L'ora di Barabba

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L'ora di Barabba
AutoreDomenico Giuliotti
1ª ed. originale1920
Generesaggio
Lingua originaleitaliano

L'ora di Barabba è un libro di Domenico Giuliotti, pubblicato nel 1920 per i tipi di Vallecchi.

L'opera ebbe molto successo e fu recensita positivamente da intellettuali come Piero Gobetti[1] e Piero Bargellini[2]. Il libro ebbe cinque edizioni curate dall'autore. Nel volume Giuliotti raccolse testi scritti tra il 1914 e il 1920, dipingendo a tinte fosche la crisi della civiltà che aveva visto delinearsi nei primi decenni del '900. Il tempo presente è, secondo Giuliotti, l'ora di Barabba: «dopo venti secoli, Gesù è ancora in agonia sulla Croce, solo. […] Ma Barabba, assolto, illuminato dai suoi delitti, conquista il mondo. Queste pagine sono state scritte ed appaiono durante la sua marcia infernale.»

Giuliotti rigetta tutta la modernità fin dalla sua genesi: «antiliberale, antidemocratico, antisociale, anticomunista» si sente «in questa Italia di briganti pazzi» come «uno straniero che non ha più patria». «[…] la Libertà, l'Umanità, la Democrazia, la Civiltà, la Scienza. Per essi si muore come cani; con essi si vive come porci» si legge nella pagina d'inizio del libro. Considera la storia moderna un susseguirsi di apostasie, che, allontanando l'uomo da Dio, lo condannano all’infelicità («il Rinascimento, la Riforma, La Rivoluzione Francese, il Liberalismo, il Socialismo e l'Anarchia derivano l’uno dall’altro e formano gli anelli dell’attuale catena che, in nome dell’idolatrata libertà, ci fa tutti schiavi.»)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nel «libro di Giuliotti L’ora di Barabba, non c’è soltanto poesia, c’è una notevole rispettabile fede maturata in una poderosa unità, in ferreo anacronismo. La rude sincerità di Giuliotti richiama il cattolicismo alla sua logica medioevale e diventa, come altrove s’è notato, forza feconda, dialettica attraverso cui il mondo moderno ritrova la sua unità. Il programma di Giuliotti può sembrare esaltato o intemperante alle mezze coscienze, paurose di ogni posizione rigida, tolleranti per comodo o per poca serietà; esso ha un vizio chiaro di anti-storicismo messianico, ma su tutti i messianismi utilitaristi e riformisti, ha la superiorità che scaturisce da una terribile coerenza ideale, e da una limpida fede, ingenua e combattiva, nella trascendenza. E noi stimiamo la sua intransigenza che non ci stancheremo di combattere, mentre consideriamo con disdegno tutti i catechismi predicanti transazioni e conciliazioni» Riportato in un servizio di G. Lugaresi alla Radio Vaticana, del 2 gennaio 1976.
  2. ^ Bargellini definì il romanzo «la denunzia di tutte le ipocrisie, con le quali si era tentato di ricoprire l’immenso carnaio bellico, e di tutte le frodi compiute nel nome di ideali falsi e bugiardi. Domenico Giuliotti non voleva più parlare di ‘ideali’, cioè di ‘idoli’, ma della verità. E di verità, per lui non ce n’era che una: quella del Cristo e della sua Chiesa. Tutto il resto apparteneva di fatto e di diritto, a Barabba, di cui, sul mondo, batteva, piena e spiccata, l’ora meridiana.»
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