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Disambiguazione – Se stai cercando l'omonima rivista svizzera, vedi Cooperazione (rivista).

La cooperazione (o collaborazione) è il processo di gruppi o organismi che agiscono per il loro mutuo beneficio. Per molto tempo, basandosi su tesi razionaliste, la cooperazione è stata considerata - soprattutto in Italia - come segue: "Per cooperazione s'intende l'azione condivisa di più agenti per il perseguimento di uno scopo".[1]. La definizione qui proposta, oggi attuale anche in quel mondo anglosassone che aveva in passato usato la stessa definizione finalistica dello scopo comune, appare invece più corretta.

«Una percentuale crescente di antropologi sta arrivando alla conclusione che la cooperazione - non la dimensione del cervello o l'uso degli attrezzi, e senza dubbio non l'aggressività - fu l'atteggiamento che caratterizzò i primi esseri umani.»

Nella scienza[modifica | modifica wikitesto]

Dal controverso principio di natura umana (perché interpretata in diverse scuole di pensiero)[2] si attribuiva empiricamente alla competizione (obiettivo reciprocamente esclusivo) l'imperativo ed inevitabile tra gli individui[3] per essere:

"La sopravvivenza del più adatto" attribuita spesso a Charles Darwin era in realtà pensiero di Herbert Spencer,[7] Darwin originariamente impiegò come metafora semplificata "lotta per l'esistenza" ad indicare interdipendenza con gli altri organismi esistenti.[8] Sia Pëtr Kropotkin (Il mutuo appoggio)[9][10] che Warder Clyde Allee (Cooperation Among Animals) documentarono quanto in natura era diffusa la cooperazione.[11] Come evidenziato da Stephen Jay Gould nella selezione naturale non vi era l'obbligo a competere (ma diverse scelte quali: aiuto reciproco, simbiosi,..) e veniva disincentivata per George Gaylord Simpson.[12] Anche se dopo Darwin nell'ambiente scientifico "competizione" era ormai sinonimo di "selezione naturale",[13]in biologi come John A. Wiens la visione competitiva nell’ecologia proveniva dall'influenza della formazione occidentale su base socioeconomica.[14][15][16][17]

Diversi intellettuali, più o meno chiaramente condannavano la tendenza a legittimare l'antropomorfizzazione della natura umana alla visione distorta della selezione naturale.[18]

«L'intero insegnamento darwiniano della lotta per l'esistenza è semplicemente un trasferimento dalla società alla natura della dottrina di Hobbes del 'bellum omnium contra omnes' [una guerra di tutti contro tutti] e della dottrina economica borghese della competizione insieme alla teoria di popolazione di Malthus. Una volta eseguito questo trucco da illusionista[...] le stesse teorie vengono ritrasferite dalla natura organica alla storia, e allora si pretende che sia stata provata la loro validità quali leggi eterne della società umana. Friederich Engels 1875»

Nelle scienze sociali[modifica | modifica wikitesto]

Con "natura umana" si finiva per spiegare condizioni molto diverse ma abitualmente negative[19] (eccetto per gli psicologi umanisti),[20] in psicanalisi si giustificava la normalità della competizione[21] arrivando al complesso edipico fra maschi[22][23][24] prevalentemente nell'ambito lavorativo,[25] derivato però da riferimenti pedagogici eludibili;[26][27] avvalorati in parte dalla permanenza dell'etnocentrismo nel villaggio globale.[28]

Inizialmente l'aggressività si limitava con la catarsi[29][30] tramite pratiche sportive competitive come sostenuto da Konrad Lorenz (maggior fautore[31] con Freud)[32][33] che però non riaffermava in tarda età[34] ma riconosciuta sempre nociva da William James[35] e Bruno Bettelheim[36] perché al contrario disinibiva proprio i sentimenti aggressivi.[37][38] L'esperimento del piccolo Albert dimostrava come la rivalità sia così pervasiva grazie ad alcuni principi della teoria dell'apprendimento.[39][40] Famosi strateghi militari (Wellington, MacArthur, Eisenhower) hanno sempre lodato pubblicamente la correlazione tra agonismo sportivo e guerra[41] come preparazione alla violenza.[42] La più nota ricerca nella correlazione tra sport e violenza era l'esperimento di Robbers'Cave.[43][44]

