Paolo Cinanni

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Paolo Cinanni

Paolo Cinanni (Gerace, 25 gennaio 1916Roma, 18 aprile 1988) è stato un politico e scrittore italiano.

Carriera politica[modifica | modifica wikitesto]

Paolo Cinanni è stato un combattente della guerra di liberazione e uomo politico dell'Italia del XX secolo.

Ebbe un ruolo di primo piano negli anni dell'immediato dopoguerra 1948-1956 nelle lotte contadine del Mezzogiorno con particolare riferimento alla Calabria alla provincia di Cosenza e nel Piemonte. Successivamente al 1956 dedicò le sue attività nell'ambito dell'emigrazione verso la Svizzera e la Germania fondando insieme a Carlo Levi la Federazione Italiana dei Lavoratori Emigrati e Famiglie[1] (FILEF). Con particolare riferimento al periodo 1948-1956 e 1960-1964 egli ebbe un ruolo dirigente centrale in Calabria con l'incarico di rafforzare la struttura politica del movimento contadino legando le masse contadine del sud Italia alla classe operaia del Nord nella prospettiva gramsciana di costituire quell'intellettuale organico che nel Partito Comunista Italiano avrebbe dovuto riscattare operai e contadini dallo sfruttamento padronale tanto sulla terra quanto nelle fabbriche e guidare le lotte contadine per la restituzione delle terre usurpate contro ogni diritto dal latifondo parassitario.

Il pensiero[modifica | modifica wikitesto]

Cinanni è autore di molti volumi di carattere economico-politico e pubblicista. Il libro che lo ha reso più famoso, anche per le traduzioni all'estero e la diffusione, è stato Emigrazione e imperialismo pubblicato dagli Editori Riuniti i cui temi sono stati successivamente ripresi nel libro Emigrazione e unità operaia pubblicato dalla Feltrinelli. Nel libro in questione il fenomeno dell'emigrazione viene esaminato in tutte le sue sfaccettature con un taglio scientifico, da classico del marxismo. Cinanni considera l'emigrazione come una forma di trasferimento unilaterale di ricchezza dall'Italia verso i Paesi di immigrazione. Non è un caso che il maggior sviluppo economico si registra, nell'ambito mondiale, tradizionalmente tipicamente nei Paesi di immigrazione come gli Stati Uniti e successivamente nell'Europa. Argomento caro agli stessi emigrati e lavoratori si basa su una constatazione molto semplice e di tutta evidenza: una persona raggiunge la maggiore età dopo che per essa sono stati sostenuti una serie di spese quali quelle di allevamento, di istruzione scolastica, di formazione professionale. Ebbene, al momento in cui quella persona, con la maggiore età, attraverso il lavoro può rendersi produttiva, è costretta ad emigrare per mancanza di occasioni di lavoro in patria. Questo altro non è che un trasferimento gratuito di ricchezza, un trasferimento unilaterale di capitale umano. La conclusione del ragionamento è che i Paesi di immigrazione, piuttosto che rendere un favore agli emigrati, traevano beneficio da essi.

Cinanni ha esaminato sia gli effetti che le cause dell'emigrazione, attraverso la sua analisi rigorosa è stata sbaragliata la tesi tradizionale che vedeva l'emigrazione come effetto della povertà di risorse ambientali e geografiche dell'Italia; al contrario egli ha sostenuto che l'emigrazione contribuiva a rendere economicamente più debole l'Italia ed in particolare il meridione e che la vera causa dell'emigrazione risiedeva nelle politiche economiche susseguitesi in Italia in particolar modo anche dopo la caduta del fascismo. Per Cinanni la mancanza di una vera riforma agraria anche dopo la seconda guerra mondiale, ha portato ad un aggravamento delle già precarie condizioni economiche del meridione con la conseguente fuga dalle campagne, l'abbandono della terra, l'emigrazione nelle regioni settentrionali e nell'occidente europeo.

Un filone di pensiero di Cinanni collegato a quello dell'emigrazione è dunque quello sulla riforma agraria e i converso sulle lotte contadine. Egli ritiene che la mancanza di una vera riforma agraria ha determinato la questione meridionale e da questa è derivata l'emigrazione. Le lotte contadine del dopoguerra avevano innestato un meccanismo che lasciava sperare in una risoluzione della questione agraria, ma le scelte operate dai governi di destra che si sono susseguiti dopo la fuoriuscita del PCI nel 1948 dal governo sono andate nella direzione opposta a quella che doveva essere seguita. Una tesi per certi versi originale di Cinanni era che le lotte portate avanti dai contadini, anche nelle forme più cruente, erano del tutto legittime nel senso della loro conformità al diritto. Infatti, espone Cinanni nei suoi libri, quelle battaglie per la terra erano perlopiù determinate dalla consapevolezza di lottare per avere restituito il maltolto. Qui si inserisce un altro filone del suo pensiero: quello degli usi civici e della questione demaniale. Nella memoria storica delle masse contadine era presente e mai assopito il ricordo del possesso delle grandi estensioni terriere del demanio in vaste zone del Mezzogiorno e del diffuso esercizio di uso civico. Nel corso dei decenni la maggior parte di quelle terre demaniali era stato usurpato e i contadini in lotta non facevano che reclamarne la restituzione. In sostanza era una lotta per il rispetto della legge. A tali lotte il governo rispondeva con il piombo della polizia, come nel caso di Melissa passato alla storia, e la cosiddetta riforma agraria che ne conseguì, per il modo in cui ha operato non è stata una risposta adeguata.

