. Esistono modelli con funzione di prototipo, chiamati nel mondo dell’industria ‘non-funzionanti’, in altri casi questi sono semifunzionanti anche se non definitivi, per finire con prototipi quasi identici al vero prodotto. Il plastico può anche svolgere un ruolo di documentazione storico-archeologica. Esistono inoltre modelli non-iconici, detti diagrammatici, più che altro matematici, che puntano su una raffigurazione analitica. Alla luce di ciò, si intravede l’orizzonte di un nuovo interrogativo: dopo la rivoluzione informatica, qual è il futuro della modellazione? I plastici informatici permettono una più ricca interazione dell’utente con il modello, ponendosi come sintesi del modelli iconici e di quelli diagrammatici. E’ tutto da scoprire come si svilupperà in questo contesto sempre nuovo la creatività progettuale, contesto in cui l’utente stesso, l’uomo, sta diventando oggetto di un’ambiziosa modellazione.

5 Arte e scienza Riallacciandosi alla tesi dell’indicibilità della filosofia di Wittgenstein, l’autore sostiene che ciò riguardi anche l’arte e ciò è dato dalla sua progressiva chiusura in se stessa e dal suo linguaggio sempre più complesso, che risulta paradossalmente ‘silenzioso’. L’arte oggi ha infinite forme ed espressioni sempre più minimaliste e si avvicina ad un pubblico medio che non la prende neppure troppo sul serio. Ciò ha messo in crisi anche la riflessione filosofica sull’arte, la quale indaga che rapporto ha essa con la scienza, termine medio è il ‘come’ nelle accezioni di ‘alla maniera’ ed ‘in qualità di’: si parla di scienza come arte ed arte come scienza. Arte e scienza possono essere considerate un costrutto tipico-ideale, categorie che si travasano reciprocamente. L’arte può essere oggetto di indagine scientifica, o avvalersi dei metodi scientifici, o attraverso l’esplicitazione di qualche scoperta scientifica puntare ad un suo rinnovamento. Le due categorie le troviamo, inoltre sintetizzate nell’operato di Leonardo Da Vinci. Non mancano casi in cui l’arte anticipa la scienza. Tanto l’artista, quanto l’inventore, sono poi accomunati dall’innovare, la differenza è che nell’arte i mezzi coincidono con il fine, invece nella scienza no e vive il raggiungimento del fine come una fatalità. La scienza è in grado di offrire certezze, l’arte tenta di superarle mettendole in discussione, tende a rielaborarle, così la materia artistica si eleva a sintesi di più saperi, analizzabile da un punto di vista scientifico, ma anche sociologico, in quanto essa comunica alle masse e ciò fa dell’artista uno ‘scienziato della libertà’ ovvero un fornitore di nuovi stimoli fuori dall’ordinario che fomenti la dinamica comunicativa della società libera di ‘usare’ opere d’arte.

Appendici Alla fine del volume sono presenti due appendici. La prima approfondisce la trattazione sull’iconicità, che è già di per sé un discorso difficile, è un circolo vizioso in cui l’icona visiva condiziona la scelta di termini usati per descriverla e l’icona verbale condiziona la scelta di immagini usate per rappresentarla. E’ utile l’approccio metalinguistico di Wittgenstein, teorico della tesi dei giochi linguistici: egli ha dato valenza di modello alle immagini, distinguendo un’immagine da una rappresentazione, analizzando il rapporto di corrispondenza tra le due. Le icone sono rappresentazioni di immagini concrete. Esistono tuttavia immagini mentali e quando esse vengono rappresentate concretamente tramite uno schizzo o un modello, questi diventano riproduzioni di idee e non rappresentazioni. E’ possibile che le immagini iconiche abbiano una funziona enunciativa? Ne sarebbero un esempio le carte geografiche: il loro fine è di mostrare e qui è doveroso chiarire il concetto di mostrare, vicino a quello di descrivere e piuttosto lontano da quello di enunciare. L’enunciare è tipico di una proposizione, dunque le icone sono definibili proposizioni? La proposizione va definita come un contenuto oggettivo di un giudizio, essa è diversa dall’enunciato e quindi anche l’icona lo sarà. La distinzione tra enunciato e proposizione ha diviso anche i filosofi studiosi di logica in un dibattito sempre vivo. L’icona, può dunque avere la forma di una proposizione dichiarativa? Essa ha una forma di una configurazione sinottica, un sistema in cui gli elementi costituenti sono interdipendenti. Se è alta la compattezza sistemica, l’icona è detta sinottica ed avrà opacità proposizionale, a causa della sua debole articolazione. Tuttavia però, va anche osservato che in esse ci sono delle parti che possano avere la stessa valenza dell’insieme e possano sostituirlo, per l’appunto gli iconemi. Alla luce di questi assunti, lo spazio iconico non può identificarsi con lo spazio logico della proposizione dichiarativa, ma è anche vero che i due spazi non sono del tutto estranei, tra esse c’è lo stesso rapporto che c’è tra il percepire ed il pensare. A rendere diversi i due verbi è la forma, così come per l’icona e la proposizione: le loro ‘catene causali’ non coincidono. A riaprire questo dibattito oggi è intervenuta la computer graphic che ha aperto una nuova fase nella storia del dibattito riguardo il rapporto tra pensiero e percezione, ponendosi come ponte tra formalizzazione logica e modellazione visiva.

E’ inoltre approfondito il discorso sulla similarità, che giunge alla tesi per cui un’immagine debba avere un grado di similarità con l’oggetto da cui ci si ripromette una cognizione: è necessaria la similarità tra la luna reale e la luna strumentale che Galileo vide dal cannocchiale, ovvero tra il significato ed il senso. La similarità qui è analizzata nella accezione di isomorfismo, tuttavia è problematico parlare di corrispondenza isomorfica senza chiarire i fondamenti epistemologici della similarità. Leibniz distingue della similarità una strutturazione quantitativa e qualitativa e riprendendo questa tesi, Peirce fa dell’indice il veicolo qualitativo della similarità e dell’icona il qualitativo.

La seconda appendice approfondisce il rapporto tra il mondo reale ed il mondo virtuale. Quest’ultimo è uno spazio tridimensionale modellato al computer esplorabile dall’interno. L’autore denuncia la tesi che preme sul dare valenza di illusione al mondo reale e valenza ontologica al mondo virtuale. Non è neppure d’accordo con chi intende il virtuale una novità, in quanto l’immaginazione, la capacità di farsi illusioni e creare proprie versioni del reale è da sempre insita nell’uomo, sostenendo la tesi di una nostra connaturata esigenza virtuale. Esistono due tipi di realtà virtuale: una creata con mezzi tecnici tradizionali, simboleggiata dal S. Gerolamo nello studio di Antonello da Messina e la realtà virtuale modellata al computer. In entrambi gli spazi virtuali si può navigare, anche se nel primo la navigazione è più debole e l’osservatore partecipa all’immagine attivamente, mentre ne secondo la partecipazione è solo illusoria. L’esempio conferma la tesi per cui c’è una continuità tra il virtuale informatico e pre-informatico. L’illusione è possibile dal momento in cui non si esclude che un oggetto virtuale possa risultare più o meno ugualmente affidabile di uno reale, anche se ciò non ci autorizza a considerare la virtualità come una delegata della realtà. Tuttavia non è nemmeno considerabile un modo per uscire da essa: nel mondo virtuale ci si immerge e l’immersione presuppone sempre una riemersione.