Wikipedia:Oracolo/Archivio/giugno 2019

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Ma ha più credibilità scientifica la teoria che l'universo occupa uno spazio finito o infinito?

--130.25.181.97 (msg) 01:41, 1 giu 2019 (CEST)

Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi. X-Dark (msg) 08:55, 1 giu 2019 (CEST)

Differenziale come frazione

Buon sabato, oracolo. ti scrivo per cercare di razionalizzare in maniera più rigorosa un utilizzo del differenziale che dall'inizio dei miei studi lo scorso settembre mi spiazza. Noto in fisica, spesse volte, un utilizzo del differenziale strano. Ad esempio si fa largo uso data una funzione x=f(t) di poterla differenziare dx=f'(t)*dt e poterla addirittura "dividere" per dt per trovare una derivata. Ho iniziato analisi 2 e vedo i differenziali come mappe, insomma non riesco a capire perché posso dividere i dx dt d(tutto), li devo vedere come frazioni di funzioni? Mi trovo un poco sperso. Grazie per ascoltarmi --2001:B07:644C:E124:59B2:A0BE:341F:A94C (msg) 16:51, 1 giu 2019 (CEST)

Guarda se ti può aiutare questa discussione di un annetto fa: Wikipedia:Oracolo/Archivio/giugno_2018#Differenziale. -- Rojelio (dimmi tutto) 20:48, 1 giu 2019 (CEST)
Ciao, :). Sì ci ero capitato giusto prima di scrivere qui (ovviamente non a caso, ma avevo cercato nell'archivio "differenziale" per vedere se qualcuno ne avesse parlato in questi termini). Però non mi sembrava rispondere al dubbio, forse semplicemente non ho capito come rispondermi con quelle nozioni, o forse ho spiegato male e non ho fatto capire il mio dubbio. Il problema che essendo una funzione di due variabili (lineare da quanto leggevo), non capisco cosa voglia dire differenziare e fare rapporti dx, dy ecc; in termini fisici si usa spesso questa "tecnica", maio divido per una funzione? --2001:B07:644C:E124:59B2:A0BE:341F:A94C (msg) 00:15, 2 giu 2019 (CEST)
Qual è il problema a dividere per una funzione? Se io ti do f(x)=x+2 e g(x)=x-4, ti sembra strano calcolare r(x)=f(x)/g(x)=(x+2)/(x-4)? ^_^
df(t) e dt sono entrambe funzioni delle stesse variabili (anche se ci sono tanti sottintesi, come scrivevo un anno fa): più esplicitamente sono df(t,h) e dt(t,h), con "t" generico punto del dominio e "h" spostamento arbitrariamente piccolo da tale punto. Il loro rapporto è:
Quod erat demonstrandum. -- Rojelio (dimmi tutto) 01:12, 2 giu 2019 (CEST)
Grazie, non so perché mi fossi persuaso fosse sbagliato, ti ringrazio per la prcisazione. Direi che torna eccome! :) Scusa.
Mi piacerebbe aggiungere un PS sulla tua vecchia risposta di cui solo ora mi sono accorto, io sapevo il differenziale essere: : proprio il phi, mentre dalla tua definizione vedo essere: f(x + h) -f(x). Sono d'accordo che essendoci un uguale di mezzo e un o-piccolo siano la "stessa cosa", però uno è a conti fatti una funzione di x e h, mentre phi mi pare solo di h, hanno lo stesso valore ma il concetto è diverso. Sbaglio? (Domanda retorica, perché so che sbaglio ma non dedo dove XD)--2001:B07:644C:E124:DC32:1B9C:2D57:AAA (msg) 10:51, 2 giu 2019 (CEST)
Tieni presente che sono un ingegnere, non un matematico: se mi dici che gli infinitesimi di ordine superiore sono trascurabili, io ti prendo in parola e li tolgo di mezzo. XD
Occhio però che ne stai traendo una conclusione errata: che tu ricordi o meno di menzionare quello scarto di ordine superiore, phi è e resta funzione di due variabili. Ti stai confondendo perché l'hai trovata scritta in una trattazione che riguarda la differenziabilità in un punto, ovvero il valore della funzione differenziale con "x" vincolata e "h" lasciata libera. Ciò non toglie che la funzione differenziale nel suo complesso sia funzione di entrambe (ovvero: per ogni punto, phi dipende solo dallo spostamento, ma punti diversi hanno piani tangenti phi diversi). -- Rojelio (dimmi tutto) 11:46, 2 giu 2019 (CEST)
Grazie ancora! Sei gentile e molto chiaro, era proprio quello l'abbaglio che mi ero preso. Buona domenica, per intanto :) --2001:B07:644C:E124:DC32:1B9C:2D57:AAA (msg) 11:59, 2 giu 2019 (CEST)

Invio e ricezione email a passo di lumaca

Con tutte le email che ho usato ho sempre avuto lo stesso problema: sono lente, troppo lente. Mi chiedo come mai un servizio così basilare, che esiste praticamente dalla preistoria di internet, sia così inefficiente. Non c'è un modo per "mettere il turbo" alle email? Ma poi perché questa lentezza? Dipende dal controllo antivirus, dai provider intasati di pubblicità (che ancora non hanno capito che non compro nulla...) o che cosa? --Daniele Pugliesi (msg) 10:59, 1 giu 2019 (CEST)