Harold Kelley e Anthony Stahelski col dilemma del prigioniero trovavano la correlazione con i risultati della scala F, il legame tra competizione e aggressività interagiva nella frustrazione,[45] in seguito perfezionata da Janice Nelson sui bambini; dove dimostrava nella competizione l'aumento di aggressività degli sconfitti come dei vincitori.[46] Nell’esperimento carcerario di Stanford emergeva con cruda semplicità l’influenza delle strutture ambientali sul comportamento e l’identità degli individui.[47][48] Esperti di medicina dello sport, sconsigliavano di far partecipare i bambini al di sotto di 8-10 anni a sport organizzati e competitivi, il rischio era di ostacolare il loro sviluppo psicologico, sociale e motorio; anche se a qualsiasi età si potevano avere conseguenze spiacevoli.[49] Nell’esperienza del "flusso di coscienza", per Mihály Csíkszentmihályi il basket era inferiore alla musica perché di struttura competitiva, non separava dal quotidiano e peggiorava concentrazione e perdita dell'ego,[50] nello svago oltre ad includere danza e free climbing, escludeva categoricamente che sport competitivi favorissero il "flusso di coscienza"; a confronto di funzioni non-competitive.[51]

Roderic Gorney (sociologo) confermava che su 58 culture diverse in vari campi (arti, diritto, scienze..) non riscontrava correlazione tra competizione e risultato,[52] ma nella disuguaglianza demarcata tra gruppi di «abbienti» e di «non abbienti».[53] Albert Bandura notava come nelle società competitive l'autostima sia così dipendente dal confronto sociale,[54] secondo diversi psicologi, la salute psichica era riferita all'indipendenza del giudizio di sé.[55] Nel campo dell’istruzione le strategie di studio erano a svantaggio dell'apprendimento, la scuola era orientata al mercato del lavoro, come un’agenzia e non all'educazione,[56] ma soprattutto rendondoci conservatori la competizione scoraggiava la creatività; anticonformista per natura.[57] Al contrario dei luoghi comuni la competizione svolta abitualmente a livello individuale favoriva proprio il conformismo e non l'individualismo dei filosofi esistenzialisti Thoreau ed Emerson, predicatori di un'autosufficienza fondata su valori discordi quali l’anticonformismo, la consapevolezza di sé e l’autonomia.[58]

L’industria pubblicitaria educava ai consumi con l'insoddisfazione per ciò che si possedeva, con una scarsità ritenuta da Philip Slater (sociologo) artificiosa al solo scopo di creare disuguaglianza, egoismo e invidia; a fondamento di una società competitiva.[59] La fedeltà non incoraggiava sensibilità, fiducia o miglior capacità di "afferrare la prospettiva", la competizione tra gruppi era utile solo allo sciovinismo; non alle relazioni.[60] Michael Parenti evidenziava una continuità tra l'identificazione in entità collettive e la mancanza del senso di comunità,[61] competizione che si contrapponeva alla cooperazione estendendosi sia inter che intra-gruppo, l'ostilità derivata impediva la cooperazione e anche se la competizione era così diffusa non faceva parte della natura umana; al contrario la cooperazione era sempre meglio sia intra che inter-gruppo.[62]

Margaret Mead documentava per prima che i popoli primitivi erano organizzati in gran parte in modo cooperativo (Cooperation and Competition Among Primitive Peoples 1937),[63] la cooperazione non dipende infatti dall'abbondanza di risorse perché alcune popolazioni possono essere ugualmente competitive come gli indiani Kwakiutl;[64][65][66] o cooperative in condizioni di scarsità come i Bateiga (Africa orientale).[67] Ciò dipendeva solo dalle norme culturali[68] e ribadiva che erano gli accordi cooperativi a creare la fortuna delle società, non il contrario.[69]

