Utente:Selian00/Sandbox

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Guan Yin di Nanshan è la più grande statua al mondo raffigurante una donna.

Il ruolo delle donne nel buddhismo può essere analizzato secondo diverse prospettive: dal punto di vista teologico (lo status religioso delle donne buddiste), storico (la storia delle donne nel buddhismo), antropologico (il confronto delle esperienze vissute dalle donne nelle diverse forme di buddismo), di genere (il trattamento riservato al genere femminile nelle società buddhiste in contesti pubblici e privati).

Nel 1994 la ricercatrice Miranda Shaw offriva questa panoramica sugli studi di genere all'interno del buddismo:

«Nel caso del buddismo Indo-Tibetano, sono stati fatti progressi riguardanti il genere femminile nel primo Buddhismo, nel monachesimo e nel Buddismo Mahayana. Due articoli hanno apertamente affrontato l'argomento delle donne nel Buddismo tantrico indiano, parallelamente è stata riposta più attenzione alle monache tibetane e alle donne yogini. [1]»

Pochi anni dopo, nel 1999 Khandro Rinpoche, una lama del buddhismo tibetano, ridefiniva l'approccio con cui veniva affrontato questo argomento:

«Quando si parla di donne e Buddismo, ho notato che molte persone spesso si rivolgono a questo tema come qualcosa di nuovo e di diverso. Credono che il soggetto delle donne nel Buddhismo sia diventato rilevante per via della società in cui viviamo, pervasa dalla modernità, e perché sempre più donne intraprendono la via del Dharma ora. Tuttavia, non è questo il caso. Il Sangha femminile esiste da secoli. Non stiamo trattando di un argomento nuovo in una tradizione vecchia di 2500 anni, le radici di questo tema ci sono sempre state, noi stiamo semplicemente aggiungendo loro nuova linfa vitale. [2]»

A conferma della complessità del tema, la studiosa buddista e femminista Rita Gross, autrice nel 1993 di un libro che ha segnato gli studi su donne e buddismo[3], ha dichiarato: "Il buddismo è troppo profondo per essere inscatolato con un'ideologia come il patriarcato"[4].

Una delle domande centrali negli studi su donne e religione è se le fonti canoniche buddiste che hanno svolto ruoli culturali e simbolici nella sottomissione, debbano essere abbandonate in nome della parità di genere o se vi si possa ancora attingere, sottoponendole a una più attenta interpretazione e analisi, dal punto di vista testuale e storico. Nel buddismo, l'assenza di principi contrari all'eguaglianza di genere viene spesso smentita da vinaya contenenti regole e protocolli che riflettono valori androcentrici, usati spesso per escludere le donne, additandole come minaccia all'integrità dell'ordine religioso. Janet Gyatso sottolinea però come essi vadano interpretati in modo flessibile e pragmatico; la negazione dell'ordinazione bhikkhuni, voluto da Budda, costituirebbe il più grande fallimento spirituale degli ordini buddisti contemporanei.[5]

Donne nel Buddhismo pre-settario

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Il fondatore del Buddhismo, Gautama Buddha, permise alle donne di unirsi alla sua comunità monastica e di prendervi parte attivamente. Per esse venne però disposto il rispetto di determinate condizioni: le otto Garudhamma (dette anche regole pesanti), aggiuntive al già esistente codice della vita monastica (Vinaya). Riservate esclusivamente alle monache, relegavano le donne in una posizione subordinata a quella dei monaci. L'ex monaco buddista e studioso di buddismo Mano Laohavanich così ha commentato questo corpo di regole:

«Forse Mahākāśyapa e i monaci del tempo erano gelosi della maggior popolarità delle monache, che svolgevano maggiori attività sociali e di insegnamento rispetto ai monaci stessi. Il loro pregiudizio contro le donne divenne istituzionalizzato con le otto garudhamma, dette anche le otto regole pesanti. Noi dobbiamo interrompere questo pregiudizio.[6]»

Diana Paul, autrice di svariati libri sul Buddhismo, concorda nel sostenere che nella visione tradizionale del primo buddismo le donne erano ritenute degli esseri inferiori.[7] Rita Gross precisa come nell'antica religione buddista persistessero due punti di vista sul genere: uno, più libero e più vicino al Dharma, riteneva i generi una distinzione falsa e convenzionale; l'altro, istituzionalmente dominante per millenni, sosteneva una visione patriarcale normativa[4]. Aggiunge: "Nel primo buddhismo indiano è presente una base misogina. Ciononostante, la presenza di dottrine misogine non vuol dire che tutto il buddhismo indiano fosse misogino."[8]

