My Ding-a-Ling

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My Ding-a-Ling
singolo discografico
ArtistaChuck Berry
Pubblicazione1972
Durata11:33 (album)
4:19 (singolo)
Album di provenienzaThe London Chuck Berry Sessions
GenereRock and roll
Pop rock
EtichettaChess Records (Chess 2131)
ProduttoreEsmond Edwards
Noten. 1 Bandiera degli Stati Uniti
n. 1 Bandiera della Gran Bretagna
Certificazioni
Dischi d'oroBandiera degli Stati Uniti Stati Uniti[1]
(vendite: 1 000 000+)

My Ding-a-Ling è una canzone di Chuck Berry pubblicata come singolo dalla Chess Records nel 1972. Novelty registrata dal vivo con un testo allusivo e goliardico, My Ding-a-Ling viene ricordata per essere stata l'unica canzone dell'artista ad essere giunta al primo posto della classifica statunitense.[2]

nel 1952 Dave Bartholomew ha inciso una canzone intitolata Little Girl Sing Ding-a-Ling. Nel 1954 il gruppo The Bees ne ha pubblicata una versione dal titolo Toy Bell. Berry ha registrato la sua versione del brano, intitolandola My Tambourine nel 1968 includendola nell'album From St. Louie to Frisco . Tuttavia, la versione più celebre di quel brano è stata registrata dal vivo al Lanchester Arts Festival di Coventry, in Inghilterra, il 3 febbraio 1972, dove Berry, e il suo gruppo di accompagnamento The Roy Young Band, hanno chiuso il concerto dopo le esibizioni di Slade e Billy Preston.[2] Il disc jockey della stazione radiofonica di Boston WMEX, Jim Connors, è stato premiato con un disco d'oro per aver "scoperto" la canzone e fatta arrivare ai vertici delle classifiche.

Il brano parla di come il cantante ha ricevuto in regalo dalla nonna due campanelle d'argento, soprannominate ding-a-ling. Stando a quanto riporta il testo, Berry le porta sempre con sé e le suona a scuola, e nelle situazioni più disparate. L'intera storia ha un ben esplicito doppio senso sessuale che consiste nel continuo riferirsi al termine ding-a-ling sostituendolo al posto della parola pene. Nei versi finali della canzone, Berry ammonisce il pubblico: «Those of you who will not sing, must be playing with [their] own ding-a-ling!» ("Quelli che non cantano devono star giocando con il loro ding-a-ling!").

My Ding-a-Ling è l'unico brano di Berry giunto al numero 1 della Billboard Hot 100 per due settimane.[2] È inoltre rimasto nella classifica canadese per tre settimane, nel Regno Unito per quattro settimane ed in Irlanda ed al numero 7 in Norvegia.

A dispetto del suo successo in classifica, la canzone è stata mal accolta dalla critica e gli specialisti[2][3] in quanto è l'unico numero 1 dell'artista[non chiaro] e perché giudicata troppo volgare e "usa e getta".[senza fonte] Il DJ Alan Freeman una volta ha introdotto il brano dicendo «Oh caro Chuck, come hai potuto!?!»[senza fonte]. La rivista Rolling Stone ha inserito la traccia in una lista di "22 canzoni terribili di grandi artisti".[2] Il sito web della rivista Spin l'ha piazzata al trentunesimo posto delle canzoni peggiori realizzate da artisti molto apprezzati.[4] Per contro, Berry ha sempre dichiarato di apprezzare il brano e l'ha definito "la nostra Alma Mater".[5]

Il testo ambiguo e malizioso, così come l'entusiasmo dimostrato da Berry e dal pubblico stesso durante l'esecuzione, hanno spinto diverse stazioni radio a censurare il brano. L'attivista moralizzatrice Mary Whitehouse ha anche tentato di bandire la canzone senza però riuscirci.[6][7]

  • Chuck Berry: chitarra, voce
  • Owen McIntyre: chitarra
  • Dave Kafinetti: pianoforte
  • Nick Potter: basso
  • Robbie McIntosh: batteria
  1. ^ (EN) Chuck Berry - Ding-a-Ling – Gold & Platinum, su Recording Industry Association of America. URL consultato il 15 marzo 2020.
  2. ^ a b c d e (EN) 22 Terrible Songs by Great Artists, su rollingstone.com. URL consultato il 20 luglio 2023.
  3. ^ Genovese, Carmelo. Chuck Berry, Collana Legends Rock'n'Roll, Editori Riuniti, 2002, pag. 87, ISBN 88-359-5254-9
  4. ^ (EN) The 50 Worst Songs By Otherwise Great Artists, su spin.com. URL consultato il 20 luglio 2023.
  5. ^ (EN) Chuck Berry: An American Life, su google.it. URL consultato il 20 luglio 2023.
  6. ^ (EN) Morals Campaigner Mary Whitehouse, su worldpress.org. URL consultato il 20 luglio 2023.
  7. ^ (EN) Ban This Filth!: Letters from the Mary Whitehouse Archive by Ben Thompson, su theguardian.com. URL consultato il 20 luglio 2023.
  • The Billboard Book of Number One Hits (5th edition).
  • Guterman, Jimmy and O'Donnell, Owen. The Worst Rock-and-Roll Records of All Time, New York: Citadel.

Collegamenti esterni

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