Disperazione (Giotto)

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Disperazione
AutoreGiotto
Data1306 circa
Tecnicasconosciuto
Dimensioni120×60 cm
UbicazioneCappella degli Scrovegni, Padova

La Disperazione (Desperatio) è un affresco (120×60 cm) di Giotto, databile al 1306 circa e facente parte del ciclo della cappella degli Scrovegni a Padova.

Le serie delle Virtù (parete destra) e dei Vizi (parete sinistra) decorano la fascia inferiore delle pareti, situate in corrispondenza delle fasce ornamentali a sinistra e in posizione sfasata rispetto alle scene figurate a destra, per via della presenza delle finestre. Precise rispondenze collegano le scene opposte nelle pareti e in generale simboleggiano, per chi entra nella cappella, il percorso nella vita reale verso le beatitudine, aiutati dalle virtù contro i pericoli dei vizi.

La critica ottocentesca (ripresa poi da Gnudi) relegò un po' superficialmente queste raffigurazioni a monocromo tra i lavori eseguiti dalla bottega, mentre la critica successiva (da Marangoni in poi, 1942) ha riconosciuto un contributo più sostanziale del maestro, arrivando a stabilire una quasi sicura autografia per le migliori del ciclo. In ogni caso si tratta di lavori di notevole qualità, come dimostra la fine cura del dettaglio. Salvini ne lodò l'immediatezza e la riflessione psicologica che anima le figure e la loro scelta.

Ogni raffigurazione ha il nome in latino in alto e in basso conteneva una dicitura esplicativa (sempre in latino), oggi quasi sempre illeggibile.

La scelta di rappresentare figure a monocromo tra specchiature marmoree, come finti bassorilievi, ebbe una formidabile eco nell'arte, che si propagò ancora nel Rinascimento, dagli sportelli esterni dei polittici fiamminghi alle Stanze di Raffaello, dalla camera della Badessa di Correggio alle finte statue della galleria Farnese.

Descrizione e stile

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Opposto alla Speranza, l'allegoria della disperazione (anche etimologicamente opposto di Spes) non potrebbe essere un'immagine più chiara: una figura femminile impiccata, con le mani tragicamente contratte nello spasmo doloroso della morte violenta. La spessa corda pende da una stanga piegata dal peso e il collo appare spezzato, denotando uno studio dal vero dei condannati a morte che spesso venivano lasciati fuori dalle città a monito. Il demonio strappa i capelli alla donna per ricordare come essa, rifiutando la virtù teologale della speranza sia condannata alle pene infernali. Anche in questa scena, come nella vicina Invida, graffi antichi deturpano il diavolo e il volto della donna, nel tentativo popolare di scongiurarne la carica malefica.

La scena è accoppiata alla Speranza sul lato opposto, che a differenza della pesantezza dell'impiccata, ascende leggera verso Dio.

  • Luciano Bellosi, Giotto, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2
  • Edi Baccheschi, L'opera completa di Giotto, Rizzoli, Milano 1977. ISBN non esistente