Invii le email da una pagina web dal web-browser oppure da un client di posta elettronica? X-Dark (msg) 12:07, 1 giu 2019 (CEST)
E poi dovresti essere un po' più compendioso: a quali servizi di e-mail ti riferisci? (Gmail, Yahoo, ecc.) E poi che cosa significa "lente" per te? 30 secondi? Un minuto? Un'ora?. Tanto per farti capire l'ultimo punto, il servizio che adopero, che è gestito dall'organizzazione per cui lavoro, nelle ore di punta e in presenza di allegati è percepito come "lento" visto che colui che riceve la mia posta e che usa lo stesso servizio può metterci anche 20 o 30 secondi per riceverla. È questo il tuo caso? --Lepido (msg) 18:04, 1 giu 2019 (CEST)
Esempio concreto. Venerdì alle 10 di mattina il mio staff mi ha mandato un Internet. Mi è arrivato martedì! Perché? Sospetto si sia ingarbugliato con tutte quelle cose che vanno su Internet commercialmente. Perché Internet non è. Internet non è. Internet non è un grosso camion. Perché? TUBI! --80.117.170.5 (msg) 16:11, 3 giu 2019 (CEST)
Ok, ma che servizio e-mail è stato usato? Comunque l'effetto di spedire al venerdì e di avere "il ricevuto" il martedì successivo è una cosa che può capitare con software tipo Outlook:
  1. Voglio spedire un allegato e invece di usare Outlook direttamente, clicco sul file con il pulsante destro del mouse e seleziono "Invia a > Destinatario posta"
  2. Si apre la finestra dell'e-mail con l'allegato già inserito, scrivo l'email e clicco su "invia"
  3. Credo di avere inviato la posta, ma in realtà Outlook è chiuso e l'e-mail rimane nella "posta in uscita". La e-mail verrà inviata solamente quando aprirò il programma vero e proprio, e potrebbe anche essere il martedì successivo.
Questa cosa può capitare anche frequentemente con Outlook di Microsoft se non si sta attenti, non so con gli altri programmi. --Lepido (msg) 18:03, 3 giu 2019 (CEST)
Che servizio e-mail abbia usato Ted Stevens nell'ormai lontano 2006 non ne ho idea, che servizio e-mail abbia usato il nostro Daniele Pugliesi recentemente ... nemmeno :) Scherzi a parte: quello che dice Lepido può capitare, e infatti in passato mi è capitato molte volte. E non scarterei nemmeno l'intasamento dei provider (anche se non è detto che fosse davvero quella la causa del famoso problema di Ted Stevens che aveva ricevuto così tardi la sua e-mail ... o meglio "il suo Internet"). Anche solo nella mia azienda (che non è proprio l'ultima arrivata in fatto di tecnologia), capitano dei periodi in cui un messaggio e-mail arriva dopo pochi secondi e altri in cui un messaggio delle medesime dimensioni impiega molto più tempo per essere ricevuto (intendo: da un collega, quindi stessa rete aziendale); e a volte succede che un messaggio inviato a molti destinatari venga ricevuto in tempi diversi, sebbene tutti facciamo capo allo stesso server. Farei caso anche ad un'altra cosa che ha detto proprio Daniele Pugliesi nella sua domanda: ha detto che l'e-mail "esiste praticamente dalla preistoria di internet". Faccio un'ipotesi campata in aria: magari proprio perché è un servizio così "antico" non è stato progettato per la massima efficienza? (e magari riprogettarlo da zero darebbe problemi di compatibilità? penso alla storia della Televisione a colori... ok, forse il paragone con il mondo analogico non regge...). Pensiamo già solo al fatto che è un servizio per inviare testi, gli allegati sono una sorta di "trucco" (cito dalla voce: È da sottolineare che la dimensione degli allegati che conta ai fini dei limiti dei sistemi di posta elettronica non è quella che il file originario occupa sul computer del mittente, bensì quella del file ricodificato secondo lo standard MIME. La codifica Base64 solitamente utilizzata, aumenta di circa un terzo le dimensioni dei file). --80.117.170.5 (msg) 19:01, 3 giu 2019 (CEST)
Dal mio punto di vista, nell'epoca degli smartphone, app, social, e altre cavolate tecnologie così tanto avanzate, è paradossale che, a prescindere dal servizio che utilizzo, ci voglia un ritardo iniziale per accedere al servizio, un ritardo per aspettare che gli allegati vengano caricati all'interno dell'email, un altro ritardo per aspettare che l'email venga inviata e ancora un altro ritardo per attendere che venga ricevuta. Totale per l'invio di un'email: fate voi. Ma anche se si trattasse di 10 minuti, più il tempo che ci vuole per scrivere il messaggio, controllare l'ortografia e la formattazione, ecc., va da sé che un servizio utilizzatissimo dalle aziende e dai privati sembra che non sia sviluppato a dovere. Cioè, nessuno davvero ha ancora pensato a commercializzare un'email "superveloce", che magari prevede l'azione del mittente e invia il messaggio già prima che clicchi "invio", fornendo un messaggio del tipo "Tranquillo, l'ho già inviata..."? Sommo Oracolo, pensaci tu! --Daniele Pugliesi (msg) 19:57, 3 giu 2019 (CEST)
Una bella IA che magari sa già cosa vorresti scrivere e ci pensa lei? Io ci ho pensato... nei miei incubi peggiori :-) --Lepido (msg) 20:00, 3 giu 2019 (CEST)
Daniele, ancora non hai specificato quale servizio di e-mail usi (presumo una webmail perché parli di "ritardo iniziale per accedere al servizio"... ma magari presumo male - e come dicono gli americani, ASSUME makes an ASS out of U and ME), che provider Internet usi, se da fisso o cell, etc. Magari cambiare webmail ti cambierà la vita :) (ad es Libero embedda un sacco di filmati pubblicitari che inevitabilmente succhiano banda, Gmail mi pare di no) ... anzi, prova un client "vero", se il tuo fornitore lo supporta! Ti sembrerà incredibilmente più veloce: tempo di caricamento dell'allegato tipicamente vicino allo ZERO! Wow! Incredibile... infatti non crederci: il tempo necessario per caricare l'allegato sarà esattamente lo stesso, ma - un po' come nello scenario di Lepido - non te ne accorgerai perché crederai che la mail sia già partita (in realtà sarà nella Outbox, alias Posta in Uscita) e starai facendo dell'altro. Ah vuoi un servizio che invia prima ancora che tu abbia cliccato Invio, ma solo quando sa che stai davvero per cliccarlo e non avrai più ripensamenti? Più che all'Oracolo devi rivolgerti alla Società Cibernetica Sirio! Se ce l'hanno fatta con gli ascensori... --80.117.170.5 (msg) 22:31, 3 giu 2019 (CEST)
Mi pare ovvio come Daniele non volesse veramente una spiegazione tecnica quanto semplicemente sfogarsi. --Captivo (msg) 22:48, 3 giu 2019 (CEST)
In realtà questi post non li ha scritti Daniele, ma un programma di posta della Società Cibernetica Sirio che lui neanche ha installato: però il programma sa che lo installerà :D --80.117.170.5 (msg) 22:56, 3 giu 2019 (CEST)
Esatto: questi messaggi in realtà sono stati scritti in automatico da una società che essa stessa non sa neanche di averli scritti... Comunque, sfogo a parte, ho provato molti mezzi per inviare email: via web da pc, con Outlook da pc, via web da smartphone, via app da smartphone... praticamente in tutti i casi mi sembra che la pubblicità "succhia banda", come detto qui sopra.
Posso provare qualcuna delle soluzioni proposte, ma penso che ci sia un problema di fondo. --Daniele Pugliesi (msg) 23:53, 3 giu 2019 (CEST)
Io mi sono appena mandato una mail da tiscali a gmail, giusto il tempo di cliccare sul tab di gmail, già aperto in realtà, ed era arrivata. La mail funziona sul sistema client server, ovviamente se apriamo il client sul Web e non usiamo un client software ci vuole tempo perchè la pagina del client e la pubblicità si aprono. Meglio sicuramente i client software su imap che si aggiornano in tempo reale, per leggere. La stessa cosa quando si scrive, bisogna prima aspettare che il sito e la pubblicità si carichino, poi se bisogna inviare un'allegato bisogna caricarlo sul sito client e in upload la rete è più lenta, e ancora non si è inviato il messaggio. Meglio un software anche per l'invio perchè non bisogna fare il caricamente preventivo del file sul web e il file viene caricato dopo aver premuto il tasto invio non prima e direttamente sul server. Ci sono anche sistemi per eliminare la pubblicità che vanno dal bloccare i popup e basta al difendersi dalle pubblicità invasive al taglio drastico. Però è una scelta molto soggettiva.--Pierpao.lo (listening) 13:31, 4 giu 2019 (CEST)

Programma free di cad

Sapete consigliarmi qualche programma cad gratuito? In particolare avrei bisogno di un programma 1) che sia compatibile con Autocad; 2) in cui sia possibile inserire delle immagini all'interno del file di lavoro; 3) che sia 2D (un eventuale 3D non lo userei quindi non mi sembra il caso appesantire inutilmente in pc); 4) più simile è ad Autocad meglio è. Al momento uso Draftsight, che è praticamente perfetto per le mie esigenze, ma che da fine anno diventarà a pagamento, per cui sto cercando qualche alternativa. --Postcrosser (msg) 19:57, 2 giu 2019 (CEST)

Io sto provando a usare Freecad, che è anche 3D, ma mi sembra molto diverso nell'interfaccia e nell'uso dei comandi rispetto ad Autocad. Comunque non mi pare affatto pesante, per cui potresti provarlo per vedere se nel tuo caso risulta efficace. Se trovassi un'alternativa ad Autocad per il 3D più semplice da usare o comunque più simile ad Autocad, fammi sapere (mi serve qualcosa con cui potere disegnare subito dei disegni tecnici inserendo le misure giuste, senza dovere modificare troppe impostazioni). --Daniele Pugliesi (msg) 20:02, 3 giu 2019 (CEST)
Anche io alla fine sono passato a FreeCAD per il restauro completo del mio appartamento. Inizialmente avevo usato SketchUp, programma professionale, relativamente facile da usare e ideale sopratutto per l'arredo ma che, nella versione free, non esportava nulla se non in formato immagine o in formato pdf. Poi sono passato al LibreCAD, il quale sarebbe anche un buon programma 2D stile "inizio anni 2000", facile e perfettamente compatibile con Autocad, ma che non ha il 3D. FreeCAD è ben più complesso di LibreCAD, ma se da un progetto 3D vuoi ricavare le planimetrie 2D si fa abbastanza facilmente (giusto con le quote devi litigare un po'), ma se fai prima un dwg in 2D (esempio con con LibreCAD) e poi vuoi le viste 3D, di fatto devi rifare il tutto daccapo.... --Skyfall (msg) 12:18, 6 giu 2019 (CEST)

Antenato dello scontrino fiscale

Qui c’è scritto che lo scontrino fiscale è stato introdotto nel 1983. Prima di quell’anno che cosa si usava? --151.49.59.52 (msg) 22:04, 5 mag 2019 (CEST)

La fiducia.--Flazaza (msg) 23:02, 5 mag 2019 (CEST)
Si evadeva. --Titore (msg) 23:22, 5 mag 2019 (CEST)
Quando vedete un 151.49 o 151.95 revertate senza timore, è il solito Gianola in evasione. --Vito (msg) 01:06, 6 mag 2019 (CEST)
Ricevute scritte a mano --Sailko 12:27, 7 giu 2019 (CEST)

