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Congiunzione Giove-Saturno[modifica | modifica wikitesto]

La congiunzione Giove-Saturno è un evento astronomico che si verifica con frequenza e regolarità e che perciò sin dall'antichità ha influenzato la scansione del tempo, la mitologia e l'astrologia. Con periodicità irregolare la congiunzione può verificarsi in modo più spettacolare, in quanto il moto della terra può determinare l'apparenza di due o tre congiunzioni nel corso di pochi mesi.

Frequenza e periodicità[modifica | modifica wikitesto]

Le congiunzioni Giove-Saturno si verificano ogni venti anni. Ogni sessanta anni (o meglio 59,6 anni) la congiunzione ha luogo quasi nello stesso punto, mentre le due congiunzioni intermedie si verificano a intervalli di circa 120° nel cerchio dello zodiaco, individuando perciò nel piano dell'eclittica uno schema triangolare quasi equilatero, detto "trigono". Dato che la quarta congiunzione ha luogo a pochi gradi in meno rispetto al cerchio completo, il trigono successivo viene a essere ruotato in senso retrogrado. Dopo una dozzina di congiunzioni si accumula una rotazione di circa 30° che porta il trigono in una terna di segni zodiacali diversi da quelli originari. Ogni ottocento anni circa (794,33) un altro vertice del trigono si colloca circa dove aveva avuto luogo il primo evento. Con tre cicli di questo tipo, cioè in 2383 anni, si completa un ciclo intero dello zodiaco.

Le congiunzioni nella mitologia[modifica | modifica wikitesto]

Le congiunzioni Giove-Saturno si inseriscono nel tema mitologico dei combattimenti fra Giove (Zeus, Marduk, ecc.) e Saturno (Kronos, Enki, ecc.) presenti in tutte le mitologie ma delle quali esistono sia nel mondo greco-romano che in quello mesopotamico versioni meno truculente. Saturno avrebbe abdicato e il dio-figlio opera come demiurgo utilizzando misure (temporali e non solo) che gli vengono continuamente fornite dal dio-padre[1].

Le congiunzioni nell'ermetismo[modifica | modifica wikitesto]

Ogni trigono definisce una "triplicità" di segni zodiacali. Dato che vi sono quattro triplicità, esse vennero messe in corrispondenza con i quattro elementi:

  • Fuoco: Ariete, Leone, Sagittario
  • Terra: Toro, Vergine, Capricorno
  • Aria: Gemelli, Bilancia, Acquario
  • Acqua: Cancro, Scorpione, Pesci

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cfr. Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 1983, passim e in particolare pp. 319-321.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 1983, passim e in particolare pp. 455-456. Titolo originale: Hamlet's Mill, 1969.


La tradizionale forma della croce cristiana stile occidentale o Croce latina.

La croce cristiana è il simbolo cristiano più diffuso, riconosciuto in tutto il mondo. È una rappresentazione stilizzata dello strumento usato dai Romani per la tortura e l'esecuzione capitale tramite crocifissione, il supplizio che secondo la tradizione sarebbe stato inflitto a Gesù Cristo[1]. Per i cristiani la croce costituisce:

  • un ricordo della passione, morte e resurrezione di Gesù;
  • un monito dell'invito evangelico ad imitare Gesù in tutto e per tutto, accettando pazientemente anche la sofferenza[2].

Origini pre-cristiane del simbolo grafico[modifica | modifica wikitesto]

Trattandosi di un segno grafico molto semplice, il simbolo della croce è attestato in moltissime culture antecedenti il cristianesimo sia come semplice schema decorativo, sia con motivazioni funzionali[3], sia infine con molteplici significati. Il suo utilizzo in contesti religiosi pagani è associato a specifiche varianti grafiche come la svastica indoeuropea, l'ankh egiziana o la croce celtica. Affine alla croce è anche il Tau o Croce di Sant'Antonio, tipica anticamente dei culti medio-orientali e simbolo di fertilità (ad esempio nel culto del dio Tammuz, la cui iniziale era proprio la lettera T). Essa viene considerata una croce, nonostante la forma a T, proprio perchè i patiboli romani potevano avere questa forma (detta allora crux commissa), anziché quella di croce latina (o crux immissa). La tipologia della croce latina, prevalente nel cristianesimo, non compare in nessuno di questi antichi culti.

Controversie sull'assenza dell'immagine della croce nei primi secoli cristiani[modifica | modifica wikitesto]

ichthys o pesce, simbolo rappresentante Cristo nei primi secoli cristiani

La rappresentazione della croce nei luoghi di culto e di sepoltura cristiana dei primi secoli è scarsa e tardiva. Ciò ha determinato controversie da parte sia dei testimoni di Geova sia di alcuni studiosi anti-cristiani. Secondo i primi ciò costituirebbe una prova che il supplizio di Gesù non avrebbe avuto luogo su una croce, ma su un semplice palo (cfr. la voce: Modalità della crocefissione di Gesù secondo i Testimoni di Geova). La croce si sarebbe diffusa in occidente solo con Costantino il Grande (cfr. la voce In hoc signo vinces). Secondo alcuni studiosi, poi, Cristo non sarebbe mai esistito e il cristianesimo sarebbe il prodotto del sincretismo degli ultimi secoli dell'impero romano; la croce cristiana, quindi, sarebbe una invenzione del IV-V secolo..

Dal canto loro gli studiosi cristiani hanno replicato che tutta l'iconografia cristiana delle origini è inevitabilmente scarsa e ambigua a causa delle persecuzioni. I cristiani utilizzarono solo motivi iconografici comuni alla cultura classica (es. il Buon Pastore) o criptici, come il pesce, collegato a Gesù solo dal cristogramma Ichthys, o l'ancora, un simbolo la cui forma ricorda una croce (rovesciata) e che è collegata a Cristo dalla Lettera agli Ebrei (6, 19-20). Paradossalmente l'assenza della croce dimostrerebbe proprio che sin da allora la croce era un simbolo inequivocabilmente cristiano e perciò pericoloso da esporre in luoghi pubblici come le catacombe. Non è quindi un caso se uno dei disegni più antichi della croce, il graffito di Alessameno, venne eseguito da un pagano in data sconosciuta fra l'anno 85 e il III secolo. Il riferimento al cristianesimo si deduce dalla testa d'asino posta sul capo di Cristo; una forma di denigrazione nota dalle fonti scritte.

Di questa centralità della croce sin dai primi secoli cristiani danno abbondante testimonianza i testi scritti. Ad esempio Tertulliano (160-230) polemizza con i pagani, che avevano una venerazione religiosa per le proprie insegne militari (i vexilla o labari), ironizzando che anch'essi adoravano una croce, solo la coprivano con un vestito perchè si vergognavano di adorarne una nuda[4].

Centralità della croce nell'elaborazione teologica del Nuovo Testamento[modifica | modifica wikitesto]

Il significato della morte in croce di Gesù è stato ed è tuttora oggetto di riflessione per i teologi. E' considerato un mistero, intendendo con ciò un evento il cui significato è comprensibile ma inesauribile; sempre nuovi legittimi punti di vista possono aggiungersi a quelli passati. Questo mistero venne considerato il punto fondamentale della fede cristiana già sin dalle Lettere di San Paolo, ritenute fra i più antichi documenti del Nuovo Testamento (i testi seguenti sono tratti dalla "Bibbia di Gerusalemme", una delle traduzioni più letterali):

«Anch'io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso»

La croce è motivo di scandalo per i pagani (tanto che Gesù era considerato un asino) e quindi anche punto di discriminazione fra la vera e la finta fede:

«Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perchè non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano , per noi, è potenza di Dio»

