Averardo Borsi

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Averardo Borsi

Averardo Borsi (Castagneto Carducci, 26 marzo 1858Firenze, 26 dicembre 1910) è stato un giornalista e scrittore italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Padre dello scrittore Giosuè Borsi, nacque a Castagneto di Maremma, oggi denominato Castagneto Carducci. Terminata l'istruzione primaria, per sua stessa volontà, non intese seguire i corsi di studio ordinari ma, grazie all’aiuto del poeta Giosuè Carducci, suo conterraneo ed amico di suo padre, riuscì da autodidatta a dotarsi di solida cultura storica e letteraria.[1] Nel 1885, dopo il matrimonio con Verdiana (Diana) Fabbri sua conterranea, per rendere meno precaria la propria condizione economica, si trasferì a Livorno in cerca di una occupazione adattandosi a fare dapprima il contabile, poi il tabaccaio.[1]
Intanto però aveva cominciato a scrivere articoli per la «Gazzetta Livornese» e per «Il Telegrafo» il direttore del quale, Giuseppe Bandi, apprezzando i suoi scritti, non tardò a chiamarlo al suo giornale al quale il Borsi collaborò per qualche tempo.
Passò quindi alla direzione de «Il Mare», un settimanale fondato nel 1872 da Giuseppe Chiarini, Giosuè Carducci e Ottaviano Targioni Tozzetti.[1]. Si trasferì poi a Pisa per dirigere il quotidiano «L'Elettrico», e successivamente a Vicenza alla direzione del «Corriere vicentino». Quindi tornò a Livorno per fondare e dirigere il «Corriere Toscano».[1]. Nel 1897, assieme ad Alceste Cristofanini, acquistò la «Gazzetta Livornese» e il «Telegrafo» assumendo la direzione di entrambi.[1][2] Nel 1898 gli nacque un figlio che volle chiamare Giosuè in omaggio al suo maestro e amico Carducci il quale fu padrino, per procura, al battesimo.[2]
Membro sin dai suoi primi tempi del "Circolo filologico" di Livorno, di cui faceva parte anche Carducci, fu in amicizia con vari personaggi dell'ambiente letterario e culturale dell'epoca fra cui Pascoli, Pascarella, D'Annunzio, Marradi, Mascagni.[1]
Inoltre, essendo notoriamente un pugnace giornalista di tendenze radicali,[1][2] non mancò di partecipare alle battaglie politiche dell'epoca e strinse amicizia con vari personaggi in quell'ambiente: Ferdinando Martini, Giovanni Giolitti, Urbano Rattazzi ed altri.[1]
Infine nel 1910 si trasferì a Firenze, per dirigere il «Nuovo Giornale»[2] ma, poco prima della fine di quello stesso anno, il 26 dicembre,[3] Averardo Borsi moriva per un improvviso attacco di peritonite,[1] succedendogli il figlio Giosuè alla direzione di quell'ultimo suo quotidiano.[2]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Averardo Borsi, Il dominatore, dramma in tre atti, - S. Belforte & C., Livorno, 1906.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i Laura Morotti, Borsi Averardo, su SIUSA Archivi di personalità. URL consultato il 26 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2022).
  2. ^ a b c d e Nello Vian, BORSI Giosuè, su Dizionario Biografico Treccani, 13 (1971).
  3. ^ Chi era Giosuè Borsi, su saffi.edu.it. URL consultato il 26 gennaio 2021 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2022).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • M. Campana, "Ricordo di Averardo Borsi, un moschettiere dell'800", in "Il Tirreno", 27 aprile 1949
  • R. Cecchini, "Il potere politico a Livorno: cronache elettorali dal 1881 al fascismo", Livorno, Ed. Nuova Fortezza, 1993
  • E. Piccioni Lami - A. Piotti, "I periodici livornesi dell'Estrema, 1860-1882", Livorno, Ufficio Pubblicazioni del Comune - Quaderni della Labronica n. 61, 1995

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