La compresenza di atteggiamenti positivi e negativi nei confronti della femminilità, ha condotto molti studiosi a ritenere il buddismo primitivo fortemente ambiguo su questo tema.[9]

Alcuni commentatori dell'Aganna-Sutta tratto dal Canone Pāli, testimonianza degli insegnamenti di Gautama Buddha, hanno rilevato come quest'opera attribuisca al genere femminile la causa della rovina dell'umanità; altri hanno fatto presente come l'interpretazione buddista attribuisca questa causa alla lussuria in generale, piuttosto che al genere femminile.[10]

In alcune versioni della dottrina buddista, come nel Buddismo Theravada, la più antica scuola buddhista tuttora esistente, nel Sutta Pitaka (categoria di testi canonici buddhisti), l'identità sessuale viene ritenuta un ostacolo al raggiungimento del nirvana, o illuminazione. Ad esempio, nel Bhikkhuni-samyutta,[11] situato nel Sagatha-vagga del Samyutta Nikaya, l'affermazione di genere sarebbe opera di Mara, personificazione della tentazione nel cammino spirituale buddista. Nel Soma Sutta (passo tratto dal Canone Pali), Bhikkhuni Soma dice: "Chiunque pensi "Sono una donna" o "un uomo", oppure "sono davvero qualcosa?", rimane vittima di Mara, che sceglie di mostrarsi a tali individui".[12] La neutralità di genere viene collegata al concetto di anatta, o "non-sé", attraverso il quale Budda insegnò a liberarsi dalle sofferenze. In un sutta intitolato "Prigionia", Budda afferma che ogniqualvolta un uomo o una donna rimane aggrappato all'identità di genere, quella persona è in uno stato di prigionia.[13]

Monachesimo Femminile

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Gautama Buddha ordinò donne come monache per la prima volta cinque anni dopo la sua illuminazione, e cinque anni dopo la prima ordinazione degli uomini al sangha. La prima monaca buddista fu sua zia e madre adottiva Mahapajapati Gotami.[14] Si fa spesso riferimento alle otto regole del rispetto, dette Otto Garudhamma, che sarebbero state stabilite da Buddha contestualmente all'istituzione dell'ordine delle monache, e che posero le bhikkhuni (monache) in una posizione di subordinazione nei confronti dei monaci. Tali regole sono riportate nel Cullavagga, il secondo volume del Khandhaka, il secondo libro del Theravadin Vinaya Pitaka, ed esprimono i valori sociali patriarcali propri della società indiana del tempo. Il primo di questi precetti stabilisce, ad esempio, che "una monaca, anche se ordinata da cento anni, deve salutare rispettosamente, alzarsi dal suo posto, salutare con le palme unite, rendere il proprio omaggio ad un monaco, anche se ordinato in quello stesso giorno".[14]

E' stata però messa l'origine di tali precetti, e la loro applicazione, oltre che la loro interpretazione, ha subito variazioni nel tempo. Secondo Gisela Krey e Bhikku Anãlayo, ad esempio, il Cullavagga sarebbe stato composto dopo la creazione dell'ordine bhikkhuni. [5](pp. 39, 83)

In molte parti del mondo buddista il bhikkhuni sañgha non è mai esistito o si è estinto secoli fa. Il tempi recenti l'ordinazione delle monache è praticata nel lignaggio dell'ordinazione Dharmaguptaka (usato in Cina, Taiwan, Corea e Vietnam) ma non nella stirpe Theravädin dell'Asia meridionale e sud-orientale, o nella stirpe Mülasarvästivädin presente in Tibet e in Asia centrale. Dal 1996 più di cinquecento donne cingalesi hanno ricevuto l'ordinazione come bhikkhunïs, ma molte autorità religiose maschili rifiutano di riconoscere questo ordine.[5]

La creazione di una linea di ordinazione delle monache ufficialmente riconosciuta, viene ritenuta un passo necessario verso il raggiungimento dell'uguaglianza per le donne nel mondo buddista.[15]