L'adesione a Cristo, secondo San Paolo, non è adesione intellettuale (troppo facile e poco impegnativa), né sforzo di osservare la morale (soddisfatta ipoteticamente la quale, sarei salvo anche senza Gesù), ma imitazione di Cristo soprattutto nell'atteggiamento di affidamento alla volontà di Dio (Marco, 14, 36; Matteo 26, 39; Luca 22, 41). Il rapporto amoroso di fede aiuta a dimenticare il proprio io e a unirsi a Cristo, come un unico corpo mistico, nella figliolanza di Dio. Nel linguaggio di Paolo si tratta di partecipare alla morte di Cristo per partecipare alla sua resurrezione:

«Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri»

«Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto è ormai libero dal peccato»

«E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria»

Un ulteriore approfondimento della teologia paolina è motivato dalla riflessione su alcuni passi dell'Antico Testamento, fra cui soprattutto Deut. 21, 22-23 e Isaia 53 alla luce anche della [[Libro di giobbe#Il problema della retribuzione]|dottrina ebraica della retribuzione]. Si trova qui la radice della dottrina dell'espiazione, secondo la quale Gesù sarebbe morto per i peccati degli uomini:

«Colui che non aveva conosciuto il peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio»

«Dio ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta ascritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede»

Questa riflessione era anche suggerita dalle circostanze della morte di Gesù: spirato proprio nel momento in cui gli ebrei sacrificavano l'agnello pasquale. Anche i due spiedi che trafiggevano l'agnello erano disposti in croce. L'interpretazione della morte di Gesù come sacrificio espiatorio è molto lontano dalla sensibilità dei cristiani odierni e dalle elaborazioni di molti teologi, ma per i primi cristiani aveva il pregio di dare a molti brani dell'Antico Testamento un nuovo significato: quello di allegorie o profezie cristologiche.

«Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli»

Altre ipotetiche profezie bibliche della croce cristiana[modifica | modifica wikitesto]

La centralità della croce già per i primi cristiani risalta anche dall'interpretazione che essi diedero della Bibbia. Rileggendo, quindi, la Bibbia alla luce della crocifissione i Cristiani furono molto colpiti dal più piccolo accenno, che richiamasse alla mente la croce o il gesto di allargare le mani. In un primo gruppo di testi gli effetti miracolosi del gesto di stendere le mani venne interpretato come una profezia della potenza salvifica della croce:

  • Annunciando la liberazione dall'Egitto (simbolo prototipale della liberazione dal male e dal peccato) Dio dichiara: "Vi libererò dalla schiavitù e vi libererò con braccio teso" (Esodo, 6, 6). Il braccio teso era segno di potenza e non di giuramento, infatti subito sotto (6,8) Dio giura "a mano alzata";
  • In occasione dell'attraversamento del Mar Rosso l'intervento miracoloso di Dio si manifesta quando Mosè stende il braccio con salvezza degli israeliti e rovina degli egiziani (Esodo, 14, 21-27). Testo, che Paolo di Tarso aveva probabilmente in mente scrivendo il testo di 1Cor, 1, 18 sopra citato;
  • Nell'Esodo Israele prevale sugli Amaleciti solo se Mosè continua a tenere le braccia sollevate dai fianchi (Esodo, 17, 11-12), disponendo, cioè, il proprio corpo come una croce. Il testo non specifica affatto che le braccia erano spalancate, anziché sollevate sopra le testa. La Lettera di Barnaba, però, l'interpreta proprio così (12, 2). Anche Ireneo interpretò il testo nella stessa maniera [5]. L'espressione, poi, con cui Dio parla di distruggere perfino il ricordo degli Amaleciti è esattamente la stessa utilizzata per cancellare il ricordo dei peccati degli Ebrei in altri testi biblici (Salmi, 51, 1, Isaia, 43, 25, Michea 7, 18-19);

Un altro brano, che colpì molto i primi cristiani e fu all'origine dell'introduzione del segno della croce, è nel libro di Ezechiele e recita:

« Il Signore gli disse: "Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono" »   ( Ezechiele 9,4, su laparola.net.)

La lettera "tau" "T" o "taw", che è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico e rappresenta (come la "omega" greca) Dio nella sua perfezione, era tracciata proprio come una croce sino all'epoca di Cristo circa. In molti testi dei padri della chiesa, quindi, questo testo (da confrontare con Ap. 7, 3) fu considerato anch'esso una profezia della croce di Cristo.

Simbolismo associato a diverse tipologie di croci cristiane[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso dei secoli e nelle diverse culture il simbolo della croce è stato rappresentato in molte diverse maniere. Anzitutto la croce può essere riprodotta con il corpo del Crocifisso o senza. L'assenza del corpo, tipica della chiesa protestante, ma usata anche nelle altre chiese, enfatizza la fede nella resurrezione di Gesù. La sua presenza, molto comune nella chiesa cattolica, ricorda la Passione di Gesù. Spesso però il Cristo non è rappresentato sofferente, ma come già presago della resurrezione. Anche la forma ha un significato. La croce latina e la croce di Sant'Antonio mirano a riprodurre la forma del patibolo usato dai romani; la forma delle croce greca, quella con i bracci di uguale lunghezza, ha un significato simbolico.

I concetti teologici sulla croce sopra esposti si diffusero fra i cristiani non solo tramite la lettura del nuovo testamento, ma anche tramite l'Imitazione di Cristo [6], il libro più diffuso al mondo dopo la Bibbia, o opere simili.

La croce in araldica[modifica | modifica wikitesto]

Dalla croce cristiana o dai simboli precristiani sono derivate, nei secoli, tanti altri tipi di croce. Questi sono alcuni esempi:

Congregazioni ed Ordini religiosi della Croce[modifica | modifica wikitesto]

Sono numerosi gli istituti religiosi intitolati alla Croce. Tra questi:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La croce utilizzata dai romani era costituitada un palo orizzontale (chiamato patibulum), che ogni condannato doveva portare sino al luogo della crocifissione, e da un palo verticale infisso permanentemente nel suolo (stipes). Talvolta si utilizzava come stipes un semplice albero. Queste caratteristiche compaiono ad esempio in numerose commedie di Plauto (cfr. Persa 295, Miles gloriosus 359-360, Mostellaria 55-57 e 359-360, Carbonaria fr.2) o in testi di Dionigi d'Alicarnasso, Seneca, Giustino e altri ancora. Dionigi, in particolare, descrive la punizione di uno schiavo le cui mani erano inchiodate al patibolo (del peso verosimilmente di almeno mezzo quintale)e poi era costretto con le frustate a trascinarsi fino al luogo dell'esecuzione (Antichità Romane, 7.69, 1-2).
  2. ^ Cfr. Luca 14, 27 ("Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo") e l'analogo testo di Marco 8, 34.
  3. ^ Ad esempio la presenza di croci sul bordo di ossuari giudeocristiani è stata interpretata da alcuni come una semplice indicazione per facilitare l'applicazione del coperchio
  4. ^ Cfr. Tertulliano, Apologeticus adversus gentiles pro christianis, Pars IV, cap. XVI, 8 (Siphara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucis sunt) e Ad Nationes, I, 12 (Sic etiam in cantabris atque vexillis, quae non minore sanctitate militia custodit, siphara illa vestes crucum sunt. Erubescitis, opinor, incultas et nudas cruces colere). Analogo argomento si trova in Marco Minucio Felice, Octavius, XXIX (Nam et signa ipsa et cantabra et vexilla castrorum, quid aliud quam inauratae cruces sunt et ornatae?)
  5. ^ Demonstratio Apostolicae Praedicationis, 36
  6. ^ Cfr.: libro II, cap. 12.1


Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

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By Recovered Memories is usually meant memories of sexual abuse during childhood recovered during psychotherapy. While the wording "recovered menories" is relatively recent, the concept that scenes of seduction during childhood may emerge during therapy goes back to the earliest works of Freud.

