Utente:12Akragas12/Sandbox3

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«E ancora mi è avvenuto di chiamarlo il piccolo giudice non perché fosse notevolmente piccolo di statura, ma per una impressione che di lui mi è rimasta da quando per la prima volta l'ho visto.»

Salvatore Petrone (Racalmuto, 1887Palermo) è stato un magistrato italiano.

Leonardo Sciascia ne ha tratto spunto per il personaggio del piccolo giudice in Porte Aperte, pubblicato nel 1987.[1]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

«Aveva una brillante carriera da fare, se l’è rovinata rifiutando di condannare uno a morte.»

Nato e cresciuto a Racalmuto, in provincia di Girgenti, Petrone si laureò in legge presso l’Università degli Studi di Palermo ed entrò in magistratura nel 1912, a venticinque anni; da subito manifestò spiccate doti intellettuali e morali.

A quarantotto anni, cioè nel 1935, fu promosso a membro della corte d’Assise di Palermo.[2]

Il caso Ferrigno[modifica | modifica wikitesto]

Il delitto[modifica | modifica wikitesto]

Giuseppe Ferrigno, padre di cinque figli, era occupato prezzo il sindacato degli avvocati e procuratori di Palermo prima di essere licenziato per irregolarità contabili e quindi sostituito dal ragioniere Antonio Speciale.

Egli si trovò quindi in gravi difficoltà economiche, dovendo mantenere non soltanto la famiglia legittima ma anche un’altra donna fuori dal matrimonio.

Così, preso dalla disperazione, il mattino del 5 ottobre 1937 portò la moglie Concetta Conigliaro fuori città per un pretesto, uccidendola sul colpo con un pugnale.

Tornato a Palermo, si diresse verso il palazzo di giustizia in cui precedentemente lavorava e pugnalò a morte il suo sostituito Speciale.

Quindi si recò presso l’abitazione dell’avvocato Giuseppe Bruno, presidente del sindacato forense e dell’unione professionisti ed artisti di Palermo, nonché precedentemente vicesegretario della federazione fascista cittadina, colpendolo fatalmente al cuore con lo stesso pugnale.

Fu allora arrestato pochi istanti dopo, mentre nel pomeriggio si rinvenne il corpo della moglie, in località Piana dei Greci.

Il processo[modifica | modifica wikitesto]

Arrestato ancora con le mani sporche dal delitto, lo ammise e venne dunque condotto in carcere. Riconosciutane la colpevolezza, il 19 novembre 1937 a questi viene riconosciuto l’ergastolo: una decisione deludente per la cittadinanza palermitana e per la stampa locale, la quale auspicava l’ergastolo.

Difatti in rappresentanza dell’avvocato ucciso aveva costituito parte civile, cioè parte lesa, quale rappresentante del Fascio, l’onorevole Alessandro Pavolini: intimo amico di Galeazzo Ciano, già fondatore dei Littoriali ed in seguito Ministro della cultura popolare.

Era dunque impensabile che non venisse attribuita al reo la pena di morte, dati quindi l’efferatezza del delitto e la prominenza del Pavolini.

La pena di morte era stata infatti ripristinata dal codice Rocco, introdotto nel 1930, secondo l’articolo 72 comma 1: la pena di morte andava eseguita per l’aver commesso più delitti gravi.

«Al colpevole di più delitti, ciascuno dei quali importa l'ergastolo, si applica la pena di morte.»


L’intercessione del Petrone consentì di applicare l’articolo 81, comma 2 dello stesso codice: in quanto i delitti erano stati commessi pressoché in continuità, erano da considerarsi unitariamente e quindi si reputava necessaria l’applicazione della pena meno grave.

«Alla stessa pena soggiace chi, con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.»


Petrone era giudice a latere del processo: coadiuvava quindi il presidente della Corte d’assise di Palermo, anziano e prossimo alla pensione, l’unico a non condividere il pensiero del giudice e della maggioranza.

Fu questi, dunque, l’estensore della motivazione e il responsabile della peculiare contraddizione, come si vedrà più avanti.

In primo appello venne quindi deciso un più mite ergastolo, che fu presto ribaltato.

Nella sentenza si assisteva, infatti, a un contrasto singolare: quello tra la motivazione della stessa, i motivi cioè che vedevano gli omicidi riconosciuti come plurimi, e la disposizione, la parte finale della sentenza dove era esposta la decisione finale condivisa da pressoché tutti i giudici, in cui si ribadiva l’ergastolo.

Tuttavia, la Corte di cassazione scelse di portare avanti la motivazione, sostenuta come visto dal solo presidente, e di aborrire invece il dispositivo, che vedeva l’ergastolo come pena scelta e condiviso non solo da Petrone ma anche dalla maggioranza collegiale dei cinque assessori; peraltro, la Corte andò, arbitrariamente, oltre le proprie funzioni.

Petrone costituiva infatti un giudice di merito, dal compito di evidenziare le questioni di fatti (ricostruire come i fatti si erano effettivamente svolti) ed anche le questioni di diritto (quindi ricostruire ciò dal punto di vista giuridico); il giudice di legittimità, della Corte, aveva il compito analizzare soltanto le questioni di diritto.

Come detto, la Corte ribaltò addirittura la motivazione:

«Stabilisce che l'omicidio commesso dal Ferrigno in persona della moglie si presentava alla coscienza di lui in modo completamente distinto dal primo, essendo diversa non solo la causa, ma il tempo onde sorge nel suo animo il proposito omicida.»

Ad Agrigento[modifica | modifica wikitesto]

Il processo venne quindi rinviato presso la Corte d’assise di Agrigento, per un nuovo giudizio in data 12 luglio 1938 poi effettivamente conclusosi con la condanna a morte di Ferrigno.