Il dilemma del prigioniero ci insegnava che l'interesse collettivo non era compatibile con la competizione strutturale, da sostituire con la cooperazione come nell'azione collettiva; al prezzo di educarsi e organizzarsi[70] duraturamente.[71] Per Fred Hirsch (economista) si realizzava un cambiamento sociale, se le azioni collettive sostituivano le gratificazioni individuali.[72] In simulazioni computerizzate di rapporti tra nazioni col dilemma del prigioniero, Robert Axelrod (politologo) notava che il modello “cooperativo” aveva il maggior successo non per superiorità sugli altri modelli, perché promuoveva la cooperazione reciproca.[73]

Terry Orlick concludeva che la salute psicologica era conseguenza delle esperienze cooperative sviluppate.[74] L'interesse ideale per gli altri era condizionato da un altruismo equilibrato positivamente al proprio successo;[75] fondamento basilare della motivazione.[76] L'altruismo per definizione era opposto sempre ad ogni forma di competizione,[77] quello sano anche all'abnegazione (otherish>selfish),[78] come prevedeva nella didattica l'interdipendenza positiva.[79]

Diversi studiosi ritenevano che la cooperazione (a differenza della competizione) favorisse la trascendenza e l’affermazione di sè, nelle sue ultime opere Albert Camus definiva come parte dell'espressione di noi stessi la necessità di lavorare con gli altri per affermare la loro umanità.[80] Morton Deutsch (psicologo sociale), convertiva il principio di "sicurezza nazionale" in "sicurezza reciproca";[81] che Roderic Gorney estendeva il più possibile.

«La nostra sicurezza dipende in ultima analisi solo dalla capacità di ampliare il raggio d’azione della cooperazione percorrendo un ultimo passo fino ad abbracciare le comunità più vaste, vale a dire le nazioni.»

Per risolvere i problemi superiori su un fragile pianeta, l'unica strada logica era quella di accrescere la cooperazione, includendo il maggior numero di persone possibile portando fratellanza e armonia.[83]

Società cooperative[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Società cooperativa e Movimento cooperativo.

In campo economico con il termine cooperazione si indica principalmente il fenomeno sorto alla metà dell'Ottocento in Inghilterra e che, partendo dalle esigenze degli strati più deboli della società (industriale) del tempo, intendeva promuovere iniziative imprenditoriali a difesa dei bassi redditi degli associati (soci).

Le prime iniziative riguardarono principalmente la cooperazione di consumo: nel 1844, a Rochdale (cittadina a nord di Manchester) fu fondato da un gruppo di 28 tessitori il primo spaccio cooperativo, chiamato Rochdale Society of Equitable Pioneers.

Le cooperative (e quindi la cooperazione come movimento) si sono in seguito diffuse in tutta Europa (Regno Unito, Francia, Germania, Danimarca e, successivamente, anche in Italia) e a tutt'oggi rappresentano, in molte zone, un fatto economico di rilevante importanza che alla sua base concettuale non ha, come scopo, il perseguimento di un profitto, ma la tutela economica dei soci e, indirettamente, un beneficio per l'intera collettività.

Attualmente la cooperazione è presente in svariati settori imprenditoriali che vanno dalle originarie cooperative di consumo alle cooperative di lavoro a quelle sociali, di credito, culturali o agricole.

La cooperazione internazionale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cooperazione allo sviluppo.

