Dal liceo ad Auschwitz - Lettere di Louise Jacobson

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Dal liceo ad Auschwitz - Lettere di Louise Jacobson
Titolo originaleLes lettres de Louise Jacobson et de ses proches : Fresnes, Drancy, 1942-1943
Rovine del campo di concentramento di Auschwitz
Autore(edizione originale: Nadia Kaluski-Jacobson)
1ª ed. originale1989
1ª ed. italiana1996
Genereepistolario
Lingua originalefrancese
Ambientazione1942-1943, Francia, Prigione di Fresnes (Valle della Marna), campo di internamento di Drancy
PersonaggiLouise Jacobson

Dal liceo ad Auschwitz - Lettere di Louise Jacobson è un libro che raccoglie le lettere inviate durante la prigionia a parenti e amici da Louise Jacobson, una studentessa liceale parigina di famiglia ebrea, uccisa nel febbraio 1943 nella camera a gas del campo di concentramento di Auschwitz. Sospettata di simpatie comuniste, era stata denunciata assieme alla madre Olga Golda-Riva Jacobson in maniera anonima da alcuni vicini di casa come simpatizzante comunista, ma il suo arresto al rientro a casa avvenne perché non indossava la stella gialla che identificava gli ebrei, nella Francia occupata dal regime nazista.

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

Il libro - patrocinato dalla FEDJF, l'Associazione Figli e Figlie dei Deportati Ebrei di Francia fondata nel 1979 - è dedicato alla memoria delle allieve del liceo del Cours de Vincennes (poi Hélène Boucher) arrestate dalla polizia del governo di Vichy e dai nazisti, deportate e assassinate ad Auschwitz.

Louise Jacobson, iscritta all'ultimo anno del liceo Cours de Vincennes, arrestata assieme alla madre lunedì 31 agosto 1942 soprattutto a causa delle pubblicazioni rinvenute nella cantina di casa che testimoniavano delle simpatie politiche orientate alla sinistra dei fratelli Jacobson (i cui genitori vivevano da qualche tempo separati), scrisse ai parenti (padre, due sorelle e un fratello), amici e compagni di scuola ventisette lettere in tutto, nel periodo compreso fra il 1º settembre 1942 e il 13 febbraio 1943[1].

La maggior parte delle missive (ventuno) vennero spedite dalla prigione di Fresnes (un luogo di detenzione e tortura soprattutto per esponenti comunisti aderenti alla Resistenza francese). Le restanti sei (le più dolenti, quando i mesi di detenzione erano ormai sei e la fine era ormai prossima) furono inviate dal campo di internamento di Drancy, dove la studentessa venne trasferita a ottobre 1942 prima della definitiva deportazione ad Auschwitz.

L'epistolario è stato raccolto dalla sorella di Louise, Nadia Kaluski-Jacobson, che nel 1989, sull'onda del montante revisionismo storiografico tendente se non a smentire quanto meno a ridurre di portata i crimini del nazismo, ha deciso di pubblicarle - su insistenza[2] di Serge Klarsfeld, avvocato di professione e presidente dell'Associazione dei figli e delle figlie degli ebrei deportati di Francia che negli anni settanta si è battuta perché si svolgesse a Colonia un processo contro criminali di guerra nazisti che fino ad allora scampati a procedimenti penali - per le Éditions Robert Laffont con il titolo Les lettres de Louise Jacobson et de ses proches: Fresnes, Drancy, 1942-1943.

Nel gennaio 1989 scrive Nadia Kaluski-Jacobson, nell'introduzione "alle lettere di mia sorella":

«Mi sono stupita io stessa di non aver assunto quest'iniziativa fin dal giorno della liberazione (nota: si riferisce alla possibilità di una pubblicazione dell'epistolario) [...] senza rendercene conto, abbiamo cercato di tenere nascosto quel periodo, di far ritorno alla vita, [...]. Lo stesso fenomeno si verificò fra i pochi scampati dai campi di concentramento, che soltanto 45 anni dopo la loro liberazione hanno avuto la forza di raccontare la propria esperienza [...]. Dopo qualche decennio di prudente silenzio, gli assassini e i loro compagni, presi dalla nostalgia di quel tempo maledetto, hanno osato negare la realtà dei crimini commessi. [...]»

Di qui la decisione della pubblicazione delle lettere, perché "la memoria sopravviva", mantenendo vivo "un ricordo del passato che possa proiettare validamente nel futuro".

