Utente:Tytire/Sandbox/sandbox-2

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ex storia ambientale[modifica | modifica wikitesto]

Per capire le cause dei cambiamenti storici ed evitare generalizzazioni ingiustificate, occorre identificare i cambiamenti climatici passati; ricostruire le condizioni ambientali passate nelle regioni di studio e i mezzi a disposizione delle società dell’epoca per adattarsi ai cambiamenti; determinare, tramite fonti storiche ed archeologiche, il ciclo di feedback che si è instaurato tra società e ambiente nella loro influenza reciproca; ricostruire le azioni umane in reazione ai cambiamenti; e comprendere le percezioni e le idee che hanno determinate le azioni intraprese dalla società in questione.

ex Amnistia Togliatti[modifica | modifica wikitesto]

Storiografia e confitti di interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

I provvedimenti di giustizia post-bellica e quelli di epurazione furono strettamente interconnessi: essi costituirono le principali misure attraverso le quali il paese gestì nell'immediato la transizione dal regime fascista verso la nuova fase politica e sociale. A partire dal dopoguerra per decenni le contrapposte propagande politiche prevalsero sul desiderio di stabilire una verità storica. In quel periodo, si stabilirono tre chiavi di lettura principali: dalla sinistra la transizione fu vista come un fallimento che lasciò intatta la burocrazia fascista e perdonò anche i maggiori responsabili politici e di violenze. Una visione centrista vide la transizione come un processo ragionevole che escluse dallo stato i maggiori responsabili del regime, ma salvaguardò coloro che erano stati fascisti per necessità. La destra fascista vide invece nella transizione una persecuzione indiscriminata di piccoli e grandi fascisti, che produsse migliaia di morti innocenti.[1] In quel contesto, gli storici italiani furono riluttanti ad affrontare i temi dell'epurazione e della giustizia post-belliche, che rimasero perciò ai margini della ricerca e riflessione storiche .[2]

L’amnistia fu oggetto di studio storico da parte di giuristi sin dagli anni immediatamente successivi,[2] ma questo lavoro non ebbe vasti riscontri pubblici.

A partire dagli anni 1990, la ricerca e conseguentemente il dibattito politico e sociale si aprirono, grazie alla ricerca storica sugli anni 1943-1945 di Pavone,[3] Woller,[4] Crainz,[5] Domenico,[6] e Contini.[1][7][8] Questi lavori, che furono poi seguiti da altre opere influenti, come quelle di Dondi,[9] Santomassimo,[10] Focardi,[11] Franzinelli,[12] e altre ancora, indagarono non solo la giustizia di transizione, ma anche la realtà storica della resistenza, il suo ruolo nei successivi dibattiti politici e la costruzione contestata della memoria collettiva della liberazione.[13]

Queste nuove apertura e riflessione hanno avuto luogo mentre, oltre l'Italia, si avviò gradualmente la costituzione dell'ordinamento di giustizia internazionale che sostiene ora la giustizia post-conflitto. E nei paesi europei esse si accompagnarono alla messa in discussione della memoria storica delle rispettive liberazioni dal nazismo, su cui avevano fondato la legittimità i nuovi ordini politici post-bellici: per ricostituire l'ordine civile, infatti in molti paesi si addossò la responsabilità del conflitto ai nazisti e passò in secondo piano l'estesa collaborazione che essi ricevettero.[14]

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Ruolo della magistratura

L’epurazione del personale pubblico dall'apparato statale produsse risultati sostanzialmente effimeri e dimostrò l’impermeabilità della burocrazia alle istanze anti-fasciste. Essa rappresentò un tentativo modesto di riordino dell’amministrazione, senza ambizioni di profondo rinnovamento delle persone e delle regole: venne alla fine ricondotta nelle normali procedure disciplinari e l’Italia repubblicana eventualmente ereditò l’apparato amministrativo fascista.[15] Nel caso della magistratura, un' epurazione radicale dei magistrati associati al fascismo sarebbe stata impossibile: avrebbe richiesto “la rimozione, salvo rarissime eccezioni, di tutti i consiglieri di Cassazione, quasi tutti i consiglieri di appello e anche buona parte dei più giovani giudici di tribunale e di pretura”.[16]

