Utente:UmbraSolis/Invorio

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La grande villa, posta al centro della proprietà, non occupa l'intera area un tempo incastellata, ma solo una parte: residui del castrum emergono lungo il perimetro occidentale, soprattutto entro il bel palazzo seicentesco, contrassegnato da una enorme biscia viscontea[1].

Nel parco signorile sorge la torre quadrata, divisa in tre piani e sormontata da una merlatura, ricostruita nei primi decenni del Novecento. Si innalza per 14 metri e la porta originale, munita di architrave e di arco di scarico cieco, si apre a circa un terzo dell'altezza. Nel timpano appare incastrato lo stemma dei Visconti[1].

Per tutto il resto è impossibile dire qualcosa di preciso, o proporre una datazione, giacché le trasformazioni, i rimaneggiamenti ed i restauri antichi hanno sconvolto l'insieme[1].

Il castello dei conti di Biandrate ad Invorio Inferiore[modifica | modifica wikitesto]

L'evolversi delle vicende politiche spinse Guido ad accordarsi con il Comune di Novara il 19 agosto 1218: erano gli anni della maggiore tensione tra il vescovo e gli organismi politici cittadini, sfociata in una guerra aperta, e il castrum di Invorio poteva servire per controllare i territori episcopali ad est del Lago d'Orta, in appoggio al nuovo borgo franco di Mesma. Il conte cedette alla città castro seu loco Ivorio Inferiori, o meglio i cinque sesti dell'insieme, giacché il restante era posseduto dal cugino Ottone. Inoltre alienava i diritti giurisdizionali sulla stessa fortezza, sugli uomini di Invorio e sugli abitanti della castellania, comprendente Montrigiasco e Paruzzaro. Guido di Biandrate otteneva di esercitare però la giurisdizione sui suoi uomini. Infine tratteneva in suo potere l'honor, il districtus, ed il fodro e prometteva di diventare cittadino di Novara. Quattro mesi dopo, nel Broletto della medesima città, il conte era costretto a specificare davanti ad un gruppo di uomini di Invorio che egli aveva venduto solo la sua parte de comitato Blandrati in Ivorio, cioè le cinque parti di ciò che gli apparteneva pro comitato illo ad Invorio Inferiore e nella castellania[1].

Non passarono quattro anni: Guido di Biandrate strinse una alleanza offensiva con Vercelli il 12 maggio 1222 ed annullò il contratto firmato con i Novaresi. Sperava di poter annientare il Comune, che con la sua espansione politica e militare strappava alla famiglia comitale i diritti e le fortezze, annullandone l'antica potenza. Perse la guerra; il 23 novembre 1223 a Milano il podestà di quella città gli impose di rispettare l'atto di vendita del 1218, a patto che Novara abrogasse le sentenze di banno pronunciate contro di lui durante il conflitto. Invorio si inseriva definitivamente nella sfera giurisdizionale novarese, anche se il conte Guido sperò nel 1238 di poter ricuperare la località, giacché Federico II il 20 maggio gli aveva riconfermato i possessi di suo padre[2].

La presenza dei Visconti di Milano[modifica | modifica wikitesto]

Nel trattato di pace del 23 novembre 1223, mediato dal podestà di Milano, è inserita una clausola finale sorprendente: tutte le decisioni adottate, ed in particolare quelle che riguardavano Invorio ed il Vergante, avrebbero dovuto salvaguardare i diritti ed i possessi della famiglia Visconti di Milano. L'anno successivo, nella chiesa di San Martino di Lesa, Guido di Biandrate era accompagnato da Filippo Visconti di Invorio e da Rainerio Visconti da Oleggio Castello: assistevano ad un trattato tra l'arcivescovo di Milano e i conti da Castello, accompagnati dagli uomini di Pallanza, in cui il presule prometteva di concedere della terra ad habitandum ed i diritti di mercato sui possessi lacustri della Chiesa Milanese. È indubbio che in questi anni la famiglia, in seguito dominatrice della Lombardia, manifestasse i suoi primi interessi politici sul basso e medio Vergante, ove essa aveva dei possessi terrieri, sia allodiali, sia beneficiali[2].

