Utente:RobertoH95

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Pseudolo
Commedia in cinque atti
Mosaico rappresentante attori
latini durante la preparazione
AutoreTito0 Maccio0 Plauto0
Titolo originalePseudolus
GenereCommedia
AmbientazioneAd Atene, nelle vie adiacenti le case di Simone e Ballione
Composto nel191 a.C.
Personaggi
  • Pseudolus, astuto servo di Calidoro.
  • Calidoro, figlio di Simone e amante di Fenicia.
  • Ballione, lenone.
  • Fenicia, cortigiana amante di Calidoro.
  • Simone, padre di Calidoro.
  • Polimacheroplacide, soldato macedone.
  • Callifone, amico di Simone.
  • Arpace, attendente del soldato macedone.
  • Carino, amico di Calidoro.
  • Scimmia, aiutante schiavo di Carino.
  • Cortigiane di Ballione.
  • Due giovani schiavi di Ballione.
  • Un cuoco.
  • Aiutanti del cuoco.
 

Pseudolo (in latino Pseudolus) è una commedia plautina composta e rappresentata per la prima volta in occasione dei Giochi Megalesi del 191 a.C., mentre era in carica il pretore urbano Marco Giunio.[1] Fu scritta da Plauto presumibilmente intorno ai 60 anni d'età e rappresenta una delle commedie varroniane più celebri e meglio riuscite, di cui Plauto stesso era particolarmente orgoglioso come ci tramanda Cicerone.[2][3]

Personaggi[modifica | modifica wikitesto]

Principali[modifica | modifica wikitesto]

  • Calidoro è il cooprotagonista della commedia, nonché il soggetto su cui si basa l'intera vicenda. E' il giovane figlio di Simone, il padrone di Pseudolo e l'amante di Fenicia.
  • Pseudolo è il protagonista e servo fidato di Calidoro, disposto ad aiutare il giovane padrone in qualsiasi modo, ideando brillanti imbrogli e stratagemmi. Egli è non curante dell'autorità, sprezzante della condizione schiavile, abile persuasore e oratore. E' proprio del tòpos del servus callidus plautino ed è un esempio di "nome parlante"[4], infatti Pseudolo significa "bugiardo"[5].
  • Ballione è una sorta di antagonista della vicenda e riveste il ruolo di lenone, ossia è il padrone di diverse cortigiane tra cui Fenicia. E' caratterizzato da un atteggiamento superbo e arrogante ed è ossessionato dal desiderio di beni materiali, tra cui denaro e beni di lusso.
  • Simone è il padre di Calidoro e vecchio padrone di Pseudolo. Riveste il ruolo del vecchio avaro e severo, tipico della commedia plautina.
  • Fenicia è la cortigiana amata da Calidoro, posseduta da Ballione e promessa a un mercenario macedone. Anche se non interviene mai nella rappresentazione, riveste un ruolo chiave nella trama della vicenda.

Secondari[modifica | modifica wikitesto]

  • Polimacheroplacide è il soldato macedone che versa un anticipo di 15 mine d'argento per riscuotere Fenicia. Non compare mai in scena, ma viene rappresentato da un servo.
  • Arpace è lo schiavo di Polimacheroplacide, di cui ne fa le veci e ha il compito di prendere in consegna Fenicia.
  • Callifone è amico e consigliere di Simone, curioso di conoscere le qualità di Pseudolo.
  • Carino è un amico fidato di Calidoro, a cui mette a disposizione un servo e presta cinque mine d'argento.
  • Scimmia è un servo di Carino, a cui è affidato il compito di ingannare Ballione per consegnare Fenicia nelle mani di Calidoro.

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Lo Pseudolo presenta un prologo introduttivo alla vicenda anche se molto frammentato; infatti, sono pervenuti sino a noi solamente due versi:

(LA)

«Exporgi meliust lumbos atque exsurgier:
Plautina longa fabula in scaenam venit.»

(IT)

«... è meglio distendere i reni e alzarsi:
viene in scena una lunga rappresentazione di Plauto.»