Il Buddhismo è noto nel mondo come religione di pace e gentilezza. È meno noto come religione di uguaglianza di genere. E in effetti, a molti buddhisti nel mondo viene insegnato che le donne, a causa delle loro caratteristiche disposizioni karmiche, sono incapaci di risvegliarsi o di diventare Buddha.[16] Nella storia dell’Asia, relativamente poche donne sono state benvolute come insegnanti, yogini e intellettuali; i grandi monaci-studiosi indiani erano monaci maschi e le linee di ordinazione e trasmissione tracciate dell’Asia orientale elencano un uomo dopo l’altro. La tradizione Theravada è riuscita a perdere completamente il suo ordine di monache pienamente ordinate, e quella tibetana non ne ha mai avuto uno, lasciando in gran parte dell’Asia un Sangha fortemente asimmetrico, e pochissime opportunità per le donne di ricevere il supporto e il rispetto che alimentano le aspirazioni più elevate nel Sangha buddhista.[16]

Tuttavia il Buddhismo nell'Asia estremo orientale, sopratutto in Cina e in Giappone, presenta un quadro più complesso. Nonostante rimanga una forte influenza esercitata dal sistema patriarcale, il Buddhismo ha offerto nuove opzioni per le donne di quelle società. Inoltre, nel Buddhismo estremo orientale, alcuni aspetti della dottrina favorevoli alle donne sono rimasti più accentuati rispetto ad altre forme di Buddhismo. Sia in Cina che in Corea è presente un ordine di monache pienamente ordinate.[8]

Elevazione spirituale della donna

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Le varie scuole e tradizioni del Buddismo esprimono opinioni diverse sul conseguimento dell'elevazione spirituale da parte delle donne.[17] Ricercatrici femministe hanno inoltre notato come nei casi di avvenuto conseguimento di un traguardo di spiritualità da parte femminile, i documenti che ne davano testimonianza non siano stati conservati, oppure siano stati oscurati con un linguaggio neutrale, omissivo dei dati di genere, o con errori di traduzione delle fonti originali da parte dei ricercatori occidentali.

Limitazioni nella crescita spirituale femminile

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Secondo Bernard Faure "Come nella maggior parte dei discorsi clericali, il Buddismo è in realtà inesorabilmente misogino, ma fra i discorsi misogini, è uno dei più flessibili e aperti alla molteplicità e alla contraddizione."[18]

Nella tradizione buddista, le posizioni di potere mondano sono spesso un riflesso delle conquiste spirituali dell'individuo. Ad esempio, qualsiasi divinità vive in un regno superiore rispetto all'essere umano, esprimendo in tal modo un certo livello di raggiungimento spirituale. Anche i Cakravartin e i Buddha sono più spiritualmente elevati di un ordinario essere umano. Tuttavia, come la monaca taiwanese Heng-Ching Shih afferma, si dice che la posizione delle donne nel Buddhismo si esprima attraverso cinque ostacoli: esse sono incapaci di diventare Brahma, Sakra, Mara, Cakravartin o Buddha.[17] Questa tradizione si basa sulla dichiarazione del Buddha Gautama contenuta nel Bahudhātuka-sutta (nel Canone Pali), secondo la quale sarebbe impossibile per una donna essere "perfettamente illuminata" , "il Monarca Universale", "il Re degli Dei", "il Re della Morte" o "Brahmā".[19] Tuttavia è importante evidenziare come il testo corrispondente del Madhyama Agama non includa affatto questi versi, portando i ricercatori a chiedersi se queste battute non appartengano ad una rivisitazione postuma.[20] Limitazioni precedenti sull'ottenimento della Buddhità da parte delle donne furono abolite nel Sutra del Loto che aprì la via diretta all'illuminazione per le donne allo stesso modo degli uomini.[21] Secondo il monaco buddhista giapponese Nichiren, fondatore del Buddhismo Nichiren, "solo nel Sutra del Loto leggiamo che una donna che abbraccia questo sutra, non solo si distingue da tutte le altre donne, ma sorpassa tutti gli uomini".[22]

Poichè una certa letteratura buddhista sembra contraddirsi rispetto alle possibilità delle donne di conquistare determinati traguardi spirituali, per comprendere i limiti previsti o meno dal Buddismo, si potrebbe affrontare la questione da un approccio diverso, facendo riferimento agli insegnamenti di Budda. Secondo i sutra theravada, egli avrebbe ammonito un gruppo di asceti che gli chiedevano come applicare un insegnamento, rispondendo loro di non basarsi solo sulla credenza o sul ragionamento, ma sull'esperienza diretta.[23] Ne conseguirebbe che una donna non dovrebbe astenersi dal raggiungere dei traguardi solo perché ciò è ritenuto impossibile. Piuttosto, dovrebbe verificare da sola se è capace di raggiungere o meno questi obbiettivi e, cosa più importante, se le conquiste porteranno al suo benessere e alla sua felicità.