Vita[modifica | modifica wikitesto]

Note biografiche su Paolo Cinanni, di Andrea Cinanni

Il percorso biografico che proponiamo ha inizio nel periodo dell’infanzia di Paolo Cinanni quando ancora risiedeva con la sua numerosa famiglia nella bella Gerace affacciata sul mare Ionio e prosegue nell’adolescenza con l’emigrazione del 1929 verso Torino per svolgersi successivamente nel periodo della maturità, negli anni sessanta, a Roma. Questo ultimo periodo, dedicato piuttosto alla elaborazione teorica, alla promozione degli interessi dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie, vede la creazione, insieme a Carlo Levi, della FILEF (Federazione dei Lavoratori Emigrati e delle loro Famiglie), la stampa dei volumi sull’emigrazione, l’uscita della rivista mensile della FILEF e le numerose pubblicazioni in Italia ed in Europa dei lavori sulle lotte per la terra e sulle questioni agrarie considerate strettamente legate al problema dell’emigrazione.

Non c’è dubbio che l’emigrazione subita in età giovanile abbia costituito nella vita di Paolo Cinanni l’elemento originario di gran parte della sua attività produttiva e delle battaglie condotte in nome degli oppressi e degli sfruttati della terra. L’azione politica e sociale fu strettamente intrecciata alla propria vita ed ai problemi vissuti in prima persona.

Il primo ad emigrare in famiglia fu il nonno di Paolo nel 1880 e seguì la stessa sorte il padre Antonio che tornava periodicamente a Gerace dove possedeva terra e attività commerciali. Paolo era il penultimo di sette figli, due maschi e cinque femmine. Ogni volta che Antonio tornava dall’America, dopo nove mesi nasceva un figlio. Così accadde anche nella primavera del 1915 per timore che la guerra gli impedisse di ricongiungersi alla moglie Pasqualina e alla famiglia; ma giunto in Italia venne richiamato alle armi e piuttosto che andare in guerra, preferì tornare in America ove rimase fino al 1918 quando finì il primo conflitto mondiale. Nel 1916 nacque Paolo; nel febbraio 1919 nacque Anna, l’ultima sorella di Paolo che rimase con lui compagna d’infanzia e successivamente compagna partigiana durante la guerra di liberazione. I funerali del padre di Paolo furono celebrati nella bella cattedrale di Gerace nel luglio del 1926.

Finché il padre Antonio fu in vita in casa non mancò mai il pane ma alla sua morte iniziarono tempi molto difficili e con la grande crisi alle porte tutto portava a pensare che sarebbe stato meglio lasciare Gerace. La decisione di emigrare fu presa dalla madre che partì per Torino nel 1929, con i figli ancora piccoli. Paolo aveva tredici anni, quando giunse il giorno della partenza e dovette salutare tutti gli amici, i parenti e le persone più care.

La vita a Torino fu tutt’altro che facile ed i primi cinque anni furono segnati da sofferenza e disagio. Dopo avere trovato una sistemazione per l’alloggio con la madre e le sorelle accadde un infortunio sul lavoro che svolgeva presso una vetreria e venne licenziato dopo la visita medica, quando scoprirono che aveva solamente tredici anni ed era in età non idonea al tipo di mansioni che svolgeva. Trovava pertanto un altro impiego come garzone presso una manifattura di calzature che aveva fra i propri clienti il principe Umberto di Savoia ed effettuava le consegne a domicilio. Significativo è l’episodio della raccomandazione che ottenne dal principe stesso per entrare nella Accademia della Marina Militare. Nel giugno 1930 dopo avere ricevuto la lettera di accoglimento della domanda che coronava il suo sogno si sarebbe verificato l’incidente che cambierà radicalmente la sua vita. Era di ritorno da una delle solite consegne che effettuava prendendo il tramvai quando uno scossone dello stesso lo fece cadere proprio sulla rotaia. La ruota passò sopra la sua gamba sinistra amputandola fin da sotto il ginocchio. Anche questa volta perse il lavoro ma in aggiunta con esso svaniva il sogno ormai concreto di fare carriera nella Marina Militare. Del caso ne parlò La Stampa di Torino, lo stesso principe Umberto andò a fargli visita in ospedale, alcune pie donne offrirono dei contributi per permettere a Paolo di continuare gli studi ed una azienda ortopedica gli offrì gratuitamente una protesi che avrebbe fatto le veci della gamba vera.

