Prodotti predittivi

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I prodotti predittivi sono tutti quei prodotti o servizi c.d. "smart" (o "personalizzati") che hanno accesso ad Internet (come gli assistenti digitali) e sono in grado di inoltrare in tempo reale informazioni sulle nostre vite alle rispettive aziende produttrici[1]. Essi vengono definiti "predittivi" in quanto consentono di prevedere i nostri comportamenti futuri partendo dai dati estratti dall'esperienza umana. L'espressione è stata utilizzata per la prima volta nel saggio Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff[2].

La prima azienda in grado di fare previsioni sul futuro in generale e sul nostro comportamento è stata Google, la quale secondo Zuboff ha avuto un ruolo pionieristico nel capitalismo della sorveglianza sia in senso teorico che pratico[3]. Nel 2001 i leader di Google, dovendo far fronte alla perdita di fiducia degli investitori a seguito del fallimento delle dotcom, tentarono di aumentare le proprie entrate pubblicitarie sfruttando il loro accesso esclusivo ai registri dei dati degli utenti (un tempo noti come "dati di scarto") e le proprie capacità analitiche per generare previsioni delle percentuali di clic degli utenti, utilizzate come un segnale della pertinenza di un annuncio[2]. Il successo di questi nuovi meccanismi diventò visibile nel 2004, quando Google lanciò l'IPO, dichiarando che dal 2001 il proprio fatturato era aumentato del 3.590%[4].

Implicazioni etiche

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Se le aziende conoscono il nostro comportamento, possono adattare i prodotti o servizi offerti in base alle nostre esigenze, aumentando la qualità degli stessi, la comodità e, dunque, la soddisfazione del cliente. Tuttavia è molto probabile che le aziende non solo utilizzino i risultati dei dati e del nostro comportamento per aumentare i propri profitti (piuttosto che per renderci felici), ma che tentino di cambiare i nostri stessi comportamenti, affinché corrispondano alle esigenze soddisfatte dei loro prodotti o servizi[1].

Sebbene la modifica dei nostri comportamenti possa avere anche effetti positivi, come per esempio la riduzione del consumo di zucchero e del rischio d'infarto, secondo Zuboff i prodotti predittivi rappresentano a tutti gli effetti un esproprio, attraverso il quale la personalità, il comportamento e la privacy diventano merci negoziabili[1]. Difatti aziende come Google e Facebook raccolgono i nostri dati non solo per uso personale, ma li vendono in un mercato quasi non regolamentato, vale a dire il mercato dei comportamenti futuri, senza che nessuno sappia dove e come questi dati vengano utilizzati. Di conseguenza ogni volta che usiamo uno dei preziosi servizi di queste aziende, anche un banalissimo motore di ricerca, accettiamo più o meno inconsapevolmente di cedere a terze parti la nostra esperienza sotto forma di dati, successivamente confezionati sotto forma di prodotti predittivi[5].

Sebbene attualmente non ci sia una vera e propria normativa per regolamentare specificamente i prodotti predittivi o il mercato dei comportamenti futuri, un primo passo normativo per impedire la commercializzazione dei dati personali è stato fatto con l'approvazione del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati(GDPR) nel maggio 2018. Difatti il GDPR impone vincoli, diritti, obblighi e la scelta volontaria dei consumatori riguardo ai dati personali e al loro utilizzo.

  1. ^ a b c (EN) Prediction Products, su GDI. URL consultato il 5 novembre 2020.
  2. ^ a b (EN) John Naughton, 'The goal is to automate us': welcome to the age of surveillance capitalism, in The Observer, 20 gennaio 2019. URL consultato il 5 novembre 2020.
  3. ^ (EN) Shoshana Zuboff, Norma Möllers e David Murakami Wood, Surveillance Capitalism: An Interview with Shoshana Zuboff, in Surveillance & Society, vol. 17, n. 1/2, 31 marzo 2019, pp. 257–266, DOI:10.24908/ss.v17i1/2.13238. URL consultato il 5 novembre 2020.
  4. ^ (EN) A "Surveillance Capital" Market Sells Our Personal Behaviour Data, su Comanche Comms, 22 marzo 2019. URL consultato il 5 novembre 2020.
  5. ^ Perché abbiamo iniziato a regalare la nostra esperienza a Google e Facebook, su ilfoglio.it. URL consultato il 5 novembre 2020.
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