Agganci per le cinture di sicurezza delle auto

Sommo Oracolo, ho un tremendo dilemma: mi sono di recente imbattuto in questo oggetto [1], ovvero un cinturino che servirebbe per collegare le pettorine per cani all'ancoraggio della cintura di sicurezza in auto. La particolarità di tale oggetto è il "gancio ad ancora", che dopo una serie di "prove pratiche" su alcuni modelli di auto sembra non potersi agganciare da nessuna parte. Ho fatto delle ricerche su Google, e stranamente non sono riuscito a trovare nessun (ma proprio nessuno!) riferimento a quel tipo di gancio per auto, se non relativo a siti che vendono l'articolo in foto. Credo (ma è solo un pallido e vago ricordo) di aver già visto quel tipo di gancio un paio di decenni fa, su una Ford Fiesta terza serie, e da lì mai più nella vita. Qualcuno ha qualche informazione su quel tipo di gancio? Grazie --62.94.236.233 (msg) 08:33, 6 giu 2019 (CEST)

In effetti non sembra se ne trovi traccia (se può far comodo, il termine inglese per quella parte della cintura è "latch plate"). Per quel che vale, ricordo anch'io un aggancio sagomato a quel modo su delle cinture di sicurezza applicate in retrofitting ad una vecchia Fiat 500 in occasione dell'introduzione dell'obbligo in Italia (quindi parliamo dell'88 o giù di lì, oltre 30 anni fa). -- Rojelio (dimmi tutto) 15:30, 7 giu 2019 (CEST)

Cosa c'è dietro lo stonare

Salve ho una domanda. Non credo esistano disclaimer che vanno contro quanto sto per chiedere. Ne ho sentita di ogni su chi è stonato come me, c'è chi dice che stoniamo perché non ci ascoltiamo, altri perché ci ascoltiamo e non dovremmo farlo. C'è chi consiglia di cercare di non sentire la propria voce quando si canta (facendo come ha fatto Colin Firth nei panni di re Giorgio VI nel film Il discorso del re, che quando ha parlato mentre ascoltava un audio a tutto volume le sue balbuzie sparivano), altri invece di concentrarsi al massimo addirittura scandendo vistosamente con il labiale le parole della canzone. Non so se uno o entrambi i metodi sono validi, è per questo che scrivo. So che la risposta alla domanda "come faccio a non stonare?" è "prenditi lezioni di canto!", ma mi sapreste dire cosa c'è dietro la stonatura di una persona e se esiste un metodo per tamponare l'orrore stonatorio, magari perché no basato su questi metodi? --95.244.138.204 (msg) 16:11, 6 giu 2019 (CEST)

Hai già letto Intonazione (musica) e Battimenti (musica)? spiega in modo abbastanza buono il concetto dal punto di vista fisico. --Torque (scrivimi!) 16:23, 6 giu 2019 (CEST)
Tre cose:
1) Qualunque insegnante di canto dirà che prima ancora dell'intonazione, bisogna dare priorità alla "spinta" che serve a raggiungere la nota, quindi la muscolatura: senza la muscolatura allenata, è quasi impossibile raggiungere una nota ad alto volume e mantenerla a lungo.
2) Il Muscolo diaframma è il muscolo per antonomasia per cantare e riprodurre le note: si può anche cantare di gola, di testa e di petto, ma sono considerate scorrette dalla materia stessa sia perché usandoli si tende alla stonatura e alla cattiva pronuncia, sia perché si usurano di più del diaframma.
3) In realtà, la stonatura non esiste in senso stretto: esiste la microtonalità, cioè una nota che emette più o meno vibrazioni della nota perfetta, ponendosi a metà strada tra la nota e un suo semitono (ascendente o discendente). A differenza degli strumenti, però, la voce non si può "accordare", ma solo allenare con esercizi di pronuncia, intonazione e resistenza. Il termine stonatura viene usato per convenzione perché nel sistema musicale occidentale, non esistono le microtonalità o i quarti di tono, che si trovano invece nella musica di altri continenti, come quella indiana o araba. In compenso, se ne trovano a bizzeffe nel parlato. ;)--Gybo 95 (msg) 17:04, 6 giu 2019 (CEST)
Se posso dire la mia da ignorante, prima di andare in una scuola di canto o robe simili che penso siano più adatte per chi sa già cantare in qualche maniera e vuole affinare le proprie abilità, penso dovresti valutare bene se ci sono altri motivi di altro tipo per cui le persone dicono che "stoni".
Considerato che "stonare" è un termine molto generico, penso che i modi più comuni per cui le persone stonano sono due: quando prendono una nota sbagliata (ad esempio un Do al posto del Re) e quando non vanno a tempo (troppo veloce o troppo lento o addirittura a casaccio). Dal punto di vista pratico, le ragioni possono essere tantissime: alcune persone sembra che cantino senza badarci proprio, ovvero non prestano la dovuta attenzione al pezzo originale, altre non ricordano come fa il motivo (magari perché lo hanno sentito poche volte), altre ancora anche se prestano attenzione al pezzo e magari lo ricordano a memoria nota per nota, non riescono a riprodurlo.
Se rientri nell'ultimo caso, secondo me sarebbe utile fare pratica con il tempo imparando a suonare qualche strumento a percussione e/o fare pratica con le note imparando a suonare uno strumento a tastiera (ad esempio pianoforte).
In altre parole, prima impari a usare un paio di strumenti (giusto qualche lezione, per capire come riprodurre la musica) e dopo che hai capito le note e il tempo ti verrà più facile applicare questi concetti nel canto, con la differenza che quando canti usi la voce, che è uno strumento che non è "accordabile", nel senso che ogni volta puoi uscire una nota o un timbro un po' diverso, per cui quando saprai suonare meglio di come canti ti potrà essere d'aiuto andare a lezioni di canto per "aggiustare la voce", perché vuol dire che conosci i rudimenti della musica ma non come applicarli alla voce.
Altra opinione personale: un po' di training autogeno, yoga, nuoto oppure altre attività che riguardano l'introspezione, il respiro e l'ascolto "attivo" (cioè durante il quale devi soffermarti sul significato di un suono o un rumore e devi svolgere azioni ripetitive e ritmiche) secondo me possono aiutare a focalizzare la tua attenzione sul significato del tempo e del ritmo, e anche del silenzio. Appunto sul silenzio, penso che tanti "stonino" perché vanno troppo di fretta, senza comprendere che la musica è un'alternanza di suono e silenzio, non solo suono e non solo silenzio. E questa alternanza, nel caso del canto, dà la possibilità di inspirare per prendere abbastanza aria in modo che quando fai una nota espiri buttando tutta l'aria che serve.
Insomma... ce ne sono cose che puoi fare per migliorare il canto... non si finisce mai.
Ultimo suggerimento: potresti caricare qualcosa cantato da te su Commons (magari una canzone popolare, in modo da evitare problemi con il copyright), così possiamo sentire e darti la nostra opinione su cosa bisogna anzitutto migliorare. --Daniele Pugliesi (msg) 14:57, 7 giu 2019 (CEST)
Con il dovuto rispetto, anche no: Commons serve ad altro. -- Rojelio (dimmi tutto) 17:17, 7 giu 2019 (CEST)
Sono d’accordo con Daniele che le questioni di impostazione della voce, di respirazione ecc. sono da affrontare se uno vuole imparare a cantare bene, non se vuole solo capire perché stona quando canticchia sotto la doccia. Tra l’altro, in genere un insegnante di canto non ha come obiettivo primario quello di insegnare a non stonare: i suoi allievi sono generalmente persone con buone doti vocali naturali, non stonate, che desiderano migliorare timbro, potenza ed estensione della propria voce, per farne un uso professionale. Nel campo della musica leggera può capitare, talvolta (mi dicono), che un soggetto (maschio o femmina) sia notato da qualche talent scout per una particolare presenza scenica e capacità di "catturare" il pubblico, a dispetto del fatto di essere un cantante atroce, e a quel punto si cerca di correggere pure l’intonazione, con le lezioni di canto; ma in quel contesto molto è affidato alla manipolazione elettronica del segnale sonoro raccolto dal microfono: oggi si riesce perfino a correggere una nota stonata prima che arrivi alle casse acustiche...
Se uno volesse farsi un’idea della complessità dei meccanismi neurofisiologici che stanno dietro l’ascolto e la produzione dei suoni in un essere umano dovrebbe leggere il libro "Musicofilia" di Oliver Sacks.
Molto più semplicemente, se vuoi farti un’idea del tuo grado di stonatura, e provare a correggerlo (con grande pazienza, non è un esercizio facile) è sufficiente che ti scarichi sullo smartphone - o sul computer - una delle innumerevoli app (spesso gratuite) che si usano per accordare gli strumenti musicali. Di quelle, per capirci, che non ti danno solo le note per la chitarra, ma tutte quelle della scala cromatica. Se canti una nota, la app ti dice se è crescente o calante, e di quanto. Prendi una nota come riferimento iniziale per una melodia che conosci, e canta nota per nota per vedere se e dove stoni.
Quanto al ritmo, a cui faceva riferimento Daniele, andare fuori tempo non è stonare, è una cosa diversa. Per quello puoi confrontarti con un metronomo (altra cosa tutt’altro che facile, agli inizi), e pure il metronomo lo puoi trovare gratis da scaricare sullo smartphone. (Un’analisi più approfondita della tua emissione vocale potresti farla scaricandoti un analizzatore spettrale, ma lì bisogna sapere che cosa guardare, e comunque ci vorrebbe un foniatra per diagnosticare e correggere eventuali difetti nell’impostazione della voce).
Però, mi raccomando, non caricare una tua registrazione canora su Commons. Mandala a Daniele via mail, piuttosto... ;) --93.36.167.230 (msg) 22:07, 7 giu 2019 (CEST)
Con tutto il rispetto, non ho capito se la stonatura di 95.244.138.204 è dovuta alla difficoltà a raggiungere la nota o al fatto che "non sente" la differenza. Perché nel secondo caso c'è ben poco da fare. --Captivo (msg) 10:01, 8 giu 2019 (CEST)