Questi presentò un’ulteriore denuncia al presidente della Corte d’assise di Palermo per abuso d’ufficio, nella speranza di ritardare ulteriormente la pena capitale, ma poi effettivamente non accolta: l’imputato fu eseguito ad Agrigento il 21 gennaio 1939 in località Vecchia Cava di Pietra, nella contrada Santa Lucia.

In conclusione, il regime fascista vedeva di buon occhio una condanna a morte in primo luogo per la parte lesa, Bruno e Pavolini ma, più in generale, lo stesso fascismo; in secondo luogo, prolungare la faccenda poteva portare alla comparsa di fatti spiacevoli sulla stessa vittima.[3]

Le "sentenze suicide"[modifica | modifica wikitesto]

Il caso è quindi annoverabile tra le cosiddette “sentenze suicide”, in cui oltre ad essere la motivazione in contrasto netto con il dispositivo, sono addirittura definite “suicide”: andranno ad un annullamento con rinvio, e la pena finale divenuta maggiorata.

La peculiarità è proprio nel contrasto che non avviene per causalità o disattenzione, ma per una strenua volontà dell’ estensore di sentenza, in tal caso proprio il presidente di Corte, in netta minoranza rispetto a quella degli altri giudici che la esprimono nel dispositivo.

Sono di nota, oltre al “caso Ferrigno”, anche il “caso Mulas” ed il “caso Sofri”.

Dopo la condanna[modifica | modifica wikitesto]

Venendo a conoscenza della posizione ricoperta da Petrone il fratello di una delle vittima, presumibilmente dell’avvocato, scrisse a Mussolini, il quale ordinò un’inchiesta contro il magistrato che si era opposto al regime.

Il Presidente del Tribunale dispose una sanzione di ammonimento al giudice, per l’assurdità della tesi avocata e per l’aver mancato di rispetto al Presidente della Corte di Assise di Palermo, alzando la voce contro di questi.[4]

Tuttavia il ministro della giustizia del tempo, Arrigo Solmi, escluse l’ipotesi di illecito disciplinare sostenendo che un errore anche molto grave non potesse essere sanzionato se commesso da un magistrato in buona fede nell’esercizio delle sue funzioni.

Così, il consiglio superiore della magistratura propose un trasferimento di Petrone, a condizione che lo soddisfacesse; tuttavia, il giudice scelse di restare a Palermo.

Anni dopo, nonostante le numerose difficoltà, venne promosso a giudice della corte di cassazione.

"Porte Aperte" di Leonardo Sciascia[modifica | modifica wikitesto]

Cinquant’anni dopo la sua scomparsa, tentò di riabilitante la memoria il compaesano racalmutese Leonardo Sciascia, nel romanzo Porte Aperte del 1987, e che lui stesso incontrò diverse volte.

Petrone non è mai chiamato direttamente per nome, bensì “il piccolo giudice”, se ne sottolinea il candore di pensiero e d’azione, raffigurando lui più che altri come una vittima del regime fascista, che Sciascia criticava.

Il personaggio sciasciano non si dimostra, però, affranto dall’esito finale che già presumeva inzialmente: al contrario, è soddisfatto della prevalenza della legge del cuore antigonea sulla ragion di stato, sostenuto da un peculiare agricoltore bibliofilo:

«È un principio di tale forza, quello contro la pena di morte, che si può essere certi di essere nel giusto anche se si resta soli a sostenerlo […] L'ho visto [il processo] come il punto d'onore della mia vita, dell'onore di vivere.»


Da tale romanzo è stato poi tratto un film omonimo del regista Gianni Amelio, candidato all’Oscar nel 1991 in qualità di miglior film straniero.[5]

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Renzo Orlandi, “L’anti motivazione (o sentenze suicide). In ricordo di una coraggiosa battaglia di Gennaro Escobedo.” in “La giustizia penale”, 2021
  • Galeazzo Ciano, “Diario 1937-1943” cura di Renzo De Felice, Bur, Milano, 1990
  • Giovanni Tessitore, “Fascismo e pena di morte: consenso e informazione”, Angeli Editore, Milano, 2000
  • Girolamo Bellavista, “Studi sul processo penale. Tomo I: 1949 - 1952”, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1952
  • Claudia Passarella, “Una fisarmonica fusione di competenze: magistrati togati e giudici popolari in corte d’assise negli anni del fascismo” in “Historia et ius”, 2020
  • Gennaro Escobedo, “Le sentenze suicide con i pareri di Antolisei et al.”, Milano, Fratelli Bocca, 1943
  • Renato Bertoni, “Salvatore Petrone: giudice e martire” in “La Repubblica”, 21 aprile 1990
  • André Karam Trindade, Marilin Soares Sperandio, “Garantismo e literatura: a liçao de Leonardo Sciascia sobre o papel dos principios na construção das decisõ.” in “Quaestio iuris”, Vol. 9, n. 04, Rio de Janeiro, 2016
  • Leonardo Sciascia, "Porte Aperte", Adelphi, 1987

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Il diritto del duce. Giustizia e repressione nell'Italia fascista 9788868434205, su dokumen.pub. URL consultato il 13 dicembre 2023.
  2. ^ Sciascia e la giustizia | Alberto Mittone, su www.doppiozero.com. URL consultato il 13 dicembre 2023.
  3. ^ "Leggere e scrivere" - dal Corriere della Sera, su forum.corriere.it.
  4. ^ Petrone ed il "caso Ferrigno", su officinadellambiente.com.
  5. ^ "Porte Aperte" di Leonardo Sciascia (PDF), su amicisciascia.it.