Annette Muller

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Annette Muller (Parigi, 15 marzo 1933Le Blanc-Mesnil, 9 agosto 2021[1]), di famiglia ebraica, è stata una delle poche bambine superstiti del rastrellamento del Velodromo d'inverno, avvenuto a Parigi il 16 e 17 luglio 1942, in cui la polizia francese del Governo di Vichy prelevò migliaia di famiglie ebree (12.884 persone, tra cui 4.115 bambini), poi avviate ai campi di concentramento. La sua autobiografia (edita nel 1991) costituisce una delle poche testimonianze dirette della terribile vicenda.

Monumento commemorativo del rastrellamento del 1942
Monumento commemorativo (particolare)

La prima infanzia[modifica | modifica wikitesto]

Annette Muller è nata da genitori ebrei polacchi, provenienti da Tarnów, trasferitisi poco più che ventenni in Francia nel 1929 per sfuggire alla povertà ed all'antisemitismo crescente. La madre Rachel (? 1907-1942) proveniva da una famiglia povera e molto religiosa; il padre Manek (? 1909-2002), militante comunista, era un giovane apprendista sarto. Si stabilirono a Parigi, nel cuore di Ménilmontant, dove nacquero i quattro figli. Il padre svolgeva la propria attività con l'aiuto della moglie nel piccolo appartamento di Rue de L'Avenir n. 3 ed era entrato in contatto coi sindacalisti della CGT-MOI (Main d'œuvre immigrée).[2][3]

Il rastrellamento del 1942[modifica | modifica wikitesto]

Con l'occupazione tedesca della Francia nel 1940 e l'inizio delle persecuzioni antisemite, Annette si trova a vivere la difficile esperienza dei bambini dell'Olocausto. Il padre perse il lavoro; al momento del rastrellamento era pero' fuori Parigi, in attesa di entrare nel campo di lavoro per ebrei immigrati a Creil (dipartimento dell'Oise); avvisato delle operazioni in corso, riuscì a fuggire e a nascondersi.[2][4] All'arrivo della polizia francese i due figli più grandi (Henri e Jean, di 10 e 11 anni) riuscirono a fuggire e, riunitisi al padre, si salvarono dalla persecuzione perché ospitati presso l'Orfanotrofio di Neuilly-sur-Seine (l'Haÿ-les-roses) di Suor Clotilde Régereau[5], delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli.[2][6] Annette, con la madre e il piccolo Michel (n. 1935) di sette anni, furono prelevati, condotti prima al campo temporaneo del Vélodrome d'Hiver e poi dopo sei giorni deportati nel centro di detenzione di Beaune-la-Rolande. Qui tutti i bambini furono presto separati dai genitori, lasciati a loro stessi privi di cure e sottoposti alle angherie delle guardie del campo.[2][4]

Le sorti della famiglia e la testimonianza[modifica | modifica wikitesto]

La madre riuscì a corrompere una guardia e ad inviare una lettera al marito; come tutti gli adulti fu trasferita ad Auschwitz, dove morì nello stesso 1942. I bambini prigionieri furono trasferiti al campo di internamento di Drancy. Nel novembre 1942 il padre di Annette, dietro compenso e con l’aiuto di un esponente polacco dell’UGIF (Union générale des israélites de France), riuscì a far considerare i due figli internati come “lavoratori di pellami” (ouvriers fourreurs), necessari ai Tedeschi per la Campagna di Russia, e poi a farli trasferire in un ex ospedale psichiatrico (a Montmartre, in rue Lamarck), poi all’Orfanotrofio cattolico a Neuilly-sur-Seine di Suor Clotilde, dove si ricongiungerà con i due fratelli fuggiti, ed infine al Mans (orfanotrofio ebraico) fino al 1947.[3]

Nel dopoguerra, Annette Muller sposata Bessmann ha svolto diverse occupazioni prima di diventare formatrice di personale pubblico.[7]

Nel 1991 Annette Muller ha pubblicato la sua autobiografia in cui fornisce testimonianza dei tragici eventi.

«[Di notte] all’improvviso ho sentito dei colpi terribili contro la porta. Ci siamo alzate, con il cuore in gola. Due uomini sono entrati nella stanza, grandi, con degli impermeabili beige. «Sbrigatevi, vestitevi!» ci hanno ordinato, «Vi portiamo via». Di colpo, ho visto mia madre mettersi in ginocchio, strisciare, afferrare le gambe degli uomini beige, singhiozzare e pregare: «Per favore, prendete me, ma non i miei figli». Loro la spinsero via.»

Filmografia[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (FR) Annette Muller, La petite fille du Vel' d'Hiv, Éditions Denoël, Paris, 1991: nuova edizione Annette e Manek Muller, Annette Muller. La petite fille du Vel' d'Hiv, Éditions Cercil, Orléans, 2009, con prefazione di Serge Klarsfeld, prix Lutèce du Témoignage
  • (FR) Maurice Rajsfus, La rafle du Vél d'Hiv, ed. Presses universitaires de France, 2002, 31 ss.
  • (FR) Serge Klarsfeld, French Children of the Holocaust, New York University Press, 1996, 45 ss.
  • (IT) Laurence Rees, Auschwitz. I Nazisti e la soluzione finale, Oscar Storia Mondadori, Milano, 2006, 115 ss.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN17269036 · ISNI (EN0000 0001 0797 421X · LCCN (ENn91045784 · GND (DE14078487X · BNF (FRcb12194831x (data) · J9U (ENHE987007311008405171 · WorldCat Identities (ENlccn-n91045784