Donne e buddhità

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Sebbene i primi testi buddisti come la sezione Cullavagga del Vinaya Pitaka del Canone Pali contengano dichiarazioni di Gautama Buddha che riconoscono la possibilità per le donne di ottenere l'illuminazione,[24] è chiaramente affermato nel Bahudhātuka-sutta che non ci potrà mai essere un Buddha femmina.[19]

Nel Buddhismo Theravada, la scuola moderna basata sulla filosofia Buddhista dei testi più antichi, la Buddhità è un evento raro. Il focus della pratica è concentrato nel raggiungimento della condizione di Arhat e il Canone Pali ha esempi di Arhat sia maschili che femminili che hanno raggiunto il nirvana. Si dice che Yasodhara, l'ex moglie del Buddha Sakyamuni, madre di suo figlio Rahula, sia diventata Arhat dopo essersi unita all'ordine Bhikkhuni di monache Buddhiste. Nelle scuole Mahayana, la buddhità è il traguardo universale per i praticanti. I sutra Mahayana sostengono che una donna può diventare illuminata solo se abbandona la forma femminile. Ad esempio, il Bodhisattvabhūmi del IV sec., afferma che una donna che sta per ottenere l'illuminazione rinascerà in forma maschile. Secondo Miranda Shaw "questa credenza ebbe un'implicazione negativa per le donna, comunicando l'insufficienza del corpo femminile come luogo di illuminazione".[1]

Anche afferma: Per lei, il perno critico di tutta la misoginia e il sessismo nel buddismo è l'idea della rinascita femminile come inferiore

Alcuni sutra Theravada affermano che è impossibile per una donna essere un Bodhisattva. Un Bodhisattva può essere un umano, un animale, un serpente o un Dio, ma mai una donna. Questi sutra non negano alle donne la consapevolezza ("il risveglio"), ma non gli riconoscono la capacità di guidare una comunità Buddista. Un obiettivo appropriato per una donna è ambire a rinascere come uomo. Le donne possono diventare maschi con azioni virtuose e una sincera aspirazione alla mascolinità. Essere nata femmina è il risultato di un cattivo karma.[25]

Tuttavia, i racconti Jataka (storie di vite passate del Buddha come bodhisattva all'interno del cannone Theravada) menzionano che Buddha in una delle sue vite passate fu una principessa, e ciò risulterebbe in contraddizione con l'affermazione secondo cui un bodhisattva non può nascere femmina.

Nell'iconografia tantrica del Buddhismo Vajrayana, appaiono Buddha femmine. A volte sono le consorti del principale yidam (rappresentazione di un essere perfettamente illuminato) di una meditazione mandala, ma Buddha quali Vajrayogini, Tara e Simhamukha appaiono a tutti gli effetti come figure centrali del sadhana tantrico.[1] Il Buddhismo Vajrayana riconosce inoltre a molte praticanti yogini femmine di raggiungere la completa illuminazione del Buddha: Miranda Shaw cita delle fonti nelle quali si fa riferimento a "duecento uomini e mille donne che hanno ottenuto la completa illuminazione fra gli studenti dell'adepto Naropa".[1]

Yeshe Tsogyal, una delle cinque consorti tantriche di Padmasambhava è un esempio di donna (Yogini) riconosciuta come Buddha femminile nella tradizione Vajirayana[26]. Secondo il Karmapa, capo della scuola Kagyu, Tsogyel ottenne la Buddhità in quella stessa vita.

Nel tredicesimo capitolo del Sutra del loto Mahayana[27] sono presenti delle predizioni del Buddha Sakyamuni (Gautama Buddha) che fanno riferimento ai futuri conseguimenti di Mahapajapati (sua madre adottiva e prima monaca buddhista) e Yasodhara.