Se si leggono le due fonti letterarie più autorevoli sull'origine dei Visconti, l'Azario ed il Calco, si può con sicurezza sostenere che essi provenivano dal Vergante ed erano radicati ad Invorio Inferiore, Oleggio Castello e Massino. Erano dal 1142 vassalli ed amministratori del cenobio di Santa Maria di Massino per conto dell'abate di San Gallo e forse avevano legami di dipendenza beneficiale con i conti di Biandrate. Sin da quei tempi essi possedevano in beneficio per conto dell'abbazia il castrum Massini e nel primo Trecento Filippo Visconti fu ucciso nella piccola fortezza familiare di Oleggio Castello da Manfredo da Gattico che ne distrusse le strutture difensive. A partire dalla fine dell'XI o dai primi anni del XII secolo alcuni gruppi della numerosa domus viscontea si erano recati ad abitare a Milano, ove erano divenuti vassalli ecclesiastici, mentre altri erano rimasti sui luoghi aviti. Gli antenati dell'arcivescovo Ottone provenivano dal nucleo cittadino, che tuttavia non aveva perso i rapporti con i consanguinei attestati nel Vergante. Poté così diffondersi la notizia che Matteo fosse nato a Massino o ad Invorio, come ha riportato con fedeltà l'Azario[2].

Dopo la fortunata ascesa politica di Ottone a Milano, i gruppi familiari residenti ad Invorio, Massino, Oleggio Castello e Castelletto non ebbero alcun evidente vantaggio e solo al tempo di Matteo e di Giovanni Visconti riuscirono ad emergere dal grigiore politico, ma non per intervento dei familiari al potere, bensì per capacità personali, come nel caso di Giovanni Visconti da Oleggio Castello, la cui carriera fu in un primo tempo favorita dall'omonimo arcivescovo, ma in seguito ostacolata, sinché il da Oleggio non si affermò personalmente sui territori papali di Bologna e di Fermo[2].

Lo stesso cronista Azario notò che l'arcivescovo Ottone «aveva uno scarso patrimonio, giacché al momento della sua designazione alla carica ecclesiastica possedeva solo Invorio Inferiore e Oleggio Castello, con le sue pertinenze; i suoi parenti da molti anni avevano possessi in Massino ed in altre località del Vergante, e specialmente i consanguinei dell'arcivescovo erano proprietari di qualche Casa, ma in scarsa quantità». Tenuto conto che Invorio Inferiore era stato da secoli confermato ai Biandrate e poi ceduto ai Novaresi, è molto probabile che i Visconti fossero stati vassalli comitali con diritto ereditario sui patrimoni immobiliari dei Biandrate; tali diritti furono appunto salvaguardati, giacché i Visconti erano cittadini milanesi, con l'apposito articolo finale nel trattato di pace del 1223 tra Novara e Vercelli. La frase dell'Azario, che abbiamo citato, può essere accettata se si[2]

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distingue tra proprietà (dei conti) e possesso (dei Visconti) e se si tiene conto che i paesi del Vergante sopra menzionati non erano del solo arcivescovo, ma, come il Biscaro ha dimostrato, di un rilevantissimo numero di persone appartenenti all'unica domus dei Visconti. Per distinguersi, essi, già all'inizio del Duecento, avevano introdotto nel cognome le specificazioni topografiche, da Invorio, da Oleggio Castello, da Massino e da Castelletto. Erano le terre degli avi e Invorio Inferiore, unitamente a Montrigiasco e Paruzzaro, rimase per secoli alla famiglia, sino alla soppressione del sistema feudale. Il castello fu invece distrutto tra il 1356 ed il 1358, durante le guerre per la conquista del Novarese, ad opera delle milizie del marchese di Monferrato[3].