Correva l’anno 1930 quando cominciò a frequentare la scuola media all’istituto Berti, distinguendosi per bravura negli studi e riuscendo a superare le difficoltà linguistiche in un paese con differenze ancora marcate tra sud e nord tanto nelle tradizioni quanto negli idiomi e con l’Unità d’Italia raggiunta da appena pochi decenni.

Nel dicembre del 1932 smise di frequentare la scuola a causa della tubercolosi che all’epoca non poteva essere curata e faceva paura come la peste. Dovette entrare in sanatorio. Furono gli anni peggiori della sua vita, quelli trascorsi al San Luigi, durante i quali le sorelle maggiori, già madri di due bambini, morirono, nel giro di sei mesi, della stessa malattia.

Paolo guarì, ma quando all’età di 19 anni uscì dal sanatorio, vide il mondo con occhi diversi, disillusi e con molti interrogativi esistenziali, sulla giustizia, sulla società e sul senso della vita; soprattutto veniva a consolidarsi quella coscienza di emigrato ed un senso di grave ingiustizia sociale vissuta da chi come lui non voleva partire. Ricorda l’episodio in cui ricevette un pugno da un ragazzo che gli gridava terrone mentre camminava sul marciapiede: non comprese al momento il motivo di quel gesto ma capì in seguito che un diverso, povero e zoppo poteva suscitare negli altri sentimenti di xenofobia. Non era facile ambientarsi, acquisire usi e costumi, comportamenti adeguati a quella realtà così differente e superare quella timidezza contadina che diventava evidente a contatto con quel mondo torinese degli anni trenta.

Incontrò anche brave persone e fu proprio la professoressa Eugenia Ruata che conoscendo le sue doti, si adoperò per farlo studiare mettendolo in contatto con Cesare Pavese anche egli professore e reduce dal confino sulla costa ionica a Brancaleone.

Siamo nel 1936 quando all’età di venti anni la vita di Paolo Cinanni inizia ad uscire da quel vicolo cieco in cui si era cacciato con la partenza da Gerace. Pavese lo aiutò a superare la timidezza, quel senso di diversità e di emarginazione del migrante, ad acquisire gli strumenti comunicativi e teorici, preparandolo alla maturità classica. Paolo aveva trovato un impiego presso la Subalpina compagnia di assicurazioni e poteva pagare la retta di 50 lire per le lezioni che Pavese gli impartiva. Studiava letteratura, filosofia, greco, latino, inglese.

Il rapporto fra allievo e maestro durò dal 1936 al 1942 quando Cesare Pavese si trasferì a Roma su richiesta della casa editrice Einaudi ma in realtà quello che inizialmente fu un rapporto di studio si trasformò ben presto in un rapporto di amicizia. Pavese nato nel 1908 era poco più grande di Paolo ed avevano molti argomenti in comune ed alla fine di ogni lezione si finiva sempre per parlare di politica. Anche Pavese proveniva da una zona rurale e dalla cultura contadina. In Piemonte, si narra, come in quella terra delle Langhe da cui proveniva Pavese, esistesse una percezione della vita poco incline all’idillio e all’ottimismo, anzi molto presente fosse il sentimento drammatico e faticoso dell’esistenza. Paolo sopravvissuto alla miseria, alla malattia, alla mutilazione della gamba, alla morte delle sorelle manteneva uno spirito costruttivo nei confronti della società, della vita e della politica. La solitudine accomunava Pavese e Cinanni. In Pavese la solitudine assumeva i caratteri filosofici del pessimismo esistenziale che ritroveremo nel suo diario e nel “Vizio assurdo”; in Paolo Cinanni la solitudine assumeva le connotazioni del diseredato, dell’emigrante e del proletario che vive il disagio dello sradicamento.

Il desiderio di riscatto e di giustizia porterà Paolo a subire il fascino degli ideali e del comunismo di cui parlava con Pavese. Quello che il comunismo prometteva in Europa, avvalorato dalla concreta esistenza del socialismo reale e dell’URSS rappresentava per milioni di oppressi nel mondo un sogno realizzabile.