Valore assoluto

Caro oracolo, cercavo di rispondermi al quesito seguente: se -1<x<1, allora -1<-x<1, secondo te sarebbe corretto come ragionamento: poiché -1<x<1 è uguale a dire |x|<1, allora essendo anche |x|=|-x| si ha |-x|<1 ossia.. -1<-x<1 ?
Ti auguro un felice sabato --37.163.162.243 (msg) 17:10, 8 giu 2019 (CEST)

Per essere corretto, è corretto. Alternativamente, moltiplicando i membri di una disuguaglianza per un fattore negativo, la disuguaglianza cambia di verso, e un cambio di segno è una moltiplicazione per "-1":
che letto da destra a sinistra è quel che cercavi. -- Rojelio (dimmi tutto) 17:23, 8 giu 2019 (CEST)

Fatto salvo

Vorrei capire il significato della locuzione "fatto salvo" nel linguaggio legislativo, in particolare in questa frase:

"La presente direttiva si applica fatti salvi i requisiti della normativa dell'Unione blablabla..., in particolare il Regolamento blabla..."

Secondo voi che vuol dire?

  1. Che la direttiva in questione si applica assieme al Regolamento in tutti i casi di applicazione dell'una e dell'altro
  2. Che si applica la Direttiva solo quando non va applicato il Regolamento
  3. Che si applica la Direttiva solo quando va applicato il Regolamento
  4. Che si applica il Regolamento solo quando non va applicata la Direttiva
  5. Che si applica il Regolamento solo quando va applicata la Direttiva

--Daniele Pugliesi (msg) 18:28, 12 giu 2019 (CEST)

Credo voglia dire che la direttiva si applica nei casi in cui sono soddisfatti i requisiti imposti dalla normativa UE. Quando tali requisiti non sussistono, non si può applicare la direttiva. Vedi significato (3)--93.36.167.230 (msg) 18:36, 12 giu 2019 (CEST)
Pare di capire che la direttiva "fa salvi", quindi non modifica, i requisiti stabiliti dall'Unione e in particolare il Regolamento; quindi la direttiva si applica rispettando però i requisiti contenuti nel Regolamento ("fatto salvo (o anche solo salvo): senza toccare, lasciando impregiudicato e simili: la legge riordina le carriere statali, fatti salvi i diritti fin qui maturati" [2]). Conoscere la frase per esteso aiuterebbe a essere più chiari. --Franz van Lanzee (msg) 19:35, 12 giu 2019 (CEST)
Grazie per le risposte. Mi è venuto in mente di controllare la versione inglese di una direttiva e confrontarla con quella italiana. In inglese "fatti salvi" corrisponde a "as well as", per cui sembra proprio che l'interpretazione di Franz van Lanzee sia quella corretta. In questo caso quindi, se ho capito bene, la direttiva in questione dice al lettore che oltre alla Direttiva bisogna anche andarsi a leggere le altre norme indicate dopo "fatto salvo", visto che per il caso in questione potrebbero valere entrambi, dove l'applicabilità di ciascuna norma è indicata nella norma stessa e il "fatto salvo" nella Direttiva non fornisce informazioni sul fatto che l'altra norma vada applicata o no, ma solo che potrebbe applicarsi a seconda di cosa sta scritto nella norma stessa, giusto? --Daniele Pugliesi (msg) 21:13, 12 giu 2019 (CEST)
Fatti salvi equivale a And della logica booleana, ne più ne meno. Fatti salvi bla bla (A); ..la direttiva si applica se..bla bla.. (B) == (A and B)--78.14.183.26 (msg) 21:51, 12 giu 2019 (CEST)
Grazie, 78.14.183.26, con la logica booleana è tutto chiaro! :) --Daniele Pugliesi (msg) 22:58, 12 giu 2019 (CEST)

Dubbi sullo studio universitario

Vado cercando qualche spunto di riflessione e consiglio da studente di fisica (affranto) al 2^ anno della LT all'università di Milano. Vorrei chiarire in principio che non cerco un consulto psicologico, piuttosto mi spinge a scrivere lo sperare di trovare qualche risposta (risposte che le pagine di wiki han sempre dato sulle più disparate tematiche) e spunto. Spero di trovare qualche "oracolante" che sia un dottorando o chissà magari anche un Professore o qualcuno che abbia già fatto il suo percorso di studente in fisica o materie affini.

Come dicevo sono un po' affranto perché nonostante i grandi sforzi mi accorgo che troppo spesso ho dei dubbi su esami anche già superati (un esempio sciocco analisi 1 o 2). Se dovessi prendere in mano dopo questi mesi di digiuno il concetto di serie di Laurent ci perderei un bel po' di tempo nel ripasso e non saprei fare un esercizio senza un libro davanti su cui mettere mano e questo mi crea un forte disagio. Leggo spesso che la matematica vada capita, ma in realtà mi trovo sempre nel capirla, e troppo spesso dimenticarne alcune parti; mi stupiscono i professori (che invidio -in modo sano- in particolar modo per la loro capacità innata di saper rispondere a domande più disparate in un lampo). La mia più grande curiosità sul tema e che avrei sempre voluto rivolgere a qualche professore o dottornado è se nella loro carriera sia bastato il solo superamento dell'esame per raggiungere quella conoscenza sublime, perché, se così fosse, forse farei bene a smettere subito per mancanza di capacità: infatti pur studiando da circa due anni attorno alle 12-13 ore al giorno sia con lezioni e non e anche superando gli esami (non tutti) mi trovo spesso sommerso da concetti che non riesco a farmi propri con i ritmi serrati dettati dalla cadenza degli esami.

Ho questa grande curiosità che non ho mai avuto coraggio di chiedere, come sia stato per altri il percorso. Chissà se qualcuno leggerà mai :). --37.160.44.251 (msg) 21:47, 17 giu 2019 (CEST)