Feudo e castello nell'età moderna[modifica | modifica wikitesto]

I Visconti di Invorio restarono per secoli i parenti poveri dei duchi di Milano: il castello non fu ricostruito e a testimoniare un passato più florido perdurò «solo una torre dei signori del distrutto castello, che non è fortezza». Così si espresse nel 1639 Pietro Aceti, un calzolaio, che era stato convocato nell'osteria di Invorio Inferiore per testimoniare sulla situazione del feudo: egli notò che i coafeudatari erano così tanti da non essere in grado di nominarli tutti. Effettivamente l'oste confermò che erano 12 gruppi familiari, e sarebbe lungo elencarli tutti in questa ricerca: tra di loro spiccavano i Visconti d'Aragona ed i Visconti di Fontaneto, che erano subentrati ad alcune famiglie in miseria dei Visconti di Invorio[3].

Di fronte alla richiesta di spiegare in che cosa consistesse il feudo il calzolaio ebbe delle esitazioni, i signori avevano il dazio del pedaggio ed il diritto di nomina del podestà, ma godevano di strane prerogative, che non erano presenti nei paesi vicini, tranne a Paruzzaro e Montrigiasco. Erano cioè titolari del laudemio e dell'omaggio e in più del diritto di devoluzione; in altre parole, come spiegarono molti presenti, essi avevano diviso il paese in case e ciascuno aveva la propria quota di edifici, abitati dai rispettivi sudditi, i quali pagavano «chi un capone, chi un polastro, chi aglio e chi speciarie, conforme alle conventioni». Pertanto l'omaggio era personale, ripartito suddito per suddito, e solo il feudatario era in grado di dire chi fossero i suoi uomini. In caso di morte senza eredi o in caso di confische per atti criminali i beni erano di competenza del relativo domino. Infine il laudemio consisteva nel pagare un soldo per lira (=5%) al proprio signore qualora fossero stipulati contratti di vendita o di acquisto di case. Diritti evidentemente molto antichi ed uno dei feudatari nel 1769 notò dinanzi al re di Sardegna che «il feudo di Invorio ha delle ricognitioni di feudo gentile e nobile, osia di un uovo o una gallina o un'oncia di pepe e del laudemio, come si trova anche scritto nel documento del 1142». Affermazione verissima, giacché Guido Visconti doveva 12 libbre e mezza all'anno di pepe al cenobio di San Gallo; in altri termini i domini sostenevano che i diritti feudali derivavano dalla concessione monastica approvata nel 1142 da Corrado III e non dalle investiture feudali dei duchi[3].

Era probabilmente così: infatti non esistono documenti viscontei che parlino di una concessione del feudo di Invorio Inferiore al ramo familiare locale. Inoltre anche al tempo degli Sforza non si ebbe infeudazione ex novo, infatti nel 1490 Giovanni Galeazzo Maria confermò i diritti dei Visconti di Invorio e, nel ricopiare il privilegio antico, dimenticò di affermare che essi e i loro uomini godevano della prerogativa di non poter essere citati in giudizio fuori dalla loro giurisdizione. Il gruppo signorile lo fece notare e il duca riparò all'inconveniente con un'altra carta in cui era dichiarata anche questa immunità. L'unico momento di difficoltà per il nucleo familiare dei da Invorio Inferiore si presentò nel 1399, quando uno dei consanguinei vendette per 1238 fiorini la sua parte dei possessi a Francesco Barbavara, che in quegli anni si presentava come erede dei Biandrate. L'operazione avrebbe potuto essere gravida di conseguenze, ma i successivi eventi politici e la presenza di Facino Cane eliminarono il piano del Barbavara. Invorio rimase così ai Visconti che mantennero nel paese, in cui sino al 1639 non si teneva il mercato, un curioso e variopinto intreccio di rapporti personali, da secoli scomparsi in tutti gli altri centri[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Andenna, 1982, p. 389
  2. ^ a b c d e Andenna, 1982, p. 390
  3. ^ a b c d Andenna, 1982, p. 391

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]