Tuttavia, già agli inizi dell'Età Moderna fu tentata una ricostruizione della parte mancante basandosi sul significato dei due versi, terminando con la formulazione di un possibile prologo probabilmente da parte dell'editore veneziano di Plauto Bernardo Saraceno intorno al 1499.[6]

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Sebbene i testi delle commedie a noi pervenutoci siano divisi in atti, è ben noto che Plauto non suddivise mai le sue commedie in alcun modo. Pertanto è da considerare la seguente suddivisione fedele ai testi posteriori ai manoscritti plautini, modificati nel corso della storia, e non rispecchiante in alcun modo lo svolgersi rappresentativo originario della commedia.[7]

Atto primo[modifica | modifica wikitesto]

Pseudolo, interrogando il giovane padrone Calidoro sulla ragione dei suoi pianti e delle sue sembianze cadaveriche, si trova a fronteggiare la tristezza e la malinconia di un innamorato privato dell’oggetto del suo desiderio. Calidoro infatti si è perdutamente innamorato di una giovane cortigiana di nome Fenicia, promessa già a un soldato macedone per venti mine. Pseudolo, solito nell’aiutare il padroncino, gli promette che entro il calar della sera avrebbe procurato venti mine d’argento e ideato un piano per riscuotere la ragazza al suo lenone. Intanto, il lenone Ballione, insultando e percuotendo i suoi schiavi, si concede ad atteggiamenti iracondi non vedendo realizzata la propria richiesta del giorno precedente, di allestire il convivio e la casa ai festeggiamenti del suo compleanno. Dopo aver convocato ad una ad una le cortigiane, impone loro la riscossione di ingenti quantità di doni da parte dei propri clienti (oggetti di lusso, provviste e condimenti oleacei), necessari ai festeggiamenti, con la minaccia di renderle prostitute da bassifondi. Calidoro e Pseudolo, origliando dalla loro abitazione, adiacente a quella del lenone, si infuriano all’udire la tracotanza del mercante di schiave. Questi, vedendo Ballione uscire di casa dirigersi al mercato, raggiungono il lenone e, ostacolandogli il passo, tentano di persuaderlo a non vendere Fenicia al guerriero macedone Polimacheroplacide. Irritati e amareggiati dalla sfrontatezza dell’interlocutore, iniziano a urlargli contro una serie di ingiurie, del tutto ignorate dal lenone. Ballione, dopo aver tradito la promessa fatta a Calidoro di vendere la ragazza soltanto a lui, si dirige al mercato con fare superbo, in attesa del saldo del militare macedone necessario alla riscossione della giovane cortigiana previsto entro sera. Pseudolo impone al padroncino di andare a chiamare un suo conoscente, ritenuto da lui più che affidabile, con l’intento di affidargli un compito di fondamentale importanza. Pseudolo, rimasto solo dopo la partenza di Calidoro, riflette sul da farsi e decide di cavare venti mine d’argento al padre del ragazzo. Appena terminata la meditazione di un piano, vede sopraggiungere Simone, padre di Calidoro, suo padrone ufficiale. Simone, dopo aver parlato con l’amico Callifone del figlio e di come egli volesse riscuotere l’amata ingannando il padre, va incontro al suo schiavo Pseudolo, mettendo in guardia l'amico sulle capacità persuasive di questo. Pseudolo, avendo sentito parlare Simone e Callifone, è al corrente che il vecchio è stato avvertito che gli voleva sottrare venti mine. Pseudolo e Simone si accordano. Pseudolo chiede l‘aiuto di Callifone.

Atto secondo[modifica | modifica wikitesto]