Nel XX secolo Tenzin Palmo, una monaca del Buddhismo Tibetano nella discendenza Drukpa della scuola Kagyu, ha affermato: "Ho fatto un voto di ottenere l'Illuminazione nella forma femminile, non importa quante vite ci vorranno".[28]

Stirpe femminile Trülku

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Nel XV secolo la principessa Chokyi-dronme fu riconosciuta come l'incarnazione della divinità della meditazione e del Buddha femminile nella tradizione Vajrayana, il Vajravārāhī. Chokyi-dronme diventò nota come Samding Dorje Phagmo e diede vita a una stirpe trülku femminile di Lama reincarnati. Attualmente, la dodicesima di questa stirpe vive in Tibet.

Un'altra dinastia femminile di trülku, fu quella di Shugseb Jetsun Rinpoche[29] (c. 1865 – 1951), che ebbe inizio nel tardo XIX sec.[30] Nonostante abbia ricevuto gli insegnamenti di tutte le scuole tibetane, Shugsed Jetsun Rinpoche fu particolarmente nota per aver abbracciato la dinastia di Chöd, la pratica di meditazione che consiste nell'offrire il proprio corpo al servizio degli altri.[31] All'inizio del XX secolo, Shugseb jetsun Rinpoche, chiamata anche Ani Lochen Chönyi Zangmo, fondò il monastero Shuksep (o Shugsep) sito a trenta miglia da Lhasa sulle pendici del monte Gangri Thökar, [32][33] in seguito diventato uno dei più grandi e famosi monasteri in Tibet.[29] Il Monastero Shugsep, che fa parte della scuola Nyingama, è stato ristabilito in esilio in Gambhir Ganj, in India. Le monache di Shugsep continuano a praticare, comprese Longchen Nyingtig e Chöd.[31]

La vita familiare

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Nell' Anguttara Nikaya (5:33), Buddha dice alle future mogli di essere obbedienti verso i loro mariti, di essere accondiscendenti, e di non procurare l'ira dei mariti esercitando desideri personali. Nell'Anguttara Nikaya (7:59; IV 91-94), dal Canone Pali (Theravada), Buddha indita l'esistenza di sette tipi di moglie: i primi tre sono destinati all'infelicità, gli ultimi quattro, caratterizzati dalla virtù dell'autocontrollo, destinati alla felicità. Le donne di questa ultima categoria si distinguono per essere amorevoli (moglie materna), buone compagne (moglie-amica) e sottomesse (moglie-sorella e moglie schiava).[34]

Secondo Diana Paul, il buddhismo avrebbe ereditato la figura della donna come madre; negli altri casi, essa è dipinta come tentatrice lussuriosa o incarnazione di un demone.[7]

Anche lo status di maternità ha avuto il ruolo di riflettere la tradizionale visione Buddista secondo cui il Dukkha, o sofferenza, è una caratteristica fondamentale dell'esistenza umana. Nel suo libro sull'arhat, raccolta di storie di donne tratta dal canone Pali del Therigatha, Susan Murcott scrive: "Anche se l'argomento trattato in questo capitolo è la maternità, tutte le storie che cita sono accomunate da un'altro tema, il dolore. Le madri di questo capitolo sono state spinte a diventare monache dal dolore per la perdita dei loro figli."[24]

La maternità nelle prime forme di Buddismo è anche considerata un'attività di valore. La Regina Maya, madre di Gautama Buddha, il fondatore del Buddismo, ha avuto un certo seguito, specialmente a Lumbini, dove partorì.[35] Dal momento che Maya morì dopo la nascita del figlio, Gautama Budda venne allevato da una madre adottiva, la zia Mahapajapati, che aveva altri due bambini, e che diventò la prima monaca buddista. Entrambi i suoi figli, suo figlio Nanda e sua figlia Sudari Nanda si unirono al Sangha monastico. La moglie di Gautama Budda, Yasodhara, fu la madre di Rāhula, il cui nome significa ostacolo, divenuto monaco all'età di sette anni. Anche Yasodhara sucessivamente intraprese una vita monastica.