Freud and recovered memories of sexual abuse[modifica | modifica wikitesto]

The seduction theory[modifica | modifica wikitesto]

In the years 1895-1897, before development of psychoanalysis, Freud supposed that hysteria was caused by a sexual shock during childhood. As he tells in his paper "The Aetiology of Hysteria" (1896), the episodes of childhood seduction would have a pathological effect only if the supposed victim had no conscious recollection of the episode. As patients initially recollect only trifling events, that in no way can be construed as traumatic sexual experiences, the therapist insists: If the first-discovered scene is unsatisfactory, we tell our patient that this experience explains nothing, but that behind it there must be hidden a more significant earlier experience...a continuation of the analysis then leads in every instance to the reproduction of new scenes of the character we expect[1]. Due to the resistance of the patients to recollect childhood seduction scenes, only the strongest compulsion of treatment can induce them to embark on a reproduction of them.

While Freud boasted in its scientific papers: the aetiology of hysteria lies in sexual life...in some eighteen cases of hysteria I have been able to discover this connection in every single symptom, and, where circumstances allowed, to confirm it by therapeutic success[2], therapeutical results were totally missing, as admitted by Freud in his private correspondence to Wilhelm Fliess. The subject is reviewed, e.g., by Richard Webster (see Chapter IX and Afterword in reference below).

By the end of 1897, as Freud recalled many years later: I was at last obliged to recognise that these scenes of seduction had never taken place and that they were only fantasies which my patients had made up or which I myself had perhaps forced on them...[3]

The Oedipal theory[modifica | modifica wikitesto]

Freud never admitted that his patients' memories could have been produced by the interaction with the therapist and found a new explanation: the Oedipus complex. Memories of sexual abuse were fantasies, due to the longing of the child for her father in competition with her mother. The new theory had the advantage that Freud wasn't anymore led to accuse the father of his patients of having perpetrated sexual abuse.

The acceptance of Freud's psychoanalysis by the psychiatric establishment implied that genuine memories of sexual abuse were systematically discounted or denied by psycotherapists until the "recovered memories movement" began. Any recollection of sexual abuse by parents could be construed as fantasies, even though they had always been conscious (in other words both recovered memories and "standard" memories could be easily discarded).

Even worse was the situation in courts. The monumental Treatise on Evidence, published in 1934 by John Henry Wigmore, one of the most famous legal texts ever published in the United States, impeaches the credibility of any female who complains of a sexual offence, especially if she is a child. He recommends that any female complainant should be examined by a psychiatrist to determine her credibility. In turn the Oedipus complex was a perfect theoretical instrument for explaining away allegations of sexual abuse and undermining their credibility.

According to Webster (p. 513): In this respect, at least, psychoanalysis in general and the theory of Oedipus complex in particular have cause untold harm.

The Recovered Memory Movement[modifica | modifica wikitesto]

During the late 1970s and the early 1980s many feminist writers and therapists began to recognise the frequency with which real cases of sexual abuse were subject to denial. In the new climat, memories of child sexual abuse, which had always been present, could be safely disclosed without being met by scepticism and denial. One of the most prominent books, wich argued that incest was much more common than had ever been suspected, was published in 1981 by Judith Herman.

In 1984 a very large impact was also due to the book The Assault on Truth by Jeffrey Masson, a trained psychotherapist. He claimed that sexual abuse form the core of every serious neurosis. Both Herman and Masson found the authority for their rebellion against orthodox psychoanalysis in the early writings of Freud himself[4], thereby focusing again the attention on memories recovered during therapy. Masson's book was instrumental in getting the support of many therapists. According to Webster the theory of repressed (and recovered) memories was embraced not only by many new-wave therapists, hypnotherapists and bodyworkers, but by some old-wave psychoanalitically trained therapists and by a number of young psychoanalists. It was also sometimes embraced by reputable psychiatrists and even neurologists.

A large number of books further disseminated the new approach; in a few years just the one by Ellen Bass and Laura Davis (The Courage to Heal) sold 750.000 copies in the United States alone (and over a million lately). Frederick Crews reports the conservative estimate that a million people have been helped by their psychotherapists to recover putative memories of child sexual abuse between 1988 and 1995 alone. Tens of thousands of families have been torn apart by allegations of incest springing from these recovered memories (see reference below).

Reactions[modifica | modifica wikitesto]

As many people claimed to be victims of false memories implanted in the mind of their relatives by therapists, a wide reaction took place. The point of view of the accused was defended and widespread by the False Memory Syndrome Foundation. A different sort of legal claims started, including lawsuits of patients (and parents of patients) against therapists. In some countries, such as Canada and Australia, professional associations found opportune to publish guidelines regulating the subject of recovery of sexual abuse memories during therapy.

Existence and reliability of recovered memories. Dissociative amnesia[modifica | modifica wikitesto]

Media and courts have debated for several years about the existence of repressed memories or of the so-called false memory syndrome. While some points are really controversial, the possibility of a "dissociative amnesia", which may include the forgetfulness of a traumatic event for long periods of time, is well recognized by the psychiatric community[5]. Recovered memories aren't per se less reliable than ordinary memories, they are however rare. The figures proposed by Crew (see above), if reliable, would indicate


Notes[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Standard Edition 3, pp. 195-196; see also Masson, The Assault.., p.264.
  2. ^ Standard Edition 3, p. 199; Masson, The Assault..., p.272.
  3. ^ In the Autobiographical Study (1925) this possibility is immediately discounted and most authors have accepted Freud's claim that his patients spontaneously produced memories of childhood seduction. A smaller number of scholars, such as Frank Cioffi, Elisabeth M. Thornton, Han Israëls and Morton Schatzman have pointed out that Freud's own original account of his therapeutic methods suggest that the reality was very different. The case of Dora was particularly striking. Webster concludes: "While in some occasions...Freud effectively writes confessions on behalf of his patients and then prevails on them to sign them, the case of Dora shows that on other occasions he was quite prepared both to write and sign confessions on behalf of his patient" (p. 200).
  4. ^ Judith Herman states: At the moment that Freud turned his back on his female patients and denied the truth of their experience, he forfeited his ambition to understand the female neurosis. Freud went on to elaborate the dominant psychology of modern times. It is a psychology of men.
  5. ^ DSM-IV

Bibliography[modifica | modifica wikitesto]

  • Freud, Sigmund, The Standard Edition of the Complex Psychological Works of Sigmund Freud, ed James Strachey, Hogart Press and the Institute of Psychoanalysis, 24 volumes, 1953-1974.
  • Herman, Judith Lewis, Father-Daughter Incest,Harvard University Press, 1981.
  • Masson, Jeffrey, The Assault on Truth: Freud's Suppression of the Seduction Theory, New York, Ferrar, Straus and Giroux Inc. 1984; reissued with new preface under the title: The Assault on Truth: Freud and Child Sexual Abuse, HarperCollins 1992.
  • The complete letters of Sigmund Freud to Wilhelm Fliess 1887-1904, ed. Jeffrey Mousaieff Masson, Harvard University Press, 1985.
  • Bass Ellen and Davis, Laura, The Courage to Heal: A Guide to Women Survivors of Child Sexual Abuse, 1988, Reed ConsumerBooks 1990, HarperCollins 1994.
  • Crews Frederick, The Memory Wars: Freudian Science in Dispute, New York Review Imprints, 1995.
  • Webster, Richard, Why Freud Was Wrong. Sin, Science and Psychoanalysis,HarperCollinsPublishers, 1995.

==Related



MATERIALE VARIO DA WIKIPEDIA[modifica | modifica wikitesto]

Espansione dell'universo[modifica | modifica wikitesto]

L'espansione dell'universo provoca l'allontanamento delle galassie più lontane da noi a velocità superiori a quelle delle luce. Questo avviene quanto per calcolare la velocità di spostamento di tali galassie vengono utilizzate le coordinate comoventi e il tempo cosmologico.

Nella relatività generale, tuttavia, la velocità è un concetto locale, per cui il concetto di velocità utilizzando le coordinate comoventi non può essere messo in relazione alla velocità come normalmente intesa. In altre parole, le galassie (o per meglio dire i gruppi di galassie) non si muovono fisicamente le une dalle altre. Quello che avviene è che lo spaziotempo tra di loro si espande. Questo spiega anche il fenomeno inflazionistico immediatamente seguito al Big Bang, quando un universo cento miliardi di volte più piccolo di un protone si espanse fino alla grandezza di circa cento milioni di anni luce in appena 10-32 secondi.