Pseudolo, rimasto solo in scena, esaltato dalla scommessa intrapresa, idea un piano a suo avviso infallibile; perciò, sicuro di sé, immagina la gloria e i denari che lo attendono, riuscendo a beffare sia il padrone che il lenone. D’un tratto però vede in lontananza un forestiero giungere nei pressi della casa di Ballione portando con sé una spada e ovviamente non si lascia sfuggire l’occasione per venire a conoscenza dei piani di Ballione. Lo scaltro Pseudolo, nascostosi, sente il forestiero parlare tra sé, mentre quest’ultimo cercava qualcuno che gli indicasse la dimora del lenone ateniese. Capisce che quello straniero non era altro che il messaggero e schiavo del militare macedone che voleva riscuotere la ragazza; pertanto, abbandona i piani prima escogitati per fingersi un servo di Ballione di nome Siro e beffare l’ingenuo messo Arpace. Dopo una prima riluttanza di Arpace nel consegnare a Pseudolo il saldo e il contrassegno, un ritratto di Polimacheroplacide, necessari a riscuotere la cortigiana, poiché non era a casa il Ballione, l’abile servo riesce a farsi consegnare il suggello con il ritratto del soldato macedone. Prima di congedarsi da Pseudolo, Arpace chiede a quest’ultimo di andare a chiamarlo presso i suoi alloggi affittati in una taverna al ritorno del lenone. Pseudolo ovviamente non lo chiamerà, anzi è intenzionato a usare un complice, che, fingendosi Arpace, ritiri l’amante del padroncino prima che ritorni il vero messo, sfruttando il contrassegno ottenuto. Pseudolo, rimasto nuovamente solo, è deciso a procurarsi le cinque mine di saldo e a utilizzare il ritratto per sottrarre la cortigiana al lenone. Prima di scorgere Calidoro giungere dall’agorà, riflette su quanto la fortuna domini gli eventi e (sopraffare) le decisioni umane. Calidoro, dopo aver raccontato tutte le sue passioni e i suoi dolori al fedele amico Carino, è certo che questi è disposto ad aiutarlo nei suoi piani e

Atto terzo[modifica | modifica wikitesto]

Uno schiavetto di Ballione, giungendo dalla via della piazza, procede lamentandosi della sua condizione schiavile, ritenendo che questa sia ulteriormente aggravata dalla sua giovane età e dalla sua forma fisica disarmoniosa. Desidererebbe cambiare padrone ed è rammaricato di non poter adempiere al volere di questo: Ballione infatti esige da tutti i suoi servi un regalo degno della sua persona, essendo il suo compleanno. Il giovane schiavetto non ha la possibilità di soddisfare la richiesta e ciò lo porterebbe a subire una pena corporale ben nota agli spettatori romani di allora ma di difficile interpretazione per noi contemporanei[8]. Nello stesso tempo Ballione, ritornando dal mercato con un cuoco, si lamenta dell'affare concluso: era riuscito ad assumere un cuoco perché gli preparasse il banchetto per gli invitati, pagandolo a caro prezzo. Perciò, Ballione, reputando il cuoco un avvelenatore e un ladro, ordina a uno schiavo di non perderlo mai di vista e di seguirlo ovunque, così da evitare furti in casa. Il lenone infatti è ossessionato dai suoi beni e afferma che la sua casa è già colma di fannulloni e ladri, pronti ad accaparrarsi un oggetto dell'arredamento. Al mercato inoltre ha incontrato Simone, che l'ha messo al corrente del piano di Pseudolo: questi aveva promesso a Simone che sarebbe riuscito a sottrarre Fenicia al lenone. Il vecchio padrone denuncia Pseudolo per poter vincere la scommessa contratta e punire lo schiavo, rinchiudendolo in un mulino. Determinato a non farsi beffare, Ballione ordina a tutti gli schiavi di non fidarsi di Pseudolo.

Atto quarto[modifica | modifica wikitesto]