Uno dei motivi maggiori che spingeva le donne nel buddismo Vajrayana a scegliere di seguire il sentiero di una yogini piuttosto che quello di una bhikkhuni, era la possibilità di praticare il credo buddista anche se legate a una famiglia, dei figli, un marito, o un consorte spirituale. Inoltre le Yogini - diversamente dalle monache - non erano obbligate a rasarsi i capelli. Machig Labdrön seguì questa via, visse in un monastero per un certo periodo di tempo, ma in seguito decise di ricongiungersi con Topabhadra, come sua consorte. Secondo il namthar (biografia spirituale) di Machig, lui si prese cura dei figli mentre lei praticava la via e insegnava. Alcune delle figlie di Machig la seguirono nella via spirituale, divenendo a loro volta esperte yogini. Anche Tsultrim Allione fu una monaca per quattro anni, ma abbandonò la via monastica per potersi sposare ed avere figli. Lei stessa ha parlato del contributo che la maternità le ha dato nella pratica della via spirituale:

«...Nel Buddhismo l'immagine della madre come incarnazione della compassione è molto diffusa. Una madre farebbe ogni cosa per i suoi figli. Come madre ho potuto provare quell'amore profondo e quella dedizione,tenere a qualcuno così tanto da poter offrire la mia stessa vita in cambio, quel tipo di relazione è un'esperienza potentissima da vivere. Ho anche sentito di non essere davvero diventata matura del tutto finché non ho avuto i miei figli. Ci sono stati momenti un cui ci si aspettava da me un certa maturità,e con i figli quella maturità è venuta fuori. Quindi non direi che i miei figli sono stati di ispirazione, almeno non come pensavo che lo sarebbero stati prima di averne. Direi piuttosto che l'aver affrontato le sfide postemi dalla maternità ha reso la mia pratica spirituale veramente ricca.[36]»

Amore, condotta sessuale e matrimonio

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In generale, anche se il Buddhismo considera il celibato monastico come il massimo ideale, riconosce l'importanza del matrimonio come istituzione sociale.[37] Sono state disposte alcune linee guida sul matrimonio. Anche se la pratica buddhista varia considerevolmente per ogni scuola di pensiero, il matrimonio è uno dei pochi concetti specificatamente menzionati del contesto di Śīla,il formulario buddhista dei punti chiave della disciplina spirituale.[38] Il codice fondamentale dell'etica buddhista, i cinque precetti, contiene un monito riguardo una cattiva condotta sessuale, tuttavia quello che viene visto come una cattiva condotta secondo una particolare scuola di pensiero varia e dipende largamente dalla cultura locale.[39]

Nelle prime forme di Buddhismo, il Sigalovada Sutta del Digha Nikaya contentuto nel Canone Pali, descrive il rispetto che un individuo deve portare ad una sposa. Tuttavia, l'ideale buddhista, sin dalle sue prime forme, è la rinuncia, e lo si può evincere dalla storia del monaco Nanda e di sua moglie Janapada Kalyāni, che cercare di raggiungere la beatitudine del Nirvana è visto come qualcosa al di sopra dell'amore e del matrimonio. Infatti, nonostante quel giorno avesse appena sposato la moglie, incoraggiato dal cugino Gautama Buddha, Nanda lasciò la consorte per diventare un Bikkhu nel Sangha buddhista. In storie di questo tipo tratte dal Canone Pali, l'amore in senso romantico è generalmente percepito come un attaccamento al Samsara, l'infinito ciclo di rinascita [40] Susan Murcott ha fatto notare che l'attitudine del primo Buddhismo verso l'amore in senso romantico e il matrimonio generalmente rifletteva gli ideali Brahamanici dell'India del tempo..inclusa la recente diffusione dell'ideale di rinuncia e l'associato declino dell'amore in senso romantico e del matrimonio.[24]

Nel Buddhismo Vajrayana, avere una relazione sessuale con il proprio consorte è considerato da un punto di vista tecnico come una pratica spirituale dell' anuttarayoga tantra, che intendeva permettere ai praticanti di raggiungere la realizzazione e di conseguenza l'illuminazione. l'unione tantrica dei consorti è raffigurato nel yab-yum iconografia della meditazione degli Dei.