Space in comoving coordinates is (on the average) static, as most bodies are comoving, and comoving bodies have static, unchanging comoving coordinates.

The expanding Universe has an increasing scale factor which explains how constant comoving coordinates are reconciled with distances that increase with time.



Template Bio[modifica | modifica wikitesto]

Il template Bio è eccessivamente rigido con effetti talvolta ridicoli, se non lo si aggira con il FineIncipit. Mi sembra utile proporre delle modifiche. In particolare:

1) Luogo e data di nascita.

Occorre poter inserire un punto interrogativo fra parentesi dopo i dati incerti.

2) Attività

La lista attuale comprende 12 tipologie di allenatori (ma potrebbero essere centinaia se ci si avvia in questa direzione) e una sola ad esempio di ingegneri (cosa assurda, vista l'enorme differenza fra le diverse tipologie). Nella nuova voce Gaspare Beretta, un ingegnere militare, che ho appena creato, ho gestito il problema con il parametro FineIncipit. Ho visto, invece, che gli ingegneri aerospaziali e quelli del mondo dei trasporti si sono arrangiati creandosi una categoria ad hoc. Decidiamo dove vogliamo andare o si riduce il numero di tipologie di allenatori e poi magari si crea la categoria Allenatori di calcio e analoghe oppure si articola la tipologia di ingegneri e si abolisce la categoria ingegneri aerospaziali e analoghe.

3) Nobili, marchesi, Principi

Sono tipologie di attività di uso difficile e spesso da scoraggiare (utilizzando al posto il FineIncipit). Vedi fra i tanti esempi Adelaide di Susa, che in ogni caso non mi sembra nemmeno corretto chiamare principessa e un pò anacronistico dirla italiana. Che ne pensi?

Pinea (msg) 19:51, 16 lug 2008 (CEST)

  • Applicazione più efficace della normativa in vigore

Il numero sorprendente di preferenze attribuite alla Chiesa cattolica potrebbe essere la conseguenza di omissioni governative:

    • I contribuenti non sarebbero stati sufficientemente informati del fatto che il prelievo della quota dell'otto per mille dal bilancio dello Stato ha luogo anche se essi non esprimono alcuna preferenza;
    • La scelta dello Stato sarebbe resa meno appetibile dalla scarsità di informazioni sull'utilizzo previsto per i soldi assegnati allo Stato e dalla totale mancanza di pubblicità.
    • Le intese con ulteriori confessioni, già predisposte e firmate dalla Presidenza del Consiglio, non verebbero portate sollecitamente all'approvazione parlamentare, riducendo così artificialmente le opzioni a disposizione del contrinbuente.
  • Revisione unilaterale dell'art. 47 della legge 222/85 per evitare l'assegnazione della quota corrispondenta alle preferenze inespresse.

Secondo alcuni laici sarebbe opportuno che i criteri di ripartizione dell'otto per mille diventassero più simili a quelli del cinque per mille, evitando cioè l'erogazione della quota corrispondente alle scelte inespresse. La possibilità, però, di rivedere la legge 222/85 senza ledere il Concordato è controversa. Secondo alcuni, inoltre, la ripartizione dell'otto per mille anche in base alle preferenze inespresse potrebbe configurarsi come un referendum in materia fiscale, risultando quindi incostituzionale e rendendo obbligatoria una revisione.

Gerald Schroeder[modifica | modifica wikitesto]

Gerald L. Schroeder (...) è un fisico statunitense e teologo aderente all'ebraismo ortodosso, autore di diversi libri che intendono dimostrare la compatibilità fra la narrazione biblica delle origini dell'universo e dell'uomo e la ricostruzione a cui è attualmente pervenuta la scienza.

Cenni biografici[modifica | modifica wikitesto]

Schroeder ha studiato presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).[1] e nel 1959 ha conseguito la laurea di primo livello (BSc)in ingegneria chimica e nel 1961 quella di secondo livello (MSc) in scienze terrestri e planetarie, ottenendo infine in dottorato in fisica terrestre nel 1965. Nei successivi cinque anni ha lavorato al dipartimento di fisica del MIT, collaborando anche con la United States Atomic Energy Commission in studi finalizzati al controllo del disarmo nucleare e in particolare alla detezione di esplosioni nucleari sotterranee e alle misure di radioattività nell'atmosfera.[2].

Nel 1971 Schroeder emigrò in Israele e divenne ricercatore presso il Weizmann Institute of Science, il Volcani Research Institute e la Hebrew University of Jerusalem.[3][4].

Attualmente, in aggiunta al suo lavoro sul controllo delle radiazioni, Schroeder insegna al Aish HaTorah College of Jewish Studies[5], scrive e dà conferenzesulla convergenza fra la scienza moderna e antichi commentari biblici.

Schroeder è autore di oltre 60 pubblicazioni in autorevoli riviste scientifiche internazionali su argomenti che spaziano dall'atmosfera di radon attorno alla luna (in "Science") al metabolismo del latte della madre (in "Nutrition Reports International"). Schroeder, inoltre, ha sviluppato e brevettato il primo rivelatore in real time di sorgenti alfa beta e gamma trasportate da aereo ed è stato consulente di agenzie dei governi di Cina, Filippine, Malesia, Singapore, Canada e USA.

Dalla Genesi al Big Bang[modifica | modifica wikitesto]

In Israele il Dr. Schroeder ha srudiato teologia ebraica con la supervisione dei rabbini Herman Pollack, Chaim Brovender e Noah Weinberg, approfondendo in particolare le interpretazioni medievali della Bibbia, del Talmud e della Cabala. Secondo la tradizione ebraica l'universo era stato creato inizialmente più piccolo di un granello di senape[6] e poi lasciato espandere sino alla dimensione finale, quando Dio disse «basta!» ("Shaddai!" in ebraico)[7]. Questa tradizione era totalmente antitetica all'opinione secondo cui l'universo è eterno; opinione prevalente sia fra i filosofi antichi (Aristotele, Platone, ecc.) sia fra gli scienziati moderni (sino alla scoperta della radiazione cosmica di fondo nel 1965) e sembrava somigliare alla moderna teoria del Big Bang.

Schroeder, quindi, si dedicò a cercare di dimostrare la compatibilità fra le scoperte della scienza moderna e le interpretazioni bibliche di commentatori medievali ebrei favorevoli ad una interpretazione quanto più letterale possibile del testo. La sua tesi che ha sollevato maggiore interesse e controversie più accese riguarda l'età dell'universo. Secondo Schroeder la teoria della relatività consentirebbe di affermare che l'età dell'universo dal big bang alla comparsa dell'uomo può essere indifferentemente valutata in circa 14 miliardi di anni, come ritiene la cosmologia moderna o in sei giorni (=144 ore), come sembra affermare la Genesi. Si tratterebbe solo di durate misurate in due sistemi di riferimento diversi, uno collocato oggi e l'altro al momento dell'emissione della radiazione cosmica di fondo. Nel corso degli anni Schroeder ha cercato di dimostrare questa tesi in diverse maniere, che, però, talvolta hanno suscitato forti critiche. Secondo la pubblicazione più recente[8] la progressiva estensione dello spazio, che caratterizza il modello del Big Bang, determina un apparente allontanamento temporale degli eventi passati in quanto la luce proveniente da un evento successivo deve percorrere una maggiore distanza prima di poterci raggiungere rispetto al segnale proveniente da un qualunque evento antecedente.