Caro studente. Per la mia limitata esperienza posso dirti che molto sta nell'esperienza: la prima volta che devi spiegare un concetto in una sala universitaria hai un po' di timore, poi appena inizi, svanisce e volta dopo volta assumi sempre più consapevolezza e sicurezza. Ogni volta che ripeti un argomento, ma soprattutto ogni volta che lo spieghi a qualcuno, quell'argomento diventa sempre più tuo e sempre più hai la capacità di saper rispondere alle varie domande con maggiore prontezza. Sono poche, ma ci sono ed è un dono che ci siano, persone che riescono ad avere la padronanza dei più disparati argomenti sin da subito, sin da una prima lettura del libro di testo. Anche io se penso a tutto quello che ho studiato (non ho studiato fisica, ma sempre nell'ambito scientifico), penso di ricordare poco, ma so che l'ho studiato, so che ho sostenuto esami, so che con un ripasso quell'argomento vien fuori ed è come se lo avessi studiato qualche giorno fa. Spero possa esserti stato d'aiuto. :) --GC85 (msg) 22:24, 17 giu 2019 (CEST)
C'è un'enorme differenza fra essere uno studente e un dottorando (e ancor più un professore): uno studente è tenuto a superare di corsa decine di esami su argomenti diversissimi, un dottorando è specializzato in quelle due/tre materie che servono alla sua tesi. Certo che stupisce (e fa invidia) vedere il prof. di meccanica razionale pontificare senza esitazioni, ma tu lo vedi sempre all'opera nella sua zona di competenza: prova (anzi, non provarci, se ci tieni alla tua media :-D) a chiedergli cosa ricorda del teorema del Dini o dell'equazione di Schrödinger (che pure ha studiato); vinceresti tu, a man bassa, con quelle quattro cose che ti sono rimaste in testa dall'esame! Lui sa tutto di meccanica razionale, delle materie che usa tutti i giorni, che ha insegnato per anni! Credi forse che le domande cui risponde con sicumera gli siano state poste per la prima volta nella tua aula? Chissà quante volte ha ascoltato le stesse domande! Chissà quante volte ha spiegato gli stessi concetti (e, come dice GC85, come medodo, spiegare è molto più efficace che studiare)! Poi, la gran parte dei professori prepara la lezione prima, stende un filo logico da seguire, rivede i concetti che non ricorda; mica viene in aula allo sbaraglio!
Considera ancora che quello che uno studente vede è l'ombra della "conoscenza sublime": a te viene data un infarinatura di tutto, sia perchè tu poi possa scegliere cosa approfondire se perseguirai la carriera accademica, sia perchè la conoscenza sublime non ti servirà per un lavoro comune. E non sempre l'infarinatura basta per "capire veramente": per quello ti serve il dettaglio, ma in quasi tutti i tuoi esami il dettaglio non lo avrai (non perchè non studi abbastanza, ma perchè non ti viene richiesto di averlo)! Lo avrai (anzi, te lo dovrai cercare) se diventerai un dottorando: allora studierai tutto quello che ti serve per capire veramente, ma solo ed esclusivamente per quello che ti serve!
Non sapresti fare una serie di Laurent senza aprire il libro? Mi stupirei del contrario! Credi forse che gli ingegneri progettino le tubazioni di una centrale elettrica in base a quello che ricordano dell'esame di termoidraulica?! O le strade sulle loro reminiscenze di meccanica strutturale?! Se fosse così, ti suggerirei di fare attenzione a dove metti i piedi, che per la via ci sono dei crepacci poco visibili sotto i lampioni a gas :-D Apriranno i loro manuali per calcolare la misura del tubo necessaria a resistere ad un colpo d'ariete e la corretta distanza fra le giunzioni per avere una strada sicura e resistente alla dilatazione termica! Ma se non avessero studiato non saprebbero che devono preoccuparsi del colpo d'ariete e della dilatazione termica!
Ecco cosa ti resterà quando l'esame sarà solo un ricordo: tu saprai che quel metodo/fenomeno/correlazione/formula esiste e dove trovarlo! E quindi potrai notare le analogie con altri fenomeni, sapere che esiste un problema da tenere in considerazione e magari anche una soluzione... se poi ti serve sapere quale soluzione, bè apri il libro. E lì sarà la differenza fra te, che hai studiato, e chi non lo ha fatto: tu quel libro lo saprai usare!--Equoreo (msg) 23:40, 17 giu 2019 (CEST)
Sic! mi ricordo l'equazione di Schrödinger, ma del teorema del Dini non mi ricordavo nemmeno l'esistenza. Eppure sono stato uno degli ultimi studenti del mio corso dover anche dare Analisi Matematica III, finchè non la abolirono, quindi devo averlo per forza studiato e imparata la dimostrazione. Nel mondo del lavoro le nozioni e i concetti che ho imparato sono serviti a poco. Quello che invece mi è rimasto è il metodo, la modalità di pensiero, l'approccio nell'affrontare le i problemi, cosa molto apprezzata nel mondo del lavoro. Vedo invece come tra molti miei colleghi con una preparazione giuridica o umanistica, anzichè scientifica, ben difficilmente affrontino i problemi cercando di scomporli e analizzarli a pezzi come me. Viceversa, riescono a gestire meglio i rapporti umani e a a vendersi molto meglio di me. --Skyfall (msg) 23:59, 17 giu 2019 (CEST)
Da oracolo/professore (di Meccanica Razionale a Fisica, quarda un po'...): tutti noi, a distanza, ci ricordiamo quello che ci siamo ritrovati a usare sistematicamente nel corso degli anni; oppure quello che sul momento ci aveva appassionato particolarmente. Del resto, ci dimentichiamo quasi tutto. Come hanno scritto altri qui sopra, anche imparare quello che poi si dimentica non è inutile, perché ci mette nelle condizioni, anche a distanza di molto tempo, di poterlo ritrovare se ci serve. Quanto al capire tutto, a me succede ogni anno di capire per la prima volta - preparando una lezione, scrivendo le dispense, rispondendo su Wikipedia... - cose che non avevo mai capito prima, anche su argomenti elementari della mia materia. Eppure insegno quella roba da quasi trent'anni.
Ma non credo che tutto questo abbia molto a che fare con il disagio che tu esprimi. Avere la sensazione di non aver capito tutto è normale - direi che è salutare: la vera scienza è sapere di non sapere - ma da qui ad avere la sensazione che dopo anni di studio intensivo (12-13 ore al giorno!?!) ti resta poco o nulla di quello che hai studiato, ce ne corre. Non è una sensazione "normale", "accettabile", e non sarebbe corretto da parte di chi ti risponde dire "non ti preoccupare, va bene così". Se davvero avverti questa sensazione in modo generalizzato (o anche solo per i corsi di matematica...), al secondo anno di università, fai bene a porti il problema. Prima di chiederti se hai sbagliato indirizzo di studi, però, rifletti su altri due aspetti.
Primo: l'organizzazione attuale degli studi universitari costringe studenti e docenti a fare tutto "molto in fretta" rispetto alle abitudini che si avevano trent'anni fa (quando, però, la quasi totalità degli studenti - anche di quelli bravi - ci metteva anni e anni in più a laurearsi rispetto alla durata ufficiale del corso di laurea, e nessuno se ne preoccupava). La maggior parte di noi (docenti) non è ancora riuscita ad adeguarsi veramente ai "tempi di produzione" che si richiedono oggi: continuiamo a pensare di poter fare un corso simile a quello che abbiamo seguito noi, pur avendo ora a disposizione forse la metà delle ore. Su questo, dirai, che cosa possono fare gli studenti? Possono eccome. O meglio, potrebbero. Se l'atteggiamento degli studenti è quello di venire a lezione a riempire pagine e pagine di appunti (anche quando le stessissime cose si trovano sui libri) e non cercare mai di interloquire con il docente, nessuno potrà uscire dalla trappola del tempo che incalza. Se invece si sviluppa un dialogo fra docente e studenti, ecco che il docente può capire e trovare delle strategie più efficaci per farsi capire. Qualcuno dirà: stai scherzando? Ti pare che in una lezione in cui c'è il docente davanti a un centinaio o più di studenti ci si può mettere a interloquire con il docente? Non esiste proprio... E invece spesso sarebbe possibile, anche se non è facile: ci vuole apertura e disponibilità da entrambe le parti, ci vuole la capacità di mettersi dal punto di vista dell'altro. Ma ci manca l'abitudine.
Secondo aspetto su cui riflettere: esistono diverse modalità di comprensione di una materia. Per la matematica e la fisica, quasi mai l'apprendimento significa "imparare a memoria". Apprendere e insegnare consistono entrambi nel "costruire significati". Ma esiste una comprensione analitica della materia, in cui ad esempio ti sforzi di capire esattamente ogni singolo passaggio di una dimostrazione, ed esiste una comprensione sintetica, che risponde soprattutto alla domanda: "in che modo questo concetto è in rapporto con le altre cose che conosco"?
"Perché è importante avere un criterio per la convergenza di una serie?"; "Perché le leggi fisiche sono espresse da equazioni differenziali? (e lo sono tutte?)"; "In quante situazioni ho incontrato un'equazione lineare? Che cosa avevano in comune?" Queste sono domande che tipicamente non vengono poste agli esami (anche se a volte a lezione un docente le propone e dà una risposta, che generalmente cade nel vuoto), per cui uno pensa che non siano importanti ai fini dell'apprendimento: e invece questo è il tipo di domande che uno dovrebbe farsi continuamente, perché sono queste che portano a una comprensione sintetica, che è poi quella che rimane anche a distanza di tempo. Nel programma di un insegnamento, chi raggiunge una comprensione sintetica riesce ad individuare un numero ristretto di idee-chiave intorno a cui gira tutto, mentre chi si ferma a una comprensione analitica vede un mare magnum di concetti scarsamente interconnessi fra loro.
La risposta alla tua domanda, quindi, per me è questa: no, il superamente dell'esame non assicura affatto di aver raggiunto una comprensione sintetica. Quasi sempre l'esito dell'esame riflette la sola comprensione analitica (a volte, ahimé, il solo apprendimento mnemonico). Ma la sensazione di aver davvero imparato qualcosa dipende dalla comprensione sintetica. Dipende dal fatto che tu, dopo aver imparato un nuovo concetto, abbia la percezione che qualcosa è cambiato nel tuo modo di pensare il mondo, che non sei più lo stesso di prima, che hai aperto una finestra su un panorama nuovo. Questo dipende da come ti avranno spiegato le cose a lezione, d'accordo, ma dipende anche da te: il pensiero critico lo devi coltivare tu in prima persona.
Vedi un po' tu se queste riflessioni ti servono; in ogni modo, cerca di dialogare con professori e compagni, ma non di confrontarti a loro: ognuno di noi ha la sua storia, e vivaddìo siamo tutti un po' diversi. Altrimenti avremmo scelto ingegneria... ;-) --130.192.193.197 (msg) 18:26, 18 giu 2019 (CEST)
Quest'ultima affermazione la prendo sul personale... e la apprezzo molto. XD -- Rojelio (dimmi tutto) 20:17, 18 giu 2019 (CEST)

