Utente:Ags/Fatti di Reggio

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Tragica immagine della vicenda

Con l'espressione Fatti di Reggio o Moti di Reggio si identifica una sommossa popolare avvenuta a Reggio Calabria dal luglio del 1970 al febbraio del 1971, in seguito alla decisione di spostare il capoluogo di regione a Catanzaro per ragioni apparentemente geografiche, ma più verosimilmente politiche. L'allora esponente di punta del PSI, Giacomo Mancini, opero' pressioni perché la sede di capoluogo di regione fosse ubicata in località più vicina alla sua Cosenza; la ragione geografica per lo spostamento non ha fondamento, in quanto altri capoluoghi di regione risiedono in zone diverse dal centro geografico, ma aderenti al centro storico della regione. Inoltre Catanzaro è una sede difficilmente raggiungibile e lontana dalle direttrici nazionali, laddove Reggio è un porto e ponte per la Sicilia, oltre che essere una delle città più antiche d'Italia e il cuore politico e religioso della Calabria, nonchè città più antica e popolata della regione.

Inizialmente il malcontento popolare fu trasversale a livello politico (ad esclusione del Partito Comunista Italiano, dissociatosi fin da subito), ma in una seconda fase i movimenti di destra, ed in particolare il Movimento Sociale Italiano, assunsero un ruolo di primo piano. Francesco Franco (noto come "Ciccio Franco"), esponente missino, si appropriò del "boia chi molla" di dannunziana memoria e ne fece uno slogan che sintetizzò la risolutezza dei reggini ad opporsi al trasferimento di capoluogo.

Vero motore organizzativo e politico della protesta furono il Comitato D'Azione (i cui principali esponenti erano il già citato Ciccio Franco, l'ex comandante partigiano Alfredo Perna, l'armatore repubblicano Amadeo Matacena e l'industriale del caffe Demetrio Mauro) e il Comitato unitario per Reggio capoluogo (guidato dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e da altri esponenti democristiani e missini).

Il governo, presieduto dal democristiano Emilio Colombo, negò qualunque negoziazione con i rappresentanti della protesta, e, oltre a provvedere all'invio di contingenti militari, iniziò una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta. I mezzi di comunicazione, infatti, dopo un iniziale interessamento, limitarono notevolmente la cronaca riguardo la rivolta di Reggio e in ogni caso descrissero come "pretestuoso pennacchio" la difesa del capoluogo da parte dei reggini.

Per mesi la città fu barricata, spesso isolata, a tratti paralizzata dagli scioperi e devastata dagli scontri con la polizia e gli attentati dinamitardi. Alla fine della rivolta si contarono sei morti, e migliaia di denunce.

La rivolta si concluse solo dopo 10 mesi di assedio con l'inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse anche a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto "Pacchetto Colombo") che portarono ad una insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria) e all'insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi che non furono mai realizzati o furono subito oggetto di speculazioni da parte della 'Ndrangheta. Gli investimenti vennero fondamentalmente dirottati dalla classe politica di centro-sinistra verso la direttrice Catanzaro-Cosenza, facendo pagare a Reggio lo scotto di non essere collusa coi poteri alti dello Stato, e di essere da sempre città ribelle e controcorrente.

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