Le idee di Schroeder hanno avuto ampia diffusione e, ad esempio, hanno contribuito alla conversione al deismo di Antony Flew, un importante filosofo inglese, campione da decenni dell'ateismo militante.[9][10]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Genesis and the Big Bang (1990), ISBN 0-553-35413-2. Traduzione italiana: Genesi e Big Bang.Uno straordinario parallelo fra cosmologia moderna e Bibbia, Interno Giallo, Milano 1991, ISBN 88-356-0102-9
  • The Science of God: The Convergence of Scientific and Biblical Wisdom, (1997), ISBN 0-7679-0303-X. Traduzione: L'universo sapiente. Dall'atomo a Dio, Il saggiatore, Milano 2002.
  • The Hidden Face of God: Science Reveals the Ultimate Truth, (2002), ISBN 0-7432-0325-9.
  • God According to God: A Physicist Proves We've Been Wrong About God All Along, (2009), ISBN 978-0061710155.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Brevi articoli di Gerald Schroeder[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Chelsea Lowe, Nuclear Scientist Sees No God-Science Conflict, in Technology Review, Sep/Oct 2006. URL consultato il 18 December 2010.
  2. ^ Brian Sacks, Where the Bible meets the Big Bang, su sullivan-county.com, 2 October 2007. URL consultato il 18 December 2010.
  3. ^ Gerald Schroeder, Finding the Intelligence Within the Design (PDF), in Jewish Action, Fall 2006, pp. 17–22.
  4. ^ News and Views: Nuclear Scientist Sees No God-Science Conflict, pubblicato sulla rivista dell'Associazione ex-alunni del MIT
  5. ^ About Dr. Gerald Schroeder, su geraldschroeder.com. URL consultato il 18 December 2010.
  6. ^ Così scrive il filosofo cabalista Namanide (1194-1270)
  7. ^ Si veda ad esempio il midrash Capitoli di Rabbi Eliezer (VIII secolo) e altre fonti midrashiche e talmudiche. Scrive Eliezer: «Da dove furono creati i cieli? Dalla luce degli abiti di Dio. Egli prese questa luce e la sparse come un mantello e i cieli si distesero e si espansero finché Egli disse loro "basta!"».
  8. ^ Dr. Gerald Schroeder, Age of the Universe, su aish.com. URL consultato il 18 December 2010.
  9. ^ Associated Press, Antony Flew dies at 87; atheist philosopher who changed his mind late in life, in Los Angeles Times, 14 April 2010. URL consultato il 18 December 2010.
  10. ^ Mark Oppenheimer, The Turning of an Atheist, in The New York Times, 4 November 2007. URL consultato il 18 December 2010.


Formule epicicloide[modifica | modifica wikitesto]

Le potenzialità del modello epiciclo/deferente per la rappresentazione dei moti astronomici nella loro massima generalità possono essere colte anche in modo semplice. A questo scopo occorre scrivere le coordinate del punto mobile (il pianeta) addizionando le equazioni parametriche dei due cerchi:

in cui e sono i raggi rispettivamente del deferente e dell'epiciclo e e le corrispondenti pulsazioni del moto. Il movimento di un qualsiasi pianeta relativamente alla Terra può essere agevolmente descritto (nell'approssimazione di orbite circolari) assegnando a un cerchio i valori che oggi conosciamo caratteristici del moto apparente del Sole attorno alla Terra[1] e all'altro i valori caratteristici del moto del pianeta attorno al Sole.

Si osservi poi come il sistema sia semplicemente additivo (non c'è nessuna distinzione fra epiciclo e deferente) e aperto all'aggiunta di altri moti circolari. Già Claudio Tolomeo aveva osservato che con opportuna scelta dei parametri il sistema epiciclo/deferente poteva rappresentare anche un semplice moto eccentrico (nella presente notazione basta porre ) [2].

Se poi si sceglie si ottiene un moto ellittico di semiassi:

.

In conclusione il sistema deferente/epiciclo non pone alcun limite alla modellazione delle orbite dei corpi del sistema solare relativamente alla Terra, anche se è afflitto da un numero di potenziali parametri da identificare troppo elevato in rapporto alle misure astronomiche allora disponibili e alla loro precisione. Saranno i dati accuratissimi raccolti da Tycho Brahe oltre diciotto secoli dopo a rendere obsoleto il modello proposto da Apollonio di Perga.

Angelo del Signore[modifica | modifica wikitesto]

L'angelo del Signore appare ad Agar nel deserto. Quadro di Nicolas Colombel (1644-1717)

Angelo del Signore è una espressione molto comune nell'Antico Testamento per precisare il significato della parola "angelo", che in ebraico (מלאך malak) significa soltanto "messaggero".

La parola "angelo" nell'Antico Testamento[modifica | modifica wikitesto]

Nell'Antico Testamento la parola "angelo" (malak) significa soltanto "messaggero". Essa, infatti, compare 214 volte, di cui ben 103 indicano messaggeri solo umani.[3] Fra i 113 usi per indicare un messaggero celeste 65 compaiono nella formula "מַלְאָךְ יהוה" (malak YHWH), cioè "messaggero di Yahweh". In altri 12 casi compare nell'espressione "angelo di Dio" (in ebraico: mal'akh 'Elohim). Altre espressioni in cui la parola angelo denota un essere celeste sono: "l'angelo redentore", המלאך הגאל, hamalak haggoel (Template:Bibleverse); "l'angelo della presenza (del Signore)", מלאך פניו, malak panaiv (Template:Bibleverse); "l'angelo dell'alleanza", מלאך הברית, malakh habrit (Template:Bibleverse). In altri casi la parola "angelo" è usata da sola,, ma è Dio che lo invia, perciò il suo significato è equivalente ad "angelo di Yahweh" o ad "angelo di Dio".[4]

L'espressione "angelo del Signore" è utilizzata per tradurre "angelo di Yahweh" già nella traduzione greca dei LXX (ἄγγελος Κυρίου, angelos Kyriou) per evitare circostanze che costringano a pronunciare l'ineffabile Tetragramma. Allo stesso scopo la vocalizzazione masoretica del testo biblico suggerisce "Adonai" ("Signore" in ebraico). La terminologia "angelo di YHWH" è perlopiù equivalente ad "angelo di Dio".

Utilizzo del termine nelle teofanie[modifica | modifica wikitesto]

In alcuni passi biblici l'angelo del Signore sembra indistinguibile da Dio stesso. Per esempio un angelo appare a Mosè nel roveto ardente (Es 3,1-6), ma parla in prima persona come Dio stesso. Vi sono diverse spiegazioni (non alternative):

  • La figura dell'angelo è fittizia e funzionale a proteggere la trascendenza di Dio, che verrebbe messa in questione dagli antropomorfismi connaturati a un colloquio diretto della divinità con un uomo. Secondo l'esegesi di S. A. Meier, il testo biblico avrebbe anticamente contenuto solo la parola YHWH. Nulla, infatti, cambierebbe nei tempi verbali e nelle altre parte del discorso se le parole "angelo di" venissero cancellate. Il loro inserimento sarebbe, appunto, dovuto a una successiva preoccupazione di tutelare l'immagine della trascendenza divina.[5] Questa ipotesi permette di ritenere che il testo originario sia molto più antico del periodo in cui è verosimile che si volessero evitare antropomorfismi.
  • L'angelo è una creatura spirituale distinta da Dio stesso e a lui subordinata. Parlando in nome di Dio usa la prima persona secondo un uso del mondo antico, in cui gli ambasciatori avrebbero impersonato quasi come un attore il mandante dell'ambasceria;
  • L'angel

Conteggio contributi in italiano

Steiner e il metodo scientifico[modifica | modifica wikitesto]

Un aspetto caratteristico del pensiero di Rudolf Steiner è l'affermazione che le adesioni alle sue dottrine esoteriche non devono essere fondate sulla fede nelle rivelazioni e illuminazioni mistiche del maestro, ma possono basarsi su una esperienza diretta accessibile a chiunque.[6] Occorre, però, un difficile processo di iniziazione, che comprende esercizi di meditazione di tipo yoga e la partecipazione a rituali complessi sotto la guida del maestro.

