Utente:Stefano Remo/Sandbox2

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Acquaforte di Jan Luyken raffigurante la Persecuzione degli imperatori Diocleziano e Massimiano nell'anno 301 (Eeghen 686)

La Persecuzione di Diocleziano o Grande persecuzione fu l'ultimo episodio della persecuzione dei cristiani nell'Impero romano.[1] Ebbe inizio nel 303, sotto l'impero di Diocleziano e dei suoi colleghi Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro. Diocleziano emanò quattro editti contro i Cristiani.

Il contesto e le motivazioni[modifica | modifica wikitesto]

Le persecuzioni precedenti[modifica | modifica wikitesto]

Il cristianesimo, che rinnegava alla radice la religione romana, incontrò subito tanto l'intolleranza popolare quanto quella delle autorità dell'impero. Si sviluppò in semiclandestinità, con il costante pericolo di attacchi delle folle più o meno assecondati dai governatori locali. Come altre religioni orientali, si diffonderà più facilmente nella prima metà del III secolo, tanto da sopravvivere alla breve ma dura persecuzione di Decio (250) e ed a quella di Valeriano (257-260).

Alcuni elementi di questo scontro si ripresenteranno nella "grande persecuzione", e data la carenza di fonti può essere utile analizzarli:

  1. in quello scorcio di secolo il governo centrale doveva fronteggiare guerre per il potere, invasioni barbariche e una grave crisi economica. Le persecuzioni sistematiche contro il sempre più alto numero di cristiani rispondevano alle inquietudini dell'opinione pubblica (la religione pagana era ancora predominante), che attribuiva proprio a loro la rottura della pax deorum.
  2. Decio si insediò a Roma determinato a restaurarne la grandezza e i valori, non ultima la religione dei padri. Ordinò a tutti i cittadini di sacrificare agli dèi pagani, il che equivaleva ad un atto di obbedienza dato che l'imperatore era il sommo pontefice.
  3. Valeriano non mirò tanto a fare martiri (il cui culto attirava paradossalmente sempre nuove conversioni) ma esiliò il clero, sequestrò chiese e cimiteri, confiscò beni. Olre a rimpinguare le casse statali, queste misure indebolivano le comunità cristiane privandole delle guide spirituali e delle risorse finanziarie.

La crisi della religione pagana[modifica | modifica wikitesto]

A partire dagli editti di Gallieno il cristianesimo ritrovò una relativa tranquillità in cui prosperare, diffondendosi sempre più anche nelle campagne e facendo breccia nella classe dirigente. La vecchia religione soddisfava sempre meno le rinnovate esigenze di religiosità dell'individuo: il monoteismo stava insidiando ovunque la vecchia cultura politeista, e nel 274 Aureliano antepose a tutte le divinità pagane il Sol Invictus, istituendo una sorta di monoteismo ufficiale.[2]

Le motivazioni[modifica | modifica wikitesto]

Diocleziano e la sua cerchia propendevano decisamente per la religione tradizionale. Salito al trono nel 284 dopo complesse lotte di potere, Diocleziano volle istituire con la tetrarchia un sistema di governo più stabile fondato su due Augusti (detti uno Iovius – lui stesso – e l’altro Herculius) e due Cesari con gli stessi appellativi destinati a diventare Augusti dopo dieci anni. Dividere l’impero tra quattro sovrani comportava un forte rischio di disgregazione, che Diocleziano cercò di bilanciare con un deciso assolutismo accentratore: dopo aver unificato nell’impero la lingua (il latino), la moneta (il follis) ed il sistema dei prezzi, tentò di uniformare anche la religione nel culto del Sol invictus, associato a Mitra. Anche i riferimenti a Giove ed Ercole sottolineano la volontà di fondare il potere assoluto della tetrarchia sul sistema religioso tradizionale. [3] [4]

La persecuzione arrivò dopo quasi vent'anni di regno, preparata da opere anticristiane come i "Discorsi contro i cristiani" di Porfirio ed il "Philaletes" ("Amico della verità") di Sossiano Ierocle del 303. Fu inoltre anticipata nel 297 dalla proscrizione del manicheismo (con argomenti validi anche verso i cristiani), mentre la supposta discriminazione dei soldati cristiani non pare fondata PIETRI P. 173. Le fonti cristiane sulla persecuzione – Eusebio di Cesarea, Lattanzio ed altri – hanno limitati riscontri ma sono numerose e circostanziate.[5] FREND

Lattanzio indica nel Cesare Galerio l’ispiratore della persecuzione; come Eusebio, vede un'altra causa prossima in un responso negativo dell'oracolo di Apollo a Dydyma nel 302. PIETRI P. 174 MARCONE P. 223. Le motivazioni sottostanti furono comunque complesse:

  • Le difficoltà monetarie avevano costretto Diocleziano ad una severa politica fiscale. La persecuzione poteva servire quindi da un lato ad aiutare le casse con il sequestro di beni, dall'altro a placare il malcontento popolare
  • [6]

Il 24 febbraio 303 fu affisso nella capitale Nicomedia il primo editto[7], che ordinava:

  • il rogo dei libri sacri, la confisca dei beni delle chiese e la loro distruzione;
  • il divieto per i cristiani di riunirsi e di tentare azioni giuridiche;
  • la perdita di carica e privilegi per i cristiani di alto rango;
  • l’arresto di alcuni funzionari statali.

Pochi mesi dopo, a seguito di disordini, un secondo editto ordinò l’arresto del clero. Un terzo editto mirò a svuotare le carceri sovraffollate: i prigionieri dovevano essere costretti a sacrificare con ogni mezzo e poi liberati. L’ultimo editto, all’inizio del 304, impose a tutti i cittadini dell’impero di sacrificare agli dèi.