Le estese scarcerazioni scatenarono subito conflitti e un rimpallo di responsabilità fra governo e magistratura. Da un lato, politici, a partire da Togliatti stesso, accusarono la magistratura di aver lavato le responsabilità del fascismo. Dall'altro, giuristi dell’epoca considerarono che la formulazione del decreto era ambigua e tradiva l’intenzione di affidare alla magistratura l’incombenza di dirimere responsabilità dai confini spesso poco netti, là dove la politica non era riuscita a farlo. Questa interpretazione sembra voler diminuire il ruolo della magistratura. Storici e giuristi hanno piuttosto sottolineato che la formulazione del decreto e la valutazione dello spazio interpretativo che esso lasciò ai giudici rivelano “superficialità e pressapochismo” del legislatore.[17]

La Suprema Corte di Cassazione svolse un ruolo decisivo nel riesame di molti provvedimenti, per i quali essa doveva stabilire se ci fosse motivo di esclusione dall'amnistia: l’orientamento prevalente fu favorevole ai condannati. La formulazione del decreto apriva ad interpretazioni delle responsabilità anche di alti gerarchi: i giudici spesso distinsero fra cariche politiche e cariche tecniche, e poi valutarono la natura e la maniera politica di gestire la carica. Inoltre il decreto introdusse tra i motivi di esclusione la nozione di “sevizie particolarmente efferate” che si prestò ad interpretazioni cavillose e molto clementi anche per fatti gravi di violenza politica,[17] [18] con sentenze che sono state descritte come “pagine vergognose per la storia della giurisprudenza italiana”.[16] Un esame dei provvedimenti ha fatto rilevare che anche in casi di gravi reati, esclusi dall'amnistia, la Cassazione sovente annullava la sentenza di primo grado, e rinviava il processo ad una nuova sede, lontana dai fatti giudicati. Anche in casi di gravi condanne in primo grado, la strategia di rinvii e ricorsi produceva alla fine condanne molto lievi, se non l‘assoluzione. [17][18][19]

Analisi storica ha anche sottolineato che i crimini imputati a partigiani non vennero trattati dai tribunali e poi dalla Cassazione con pari clemenza. La promulgazione dell’amnistia fu seguita da un aumento di arresti di partigiani, che non venivano solitamente perseguiti giudiziariamente, ma attendevano la procedura di amnistia in prigione. Nel dicembre 1946 una sentenza della Cassazione confermò l’esclusione del furto dall'amnistia, anche se commesso per permettere la resistenza alla repressione nazifascista. Successivamente, molti processi a partigiani vennero quindi inquadrati nell'ambito del Codice Civile.[20] Molti processi contro partigiani vennero istruiti negli anni 1950: accusati di omicidio o sequestro di persona, dovevano dimostrare le motivazioni politiche delle loro azioni.[12]

Valutazione degli effetti

Il giudizio storico sull'amnistia è stato molto influenzato dalla scarcerazione di casi eclatanti, che ebbero un grande impatto sull'opinione pubblica. Una valutazione storica più fondata deve affrontare questioni complesse: deve determinare esattamente quanti e quali fascisti ne beneficiarono complessivamente; e da quale tribunale e per quali meriti venne applicata ai singoli casi e con quali motivazioni giuridiche. La questione quindi deve affrontare un giudizio storico su sentenze di giustizia.[18]  

Molti storici pongono l’enfasi sul ruolo dell’amnistia come colpo di spugna: la maggior parte degli esponenti di rilievo del fascismo vennero amnistiati tra il 1946 e 1947. La manovalanza passò attraverso una più lunga trafila di processi che attrassero scarsa attenzione.[12] Franzinelli ha stimato le seguenti statistiche giudiziarie nella fase di transizione, pur nell'incertezza dei dati:

  • 43,000 persone processate per collaborazionismo;
  • 23,000 furono amnistiati in fase istruttoria;
  • 14,000 liberati con formule varie;
  • 5,928 condannati in via definitiva (334 in contumacia);  
  • 259 condannati a morte, di cui 91 sentenze eseguite;
  • 5,328 fascisti beneficiarono di amnistia o indulto: 2,231 in modo totale, 3,363 in parte.[12]

L'amnistia fu il provvedimento cardine di un più lungo processo di transizione politica e di giustizio. Essa diede un forte impulso ad un processo di riabilitazione e di assoluzione molto rapido, che era iniziato dalla fine del 1945, aveva fondamenti politici e fu ulteriormente accelerato dall'operato della Cassazione. Questa onda lunga di fatto portò allo svuotamento di fascisti dalle carceri: i fascisti in carcere alla metà degli anni 1950 sono stati stimati in poche decine.[18]

estratto da Franzinelli cap 2[modifica | modifica wikitesto]

L’amnistia fu applicata già alla fine di giugno a un numero elevato di casi, per le istruttorie in corso e per le condanne definitive, con un’interpretazione estensiva che sollevò le proteste di una parte dell’opinione pubblica e rimbalzò una quantità di critiche contro il guardasigilli. Togliatti corse tardivamente ai ripari e il 2 luglio diramò una circolare telegrafica alle procure generali presso le Corti d’appello:

Quesiti qui posti et incidenti provocati in località periferiche da scarcerazioni per amnistia di criminali fascisti mi inducono ad attirare l’attenzione delle Signorie Loro su necessità che amnistia venga applicata secondo spirito legislatore che volle continuasse azione punitiva contro responsabili fascisti così come dicesi chiaramente in relazione introduttiva.

Qualora sorgano in Loro dubbi circa estensione applicazione termini decreto, si orientino secondo categorie per cui in decreto legge luogotenenziale 22 aprile 1945 n. 142 venne stabilita presunzione collaborazionismo. In rimanenti casi dubbi consiglio preferire rinvio a giudizio e conseguente applicazione amnistia da parte autorità giudicante.

Circolare telegrafica 2 luglio 1946 n. 9796/110, alle procure generali presso le Corti d’appello, oggetto «Amnistia per crimini fascisti».

L’intervento fu criticato come intromissione politica nell’operato della magistratura; ai fini pratici la circolare rimase lettera morta. La prosa del ministro attribuiva le scarcerazioni in massa alla magistratura e non alle caratteristiche del decreto da lui preparato e licenziato. Nel frattempo le dinamiche politiche generali offrirono al segretario comunista la via d’uscita da un incarico rivelatosi carico di problemi e che lo vedeva in una posizione insostenibile.

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Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) John Foot, (Review) Hans Woller, I conti con il fascismo. L'epurazione in Italia 1943–1948, translated from the German by Enzo Morandi, Il Mulino, Bologna, 1997, ISBN: 88-15-06198-3 pbk, 50,000 Lire, in Modern Italy, vol. 3, n. 2, 1998-11, pp. 307–309, DOI:10.1017/S1353294400007079.
  2. ^ a b Woller, 2004, pag. 14
  3. ^ Pavone, 1991
  4. ^ Woller, 2004
  5. ^ Crainz, 1992
  6. ^ Domenico, 1996
  7. ^ Contini, 1996
  8. ^ Foot, 2009, cap. I
  9. ^ Dondi, 1999
  10. ^ Santomassimo, 2003
  11. ^ Focardi, 2005
  12. ^ a b c d Franzinelli, 2006
  13. ^ Cooke, 2011, pag. 1-8
  14. ^ Battini, 2007, pag. 1-24
  15. ^ Melis, 2003
  16. ^ a b Neppi Madona, Guido. Una riflessione sull'amnistia Togliatti: in margine alla ricerca di Mimmo Franzinelli. In Franzinelli, 2006.
  17. ^ a b c Franzinelli, 2006, Cap. II
  18. ^ a b c d Woller, 2004, pp. 533-549
  19. ^ Caroli, 2015
  20. ^ Cooke, 2011, pp. 22-23
  21. ^ Ginsborg, cap. I

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]