Avendo attribuito un carattere "sperimentale" al processo conoscitivo dell'antroposofo, da lui denominato "osservazione animica", Steiner ritiene di poter affermare che esso soddisfi almeno ai metodi delle scienze naturali, meno rigorosi di quelli della scienze fisiche e chimiche, nelle quali prevale il principio di ripetibilità dell'esperimento, raramente praticabile anche oggi nelle scienze naturali e quasi mai ai suoi tempi.

Studiando Goethe e la sua Metamorfosi delle piante Steiner ne aveva apprezzato il superamento della conoscenza classificatoria di Linneo, che tendeva a descrivere specie viventi immutabili, verso una concezione dinamica delle specie (come in Jean-Baptiste Lamark) e successivamente aderì allo sbocco di questa concezione nella teoria evoluzionistica di Darwin, conosciuta e apprezzata tramite i lavori di Ernst Haeckel. [7] Questi aveva pubblicato una sintesi delle idee di Darwin e di Goethe con la teoria romantica della "Ricapitolazione" (secondo cui l'ontogenesi ripete la filogenesi), che aveva riscosso grande successo di pubblico e l'apprezzamento di Darwin stesso. Steiner condivideva anche il panteismo di Haekel, che fondò e fu presidente della "lega tedesca dei pensatori monisti" (Deutscher Monistenbund), e soprattutto trovava nell'evoluzionismo delle forme viventi uno schema da imitare nel delineare una storia dello spirito umano, articolata per fasi di sviluppo a partire dalle origini del cosmo.

Gli studi di Haeckel fornirono a Steiner il modello di metodo scientifico, su cui costruire l'antroposofia. L'"osservazione animica" di Steiner è dichiaratamente costruita sul modello delle scienze naturali.[8] Il modello metodologico offerto da Haeckel era, però, molto carente: una raccolta di dati ampia, ma poco scrupolosa (Haeckel è stato accusato ripetutamente di frode), e il loro collegamento tramite una teoria fantasiosa e oggi abbandonata.[9] L'applicazione del cosiddetto "modello delle scienze naturali" al mondo soprasensibile risulta molto difficile. I dati di Haeckel, disegni di embrioni di diversi esseri viventi in varie fasi di sviluppo, erano dati verificabili da ogni scienziato. I dati di Steiner, invece, sono i risultati dell'osservazione animica, un modo elaborato per indicare i risultati di una attività introspettiva di auto-intuizione del pensiero. Benché Steiner ne affermi senza prove la ripetitività, il consenso degli studiosi ritiene che questi dati non possano costituire una base per una teoria scientifica, alla quale in particolare mancherebbe il requisito fondamentale della falsificabilità.

Polemica su Coxe[modifica | modifica wikitesto]

Non sto partecipando alle vostre vivaci discussioni sia per mancanza di tempo sia perché odio le polemiche, sia perché mi sembra fuori luogo basare qualunque affermazione su quella che sarebbe stata l'opinione prevalente degli studiosi un secolo e mezzo fa o ritenere che l'enciclopedia cattolica scritta oltre un secolo fa riporti l'opinione prevalente degli studiosi cattolici odierni. Vorrei, tuttavia, intervenire su un dettaglio che mi ha incuriosito. Mi sono chiesto come potesse Coxe aver scritto in modo così oscuro da suscitare paginate di polemiche. Dato che ho scoperto che si trattava di un testo brevissimo, l'ho letto e, pur ammettendo che il testo non è sempre esplicito, questo è ciò che ho capito:

  • Coxe sta ripubblicando una traduzione corredata da introduzioni e note pubblicata a Edimburgo da due studiosi scozzesi e non necessariamente condivide il testo delle introduzioni e note altrui che deve per correttezza ripubblicare assieme alla traduzione. Egli, però, manifesta il proprio pensiero premettendo una propria introduzione tenuta ben distinta da quella altrui che riporta di seguito (per il testo originale dell'introduzione cfr. [2]). Nella introduzione generale dell'opera egli dichiara l'intenzione di aggiungere solo commenti e note di tipo esplicativo per i lettori non specialisti.
  • La datazione al periodo 120-150 è contenuta nel testo degli scozzesi e non nella premessa di Coxe. Essa è presentata come opinione comune di cui non viene fornita alcuna motivazione né attribuzione specifica. Incidentalmente neppure gli scozzesi indicano esplicitamente una propria adesione a tale opinione, anzi citano l'autorevole datazione all'anno 100 AD di Hilgenfeld, lo studioso tedesco che pochi anni prima aveva pubblicato la propria traduzione dal testo greco ritrovato (credo fosse la prima) e con cui confrontano continuamente il proprio lavoro.
  • Coxe esprime ripetutamente il proprio dissenso dalla datazione tardiva dell'epistola di Barnaba proposta dai traduttori come opinione comune:
    • nell'avvio propone la data del 100 AD (in accordo con l'autorevole datazione proposta da Hilgenfeld nella edizione di Lipsia del 1866 citata dagli scozzesi)
    • chiarisce subito dopo che secondo lui l'opinione prevalente (citata utilizzando il verbo in forma impersonale) attribuisce la redazione ai regni di Traiano e di Adriano (anni 98-138), cioè già afferma che secondo lui l'opinione prevalente non è quella ritenuta tale 20 anni prima dai traduttori (120-150).
    • Aggiunge poi che solo con molta riluttanza aveva dovuto abbandonare l'opinione che la lettera fosse del periodo apostolico (I secolo) a fronte delle motivazioni "preponderanti" proposte dagli altri (cioè accetta che l'epistola non sia del I secolo, anche se implica che ci sarebbero buone ragioni, ma non preponderanti, per crederlo).
    • Afferma comunque che l'autore è un cristiano del tempo di Traiano (98-117), cioè all'interno di quella che ritiene l'opinione prevalente (98-138) si schiera per il periodo più antico (98-117), in accordo con la datazione 100 AD proposta inizialmente come sintesi del suo pensiero.

Ingresso a Gerusalemme (nuova versione)[modifica | modifica wikitesto]

Giotto di Bondone, Ingresso a Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni a Padova

L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è un evento descritto da tutti i quattro vangeli canonici: Matteo 21, Marco 11, Luca 19, Giovanni 12.[10].
Esso precede di alcuni giorni l'inizio della Passione[11][12][13][14]

L'ingresso a Gerusalemme è un tema dell'iconografia cristiana abbastanza comune nella pittura rinascimentale ed è ricordato dalla liturgia cristiana nella domenica delle Palme.

La storicità dell'evento è oggetto di discussione.

La narrazione evangelica[modifica | modifica wikitesto]

In occasione della sua ultima Pasqua, Gesù entrò nella città santa di Gerusalemme seduto su un asino e accompagnato da una folla festante che agitava rami di palma, stendeva per terra fronde e mantelli e lo acclamava gridando Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore[15].
Tutti questi gesti rievocano testi messianici dell'Antico Testamento.

L'asino è cavalcatura regale in tempo di pace, mentre il cavallo lo è in guerra. Esso caratterizza il re messianico che discenderà da Giuda[16]. Anche Salomone viene fatto salire sulla mula del re Davide al momento della sua incoronazione (1 Re 38-40). I vestiti venivano stesi sui gradini da salire per ascendere al trono (2 Re 9,13). I testi, dunque, descrivono una scena d'incoronazione da parte dei pellegrini che dalla Galilea si recavano a Gerusalemme e che conoscevano i miracoli fatti da Gesù.

Evidentemente i mantelli vennero stesi in un luogo preciso, non lungo tutto il cammino. Betania, da cui proviene Gesù e dove si ritirerà la sera stessa, era subito fuori Gerusalemme (15 stadi = 2,7 km) a est del Monte degli Ulivi. L'incoronazione, quindi potrebbe aver avuto luogo sul Monte stesso, non appena giunti in vista della città di Gerusalemme. Il Monte era considerato un luogo di preghiera (Ez 11,23; 2 Sam 15,32) in cui IHWH si sarebbe rivelato nel giorno del giudizio (Zc 14,4). Pochi anni dopo la morte di Gesù un sedicente messia proveniente dall'Egitto pretese di di farsi riconoscere tale proprio sul Monte degli Ulivi[17] Secondo Joachim Gnilka, quindi, "potremmo supporre che ai contemporanei era nota l'attesa che il Messia, venendo dal deserto, si sarebbe rivelato sul Monte degli Ulivi".[18] Il tema della regalità messianica di Gesù apre in questo episodio la settimana della Passione e la chiude poi con il Titulus crucis (Mc 15,26; Mt 27,37; Lc 23,38; Gv 19,19-22).