Pseudolo, dopo aver incontrato presso l'agorà Scimmia, mette subito questi al corrente del suo piano. Mentre Ballione esce di casa, Scimmia, nelle vesti di Arpace, si avvicina a questi fingendo di non conoscerlo e chiedendo informazioni su dove si trovi il lenone. Non appena quest'ultimo si presenta, Scimmia gli mostra la lettera scritta dal soldato macedone, allegata al ritratto distintivo del soldato precedentemente sottratto al vero Arpace, e convice Ballione di essere il messo del mercenario. Ballione, dopo una rapida lettura del testo e dopo aver riconosciuto il ritratto di Polimacheroplacide, invita Scimmia a entrare in casa per consegnargli Fenicia. Pseudolo, riflettendo tra sé, lascia scorgere le sue preoccupazioni. Crede infatti che Scimmia, colta un’occasione favorevole, possa fuggire con la ragazza, che Simone possa tornare dal foro anticipatamente e scoprirli oppure che il vero Arpace si possa presentare a casa di Ballione mentre Scimmia si trova ancora con lui. Fortunatamente però non accade nulla di tutto ciò e può tirare un sospiro di sollievo vedendo uscire Scimmia in compagnia della cortigiana. Questo, dopo aver tranquillizzato Fenicia svelandole il piano di Calidoro, raggiunge Pseudolo e insieme a quest'ultimo si dirige verso l'osteria per incontrare Calidoro, congiungere i due amanti e iniziare i festeggiamenti per l'impresa riuscita. Ballione, ignaro della beffa ricevuta, si sente sollevato dal fatto che Fenicia sia stata condotta via dal presunto servo di Polimacheroplacide e, una volta incontrato Simone, lo rassicura sul fatto che le venti mine promesse a Pseudolo sono ormai salve. Spiega al vecchio di aver già consegnato la ragazza al servo del soldato e di essere sicuro che non ci siano inganni, avendo riconosciuto il ritratto del mercenario macedone. Simone non vede l’ora di punire Pseudolo, ma poco dopo scorge uno straniero giungere dalla via del porto. Arpace, tornando dalla taverna, si lamenta del fatto che il servo di Ballione, a cui aveva affidato il contrassegno, non lo sia andato a chiamare. Ballione, credendo lo straniero essere un possibile cliente, si avvicina a questi. Arpace, non appena si rende conto di aver di fronte il lenone, consegna a questo le 5 mine necessarie a saldare il conto del padrone e riscuotere Fenicia. Ballione, credendo che Arpace sia in realtà un aiutante di Pseudolo, inizia a sbeffeggalo, ma di fronte al sincero stupore del messo si rende conto di essere in presenza del vero Arpace e di essere stato beffato da Pseudolo. Ballione quindi si dispera e deve restituire ad Arpace l'anticipo versato da Polimacheroplacide per la riscossione della ragazza. Simone riflette su quanto accaduto a Ballione e si rende conto che sarebbe giusto consegnare le venti mine promesse a Pseudolo, poiché questo ha compiuto un’impresa ancora più grande dell’inganno di Ulisse.

Atto quinto[modifica | modifica wikitesto]

Giungendo dalla via della piazza con gli abiti in disordine e una corona in testa, Pseudolo, ubriaco, prega i suoi piedi e le sue gambe di sorreggerlo dopo una giornata piena d'azione e di divertimento. Racconta della festa a cui ha partecipato assieme a Calidoro, Fenicia e altri uomini e donne, di come abbia ballato suscitando l'ilarità degli astanti e di come si sia lasciato sedurre da una bella ragazza. Giunto presso la casa del padrone, bussa alla porta e chiama a gran voce Simone. Questi esce di casa e ascolta ciò che il servo ha da dirgli: tra una beffa e l'altra è riuscito a sottrarre Fenicia al lenone e vuole il frutto della scommessa. Il padrone lo rimprovera per la sua sfacciataggine e per la sua maleducazione, essendosi presentato ubriaco, ma, a malincuore, deve consegnargli il denaro vinto. Pseudolo, contento di aver ottenuto ciò che desiderava, lo invita a bere con lui promettendogli di restituire una parte della somma, poiché infatti non gli interessa il denaro in sé ma voleva solo dimistrare la sua furbizia. Il padrone lo perdona per la beffa e accetta l'invito allargandolo agli spettatori, il servus callidus concede a questi di aggiungersi ai festeggiamenti solo in cambio di applausi per la commedia e la compagnia teatrale.


Argumenta[modifica | modifica wikitesto]

La commedia Pseudolo è provvista come altre 18 commedie plautine di un Argumentum acrostico: un breve riassunto della commedia steso in latino sotto forma di acrostico. Gli argumenta plautini acrostici non furono composti da Plauto stesso ma dal retore Aurelio Popilio[9], posteriore a Plauto di circa un secolo, e furono successivamente annessi alle opere plautine.

(LA)

«Praesentis numerat quindecim miles minas,
Simul consignat symbolum, ut Phoenicium
Ei det leno, qui eum cum relicuo adferat.
Venientem caculam intervortit symbolo,
Dicens Syrum se Ballionis, Pseudolus
Opemque erili ita tulit; nam Simmiae
Leno mulierem, quem is supposuit, tradidit.
Venit Harpax verus: res palam cognoscitur,
Senexque argentum, quod erat pactus, reddidit.
»

(IT)