Vorrei ringraziare tutti per i numerosi spunti e per aver risposto. Non mi aspettavo da questo primo messaggio in una discussione delle wikipediane pagine una tale attività di utenza. Scopro una cosa nuova di it.wiki e molto piacevole!
Tornando OT mi piacerebbe rispondere all'ip 130.192... sia perché Professore, e non so quando mi ricapiterà di discuterne apertamente con qualcuno di così tanta esperienza, sia perché è il commento che si è un po' discostato. Ad ogni modo, quando parlavo della sensazione delle "12 ore e dimenticare dopo anni", non era tanto per dire che non trovassi utilità nello studio, piuttosto ho indotto che se dopo mesi dimentico chissà la situazione dopo anni come sarà e questo mi crea "angoscia". Angoscia dovuta al fatto che vedendo persone capaci insegnarmi ho sempre l'idea che non abbiano faticato a far propri i concetti, che ci siano persone con un dono e altre (come nel mio caso) che non l'hanno e forse prenderebbero un po' in giro la società se laureandosi poi dimenticano molto. La mia visione era che passato un esame uno capace DEVE ricordare molto, e se così non fosse forse farebbe meglio dedicarsi ad altro per cui è nato. Il mio problema è che a fronte di questa poca dote naturale provo molto piacere a studiare queste cose e per questo riesco a stare concentrato anche 12 ore, mangiando davanti al foglio. Era un po' questo il mio "problema".
La visione dicotomica di apprendimento analitico e sintetico, inoltre, mi ha fatto molto riflettere. Credo spesso i dubbi maggiori giungano nel cercare di arrivare a unificare molti aspetti, e sono quelli che spesso mi fanno tornare sui miei passi a riguardare cose già viste perché dimenticate, ma che ritengo possano assemblarsi al nuovo concetto; il fatto è che poi inesorabilmente mi sembra di non averlo mai in pungo. Ritengo molto veritiero questo punto di vista, e La ringrazio per le sue parole. --37.162.122.125 (msg) 21:25, 18 giu 2019 (CEST)

Grammatica

Onnisciente Oracolo a te mi rivolgo Nell'italiano parlato tutti abbinano al verbo avere il ci: c'ho e c'hai (ci ho e ci hai). In frasi come

  • c'ho azzeccato
  • c'avete ragione

il "ci" sarebbe grammaticalmente corretto? Se si, in un'analisi grammaticale cosa dovrebbe essere? Grazie infinite

--79.41.155.110 (msg) 13:52, 23 giu 2019 (CEST)

quello che è grammaticalmente "corretto" o meno è pura convenzione: "c'ho" non è italiano standard, non è considerato "corretto", è italiano popolare parlato.
In un'analisi grammaticale avrebbe la stessa funzione di "ci vedo", "ci sento" ecc. (= sono capace di vedere). "Averci" sarebbe uno dei cosidetti "verbi fraseologici", come "vederci" e "sentirci". Quindi lo puoi considerare parte del verbo. Questo se ci si limita all'analisi grammaticale e logica tradizionale, che non è comunque uno strumento adatto a definire la funzione di questi "ci vedo", "ci sento", "ci ho" ecc., che è una faccenda molto complessa --Lombres (msg) 18:37, 23 giu 2019 (CEST)
Aggiungo, ma è un mio parere, che la grafia c'ho è comunque errata e andrebbe scritto sempre ci ho e letto ciò con la "i" che serve ad addolcire la "c" (e che è seguita da vocale, visto che la "h" non conta) che non va pronunciata. Se trovo c'ho mi viene istintivo leggere . --Lepido (msg) 12:15, 26 giu 2019 (CEST)

Spazi vettoriali

Sto cercando di raccapezzarmi su una idea che mi pare alquando nebulosa nella mia testa. Mi sono accorto che prendendo i vettori applicati (intesi come freccette applicati nell'origine) e scegliendone da essi alcuni privilegiati (basi) mi portano a delle ennuple di numeri reali in un isomorfismo canonico con esse. Questo spazio vettoriale delle ennuple, da quanto studio in algebra lineare, è lo spazio vettoriale inteso come insieme che ha le note proprietà di combinazioni lineari tra oggetti. In realtà una versione agli steroidi di quanto facevo fino allo scorso anno, al liceo, con il piano cartesiano. Tutto molto bello fino a quando il libro non parla di spazi affini (non ci avevo dato molto peso fino ad oggi), e soprattutto quando mi metto a ragionare sui vettori liberi: a questo punto mi accorgo che in realtà le ennuple di per sé hanno un concetto più simile a "vettore libero" poiché, in effetti, come leggo nella relativa pagina wiki di spazio euclideo (costituito da ennuple) leggo che esso è proprio uno spazio affine. E uno spazio affine dovrebbe essere qualcosa che ha la proprietà di non avere una origine (punto privilegiato), cioè simile a vettore libero/freccetta libera e classe di equipollenza tra applicati. C'è forse un legame tra i due concetti?
Se tuttavia lo spazio euclideo che è fatto da ennuple è uno spazio affine, allora non posso più vedere le ennuple come "uscite" dalla visione precedente in cui scelgo una base di uno spazio di freccette applicate, esso deve discendere dal concetto di vettore libero e non da quello di applicato. E' quindi sbagliata la prima visione che avevo? (primo dubbio). Ma procediamo...
Leggo che lo spazio affine è la terna data da (1) una applicazione su due punti (2) P,Q cui associa un vettore v in V, cioè dato P e v esiste un unico Q con tale proprietà, inoltre chiamando f tale funzione e aggiungendo un punto S deve altresì valere che: f(P,Q)+f(Q,S)=f(P,S); e se f(X,Y) è un vettore v e ragioniamo in uno "spazio di freccette", allora v sarebbe il vettore libero geometrico e quindi riassumerei l'uguaglianza con v'+v''=v''' cioè devo definire uno spazio di vettori liberi e una somma di essi, ma io conosco solo la somma per vettori applicati, dovrei quindi applicare tutti tali vettori nello stesso punto e sommarli: peccato che così tornerei ai vettori applicati, quindi che senso avrebbe tutto questo discorso? Bastava traslare direttamente i vettori applicati in un punto e ottenere le terne come dicevo in apertura. (secondo dubbio, ovviamente è una domanda retorica: se si fa così sbaglio qualcosa nel mio modello mentale)
E così ho "perso" ben 2 ore di studio senza cavarci un ragno dal buco e trovandomi solo in una landa più desolata e fuori dal seminato dell'esame che a breve dovrò sostenere. Ma, cascasse il mondo, devo capire questa cosa o ne esco pazzo XD. Spero ci sia su queste pagine qualcuno con le idee più chiare e lo ringrazierei se mi porgesse la mano. --37.160.85.251 (msg) 11:29, 26 giu 2019 (CEST)