Pavese aiutò Paolo a studiare Thomas Mann, Marx e i classici del marxismo sebbene tale tipo di editoria non fosse facilmente reperibile negli anni del fascismo. Paolo volle ben presto passare dalla teoria all’azione, tanto che gli piacque in seguito definirsi anche quando parlava di sé con noi figli: “un rivoluzionario di Professione” e Pavese lo mise in contatto con quell’organizzazione clandestina denominata Partito Comunista. Incontrò dapprima Ludovico Geymonat, Luigi Capriolo e Giovanni Guaita e successivamente quella donna eccezionale e carismatica: Elvira Pajetta che stava alla guida della cellula torinese del Partito Comunista. Il partito fu per Paolo una nuova famiglia, fu il collettivo, quell’elemento pedagogico e formativo, quell’ambiente di amicizia che gli fece superare la solitudine e l’emarginazione di cui aveva tanto sofferto. Nel 1940 veniva ammesso ed iscritto formalmente al P.C. dopo avere dato tutte le garanzie di affidabilità e di appartenenza che erano richieste nella clandestinità e dopo essere stato arrestato per le simpatie verso la Repubblica di Spagna e per il possesso di alcuni volantini che inneggiavano contro Franco, Hitler e Mussolini.

Pavese rimarrà a Roma fino al 1945 e finita la guerra, tornò a Torino per cercare i suoi vecchi amici. Tre erano morti da partigiani: Capriolo, Carando e Gaspare Pajetta, andò quindi a cercare Cinanni a Milano alla Direzione del Fronte Nazionale della Gioventù in via del Conservatorio e lo ritrovò con grande gioia. Gli aveva portato come regalo il suo libro di poesie “Lavorare stanca” e vi appose sulla seconda pagina di copertina la seguente dedica: “a Paolo Cinanni non più allievo ma maestro”. In un primo momento egli non comprese il senso pieno di quella frase ma poi, in quell’agosto del 1950, dopo la tragica morte di Pavese gli diede un significato compiùto legato alla condizione esistenziale del grande letterato. Ricordava infatti con quale gravità Cesare Pavese gli avesse confessato il rimorso per non avere partecipato alla guerra di liberazione, per essere stato lontano dal gruppo e di avere visto gli amici morti per uno scopo, per un ideale, mentre lui sentiva che la vita non aveva senso. Meglio dare la vita per una causa di libertà e di giustizia. La mancanza di senso per Pavese fu fatale, tanto che in un momento di solitudine come tutti sanno, si tolse la vita. Pavese aveva visto Cinanni crescere politicamente ed impegnarsi per una causa concreta, aveva visto con quanta energia egli aveva lottato e combattuto contro il destino avverso e contro il fascismo mentre lui piuttosto inclinato all’estetica, alla letteratura, era tormentato dal paradosso filosofico che da un lato alimentava la sua vena letteraria e poetica ma dall’altro gli toglieva ogni forza vitale. Forse in questa capacità di affrontare le asperità della vita Paolo gli fu maestro. Questo triste epilogo tuttavia per l’allievo rappresentò un grande dolore perché con Pavese perdeva un amico al quale si riferì sempre con immensa riconoscenza.

Per Cinanni la vita come la morte non furono mai oggetto di scelta e come egli affermava spesso: ad un proletario la vita non concede di effettuare grandi scelte. La vita era un’esperienza e non una scelta che presentava condizioni che dovevano essere accettate, persino lo status di proletario non costituiva oggetto di scelta per la persona ma si trattava del modo di essere in cui si nasce; si poteva lottare però e cercare di modificare quelle condizioni proprie e dei propri simili. Paolo ha sempre combattuto contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ed in questo ha sempre sostenuto di avere una coscienza di classe irriducibilmente marxista. La sua posizione non fu quella dell’uomo che sceglie ma dell’uomo che combatte ed è libero di combattere per cambiare le condizioni di miseria e per la giustizia.

Paolo nacque un anno prima della Rivoluzione d’Ottobre nel gennaio del 1916 e morì nel 1988, un anno prima della caduta del muro di Berlino. Negli ultimi anni della sua vita sperava che Michail Gorbačëv riuscisse a riformare il comunismo e morì con questa grande speranza. Non vide il colpo di stato di Boris Eltsin e nemmeno la fine dell’URSS. Ci diceva che il comunismo alla lunga avrebbe vinto perché il capitalismo aveva in sé delle contraddizioni insanabili che tendevano a distruggere il pianeta. Certamente negli anni ’60 percepiva quei conflitti che si ingigantivano all’interno del blocco orientale ma non ebbe modo di vedere la fine del socialismo reale. Egli accettava pragmaticamente ogni soluzione politica che tendesse ad eliminare lo sfruttamento dell’uomo, fosse quella rivoluzionaria o quella riformista che in fondo avevano lo stesso fine, distinguendosi solamente per gli strumenti impiegati e si trovò ad utilizzare quelli che la sua epoca gli metteva a disposizione, quegli strumenti politici che hanno visto migliaia di uomini farsi ammazzare per lasciare ai propri figli un mondo migliore perché non soffrissero gli stessi mali dei genitori. Il comunismo ha rappresentato un ideale concreto, tangibile e realizzabile. Chi conosce la storia sa bene che nel 1945 il comunismo era alle porte, che Stalin avrebbe potuto superare Berlino e che i confini di Yalta potevano essere diversi e proprio in questo speravano tanti uomini che come Paolo combattevano per un ideale politicamente perseguibile, pragmaticamente realizzabile e non solamente un ideale romantico. Paolo Cinanni sapeva bene che a partire dagli anni ’60 e successivamente sarebbe stato sempre più difficile creare le condizioni che ave-vano dato luogo alla rivoluzione ma sperava, con una fiducia materialisticamente fondata, che il comunismo avrebbe vinto sul capitalismo, quest’ultimo intrinsecamente fondato su quelle contraddizioni strutturali che lo avrebbero inevitabilmente portato alla sua fine. Di questo non gli si può dare torto viste le gravi crisi attuali causate dalla rendita finanziaria, dai titoli tossici e dalle speculazioni in borsa che hanno visto e vedono il mondo con il fiato sospeso ad attendere la chiusura delle fabbriche e delle attività produttive di milioni di lavoratori.