«Un militare versa a un lenone quindici mine in contanti;
nello stesso tempo gli rilascia un contrassegno, dicendogli di
dare Fenicia alla persona che gliene porterà l'eguale unitamente
al resto della somma. Quando arriva il servo del militare,
Pseudolo gli sottrae il contrassegno facendosi passare
per Siro, lo schiavo di Ballione; in tal modo viene in aiuto al
suo padroncino, perché il lenone consegna la fanciulla a
Scimmia, che Pseudolo ha fatto passare per Arpace.
Sopraggiunge il vero Arpace; si scopre tutto, e il vecchio
paga la somma che aveva scommesso.[10]»

Lo Pseudolo presenta inoltre, come altre sei commedie[11], un secondo Argumentum, questa volta svincolato dalla struttura dell'acrostico, sempre riassuntivo della trama della commedia e composto dal grammatico latino Cao Suplicio Apollinare[12], vissuto tra il II e il III secolo d.C.

(LA)

«Calidorus iuvenis m<eretricem Phoenicium>
Ecflictim deperibat, nummorum indigus,
Eandem miles, qui viginti mulierem
Minis mercatus abiit, solvit quindecim.
Scortum reliquit ad lenonem ac symbolum,
Ut, qui attulisset signum simile cetero
Cum pretio, secum aveheret emptam mulierem
Mox missus ut prehendat scortum a milite
Venit calator militaris. Hunc dolo
Adgreditur adulescentis servus Pseudolus
Tamquam lenonis atriensis;symbolum
Aufert minas<que>[13] quinque acceptas mutuas
Dat subditicio caculae cum symbolo.
Lenonem fallit sycophanta cacula.
Scorto Calidorus potitur, vino Pseudolus.
»

(IT)

«Il giovane Calidoro era perdutamente innamorato della cortigiana
Fenicia, ma era a corto di denaro. Un militare, contratto
l'acquisto della fanciulla per venti mine, ne ha versate
quindici e se n'è andato, lasciando dal lenone la cortigiana
e un contrassegno, col patto che la persona che avesse
portato l'eguale contrassegno assieme al resto della somma
avrebbe condotto via con sé la fanciulla acquistata. di lì a
non molt, inviato dal suo padrone a prendere la cortigiana,
giunge il servo del militare. Pseudolo, il servo del giovane,
lo raggira, facendosi passare per il soprintendente del lenone:
gli toglie il contrassegno e lo dà, unitamente a cinque
mine che ha preso in prestito, a uno pseudoservo del militare.
Il falso servo trae in inganno il lenone. Calidoro ottiene
la sua amante, e Pseudolo... il suo vino.[14]»

Metateatro[modifica | modifica wikitesto]

Plauto, come solito fare nelle sue commedie, inserisce elementi di metateatro al fine di convolgere e divertire il pubblico.

Atto primo[modifica | modifica wikitesto]

Nel primo atto Pseudolo ironizza sulla noiosità delle commedie:

(LA)

«Temperi ego faxo scies. Nolo bis iterari; sat sic longae fiunt fabulae.[15]»

(IT)

«Te lo farò sapere a suo tempo. Non voglio ripetere le cose due volte; le commedie sono già abbastanza lunghe così.[16]»

Nella scena quinta Pseudolo si rivolge al pubblico con una lunga battuta:

(LA)

«Suspicio est mihi nunc vos suspicarier, me idcirco haec tanta facinora promittere, quo vos oblectem, hanc fabulam dum transigam, neque sim facturus quod facturum dixeram. Non demutabo. Atque etiam certum, quod sciam, quo id sim facturus pacto, nil etiam scio, nisi quia futurumst. Nam qui in scaenam provenit, novo modo novom aliquid inventum adferre addecet; si id facere nequeat, det locum illi qui queat. Concedere aliquantisper hinc mihi intro lubet dum concenturio in corde sycophiantias. ---[17] exibo, non ero vobis morae. Tibicen vos interibi hic delectaverit.»

(IT)

«Ho il sospetto che ora voi sospettiate che io vi prometto simili imprese per divertirvi, fino a portare a termine questa commedia, e che non sia capace di fare quel che avevo promesso. Non mi ritratterò. Per altro, che io sappia, quanto al modo in cui io possa riuscirvi, non so ancora nulla di preciso; so soltanto che la cosa mi riuscirà. Chi si presenta sulla scena deve portare, in modo nuovo, qualche nuova trovata. Se non ne è capace, lasci il posto a chi ne è capace. Ho voglia di ritirarmi qualche istante in casa, il tempo di chiamare a raccolta nella mia testa le schiere dei miei intrighi. Ma uscirò subito, non vi farò aspettare. Nel frattempo il nostro flautista vi intratterrà.»