I testi evangelici descrivono poi il formarsi di un corteo diretto al tempio e caratterizzato ora religiosamente. I rami di palma erano un simbolo festoso della festa delle capanne, una delle tre grandi feste di pellegrinaggio del giudaismo. Secondo il salmo 118, che probabilmente descrive una liturgia della festa stessa, il corteo osannante con rami frondosi diretto al Tempio era un corteo di ringraziamento per la salvezza operata inaspettatamente dal Signore (Salmi 118,21-27[19]). Il corteo, perciò, non aveva necessariamente un carattere sedizioso, ma potrebbe essere stato solo un ringraziamento per le guarigioni miracolose operate da Gesù in Galilea e infine a Betania dove Lazzaro era stato fatto uscire dal sepolcro. Benché Gesù venga presentato solo come un profeta (Mt 21,11), la città entrò comunque in agitazione (Mt 21,10) o almeno lo fecero alcuni farisei (Lc 19,39; Gv 12,19). Marco, invece, non registra alcuna reazione al corteo, forse a causa dell'ora tarda (Mc 11,11).

Le caratteristiche dell'asino[modifica | modifica wikitesto]

Il testo evangelico sottolinea due caratteristiche, peraltro presenti già nella profezia di Zaccaria LXX[20],: è una semplice bestia da soma (e ciò implica l'umiltà di Gesù in contrasto con la vanità dei re); è un animale giovanissimo mai montato (Mc 11,2; Lc 19,30). Questo secondo requisito sottolinea la sua funzione religiosa e cultuale. Nell'antichità non solo giudaica l'integrità era indispensabile per questo tipo di funzioni.[21] Il requisito,inoltre, esplicita quanto già suggerito da Zaccaria LXX con le parole πῶλον νέον (= "neo-puledro").

Mentre Marco, Luca e Giovanni sono sostanzialmente concordi, Matteo introduce una novità, che ha fatto spargere fiumi d'inchiostro ai commentatori. Egli non chiede più che il puledro non sia mai stato montato ma sembra specificare che esso sia accompagnato da un'asina, presumibilmente sua "madre".[22] Alcuni commentatori, ad esempio Fritzsche o Flek, si sono chiesti se Gesù montasse alternativamente sull'una e sull'altro. Altri se l'asina fosse presente per incoraggiare il puledro, forse non ancora svezzato. Altri ancora hanno proposto che si tratti di un ebraismo e che vi sia anche in Matteo un solo asino. Infatti la congiunzione (in greco "και") ha in ebraico un vocabolo corrispondente ( ו vau) dotato anche di altre sfumature. Per questo motivo alcuni commenti recitano per esempio: "Un'asina, anzi un puledro".[23] La confusione, inoltre, è accresciuta perché Gesù sembra sedersi simultaneamente su entrambi[24] e alcuni commentatori cercano di darne una spiegazione traslata o addirittura allegorica. Qualunque fosse il significato del testo per Matteo, esso non è affatto chiaro per i suoi lettori. Sono, invece, più decifrabili le sue motivazioni. Matteo, come noto, scrive per lettori ebrei, probabilmente di Antiochia [25], e perciò sottolinea molto spesso l'adempiersi di profezie dell'antico testamento. Trovandosi di fronte a una piccola discrepanza fra il testo greco e quello ebraico della profezia di Zaccaria, cerca di adattare (maldestramente) la narrazione di Marco al testo ebraico delle profezie di Zaccaria 9,9 e di Gn 49,11, in cui il riferimento a un asino viene ripetuto due volte per motivi stilistici tipici della poetica ebraica.[26]

Iconografia cristiana[modifica | modifica wikitesto]

L'evento è rappresentato in molte opere d'arte quali l'Entrata di Cristo in Gerusalemme di Pietro Lorenzetti nella Basilica di San Francesco ad Assisi, l'Ingresso a Gerusalemme (Giotto) nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nonché nei mosaici bizantini del duomo di Monreale, della Cappella Palatina a Palermo e della Basilica di San Marco a Venezia.

La data dell'evento[modifica | modifica wikitesto]

Il vangelo di Giovanni attribuisce l'ingresso in Gerusalemme al quinto giorno prima della pasqua ebraica, cioè al 10 del mese di Nisan[27], giorno in cui gli ebrei dovevano procurarsi l'agnello pasquale (Es 12,3). Il tema di Gesù-agnello-di-Dio caratterizza il vangelo di Giovanni. Infatti, sin dal primo capitolo di questo vangelo, Gesù è presentato come "l'agnello di Dio" (Gv 1,29). Secondo Giovanni, inoltre, la pasqua cadeva di sabato e perciò il corpo morto di Gesù si trovava sulla croce proprio nel giorno e nell'ora in cui gli ebrei disponevano i loro agnelli su due spiedi incrociati per arrostirli.[28] La data dell'ingresso in Gerusalemme, quindi, ha anche un valore simbolico e contribuisce a spiegare chi sia Gesù secondo l'autore del quarto vangelo.

I vangeli sinottici, invece, non specificano la data, che comunque deve cadere pochi giorni prima di Pasqua. L'evento, infatti, è raccontato prima dell'episodio di Betania, in cui una donna sconosciuta gli unge il capo con un unguento profumato. Quest'ultimo evento sarebbe avvenuto solo due giorni prima di Pasqua (Mt 26,1; Mc 14,1) e fra i due eventi Gesù insegna per alcuni giorni nel Tempio. Le due cronologie, quindi, sembrano sostanzialmente concordi.

Un motivo di confusione nasce dalla somiglianza fra l'episodio di Betania citato da Marco e Matteo e l'analogo del vangelo di Giovanni in cui Maria, sorella di Lazzaro, sempre a Betania unge i piedi di Gesù. Giovanni colloca il suo episodio il giorno prima dell'ingresso in Gerusalemme, mentre Matteo e Marco alcuni giorni dopo. Le due date sono entrambe possibili perché Gesù trascorreva il giorno nel Tempio, ma la sera tornava a Betania (Mc 11,11.19; Mt 21,17). Se i due episodi sono identificati la cronologia si aggroviglia: o è errata la data di uno dei due episodi di Betania o è errata la cronologia dell'ingresso in Gerusalemme. Forse per questo motivo Mauro Pesce afferma che i vangeli non concordano sulla data dell'ingresso in Gerusalemme.[29]

L'interpretazione nella storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso dei secoli la storia fu spesso interpretata in senso allegorico.[30] Per esempio nel corteo che accompagna Gesù quelli che lo precedono sarebbero gli israeliti e quelli che lo seguono i pagani convertiti. L'evento quindi rappresenterebbe la storia della salvezza e mostrerebbe Gesù "dominus et rex omnium". Questa interpretazione guidava anche la liturgia preconciliare della domenica delle palme.(Gnilka, 2007, p. 599) Calvino si oppose energicamente all'interpretazione allegorica. Sottolineò che Gesù fu accolto come redentore da poche persone e non istruite. Scorse nell'evento la volontà di Gesù di realizzare la profezia di Zaccaria pur nella discrepanza fra la pretesa regale e la sua personale scelta di povertà esteriore.[31]

In età contemporanea R. Eisler lesse gli eventi in chiave politica. Sarebbero stati gli zeloti a voler celebrare la regalità di Gesù in chiave anti-romana.[32] Eisler aggiunse elementi di fantasia alla sua proposta: Gesù sarebbe entrato in Gerusalemme con una schiera di soldati irregolari e avrebbe cercato di esercitare un potere politico. Una variante della tesi zelotica, invece, sottolinea che dopo l'ingresso in Gerusalemme Gesù si schierò apertamente contro gli zeloti sulla questione del tributo a Cesare (Mt 22,17-21). Non riuscendo a utilizzarlo politicamente gli zeloti lo avrebbero abbandonato e avrebbero sostenuto la sua crocifissione.