Finita la stagione della guerra di liberazione inizia quella delle lotte per la terra. Paolo è nei massimi organismi dirigenti del PCI, sarà membro del Comitato Centrale e della Commissione Centrale di Controllo fino al 1968. Dal 1945 al 1953 risiede a Cosenza. Sono gli anni in cui conosce la compagna della sua vita, Serafina con cui si unì in matrimonio il 18 marzo 1951 e da cui ebbe tre figli: Caterina (1953), Andrea (1960), Giovanni (1965). Serafina era figlia di Domenico Iaquinta, responsabile di una cooperativa di braccianti e segretario della Federterra a San Giovanni in Fiore (Cosenza). Domenico Iaquinta, nel corso di una manifestazione di lavoratori, affermava: “È ora di finirla con questo stato di miseria, i lavoratori sangiovannesi vogliono che le autorità locali di polizia segnalino a chi di competenza il loro sdegno per le promesse mancate… le chiacchiere non riempiono la pancia e se ci vedremo canzonati e le nostre richieste rimarranno senza esito, noi agiremo come il bisogno e la fame ci farà agire. Invece di mandare carabinieri per fermare i contadini che invadono le terre per lavorare e produrre, mandino dei concimi e degli attrezzi di lavoro, che ci guadagnerà tutto il paese”.

Racconta Serafina che in quel periodo seguiva la scuola di partito di cui lo stesso Paolo era responsabile e docente nella provincia di Cosenza, come le ragazze non avessero la facoltà di uscire di casa senza il permesso del genitore, di come suo padre la facesse uscire solamente per andare alle riunioni della sezione del partito dove conobbe Paolo. Fuori della sezione nei freddi inverni silani si accendevano dei grandi falò intorno ai quali ci si riscaldava, si faceva amicizia e si festeggiava il Natale. Paolo Cinanni frequentava spesso la casa di Domenico Iaquinta ove insieme ad altri compagni si tenevano le riunioni di partito. Fu durante una di queste circostanze che secondo le usanze correnti, dopo essersi consigliato con il sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Oliverio, fece formale domanda di matrimonio a Domenico Iaquinta, padre di Serafina.

Siamo nel periodo delle lotte per la terra, per l’abolizione dei patti agrari e per la riforma agraria. Il 16 settembre 1946 P. Cinanni al coordinamento del movimento dei contadini riuscì ad organizzare una giornata di occupazione delle terre. Egli ricorda che scesero in lotta ben 92 paesi della Calabria e furono occupati circa 45.000 ettari di terre. Paolo subì in questo periodo fino a 38 processi di carattere politico nelle procure della Calabria. Le lotte per la terra erano moralmente giuste, storicamente inevitabili, giuridicamente lecite (fatte con la “Costituzione in mano” diceva Paolo Cinanni). Quanto a coloro che vi presero parte, sottolineava Paolo: “Non era stata certo l’adesione cosciente ad un’ideologia particolare, ma la consapevolezza che su quei campi le comunità contadine avevano diritti molto antichi”, quei particolari diritti reali, imprescrittibili, inalienabili e perpetui che spettano alle popolazioni sui beni dei terreni demaniali, quali il legnatico (diritto di raccogliere legna), l’erbatico (raccogliere fieno), il fungatico (raccogliere i funghi) e così via, detti anche usi civici, riconosciuti prima di tutto alle popolazioni contadine. “La nostra più grande ambizione, scrive, era quella di fare dei contadini i veri protagonisti del loro riscatto: con le continue lotte essi avrebbero acquistato man mano non tanto la coscienza dei loro diritti, che era in loro fortemente radicata, quanto quella della forza collettiva e della loro funzione di produttori e cittadini”. Occorreva declinare quindi nel presente i diritti usurpati nel passato, riattivandoli grazie alle nuove possibilità consentite dai nuovi poteri demo-cratici raggiunti nel dopoguerra con la Costituzione.

