Utente:Tytire/Sandbox/sandbox-8

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Idee[modifica | modifica wikitesto]

L’ambientalismo radicale è ispirato dalle idee dell’ecologia profonda e dall’ecocentrismo. Queste prospettive mettono in discussone l’esistenza di una divisione tra umanità e natura. Sostengono che l'arroganza dell'uomo nei confronti del mondo naturale è la causa principale dei problemi ecologici, perché giustifica lo sfruttamento della natura per soddisfare gli interessi umani. L’ecocentrismo si contrappone all’antropocentrismo, secondo il quale i bisogni e gli interessi dell'uomo sono di massima importanza perché  l'uomo è al centro dell'universo, separato dalla natura, e dotato di un'ampia gamma di poteri su di essa. Esistono correnti antropocentriche dell’ambientalismo: esse considerano importante prevenire o risolvere i problemi ambientali perché essi danneggiano l’uomo. [1]

La visione ecocentrica, invece, considera questa visione inadeguata e inefficace nel risolvere la crisi ambientale in cui vive l’umanità oggi. L'ecocentrismo sostiene che le cose in natura, come gli animali, le piante e persino le cose non viventi come i fiumi o le montagne, sono interconnesse e inseparabili. Perciò hanno un valore proprio, non solo perché sono utili all'uomo. Un'idea chiave dell'ecocentrismo è che riconoscere il valore intrinseco della natura (cioè non in funzione dei bisogni umani) e l’interconnessione delle sue parti può aiutare a proteggere l'ambiente.[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'ambientalismo radicale nacque negli Stati Uniti come emanazione di gruppi ambientalisti tradizionali come il Sierra Club, che inizialmente si concentravano sulla protezione della natura selvaggia del Nord America. Negli anni Settanta, con l'espansione del movimento ambientalista, le principali organizzazioni ambientaliste si orientarono verso una comprensione più scientifica della natura e adottarono strategie professionali e riformiste per influenzare le politiche ambientali. Questi gruppi, un tempo dediti alla conservazione regionale, si trasformarono ben presto in entità politiche nazionali, utilizzando efficacemente il lobbismo e l'opinione pubblica per promuovere riforme. Questo cambiamento portò alla disillusione di quei membri del Sierra Club e di altri gruppi ambientalisti affermati che avvertivano un più forte senso di crisi ambientale e scetticismo sulla capacità dell'umanità di vivere in armonia con la natura. Questi membri iniziarono a formare gruppi di attivisti separati. Pur essendo inizialmente critici nei confronti dei gruppi ambientalisti tradizionali, collaboravano comunque con loro. Erano motivati dall'ecocentrismo, concentrandosi sulla conservazione della natura selvaggia come obiettivo primario e utilizzando metodi di azione diretta accanto ai processi politici convenzionali. In questo periodo ci fu anche a una crescita significativa dell'ecologia scientifica, che sottolinea come l'uomo sia parte dei processi naturali, non separato da essi.[2]

Negli anni 60-70 tra questi gruppi di ambientalisti crebbero l’insoddisfazione per approcci riformatori e il desiderio di cambiamenti sociali ed economici più radicali.   Erano quegli gli anni in sui sorsero anche i movimenti di sinistra radicale, che si opponevano al modello liberale e capitalistico, accusato di alimentare sfruttamento e iniquità. La sinistra radicale era stata storicamente avversa all’ambientalismo, che considerava marginale al cambiamento sociale. Ne criticava anzi l’anti-umanesimo e l’assenza di attenzione per le diseguaglianze sociali. I due filoni di contro-cultura trovarono però una convergenza nell’opposizione al sistema economico dominante e nei metodi dell’attivismo politico. Successivamente, la nascita dell’ecologia sociale ad opera di Murray Bookchin e altri, produsse un collegamento intellettuale tra ambientalismo e sinistra radicale. Le analisi di ecologia sociale consideravano come l'abuso del mondo naturale da parte delle persone derivi direttamente dalla disuguaglianza sociale; e che i meccanismi sociali di controllo e sfruttamento tra gli uomini abbiano generato lo sfruttamento della natura da parte degli esseri umani.[2]

Nel 1968 fu fondata Zero Population Growth, che lottava contro la crescita demografica, considerata la causa principale dello sfruttamento della natura, in chiave neo-malthusiana. Il primo presidente fu Paul Ehrlich, autore della noto saggio The population bomb (1968), che fu una prima pietra miliare nel dibattito sui limiti alla crescita economica. L'organizzazione era attiva soprattutto nel settore educativo.[2]

Nel 1972 il Club di Roma pubblicò lo studio I limiti dello sviluppo che, sulla base di modelli matematici, propose che, se le tendenze demografiche ed economiche correnti fossero continuate, il pianeta avrebbe raggiunto i limiti della crescita entro cento anni, con un probabile declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che della capacità industriali.[2]

Da quei primi studi importanti, si diffuse una letteratura sulla crisi ambientale. Essa spaziava da visoni apocalittiche a studi di economisti (come Herman Daly, E.F. Schumacher, Robert Heilbroner). Queste analisi misero in discussione l'ipotesi, fino ad allora non dubitata nel sentire comune, che la crescita economica e il consumo di risorse siano inesauribili e inevitabili. L'ecologo Garrett Hardin pubblicò un'influente analisi (La tragedia dei beni comuni, 1968) proponendo che l'uso di qualsiasi risorsa condivisa in modo tale da massimizzare il guadagno individuale inevitabilmente danneggiare il bene collettivo.[2]

Questo fiilone di analisi, una grave crisi energetica, una elevata inflazione e scandali politici contribuirono a diffondere un senso di crisi ambientale durante gli anni 1970.

nel 1980 fondarono Earth First!

Critica[modifica | modifica wikitesto]

gli storici hanno "considerato i punti di vista dei radicali come marginali rispett alle corrrenti principali dell’ambientalismo e eccessivamente semplicistici" (Woodhouse)

L'ecocentrismo ha talvolta trascurato le disuguaglianze umane e ha avuto la tendenza a non amare l'umanità. Il libro "Gli ecocentristi" evidenzia come gli ambientalisti radicali abbiano messo in discussione le convinzioni di base del mondo industriale moderno e della sua politica. L'autore, Woodhouse, suggerisce che l'ambientalismo ha bisogno di una prospettiva chiara, notando che la sua efficacia spesso deriva da una comprensione ben definita della natura. Tuttavia, è difficile conciliare la visione chiara degli ambientalisti radicali con la loro visione negativa dell'umanità. Woodhouse suggerisce che possiamo imparare dall'ambientalismo ecocentrico, in particolare la sua enfasi sull'umiltà, la cautela e la considerazione degli interessi non umani nelle nostre decisioni.



Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Carter, 2018, cap. 2.
  2. ^ a b c d e Woodhouse, 2020

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]