Atto secondo[modifica | modifica wikitesto]

Pseudolo attira l'attenzione del pubblico durante un suo monologo e lo rende partecipe definendo il lenone un nemico comune e promettendo la spartizione del bottino ottenuto con la riuscita del suo piano con gli spettatori[18]:

(LA)

«Nunc inimicum ego hunc communem meum atque (vostrorum ominum)[19] Ballionem exballistabo lepide; date operam modo. Hoc ego oppidum admoenire ut hodie capiatur volo, atque huc meas legiones adducam; si expugno - facilem hanc rem meis civibus faciam - post ad oppidum hoc vetus continuo meum exercitum protinus obducam. Inde me et simul participis omnis meos praeda onerabo atque opplebo, metum et fugam perduellibus meis me ut sciant natum.»

(IT)

«Ora questo comune nemico, mio e di tutti voi, Ballione, io lo sbalestrerò per bene; prestate attenzione soltanto. Voglio investire questa fortezza (indica la casa di Ballione) perché oggi sia presa, e condurrò qua le mie legioni, se la espugno - e io renderò facile quest'impresa ai miei concittadini - senza por tempo in mezzo condurrò subito il mio esercito contro quest'altra vecchia fortezza (indica la casa di Simone). Poi mi caricherò, mi rimpinzerò di bottino, e assieme ai miei cooperatori, perché sappiano che io sono nato per gettare il terrore e o scompiglio nei miei avversari[20]»

Nella quarta scena, durante un dialogo tra Pseudolo e Calidoro, il servus callidus ricorda che la commedia è messa in atto per gli stessi spettatori:

(LA)

«Horum caussa haec agitur spectatorum fabula; hi sciunt qui hic adfuerunt; vobis post narravero.»

(IT)

«E' per i nostri spettatori che si rappresenta questa commedia. Loro lo sanno, perché erano presenti; a voi racconterò tutto dopo.»

Atto quinto[modifica | modifica wikitesto]

Infine, è presente, con il conclusivo scambio di battute tra Pseudolo e Simone, un ultimo esempio di metateatro:

(LA)

«Simone: "Spectatores simul?" Pseudolo: "Hercle me isti haud solent vocare nec ego istos. Verum sultis adplaudere atque adprobare hunc gregem es fabulam, in crastinum vos vocabo"»

(IT)

«Simone: "Perché non inviti anche gli spettatori?" Pseudolo: "Per Ercole! Loro non usano invitare me, né io uso invitar loro. (Diretto agli spettatori) Ma se vi degnate d'applaudire e di dare la vostra approvazione a questa compagnia e alla commedia, vi inviterò per domani.»

Il ruolo della musica[modifica | modifica wikitesto]

Plauto è responsabile, come nessun altro autore di palliate, dell'integrazione di parti cantate all'interno delle proprie opere. I cantica plautini non sono estranei alla vicenda, ma si integrano perfettamente a questa; infatti, Plauto era solito rendere monologhi o dialoghi di due o tre personaggi con versi lirici opportunamente cantati dagli attori, mantenendo comunque il susseguirsi dei fatti.[21] Pertanto, la palliata può essere paragonata all'opera buffa italiana o più propriamente al "Singspiel" tedesco del tardo Settecento.[22] I cantica poco ricchi di rivestimento e accompagnamento musicale furono resi da sistemi anapestici e trocaici, mentre i brani musicali più ricchi di accompagnamento furono resi da versi cretici e bacchei, o dall'alternanza di più metri differenti.[23] Per quanto riguarda la commedia Pseudolo, tutto il dialogo finale tra Pseudolo e Simone è scritto in metri lirici e veniva quindi cantato dai due attori. Nello specifico, tale dialogo è ricco di metri cretici, anapestici, tripodie trocaiche e presenta qualche dimetro giambico.[24] Gli ultimi tre versi della commedia presentano una "Continuatio bacchiaca", ossia una sequenza continua di metri bacchei:

(LA)

«Vocare nec ego istos. Verum sultis adplaudere atque adprobare hunc gregem es fabulam, in crastinum vos vocabo.[25]»

(IT)

«Vǒcārě něc - ěgo īstōs. - Vērūm sūl - tǐs ādplaū - dĕre ātque ād - prǒbāre hūnc - grěgem ēt fā - bǔlam īn crās - tĭnūm vōs - vŏcābō.»