Per Paolo la questione della terra era prevalentemente una questione sociale prima ancora che economica. La terra che da sempre è stata fonte di sostentamento per i beni di prima necessità doveva essere concessa a chi la fecondava con il proprio lavoro. Era inconcepibile che la gente fosse costretta a emigrare proprio quando le terre demaniali dei luoghi di esodo, usurpate illegalmente dai latifondisti e dalla grande proprietà terriera parassitaria, rimanevano incolte, mentre i contadini, con l’eventuale aiuto di periti agrari e di mezzi, di concimi e infrastrutture, avrebbero avuto le energie per lavorare e rendere produttive anche queste terre.

Il fenomeno migratorio sosteneva Paolo Cinanni, da un punto di vista sociale ed economico, ha privato le zone di esodo della forza lavoro, di quelle energie produttive che avrebbero dovuto creare ricchezza in Calabria. Tale fenomeno vede infatti milioni di uomini crescere in un ambiente che sostiene i costi necessari per allevare i propri figli fino all’età produttiva e successivamente vede questi uomini partire nel periodo in cui hanno le migliori energie per andare a produrre reddito in altri paesi con grande beneficio di questi ultimi mentre nei i paesi di origine rimane un tessuto sociale povero e depotenziato. Certamente l’emigrazione fu favorita nel secondo dopoguerra perché in tal modo si dava una soluzione al problema della disoccupazione e della mancanza di lavoro; oltre a ciò veniva a ridursi lo scontro sociale e di classe fra braccianti e proprietari terrieri. I politici e governanti dell’epoca volevano in tale maniera che le “lotte per la terra” avessero fine, che fosse ristabilito l’ordine pubblico e affievolite le tensioni sociali con beneficio per lo status quo.

Tracciando una pennellata di quello che rimane nei paesi di emigrazione e di esodo, Paolo Cinanni, riporta alcuni passi degli scritti di Carlo Levi: “gli uomini mancano e il paese appartiene alle donne. Una buona parte delle spose hanno il marito in America. Quello scrive il primo anno, scrive anche il secondo, poi non se ne sa più nulla, certo scompare per sempre e non torna più. La moglie lo aspetta il primo anno, lo aspetta il secondo, poi si presenta un’occasione e nasce un bambino. Gran parte dei figli sono illegittimi: l’autorità delle madri è sovrana. Gagliano ha milleduecento abitanti, in America ci sono duemila Gaglianesi; Grassano ne ha cinquemila e un numero quasi uguale di grassanesi sono negli Stati Uniti. In paese ci restano molte più donne che uomini; chi siano i padri non può più avere un’importanza così gelosa” … “Alcuni tornavano disadattati, altri riuscivano a riprendere la vita paesana e dimenticando le sofferenze subite oltreoceano, tornavano a parlare di “paradiso americano” che nessuno di loro aveva in realtà mai conosciuto”.

Gli anni ’45-53 sono dunque per Paolo anni di azione, di lotta attiva sui campi e sulle strade, alla testa dei contadini, dei braccianti e dei lavoratori disoccupati che lo vedono protagonista oltre che delle lotte per la terra anche della sperimentazione e dell’attuazione degli “scioperi a rovescio”, nuovo strumento di lotta politica di cui si dota il movimento democratico italiano uscito dalla dittatura fascista e dalla guerra. Il territorio era sprovvisto delle strutture minime e necessarie, la difficile situazione postbellica aveva seminato disoccupazione e sconforto e le autorità costituite non riuscivano a dare risposta ai gravi problemi economici della fame e del lavoro particolarmente acuti nel mezzogiorno. Toccava alla popolazione prendere le iniziative, invertire la rotta, darsi da fare: il lavoro si poteva creare costruendo le strutture che mancavano come fecero ad esempio gli operai della Sila che iniziarono senza essere retribuiti ad effettuare i lavori di preparazione della ferrovia Cosenza San Giovanni in Fiore ed anche i lavori per il compimento delle dighe dei laghi Arvo e Ampollino che furono poi terminate dalla SME, la Società Meridionale dell’Elettricità di Napoli.--Le opere furono iniziate dallo Stato tra il 1922 ed il 1931 ma rimasero sospese appunto fino agli anni ’50 quando con gli scioperi a rovescio si diede nuovo impulso per portarle a termine. Si trattava di attuare il diritto al lavoro, attraverso la realizzazione delle infrastrutture necessarie e attraverso il dovere all’impegno sociale.