Considerazioni del Dalai Lama

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Il Dalai Lama ha parlato ad una conferenza sulle donne nel Buddhismo all'Università di Amburgo nel 2007:

«La guerra è stata portata avanti principalmente da uomini, dal momento che appaiono fisicamente meglio portati ad atteggiamenti agressivi. Le donne, al contrario, tendono ad essere più premurose e sensibili alla sofferenza e al dolore altrui. Nonostante uomini e donne abbiano lo stesso potenziale aggressivo e caloroso, le loro differenze stanno in quale dei due aspetti sono più portati a manifestare. Perciò, se la maggioranza dei leader mondiali fosse di sesso femminile, forse ci sarebbe meno pericolo dello scaturire di una guerra e più cooperazione - tuttavia, certamente alcune donne possono essere difficili! Io simpatizzo per le femministe, ma loro non devono solo limitarsi ad esprimere lamentele. Devono anche impegnarsi a portare un contributo positivo alla società.[41]»

Nel 2009, al National Civil Rights Museum di Memphis, Tennessee ha dochiarato: "Mi considero femminista. Non è così che si chiama qualcuno che si batte per i diritti delle donne?"[42]

Lui ha anche affermato che per natura, le donne sono più compassionevoli "basate sulla loro biologia e capacità di dare alla luce ed allevare i bambini" Ha fatto un appello alle donne " di governare e creare un mondo più compassionevole", menzionando l'ottimo lavoro svolto dalle infermiere e dalle madri.[42]

Nel 2007 ha affermato che il prossimo Dalai Lama potrebbe essere una donna, sottolineando il fatto che " se una donna si dimostrasse più utile il lama allora potrebbe tranquillamente reincarnarsi in quella forma".[43]

Nel 2010 ha dichiarato che "venti o trent'anni fa", quando parlando del fatto che una donna potesse o no diventare un Dalai Lama in futuro, lui disse di si ma " ho anche detto, un po' scherzando,che se la reincarnazione del Dalai Lama fosse una donna, allora dovrebbe essere una bella donna. Il motivo sta nel fatto che avrebbe più influenza sulle persone. Se lei fosse una brutta donna, non avrebbe la stessa valenza sugli altri,no?"[44]

Durante un'intervista nel 2014 con Larry King quando gli è stato chiesto se avrebbe mai visto una Dalai Lama donna lui ha risposto " Si, è certamente possibile!". ha ricordato di aver detto ad un giornalista a Parigi molti anni prima che è un'opzione possibile, dal momento che si possono ricordare delle Lama nella storia databili a "..sei o sette secoli fa, perciò non si tratta di nulla di nuovo". Lui allora ha ricordato di aver scherzato con il giornalista, " se ci sarà una Dalai Lama donna, dovrà essere davvero una bella donna. Sarebbe molto utile!"[45][46]

Nel 2015 ha ripetuto questo aneddoto in un intervista con la BBC sui rifugiati. Quando gli è stato chiesto se il Dalai Lama potesse essere una donna lui ha risposto di si. Riportando alla memoria ancora una volta un'intervista svolta a Parigi su tale eventualità, "ho detto, perché no? Le donne biologicamente hanno maggior potenziale nel mostrare affetto e compassione..perciò io penso che le donne debbano intraprendere più spesso ruoli importanti e poi - ho detto al reporter- se avremo una donna allora il suo viso deve essere molto attraente." L'intervistatore Clive Myrie allora gli ha chiesto se una Dalai Lama dovesse essere attraente, e allora lui ha continuato, " Se ci sarà una Dalai Lama, allora dovrà essere di bell'aspetto. Altrimenti non ne varrebbe molto la pena." Myrie rispose "Presumo che stia scherzando, oppure no?", allora il Dalai Lama ha continuato insistendo " No, è la verità!". Il Dalai Lama ha poi puntato il proprio volto, dicendo che alcune persone dicono di trovarlo attraente, per poi mettersi a ridere.[47]

Femminismo buddhista

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Nonostante il Buddhismo risulti egualitario nella sua teoria, non si può dire altrettanto della sua messa in pratica. La nozione di parità di genere è invalidata dalla forte presenza di una cultura misogina, rendendo difficile per una donna partecipare attivamente alla vita religiosa.[48] Lontano dall'accettare questa condizione come un fatto di cultura e come un aspetto del tutto naturale, le donne buddhiste di tutto il mondo hanno iniziato a battersi per la parità di diritti, usando a loro supporto le sacre scritture e la storia di donne buddhiste, dando vita ad un movimento femminista buddhista.[48]