1) Lo spazio euclideo non è formato da ennuple: è formato da punti. Le ennuple sono elementi dello spazio (vettoriale) R³. I punti dello spazio euclideo possono essere messi in corrispondenza biunivoca con gli elementi di R³ fissando un sistema di riferimento, ovvero un'origine (un punto) e una base. Il fatto stesso che questa corrispondenza biunivoca esista è conseguenza diretta del fatto che lo spazio euclideo è affine, ovvero (come correttamente riporti) che "dato P (l'origine) e v in V (dove V è R³) esiste un unico Q (generico altro punto dello spazio euclideo) tale per cui f(P,Q)=v". Lo spazio euclideo è formato dai punti Q; le ennuple sono i vettori (liberi) v.
Il fatto che tutto questo funzioni per qualsiasi sistema di riferimento, benché lo spazio euclideo sia uno e uno soltanto, è quel che si intende con "nessuno dei suoi punti è privilegiato": ciascuno di essi può essere eletto come origine indifferentemente.
2) Sei talmente abituato a usare R³ come "sinonimo" dello spazio euclideo che definire il concetto di spazio affine ti sembra un'inutile complicazione. Ma una volta accettato che R³ e spazio euclideo sono enti matematici radicalmente distinti, urge una giustificazione del perché ci si possa muovere tra l'uno e l'altro con così tanta disinvoltura... ovvero la definizione di spazio affine. :-) In particolare (come descritto da Spazio affine#Definizione alternativa):
  • Ogni punto Q di uno spazio affine può esprimersi in modo univoco come "P + v" con P altro punto dello spazio affine (es. quello scelto come origine del sistema di riferimento) e v vettore libero.
  • Se su Q applichiamo un ulteriore vettore w vale che: Q + w = (P + v) + w = P + (v + w)
L'ultimo passaggio trasforma la combinazione (somma) di due "vettori applicati" e la esprime come applicazione sul punto originale di un'unico vettore, pari alla "tradizionale" somma dei due vettori liberi v e w (quando scrivi "traslare i vettori applicati in un punto", stai in realtà parlando di questo). Che tale passaggio sia lecito è tutt'altro che scontato: poterlo fare è precisamente ciò che definisce uno spazio affine. Non è quindi una complicazione di un'operazione già semplice: è semmai la necessaria giustificazione del perché tale semplice operazione funzioni e produca risultati utili. -- Rojelio (dimmi tutto) 00:22, 27 giu 2019 (CEST)
Mi sembra di inizare a intravedere la spiegazione e la linea logica e ti ringrazio per avermi fatto stradain questo.
C'è un punto di volta che non mi è del tutto chiaro ovvero: "Lo spazio euclideo è formato dai punti Q; le ennuple sono i vettori (liberi) v". Credo di non avere inteso in che modo le ennuple siano vettori liberi, cosa vuol dire che una ennupla è libera? Ho sempre associato "libero" a un concetto geometrico. --37.161.159.251 (msg) 10:14, 27 giu 2019 (CEST)
Intendevo che le n-uple sono puri e semplici vettori (elementi dello spazio vettoriale Rn) e sono usate per identificare vettori liberi (che sono essi stessi vettori normalissimi). Quello che mi preme maggiormente è evidenziare l'esistenza di corrispondenze bi-univoche tra enti matematici che sono distinti, ma che proprio in virtù di tali biiezioni viene spontaneo confondere e pensare che siano "la stessa cosa". Vediamo se riesco a spiegarmi andando per passi (userò la convenzione di indicare con (P,Q) il vettore applicato definito dai due punti P e Q, e con il corrispondente vettore libero).
  • Uno spazio "geometrico" n-dimensionale (S) è formato da punti. I punti non sono vettori (le operazioni "sommare due punti" e "moltiplicare un punto per un numero reale" non hanno senso), né tantomeno possono costituire, nel loro complesso, uno spazio vettoriale.
  • Data una coppia (orientata) di punti di uno spazio geometrico, essa identifica un ente matematico che chiamiamo "vettore applicato (P,Q)". Il primo punto della coppia viene chiamato "punto d'applicazione" di tale vettore applicato. Temo che la prossima frase possa risultare sorprendente: i vettori applicati... non sono vettori, ovvero il loro insieme non costituisce uno spazio vettoriale. Sebbene sia possibile definire in modo sensato la moltiplicazione di un vettore applicato per uno scalare, l'altra operazione necessaria (la somma di due generici vettori applicati) è priva di significato, non è definita.
  • Se però ci restringiamo alle coppie il cui primo elemento è un punto fissato P (ovvero l'insieme di tutti e soli i vettori applicati che originano da P), questo sotto-insieme ha la "struttura" di uno spazio vettoriale: è possibile definire una somma tra vettori co-applicati il cui risultato è anch'esso un vettore applicato al medesimo punto, e che assieme alla moltiplicazione per scalare reale menzionata sopra soddisfano le proprietà di uno spazio vettoriale (v. spazio vettoriale#Definizione). Possiamo quindi definire una corrispondenza biunivoca tra vettori applicati uscenti da P ed elementi di uno spazio vettoriale V (anch'esso n-dimensionale come lo spazio S), e stabilire che : per ogni altro punto Q in S esiste ed è unico un vettore v in V associato al vettore applicato (P,Q) (ovvero ).
  • Prendo tre punti P, Q e R. In virtù di quanto detto sopra, posso identificare univocamente tre vettori (elementi di V) tali per cui:
In generale, qui ci dovremmo fermare: non ci viene garantita nessuna speciale relazione tra il vettore che ci "trasporta direttamente" da P a R, e i due vettori e che ci trasportano con tappa intermedia a P a Q, e poi da Q a R. Ci viene in soccorso il concetto di spazio affine: se e solo se S è uno spazio affine, è possibile scegliere in modo speciale tutte le corrispondenze tra vettori applicati ed elementi dello spazio vettoriale V in modo che per qualsiasi terna di punti definita come sopra valga sempre che , ovvero che alla "concatenazione" di vettori applicati corrisponda una classica somma vettoriale tra i rispettivi vettori associati:
  • Si scopre che questa "mappatura speciale" corrisponde al concetto intuitivo geometrico di traslazione rigida: due vettori applicati distinti (P1, Q1) e (P2, Q2) vengono posti in corrispondenza del medesimo vettore () se e solo se quei due vettori applicati sono "congruenti per traslazione rigida" (in altre parole: hanno uguale direzione, verso e modulo). In effetti, il fatto stesso che si possa parlare sensatamente di "traslazione rigida" è perché siamo in uno spazio affine (la traslazione, per questo motivo, rientra nella famiglia delle "trasformazioni affini").
  • Questa mappatura speciale tra vettori applicati ed elementi di V ha quindi la struttura di una relazione di equivalenza: i vettori applicati possono essere suddivisi in classi di equivalenza, formate da tutti i vettori applicati cui corrisponde il medesimo elemento di V. L'elemento di V "rappresentativo" dell'intera classe di vettori applicati è il loro "vettore libero" corrispondente. Vorrei che fosse chiaro che un vettore "libero" è un semplicissimo vettore e null'altro: come ente matematico non ha nulla di speciale o diverso da quello che si è sempre chiamato semplicemente vettore. Chiamarlo "libero" enfatizza semplicemente il motivo per cui lo usiamo (rappresentante di un'intera classe di vettori applicati in uno spazio affine), non ciò che "è".
  • In quanto spazio vettoriale n-dimensionale, V può a sua volta essere messo in corrispondenza bi-univoca con qualsiasi altro spazio vettoriale n-dimensionale, e in particolare con Rn: tale mappatura corrisponde alla scelta di una n-upla di vettori di base B (ovvero i versori di un sistema di assi di riferimento per lo spazio vettoriale V): a quel punto, ogni vettore di V può essere espresso tramite la n-upla delle sue componenti nella base scelta.
  • Se oltre alla base B scegli anche un punto O da usare come origine, hai completato il sistema di riferimento (non a caso, un sistema di riferimento definito in questo modo, con un origine e una base, prende il nome di "riferimento affine"): adesso anche i singoli punti P dello spazio sono identificabili in modo univoco tramite le componenti, espresse nella base B, del vettore (libero) associato al vettore applicato (O,P)... e le chiamiamo "coordinate di P" in quel riferimento.
Ecco perché, prendendo effettivamente un certo numero di scorciatoie, scrivevo che (in uno spazio affine) "le n-uple sono vettori liberi": tecnicamente non sono le "componenti del vettore applicato", bensì le componenti del vettore libero ad esso associato, espresse in una base B che è valida globalmente, in qualsiasi punto dello spazio. Ti può sembrare una complicazione stupida perché con tutta probabilità stai pensando allo spazio euclideo, che è in effetti uno spazio affine e al cui interno, proprio per questo motivo, la distinzione è in fin dei conti irrilevante.
La distinzione diventa palpabile e fondamentale quando lavori in uno spazio che non è affine (ad esempio, la superficie di una sfera... o, in quattro dimensioni, uno spazio-tempo incurvato): in un tale spazio il concetto di "vettore applicato" (definito essenzialmente come sopra) esiste ancora e ha perfettamente senso, ed è sempre vero che, fissato un punto, i vettori applicati da esso uscenti hanno la struttura (almeno localmente) di uno spazio vettoriale. Quello che perde di significato è il tentativo di descrivere tutti i vettori applicati tramite componenti espresse in una base di riferimento "globale", valida per qualsiasi punto dello spazio... manca cioè una valida e utile definizione di "vettore libero". -- Rojelio (dimmi tutto) 21:29, 27 giu 2019 (CEST)
Questa è la trattazione più chiara che abbia mai trovato, ora mi è proprio chiaro. Ti ringrazio davvero davvero tanto. Buona serata. --37.160.216.62 (msg) 22:27, 27 giu 2019 (CEST)

Formula strana

Ciao scusate se vi disturbo, ma forse qui riesco a risolvere un dubbio che non riesco a risolvere da anni.