Paolo Cinanni era convinto che non si poteva liquidare la Questione Meridionale e considerarla ormai superata dai tempi e dagli eventi che registravano intanto flussi frenetici d’emigrazione verso le grandi capitali del nord Italia o del nord Europa. Troppe contraddizioni restavano irrisolte. Per la dirigenza nazionale del Pci ed in particolare per Emilio Sereni esisteva solo una prospettiva nazionale, non c’era spazio per una presunta specificità del sud, per Paolo Cinanni invece esisteva una specificità meridionale come sosteneva in qualità di segretario dell’ACMI (l’Associazione dei contadini del mezzogiorno d’Italia), incarico assegnatogli dopo la parentesi piemontese dal ’53 al ’56. Fu proprio tornando dal Piemonte che Paolo Cinanni si rese conto della diversità dei problemi nelle due aree del paese, perché diversa era la struttura produttiva agraria. Nel sud permanevano le battaglie per l’abolizione dei patti agrari, ancora presenti, mentre nel nord i problemi del tessuto imprenditoriale agricolo cominciavano ad avere caratteristiche di tipo intensivo e capitalistico.

Cinanni rimase segretario dell’organizzazione (creata nel dicembre 1951 da Ruggero Greco) dal ’56 al ’62, anno della fine dell’Associazione stessa: allorché Emilio Sereni, presidente dell’Alleanza dei Contadini (l’organizzazione federativa che unifica le strutture dell’Acmi e dell’Associazione Coltivatori Diretti presente nel nord) convinse i dirigenti del movimento che non c’era più motivo di mantenere due organizzazioni distinte.

Se gli anni ’50 sono stati per Paolo anni di azione e di passione, con gli anni ’60 inizia un periodo di maggiore riflessione, di produzione teorica di saggi e pubblicazioni pregevoli, di raccolta e sintesi delle esperienze vissute di cui daremo conto al termine di queste note biografiche. Sono gli anni dei viaggi in Svizzera e in Germania e degli incontri con gli emigrati. Insieme alle organizzazioni sindacali cercava di creare un fronte unico di lavoratori che lottassero per conquistare e preservare i diritti comuni cercando di superare le forme di divisione che facevano comodo al padronato il quale poteva così mantenere bassi i salari ed alto lo sfruttamento. Erano gli anni in cui Paolo sosteneva che l’unità operaia era la linea strategica che poteva dare scacco alle manovre di divisione operate nel fronte proletario da parte dell’imperialismo e che poteva aprire una prospettiva rivoluzionaria per di tutti gli sfruttati e gli oppressi.

Gli anni sessanta sono anni di sintesi politica e di elaborazione e promozione degli interessi dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie, con la creazione nel 1967 insieme a Carlo Levi della FILEF (Federazione dei Lavoratori Emigrati e delle loro Famiglie), la pubblicazione dei volumi sull’emigrazione, la rivista mensile della FILEF e le numerose pubblicazioni ed iniziative in Italia ed in Europa, nonché tutti i lavori sulle lotte per la terra e sulle questioni agrarie considerate strettamente legate al problema dell’emigrazione. Con Carlo levi inizia anche il periodo di interesse per la pittura con la quale si apre un altro capitolo interessante e fecondo della vita di Paolo Cinanni.

Negli gli anni settanta inizia la collaborazione con l’Università di Urbino all’Istituto di Filosofia. Sull’onda del vasto movimento del 1968, il direttore dell’Istituto Carmelo Lacorte insieme al corpo docente aveva deciso di sperimentare nuove forme di didattica creando un collettivo di docenti, studenti e personale non docente impegnati a realizzare un’unione dell’attività didattica istituzionale e dell’impegno politico. Fu così che l’ateneo retto da Carlo Bo si aprì all’esterno e alla collaborazione oltre che di docenti anche di uomini di cultura, di teatro, di politici, artisti. In questo contesto si colloca l’importante collaborazione di Paolo Cinanni presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Urbino. Fu così che nell’anno accademico 1973/1974 la scuola di perfezionamento chiama, in quanto “cultori della materia”, Paolo Cinanni all’insegnamento di Storia dei partiti e dei movimenti politici, accanto a Dario Fo per l’insegnamento dell’Estetica, a Franco Ramat per l’insegnamento di Filosofia del Diritto. Paolo Cinanni nel suo corso trattava: “Il movimento contadino nel sud Italia 1943-1949” ed in un secondo tempo: “La sconfitta del movimento contadino e la ripresa dell’emigrazione nel II dopoguerra”. Fu una grande scoperta per i professori dell’Università di Urbino constatare come con la sperimentazione di questa nuova didattica, autori come De Martino, Carlo Levi, Paolo Cinanni, Pier Paolo Pasolini, Amilcar Cabral, Franz Fanon, mettessero in luce il fatto che “gli emigrati della Calabria, i pastori di Orgosolo, i popoli delle periferie in movimento e i dannati della terra, facessero parte tutti di un unico grande movimento contro lo sfruttamento ed il loro secolare sradicamento.