La società buddhista tailandese è forse l'esempio più lampante di un potente patriarcato che limita fortemente l'esperienza religiosa femminile, relegando le monache ad una posizione sottomessa rispetto ai monaci. Alle donne tailandesi è permesso praticare il Buddhismo come donne laiche o come Mae Chi. Una volta considerate monache, ora le Mae Chi eseguono ruoli subordinati come addette alla vita domestica del tempio e come cuoche per i monaci.[48]

Maggiori pressioni per la parità dei diritti sono venute dal mondo occidentale, dove fin dall'inizio è stato presente un equilibrato numero di studenti di entrambi i sessi. Presto scontratesi con le dinamiche dettate da un patriarcato latente, queste studiose hanno creato la proprie liturgie, basate sulla neutralità di genere.[48] Focalizzatesi sulle donne buddhiste rilevanti della storia, spesso dimenticate e volutamente omesse dalla letteratura, le hanno elevate a modello a cui fare riferimento. Così negli anni '90 nasceva un'intera letteratura femminista buddhista, scartando le vecchie concezioni sessiste, si concentrava sugli esempi canonici di donne buddhiste, saggezza e potere.[48]

È importante, tuttavia, sottolineare che le monache buddhiste delle società tradizionaliste non necessitassero per forza un aiuto dal movimento femminista partito in occidente. Infatti, in tutta la società buddhista le donne hanno creato il proprio movimento verso i pari diritti nel mondo religioso.[48] Ad esempio, nonostante il forte aspetto patriarcale della sua società, la Thailandia vanta anche un movimento femminista degno di nota, dal quale trarre ispirazione. Qui una donna di nome Dhammanda, contro l'ideologia locale, ha deciso di ordinarsi monaca, diventando una Bikkhuni in Sri Lanka nel 2003. Dhammanda è ora la monaca superiora dell'unico tempio esclusivamente femminile della Thailandia. Il suo ordine di monache non è riconosciuto dallo stato tailandese, tuttavia non c'è nulla che esso possa fare per impedire l'attività religiosa del tempio.[48]

Il femminismo buddhista è un movimento che cerca di migliorare lo status religioso, legale e sociale delle donne all'interno del buddhismo. Si tratta di un aspetto della teologia femminista che cerca di far avanzare e comprendere l'uguaglianza di genere di uomini e donne moralmente, socialmente, spiritualmente e in una leadership da una prospettiva buddhista. Rita Gross, femminista buddhista descrive questo movimento come "una pratica radicale di cooperazione e umanità di uomini e donne".[8]

Il sutra Signora Srimala è di importanza fondamentale per la storia del femminismo buddhista e della spiritualità femminile; Srimala apre un orizzonte per la parità assoluta tra uomo e donna. Infatti, qui la natura femminile viene presentata come qualità necessaria per la salvezza.[49] Il suddetto sutra segna il passaggio dall'espressione della Sunyata: << tutte le cose del mondo non sono né maschio né femmina>>, alla conferma dell'illuminazione perfetta: tutti gli esseri viventi sono utero del Buddha ( tathagatagarbha), quindi tutti sono uguali.[49] Per il Buddhismo Mahayana l'uomo ha qualcosa in sé che non è soggetto al cambiamento, un seme naturale, puro e trasparente, come il principio germinativo, in stato latente dell'illuminazione perfetta. L'uomo è utero ( matrice) o embrione del Buddha, e tale natura, presente in ogni uomo, non sorge né scompare e non è soggetta a distruzione, ostruzione o discriminazione. [49]

Buddhiste famose

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Praticanti Theravada

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  • Dipa Ma
  • Upasika Kee Nanayon
  • Chandra Khonnokyoong
  • Sharon Salzberg
  • Mya Thwin
  • Ilaichidevi Goenka

Buddhiste Tibetane Trülku

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  • Dorje Pakmo
  • Khandro Rinpoche
  • Tsultrim Allione
  • Jetsunma Ahkon Lhamo—western woman

Studiose del Buddhismo Tibetano

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  • Sarah Harding (lama)
  • Judith Simmer-Brown
  • Jan Willis
  • Vicki Mackenzie
  1. ^ a b c d (EN) Miranda Shaw, Passionate Enlightenment: Women in Tantric Buddhism, Princeton University Press, 1995, pp. 291, ISBN 9780691010908.
  2. ^ (EN) Thubten Chodron, Blossoms of the Dharma: Living as a Buddhist Nun, North Atlantic Books, 1999, pp. 206, ISBN 9781556433252.
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Sacre Scritture

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