Tommaso Besozzi

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Tommaso Besozzi

Tommaso Besozzi (Vigevano, 20 gennaio 1903Roma, 18 novembre 1964) è stato un giornalista e scrittore italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nasce a Vigevano. Si diploma presso il locale Liceo Benedetto Cairoli. Si laurea in Scienze matematiche all'Università di Bologna; successivamente studia Lettere all'Università di Pavia. Nel 1926 inizia a lavorare come giornalista al «Corriere della Sera».

Nel 1945 passa a «L'Europeo» grazie ad Arrigo Benedetti, fondatore e primo direttore del settimanale. Mette a segno il suo primo grande colpo nella primavera del 1949. Riesce, tramite una scrupolosa inchiesta giornalistica, a far scarcerare un italiano, Gino Corni, condannato in Francia ai lavori forzati per tre tentati omicidi[1].

Nel 1950 (L'Europeo n. 29) pubblica un'inchiesta sulla vicenda dell'uccisione del bandito Giuliano dal titolo Di sicuro c'è solo che è morto, nella quale smentisce la versione ufficiale del fatto.[2] Besozzi scopre che il bandito non era stato ucciso dai carabinieri, ma dal suo amico Pisciotta. Con la sua inchiesta consente di capire meglio i legami tra la mafia (che si era sbarazzata dell'ormai scomodo bandito), la politica e diversi apparati dello Stato. Secondo Ferruccio De Bortoli l'inchiesta di Besozzi è una pietra miliare del giornalismo investigativo italiano[3].

Oltre che di nera scrive anche di sport, in particolare di ciclismo, facendo resoconti delle tappe del Giro d'Italia. Fa altri servizi intervistando i guardiani dei fari in Francia, andando a trovare i camionisti italiani rimasti in Etiopia, passando giorni e notti sulle montagne d'Abruzzo o sul Po. Intanto diventarono sempre più frequenti le crisi di sconforto.[1] Le difficoltà in cui si viene a trovare lo portano a scrivere con sempre maggiore fatica, come se non riesca più ad «adeguare le parole ai fatti».[4]

Lascia l'Europeo e passa al quotidiano «Il Giorno», ma i rapporti col mestiere diventarono sempre più difficili. Scrive anche per «Il Sole 24 Ore» e il «Corriere Lombardo».

Nei primi anni sessanta entra in una grave crisi psicologica. Il 18 novembre 1964 si suicida a Roma costruendo una bomba a mano (aveva una passione per gli esperimenti elettrici o chimici) e facendola esplodere sul suo petto[5].

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Oreste Del Buono, Amici. Amici degli amici. Maestri..., Baldini&Castoldi, Milano 1994, pp. 147-152.
  2. ^ Antonello Sacchetti, Il reportage perfetto di Tommaso Besozzi, su ilcassetto.it. URL consultato il 22 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 16 ottobre 2013).
  3. ^ Ferruccio De Bortoli, La vera storia del bandito Giuliano, Milano, Milieu, 2017, Prefazione.
  4. ^ Bernardo Valli, Il grande cronista senza parole, ne «L'Espresso», n. 14, Anno LXIII, 2 aprile 2017.
  5. ^ Cesare Lanza, Il cronista di razza che fu ucciso dalla sindrome del foglio bianco, ne «La Verità», 7 ottobre 2018, p. 14.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Enrico Mannucci (a cura di). I giornali non sono scarpe. Tommaso Besozzi una vita da prima pagina. Baldini Castoldi Dalai, 1995. ISBN 9788885989979.
  • Enrico Mannucci (a cura di). Tommaso Besozzi. Il sogno del settimo viaggio. Fazi, Roma, 1999. ISBN 88-8112-123-9.

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Controllo di autoritàVIAF (EN48489184 · ISNI (EN0000 0000 4403 1598 · SBN SBLV238333 · LCCN (ENn96022896 · WorldCat Identities (ENlccn-n96022896