Non sto a tediarvi sul come, però io possiedo un foglio con su una formula matematica strana che non ho scritto io e nemmeno so chi l'abbia scritto: ve la riporto qui

φ(x)Ĥφ(x)dx ≥ E0

Non garantisco che abbia senso o che significhi qualcosa, è per questo che vi scrivo. Oky è un integrale che è maggiore uguale a un E0 ma non so cosa vogliano dire tutti i membri di questa formula matematica.

Sul foglio in oggetto non c'è scritto altro, solo sta formula.

Qualcuno saprebbe dirmi se ha senso o se sono solo cose a caso? Nel caso mi sapreste dire che cosa significa questa formula? --185.230.124.197 (msg) 17:20, 26 giu 2019 (CEST)

Manca un dettaglio (il primo phi(x) dovrebbe essere coniugato trasposto, indicato in genere con un * ad apice), ma dovrebbe essere il "valore medio dell'operatore hamiltoniano sullo stato " (che nella tua formula è invece indicato con phi), corrispondente all'"aspettazione dell'energia", citato qui: Equazione di Schrödinger#Enunciato.
Più che constatarne la corrispondenza non arrivo: non ho mai approcciato seriamente (ovvero, matematicamente) la meccanica quantistica. -- Rojelio (dimmi tutto) 22:08, 26 giu 2019 (CEST)
@-185.230.124.197 Adesso però vorremmo sapere per quale motivo ti ritrovi una formula di meccanica quantistica attaccata al frigorifero di casa. ;) --Flazaza (msg) 15:42, 27 giu 2019 (CEST)
Grazie mille. Sia chiaro non ci ho capito nulla ma almeno so che è qualcosa che c'entra con l'equazione di Schrödinger.
Possiedo quella formula perché l'ho trovata tra le scartoffie che un ingegnere (civile) veneto mi ha chiesto di buttargli. Ero a Caracas. Mi aveva incuriosito, poi quando sono tornato in Italia è finita negli scatoloni dei ricordi, e qualche mese fa è sbucata fuori--195.206.107.211 (msg) 17:17, 28 giu 2019 (CEST)
Attenzione, c’è qualcuno che si diverte a lasciare in giro foglietti come quello. A ottobre 2017 ne era spuntato un altro, praticamente identico (però quello aveva anche l’asterisco). Il mistero si infittisce. Sono messaggi degli alieni, infiltrati sulla Terra sotto spoglie di ingegneri? O è una congiura internazionale contro gli ingegneri? Da parte dei fisici teorici? Che cosa se ne faceva un ingegnere (civile!) della formula del valor medio dell’hamiltoniana quantistica? Il giallo dell’estate. --5.90.207.10 (msg) 18:53, 28 giu 2019 (CEST)
Aspetto con ansia che qualcuno ci faccia sopra anche una canzone --95.250.244.90 (msg) 22:01, 28 giu 2019 (CEST)

Canzone del film Beetlejuice

Nel film Beetlejuice - Spiritello porcello, con Michael Keaton, Alec Baldwin e la tizia che fa la mamma di Kevin in "Mamma ho perso l'aereo", c'è una scena dove c'è della gente seduta attorno a un tavolo, tra cui la tizia appena nominata, che si mettono a ballare così senza motivo, e come sottofondo c'è una canzone, che avevo già sentito da qualche altra parte ai tempi, che nel ritornello c'è la parola banana e il cui jingle era stato utilizzato diversi anni fa da Telecom Italia per la pubblicità del numero 1254. Qualcuno mi sa dire il titolo di questa canzoncina?--79.51.166.48 (msg) 10:52, 27 giu 2019 (CEST)

Forse è questa? :D --Superpes15(talk) 10:59, 27 giu 2019 (CEST)
Si è quella, grazie--79.51.166.48 (msg) 15:23, 27 giu 2019 (CEST)

Urina nelle vene

Ho letto che nel 2015 una blogger australiana fu arrestata per maltrattamenti alla figlia, avendole iniettato urina nelle vene. Spostandoci sul lato pratico, cosa comporta (in termini medici e fisici) la penetrazione e/o presenza di urina in vena ?


--87.13.239.79 (msg) 20:16, 27 giu 2019 (CEST)

Tra le cose che Vallanzasca ha fatto in carcere per procurarsi l'epatite e poi evadere, si era proprio iniettato la sua urina nelle vene. Credo di poter affermare che tra le risposte alla tua domanda, una è proprio i danni al fegato--79.51.166.48 (msg) 22:23, 27 giu 2019 (CEST)
Nonché danni a praticamente qualsiasi organo, in primis appunto fegato, reni e cervello... se ti va bene, se ti va male vai in squilibrio elettrolitico e rischi un arresto cardiaco... e tutto ciò se l'urina è la tua! Se no è anche peggio. Se può interessare c'è questa pubblicazione che parla di un caso accidentale di iniezione di urina, conclusosi con una setticemia letale --Samuele Madini (msg) 18:01, 29 giu 2019 (CEST)

Ananas

Dopo che si è mangiato l'ananas, tutto assume un sapore amaro. Anche l'acqua diventa amara. Che sostanza contiene l'ananas che rende tutto più amaro? --82.58.108.202 (msg) 13:20, 29 giu 2019 (CEST)

Alla voce Ananas si dice che il frutto contiene Bromelina, enzima che degrada le proteine (e causa il pizzicore in bocca quando si mangia l'ananas). Quindi immagino che la bromelina rimasta in bocca possa alterare il sapore di altri alimenti contenenti proteine... ma l'acqua? Non ho mai fatto caso che anche l'acqua cambiasse sapore... farò l'esperimento la prossima volta che lo mangio! Ma non sei l'unica persona che ha sentito l'acqua amara: qui viene fatta la stessa domanda, e la risposta dice che dal momento che la bromelina danneggia (temporaneamente) la lingua, la lingua sente (temporaneamente) sapori "sbagliati". --82.56.57.62 (msg) 22:16, 30 giu 2019 (CEST)

Perché certi sali danneggiano l'organismo?

Ti prego Oracolo rispondi alla mia domanda perché non riesco a capacitarmi di questa cosa, e sinceramente non saprei a chi chiedere.

Come è possibile che i sali inorganici hanno effetti sull'organismo? Faccio subito degli esempi:

  1. Il carbonato di potassio può irritare la pelle, gli occhi e le vie respiratorie, ma nonostante ciò è l'additivo alimentare E501;
  2. Il cloruro ferrico è nocivo, irritante e persino corrosivo;
  3. Il cloruro di calcio irrita le vie respiratorie, e nonostante ciò è l'additivo alimentare E509;
  4. Il bromuro di potassio, al di la del falso mito che si dava alle leve per calmare la libido, era usato come antiepilettico.

I sali sono composti ionici, nell'organismo si dissociano in ioni. E noi gli ioni carbonato, cloruro, potassio etc li assumiamo regolarmente. Inoltre sono composti inorganici, non dovrebbero avere effetti sul sistema nervoso (KBr), cosa che mi aspetterei da un composto organico.

Mi rendo conto della mia ignoranza in materia, spero compresa, ma perché i sali con ioni che si assumono regolarmente in quantità hanno questi effetti (soprattutto la storia del KBr e il sistema nervoso non riesco a capire), e nonostante ciò si usano come additivi alimentari?


--95.248.18.25 (msg) 20:11, 29 giu 2019 (CEST)

"Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit" [cit. Paracelso], ovvero "Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto". Il trucco sta tutto lì, almeno per quanto riguarda il fatto che la stessa sostanza può essere ora benefica, ora innocua, ora tossica. Per quanto riguarda invece la questione sali inorganici e sistema nervoso considera che le cellule cerebrali (come anche ogni altra cellula del nostro corpo) funziona anche grazie a complessi equilibri di gradienti salini --Samuele Madini (msg) 20:31, 29 giu 2019 (CEST)