Anna Frank di Francia[modifica | modifica wikitesto]

Sorta di Anna Frank francese, Louise Jacobson scrisse le sue lettere usando la scrittura tipica del diario, compitando cioè gli eventi del giorno, registrando le (poche) novità che la reclusione consentiva, e le aspettative per una liberazione che sperava prossima ma che sentiva improbabile. In esse e con esse, rivolgendosi essenzialmente alla sorella maggiore Nadia (al padre, che poteva vederla due volte la settimana, al giovedì e alla domenica nel carcere di Fresnes, ne furono inviate in minore misura), la giovane lascia trasparire serenità e speranza[1] e cerca più e più volte di rassicurare i propri cari cercando di trasmettere loro un senso di serenità che non è rassegnazione. Solo in quelle inviate alle amiche traspare lo scoramento e la preoccupazione per il futuro[4].

La meticolosità con cui dà conto ai familiari della quotidianità (in particolare degli orari dei pasti, dell'attività ginnica e del lavoro di rammendo e ricamo, ma anche la descrizione della vita a stretto contatto con detenute di ogni tipo - da quelle politiche a quelle comuni, fra cui donne arrestate per semplici furti e donne di malaffare - e delle lunghe ore in attesa dei pacchi inviati dalla famiglia o semplicemente della consegna della corrispondenza, il surrogato di lezioni scolastiche tenute da insegnanti anch'essi detenuti) restituisce appieno il senso di costrizione in cui si era venuta a trovare l'autrice, che avrebbe compiuto i suoi diciotto anni il 29 dicembre 1942 nel campo di internamento di Drancy. Di lì a un paio di mesi avrebbe poi intrapreso il viaggio senza ritorno verso Auschwitz.

Scrive Louise in una delle ultime lettere al padre (la lettera è datata Drancy, giovedì 28 gennaio 1943, una ventina di giorni prima della sua morte ad Auschwitz):

«[...] A due giorni di distanza l'una dall'altra, ho avuto due lettere di Nadia (nota: la sorella maggiore) così traboccanti di tenerezza che ne avrei pianto. Leggo e rileggo quiei fogli, ormai conosco tutti i vostri scritti a memoria, uno per uno. Sono così commossa da tante attenzioni. Ho ricevuto ieri un pacco da Nadia. Senti cosa ho trovato dentro: pasticceria secca, cioccolata, salame, fette biscottate e un grande dolce, tutto intero, cosa credi?, e buono, buono!!!. È semplice, mi sto ingozzando come un porcellino. Quel pacco lo aspettavo da due giorni con una impazienza incontenibile. Morivo dalla voglia di vedere le fotografie. Non vedevo Nadia da sei mesi, tremavo guardandole. Charlot e e Paulette (nota: gli altri fratelli) sono eleganti come sempre: mi fa molto piacere che siano così in forma [...]»

E ancora, senza perdere il desiderio di provare a scherzare e per cercare di infondere ottimismo, scrive in una lettera indirizzata 'collettivamente' ai congiunti da Drancy l'8 febbraio 1943 (è la penultima missiva prima del trasferimento ad Auschwitz):

«Che fortuna miei adorati, danzerei di gioia! [...] Ho ricevuto il vostro pacco e non faccio che mangiucchiare tutti i dolciumi. Nadia adorata, la torta era formidabile, ti annuncio che se il ripieno era una bontà, la pasta mi è sembrata ancora migliore. [...] Seguo con molta assiduità le lezioni (nota: corsi di studio e conferenze erano tenuti nel campo di concentramento da alcuni docenti anch'essi deportati[1]) [...] Siamo una banda di compagni molto affiatati. Danile, Philippe, Roland, Emmanuel e poi Monique, Claire, Ruth e io. Noi quattro ragazze formiamo il "quadrilatero" o "il triumvirato" o "i tre moschettieri": siamo le più studiose, le più carine, le più intelligenti. [...] La vita che conduco mi tempra il carattere e mi obbliga ad arrangiarmi da sola. Nonostante qualche "inconveniente" non sarà tutto perduto e io qualcosa l'avrò imparata. Vengo a contatto con molta gente sempre diversa e mi capita di sentire storie così dense di emozioni che potrei intrattenervi mille e una notte a raccontarvi tutto [...] Mia cara Nadia, io sono molto coraggiosa, ma non credo di avere tutta la filosofia di Gilbert (nota: è il cognato, marito della sorella Nadia), anzi sono all'opposto. Sono molto attaccata alle vanità terrene, sono piena di civetterie [...]»