I professori dell’Università di Urbino lo hanno sempre ricordato con grande affetto come un uomo dall’aspetto dolce e mite, pieno di energie dirompenti e con grande temperamento che ha dato un contributo intellettuale e didattico non solo con le parole ma con la vita che nella sua interezza è stata di testimonianza e insegnamento. Proprio in virtù di questo carisma, ricordano i professori Giorgio Baratta e Peter Kammerer, cineasti come Straub-Huillet lo hanno voluto nel film “Dalla nube alla resistenza” (1978) o nell’intervista di Gianni D’Amico nel film documentario “Gramsci l’ho visto così” (1978). Fu proprio Paolo Cinanni, con il suo richiamo al Gramsci delle “tesi sulla questione meridionale”, a svelare in alcuni dei professori la curiosità per un pensatore piuttosto ignorato fino a quel momento nelle ricerche dell’Istituto di Filosofia e fu grazie a Cinanni che l’Istituto poté organizzare una grande mostra su Carlo Levi all’interno dell’Università.

Vorremmo concludere queste note biografiche con le parole che gli stessi professori Giorgio Baratta e Peter Kammerer, suoi amici, hanno usato nel ricordarlo: ”Ci è sempre rimasta in mente la dedica con la quale apre il volume Emigrazione e Imperialismo: “A mio padre, migrato per ben sei volte oltreoceano che ho conosciuto all’età di nove anni e per pochi mesi soltanto, prima che morisse del male contratto nell’emigrazione”. Da questo mondo che Paolo Cinanni ha contribuito a cambiare ci separano decenni che sembrano secoli. Altri continuano a soffrire il vecchio sfruttamento… L’Università che dovrebbe essere un luogo di studio e di ricerca per il benessere degli umani, trascura questi problemi ma ci sono e ci sono state delle eccezioni. Una di queste è stato l’insegnamento più che decennale svolto da Paolo Cinanni all’Università di Urbino”.

Cinanni era persona particolarmente sensibile verso i giovani, le loro aspirazioni, le loro idee. Ad esempio si può citare l'esperienza che hanno avuto alcuni giovani di San Giovanni in Fiore negli anni ottanta i quali hanno trovato in Cinanni la disponibilità ad assumersi l'incarico di direttore responsabile di un giornale ciclostilato e redatto da quei giovani (Nuovo GNIKS). Su ogni numero del periodico era riportata la seguente dichiarazione: «Assumo la responsabilità richiesta dalla legge per la pubblicazione di questo giornale, per dare ai giovani un mezzo di libera espressione, nella convinzione che ciò servirà non solo alla loro propria formazione responsabile, ma alla causa della libertà e della verità».

Cinanni è stato molto presente nella cittadina di San Giovanni in Fiore dove ha conosciuto Serafina Iaquinta, la donna che poi ha sposato e da cui ha avuto 3 figli: la maggiore Katia e a seguire Andrea e Giovanni. Si è trasferito poi a Roma dove ha trascorso la vita insieme alla famiglia fino all' '88, quando è morto. Il legame politico era così intenso da trasformarsi anche in legame affettivo che Cinanni ha fatto di San Giovanni in Fiore la sua terra elettiva ed in essa è stato sepolto.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Le terre degli Enti, gli usi civici e la programmazione economica, Alleanza nazionale dei contadini, Roma, 1962.
  • La funzione del comune rurale per il progresso dell’agricoltura, Alleanza nazionale dei contadini, 1962.
  • Emigrazione e imperialismo, Editori Riuniti, Roma, 1968, 1971, 1975.
  • Emigrazione e unità operaia, Feltrinelli, Milano, 1972, 1976.
  • Emigration und Imperialismus, Trikont Verl Bücher, München, 1968.
  • Emigration und Arbeitereinheit, Cooperative, Frankfurt/M, 1974.
  • Lotte per la terra e comunisti in Calabria 1943/1953, Feltrinelli, Milano, 1977.
  • Lotte per la terra nel Mezzogiorno 1943/1953, Marsilio Editori, Venezia, 1979.
  • Il Passato Presente (una vita nel P.C.I.), Grisolia Editore, Marina di Belvedere (CS) 1986.
  • Il partito dei lavoratori, Jaca Book, Milano, 1989.
  • Abitavamo vicino alla stazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Donne e Uomini della Resistenza: Paolo Cinanni, in ANPI. URL consultato il 20 marzo 2018.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Saverio Napolitano, Campagne, cultura, emigrazione nel pensiero di Paolo Cinanni. Lettere e immagini 1944-1984, Ardore Marina, AGE, stampa 2010.
  • Giovanni Cinanni, Salvatore Oliverio (a cura di), Abitavamo vicino alla stazione. Storia, idee e lotte di un meridionalista contemporaneo, Rubbettino, 2005
  • Rodolfo Ricci (a cura di), Che cos'è l'emigrazione - Scritti di Paolo Cinanni Archiviato il 21 luglio 2021 in Internet Archive. - FILEF 2016

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