Eusebio definirà una vera guerra gli anni che seguirono: molti furono i lapsi, ma anche i martiri[8]. Il maggior numero di vittime si ebbe nell’area controllata da Diocleziano (Asia minore, Siria, Egitto), dove i cristiani erano molto numerosi; nei meno cristianizzati Balcani Galerio fu egualmente duro. Anche in Africa Occidentale, governata dall’Augusto Massimiano, ci furono molti martiri, anche se il quarto editto fu applicato in modo limitato; invece in Britannia e Gallia il Cesare Costanzo Cloro, padre di Costantino I, applicò solo il primo editto [9]. A proposito dei martiri di questo periodo sono rimaste testimonianze epigrafiche ed agiografie ritenute autentiche [10] [11]

In seguito all’abdicazione di Diocleziano e Massimiano nel 305 ed alla morte di Costanzo Cloro nel 306 si scatenarono in Occidente delle lotte di potere che gradualmente tolsero energia alle persecuzioni fino a interromperle. Viceversa in Oriente con Galerio, diventato Augusto, e suo nipote Massimino Daia continuarono duramente [12]. Più che giustiziati i cristiani erano ora imprigionati, torturati ed inviati ai lavori forzati nelle miniere in Egitto, una pena perpetua che portava presto alla morte [13].

Le ultime fasi[modifica | modifica wikitesto]

Il 30 aprile 311 Galerio, in punto di morte, emanò l'Editto di tolleranza che ordinava la cessazione delle persecuzioni. Nel testo trascritto da Eusebio, Galerio spiega le ragioni della persecuzione ma ne deplora il risultato, cioè che i cristiani non si rivolgono più né agli dèi pagani, né al loro dio [14]. In realtà queste si erano già arenate e nelle lotte per il potere i cristiani, per nulla vinti, avrebbero potuto rivestire un ruolo importante [15].

La conversione di Costantino dopo la vittoria su Massenzio [16] al ponte Milvio nel 312 è leggenda, ma la sua conferma all’editto di Galerio consentirà la definitiva libertà di culto ai cristiani in tutta la parte occidentale dell’impero. Purtroppo alla fine delle persecuzioni seguirà immediatamente la lotta interna alla Chiesa: nello stesso anno Costantino dovrà prendere posizione contro i donatisti e nel 317 invierà l’esercito [17].

In oriente invece Massimino Daia porterà avanti la persecuzione fino alla sconfitta subita nel 313 dal legittimo successore di Galerio, Licinio [18].

[19]

Vittime[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gaddis, 29.
  2. ^ Per Liebeschütz cit. p. 249 questa iniziativa fu consona alla tradizione e non va sopravvalutata
  3. ^ A. Chastagnol L’accentrarsi del sistema: la tetrarchia e Costantino in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. 199-200
  4. ^ Secondo lo storico latino Sesto Aurelio Vittore riportato in Chastagnol cit. p. 200 “primo fra tutti, Diocleziano tollerò che lo si adorasse e che ci si rivolgesse a lui come a un dio” (I Cesari, 39.4); A. Marcone in La politica religiosa in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. 229 ritiene invece che in questo non si sia discostato di molto dai suoi predecessori
  5. ^ Marcone cit. p. 230, 234
  6. ^ Marcone cit. a p. 223 riporta la tesi di W. Portmann, Zu den motiven der diokletianischen Christenverfolgung in Historia, XXIX (1990), pp. 212-248 “per il quale la persecuzione dioclezianea (e, in certa misura, quelle precedenti del III secolo) sarebbe stata motivata dalla minaccia contro la disciplina pubblica rappresentata dalle contese «tra» i cristiani”.
  7. ^ Secondo il testimone Lattanzio (riportato in L. Pietri Le resistenze: dalla polemica pagana alla persecuzione di Diocleziano in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430), 2003, Borla / Città nuova, Roma, p. 174) già il giorno prima, festa dei Terminalia, fu attaccata la chiesa di Nicomedia posta davanti al palazzo di Diocleziano. Le porte furono aperte , le scritture bruciate, il santuario distrutto.
  8. ^ Marcone cit. a p. 239 ritiene abbastanza attendibile la cifra di 91 vittime fornita da Eusebio per la sola provincia di Siria Palestina.
  9. ^ Marcone cit. p. 235; a p. 236 riporta come al termine della persecuzione i lapsi delle zone governate da Costanzo Cloro furono rimproverati solo di aver ceduto i libri sacri, segno di una condotta più mite.
  10. ^ L. Pietri cit. p. 172 ss.
  11. ^ W.H.C. Frend Persecutions: genesis and legacy in AA.VV., The Cambridge History of Christianity - Vol. 1: Origins to Constantine, 2006, New York, Cambridge University Press, p. 519-520
  12. ^ Marcone cit. a p. 239 menziona un’iscrizione rinvenuta a Colbasa in Panfilia che attesta agevolazioni fiscali per le regioni che collaboravano contro i cristiani
  13. ^ B. Santalucia La giustizia penale in AA.VV. Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, 1992 Einaudi, p. 230
  14. ^ Marcone cit. p. 240
  15. ^ L. Pietri cit. p. 180.
  16. ^ Marcone cit. a p. 237 sostiene che Massenzio adottò con i cristiani una politica tollerante.
  17. ^ C. Pietri Il fallimento dell’unità “imperiale” in Africa – La resistenza donatista in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430) p. 224-5
  18. ^ L. Pietri cit. p. 181.
  19. ^ Strutin, 1994, p. 6.