La targa commemorativa[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1994, il 25 aprile, il Ministro degli Anziani combattenti e delle Vittime della guerra ha fatto affiggere una targa sull'edificio in cui Louise e la madre abitavano, in rue des Boulers, a Parigi:

«In questo immobile
furono arrestate
Louise Jacobson di 17 anni
e sua madre Olga Jacobson.
Esse furono deportate
e assassinate ad Auschwitz nel 1943
perché ebree.
Le "Lettere di Louise Jacobson"
restano per la storia
una testimonianza inestimabile.»

L'edizione italiana[modifica | modifica wikitesto]

In Italia il testo è stato pubblicato nel febbraio 1996 sotto il titolo Dal liceo ad Auschwitz - Lettere di Louise Jacobson, e con traduzione di Mirella Caveggia, da L'Arca Società Editrice dell'Unità, che lo ha distribuito in abbinata al giornale quotidiano l'Unità. In questa versione il libro riporta una presentazione di Elio Toaff e un'introduzione di Francesca Sanvitale.

È integrato con una sezione "Documenti" che riporta il testo delle leggi antiebraiche francesi in vigore durante la seconda guerra mondiale e gli atti relativi all'operazione di polizia contro la comunità ebraica parigina del luglio 1943 conosciuta come La grande retata parigina detta del Velodromo d'Inverno (parte del materiale era rimasto sconosciuto ed è stato pubblicato per la prima volta solo nel 1958 da La Tribune Sioniste de France).

Su questo argomento viene riportato uno scritto di Serge Klarsfeld e il resoconto di Sarah Lichtsztejn, un'alunna che frequentava anch'essa lo stesso Liceo Cours de Vincennes a cui era iscritta Louise, scampata dapprima alla retata ma poi nuovamente catturata e deportata nel maggio 1944 in campo di concentramento assieme alla madre Maria, già vittima anni prima ai pogrom russi. Sarah e sua madre vennero arrestate durante la retata del Velodromo d'Inverno il 16 luglio 1942. Riuscite a fuggire, godono di un paio di anni di semilibertà, ovvero fino a quando vengono denunciate sulla base di una delazione e deportate ad Auschwitz[1]. Il racconto di Sarah si riferisce appunto alla condizione di deportata in campo di concentramento, esperienza che la giovane restituisce nella pagina scritta con la sorpresa e lo smarrimento di una giovane poco più che adolescente[1].

Per non dimenticare[modifica | modifica wikitesto]

Nella sua introduzione, Sanvitale riprende le parole conclusive di Nadia Kaluski Jacobson a commento della pubblicazione delle lettere della sorella Louise, quarantacinque anni dopo la sua morte nel lager di Auschwitz:

«È assolutamente necessario lasciare tracce concrete e tangibili.»

Poiché - parole di Sanvitale - "ogni traccia è una persona, un carattere, una storia che insegnano qualche cosa alla collettività. È una presenza permanente" che non va rimossa né dimenticata.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Vedi: Sindromedistendhal.com Archiviato il 20 novembre 2008 in Internet Archive.
  2. ^ "Dal liceo ad Auschwitz", di Louise Jacobson, su deportati.it, ANED - Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti. URL consultato il 4 agosto 2020 (archiviato dall'url originale il 31 luglio 2012).
  3. ^ Pag. 170-171 del libro
  4. ^ Fonte: Mangialibri.com Archiviato il 7 gennaio 2011 in Internet Archive.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Edizione originale[modifica | modifica wikitesto]

  • Kaluski-Jacobson, Nadia, Les lettres de Louise Jacobson et de ses proches: Fresnes, Drancy, 1942-1943. Éditions Robert Laffont|, 1999 ISBN 2-221-08435-7.

Edizione italiana[modifica | modifica wikitesto]

  • Dal liceo ad Auschwitz - Lettere di Louise Jacobson, pag. 175, presentazione di Elio Toaff, introduzione di Francesca Sanvitale, traduzione di Mirella Caveggia, L'Arca Società Editrice dell'Unità, 1996.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • Bibliografia correlata [collegamento interrotto], su teatrodelleariette.it.