Le coommedie plautine inoltre presentavano parti accompagnate da un sottofondo musicale, costituito prevalentemente da flauti, e integrate perfettamente con la vicenda, come accade con i cantica.[26] Le parti accompagnate con il flauto ma non cantate furono rese da Plauto con settenari e ottonari giambici o anapestici.[27]

Successive rappresentazioni[modifica | modifica wikitesto]

E' noto che lo Pseudolus, in seguito alla prima rappresentazione del 191 a.C., venne rappresentato fino l'età ciceroniana. Lo stesso Cicerone infatti, nell'opera "pro Roscio Comoedo"[28], definisce l'attore Roscio particolarmente abile nell'interpretare il personaggio di Ballione e inoltre paragona Marco Antonio al prepotente lenone nella seconda Filippica[29][30].

Il 5 agosto 2009 presso il sito archeologico di Falerii Novi è stato rappresentato lo Pseudolus dal regista Maurizio Annesi, su iniziativa provinciale.[31] Il 17 agosto 2009 la stessa compagnia teatrale[32] diretta da Maurizio Annesi ha rappresentato la commedia presso il Duomo di Montalto Uffugo.[33] Annualmente, le commedie plautine vengono rappresentate nel Plautus Festival, svolto a Sarsina, la città natale del commediografo.[34]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Plauto, p.91.
  2. ^ Cicerone, De senectute
  3. ^ www.comune.sarsina.fo.it
  4. ^ Nome che allude già alle caratteristiche del personaggio grazie al suo significato
  5. ^ Garbarino, Pasquariello, p.63.
  6. ^ Plauto, p.99.
  7. ^ Plauto, p.52.
  8. ^ Plauto, p.185.
  9. ^ Plauto, p.96.
  10. ^ Plauto, p.95.
  11. ^ Amphitruo, Aulularia, Bacchides, Mercator, Miles gloriosus, Stichus. L'argumentum dello Stichus è pervenuto in solo pochi frammenti
  12. ^ Plauto, p.96.
  13. ^ Le parentesi a uncino <> indicano i completamenti giudicati necessari
  14. ^ Plauto, pp.95-96.
  15. ^ Testi latini tratti dalla lezione stabilita da Alfred Ernout: Plaute, Comédies, t.IV, Paris, Société d'édition "Les Belles Lettres", 1970.
  16. ^ Traduzioni di Mario Scàndola, Biblioteca universale Rizzoli, Pseudolo
  17. ^ I segni --- indicano una lacuna presente nel testo plautino
  18. ^ Garbarino, Pasquariello, p.83.
  19. ^ Le parentesi tonde indicano parole di dubbia interpretazione
  20. ^ Plauto, pp.160-161.
  21. ^ Plauto, pp.34-35.
  22. ^ Plauto, p.34.
  23. ^ Plauto, pp.44-46.
  24. ^ Plauto, pp.250-251.
  25. ^ Plauto, p.251.
  26. ^ Plauto, pp.34-35.
  27. ^ Plauto, p.45.
  28. ^ Cicerone, pro Roscio Comoedo: capitolo 7, paragrafo 20
  29. ^ Cicerone, Seconda Filippica: capitolo 6, paragrafo 15
  30. ^ Plauto, p.49
  31. ^ www.atlantidemagazine.it/dblog/articolo.asp?articolo=5657
  32. ^ Compagnia costituita da Franco Oppini, Renato Campese, Cristina Caldani e Marco Paoli.
  33. ^ http://www.montaltouffugobox.it/index.php?option=com_content&view=article&id=429:pseudolus-di-plauto-con-franco-oppini-e-renato-campese-19-agosto-sagrato-del-duomo
  34. ^ www.sarsina.info - Sezione teatro

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giovanna Garbarino, Lorenza Pasquariello, Latina, vol.I: Dalle origini all'età di Cesare, 2008ª ed., Milano, Pearson Paravia Bruno Mondatori, ISBN 978-88-395-00137.
  • Tito Maccio Plauto, Pseudolo, 1983ª ed., Milano, Rizzoli Editore, ISBN 88-17-12441-9.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]