In politica estera per cooperazione si intende la cooperazione internazionale che vede più stati sovrani operare congiuntamente in progetti a favore di altri paesi (spesso svantaggiati) o in iniziative di sviluppo economico o industriale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ COOPERAZIONE - Significato e sinonimi di cooperazione nel dizionario italiano - CHE SIGNIFICA COOPERAZIONE IN ITALIANO, su Educalingo.com. URL consultato il 2 febbraio 2019.
  2. ^ Alfie Kohn, 2° cap.
  3. ^ Alfie Kohn, pp. 29
  4. ^ Alfie Kohn, pp. 28
  5. ^ Alfie Kohn, pp. 216
  6. ^ Alfie Kohn, pp. 28
  7. ^ Alfie Kohn, pp. 40
  8. ^ Alfie Kohn, pp. 41
  9. ^ Matt Ridley, pp. 48
  10. ^ Alfie Kohn, pp. 42
  11. ^ Alfie Kohn, pp. 42
  12. ^ Alfie Kohn, pp. 41
  13. ^ Alfie Kohn, pp. 43
  14. ^ Matt Ridley, pp. 189
  15. ^ Alfie Kohn, pp. 44
  16. ^ Richard Lewontin, pp. 251
  17. ^ Marshall Sahlins, pp. 100
  18. ^ Alfie Kohn, pp. 45
  19. ^ Alfie Kohn, pp. 28
  20. ^ Alfie Kohn, pp. 29
  21. ^ Marshall Sahlins, pp. 115
  22. ^ Daniel Akst, pp. 130
  23. ^ Alfie Kohn, pp. 68
  24. ^ Richard Wiseman, pp. 122
  25. ^ Alfie Kohn, pp. 69
  26. ^ Daniel Akst, pp. 130
  27. ^ Alfie Kohn, pp. 69
  28. ^ Alfie Kohn, pp. 59
  29. ^ Susan Cain, pp. 300
  30. ^ Richard Wiseman, pp. 123
  31. ^ Alfie Kohn, pp. 219
  32. ^ Susan Cain, pp. 300
  33. ^ Richard Wiseman, pp. 124
  34. ^ Alfie Kohn, pp. 219
  35. ^ Richard Wiseman, pp. 123
  36. ^ Alfie Kohn, pp. 220
  37. ^ Alfie Kohn, pp. 220
  38. ^ Richard Wiseman, pp. 127
  39. ^ Alfie Kohn, pp. 208
  40. ^ Richard Wiseman, pp. 133
  41. ^ Alfie Kohn, pp. 221
  42. ^ Alfie Kohn, pp. 222
  43. ^ Alfie Kohn, pp. 222
  44. ^ Richard Wiseman, pp. 253
  45. ^ Alfie Kohn, pp. 225
  46. ^ Alfie Kohn, pp. 226
  47. ^ Alfie Kohn, pp. 282
  48. ^ Richard Wiseman, pp. 290
  49. ^ Alfie Kohn, pp. 178
  50. ^ Alfie Kohn, pp. 132
  51. ^ Alfie Kohn, pp. 141
  52. ^ Alfie Kohn, pp. 66
  53. ^ Alfie Kohn, pp. 115,116
  54. ^ Alfie Kohn, pp. 71
  55. ^ Alfie Kohn, pp. 72
  56. ^ Alfie Kohn, pp. 95
  57. ^ Alfie Kohn, pp. 198
  58. ^ Alfie Kohn, pp. 196
  59. ^ Alfie Kohn, pp. 117,118
  60. ^ Alfie Kohn, pp. 232
  61. ^ Alfie Kohn, pp. 233,234
  62. ^ Alfie Kohn, pp. 232,233
  63. ^ Alfie Kohn, pp. 61
  64. ^ Matt Ridley, pp. 179
  65. ^ Alfie Kohn, pp. 66
  66. ^ potlatch
  67. ^ Alfie Kohn, pp. 66
  68. ^ Alfie Kohn, pp. 114
  69. ^ Alfie Kohn, pp. 67
  70. ^ Alfie Kohn, pp. 294
  71. ^ Alfie Kohn, pp. 296
  72. ^ Alfie Kohn, pp. 107
  73. ^ Alfie Kohn, pp. 109
  74. ^ Alfie Kohn, pp. 167
  75. ^ Alfie Kohn, pp. 168
  76. ^ Adam Grant, pp. 197
  77. ^ Alfie Kohn, pp. 213
  78. ^ Adam Grant, pp. 198
  79. ^ Alfie Kohn, pp. 302
  80. ^ Alfie Kohn, pp. 141
  81. ^ Alfie Kohn, pp. 292
  82. ^ Alfie Kohn, pp. 236
  83. ^ Alfie Kohn, pp. 236

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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