Altri storici interpretarono in modo differenziato le modalità dell'ingresso in Gerusalemme come prova dell'intenzione di Gesù di provocare una svolta nella storia.[33]

Discussione sulla storicità dell'evento[modifica | modifica wikitesto]

L'interpretazione zelotica introdotta da Eisler conferisce un carattere sedizioso all'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Poco dopo, quindi, altri commentatori, misero in dubbio che l'evento potesse aver avuto luogo senza una reazione delle autorità giudaiche e romane.[34] Questa osservazione induce alcuni storici a negare l'evento e altri a ricondurne la visibilità entro dimensioni più modeste, compatibili con la confusione creata a Gerusalemme dall'enorme afflusso di pellegrini per la celebrazione della Pasqua.

Evidentemente tutti gli aspetti simbolici e di adempimento di profezie veterotestamentarie presenti in questo testo possono indurre i non credenti (e non solo) a ritenere che questi importanti dettagli non siano storicamente fondati. Gli evangelisti, cioè, potrebbero aver elaborato un testo midrashico, cioè che arricchisce i fatti in modo da chiarirne simultaneamente l'interpretazione secondo i canoni della letteratura sacra ebraica.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dato che nell'equazione del cerchio c'è completa simmetria fra centro e punto mobile questi parametri sono identici a quelli del moto del Sole attorno alla Terra
  2. ^ Cfr. Almagesto, III,3 in cui il concetto è presentato per il moto solare e IV,5 dove l'equivalenza è affermata per il moto lunare. In XII,1 Tolomeo lascia intendere che l'equivalenza era nota già ad Apollonio di Perga. Anche Teone di Smirne afferma che l'equivalenza era nota almeno dal tempo di Ipparco.
  3. ^ frequenza di "malak" nel lessico dello Strong
  4. ^ Cfr. Es 23,20-21;33,2; Num 20,16; 1 Cr 21,15; 2 Cr 32,21.
  5. ^ K. van der Toorn, B. Becking, P. W. van der Horst, The Dictionary of Deities and Demons, Leiden–Boston–Köln, 1999, pp. 50-53.
  6. ^ Enciclopedia Europea, Garzanti 1980
  7. ^ Scienza naturale e scienza dello spirito, cap. II.
  8. ^ L'opera epistemologica principale di Steiner, la "Filosofia della Libertà", porta come sottotitolo: "Risultati d'osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali".
  9. ^ La teoria della ricapitolazione, che fu utilizzata dai nazisti a sostegno del razzismo, si fondava su somiglianze fra gli embrioni ottenute anche confrontando disegni inappropriati, sostituiti per errore banale o forse per dolo.
  10. ^ Matteo 21,1-11; Marco 11,1-11; Luca 19,28-44; Giovanni 12,12-19
  11. ^ The People's New Testament Commentary by M. Eugene Boring, Fred B. Craddock 2004 ISBN 0-664-22754-6 pages 256-258
  12. ^ The Bible Knowledge Background Commentary: Matthew-Luke, Volume 1 by Craig A. Evans 2003 ISBN 0-7814-3868-3 page 381-395
  13. ^ The Synoptics: Matthew, Mark, Luke by Ján Majerník, Joseph Ponessa, Laurie Watson Manhardt 2005 ISBN 1-931018-31-6 pages 133-134
  14. ^ The Bible knowledge background commentary: John's Gospel, Hebrews-Revelation by Craig A. Evans ISBN 0-7814-4228-1 pages 114-118
  15. ^ Matteo 21,9,15; Marco 11,9-10; Luca 19,38; Giovanni 12,13
  16. ^ Genesi 49,11, Zc 9,9
  17. ^ Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 20,169; La Guerra Giudaica 2,262).
  18. ^ Marco, Cittadella Editrice, Assisi 2007, p.593.
  19. ^ Sal 118,21-27, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
  20. ^ Il testo di Zaccaria nella traduzione greca, la più nota agli evangelisti, recita: ἐπιβεβηκὼς ἐπὶ ὑποζύγιον καὶ πῶλον νέον = essendo montato su una bestia da giogo e nuovo puledro. Il testo ebraico, invece, recita "un asino, un puledro figlio d'asina". Solo Matteo che probabilmente scrive per gli ebrei di Antiochia, segue il testo ebraico anziché quello della Septuaginta.
  21. ^ 1 Sam 6,7; Deut 21,3; Nm 19,2; Lc 23,53; Orazio Epod. 9,22; Ovidio Metam. 3,11.
  22. ^ ἐπιβεβηκὼς ἐπὶ ὄνον καὶ ἐπὶ πῶλον υἱὸν ὑποζυγίου = "essendo montato su un asino/a e su un puledro figlio di una bestia da giogo".
  23. ^ Per esempio il vecchio "Commentary on the Holy Bible" di Thomas Coke.
  24. ^ Ciò non si verifica in diversi manoscritti antichi fra cui il codice di Beza.
  25. ^ Rudolf Schnackenburg, The Gospel of Matthew, 2002.
  26. ^ Si sottintende la tesi della priorità marciana largamente accettata dagli studiosi moderni e basata sul fatto che Matteo riporta verbatim testi di Marco.
  27. ^ Gv 12,1.12.
  28. ^ Questa analogia fu evidenziata nel II secolo da Giustino nel suo "Dialogo con Trifone". [1]
  29. ^ Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, 2011, p. 140, ISBN 978-88-04-57132-2.
  30. ^ Teofilatto, PG 123,609.612; Beda, PL 92, 239-241; Erasmo, vol.7 242 e segg.
  31. ^ Calvino, J.,Auslegung der Heiligen Schrift. Evangelien-Harmonie, 2 voll., Neukirchen-Vluyn, 1966. II, pp.171-174, 1974
  32. ^ R. Eisler, Iesus basileus ou basileusas, 2 voll., Heidelberg 1929/30, pp.469-475.
  33. ^ Per esempio: Albert Schweitzer, Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, Tubingen 1951, pp.437-443; W. Pannenberg, Grundzüge der Christologie, Gütersloh, 1969, p.60.
  34. ^ Klostermann E., Das Markus-Evangelium, 1950, p.112.

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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Joachim Gnilka, Marco (Das Evangelium Nach Markus), traduzione di Gianni Poletti, Assisi, Cittadella Editrice, 2007 (1978), ISBN 978-88-308-0874-4.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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GOETHE[modifica | modifica wikitesto]

Tentativo di spiegazione della metamorfosi delle piante
Titolo originaleVersuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären
Un tulipano, dove stelo, foglia e petalo sono fusi insieme
AutoreJohann Wolfgang von Goethe
1ª ed. originale1790
Generesaggio
Lingua originaletedesco

La Metamorfosi delle Piante è un saggio scritto da Johann Wolfgang von Goethe nel 1790, col quale egli mostrò la natura omologa delle componenti di piante diverse o di fasi successive della vita di una stessa pianta (petali e foglie). Nella tradizione tedesca della "Naturphilosophie", l'omologia venne interpretata da Goethe come una manifestazione dell'unità della natura. Seguendo i principi della filosofia idealistica, quindi, i componenti omologhi si svilupperebbero a partire da un'idea archetipa originaria. Il successivo sviluppo della biologia ha chiarito che questa "idea archetipa" corrisponde più semplicemente a una omologa struttura genetica.

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

La portata scientifica dell'opera deve essere inquadrata nella storia dello sviluppo del concetto di "omologia" in biologia. Benché alcuni concetti risalgano ad Aristotele, i primi studi di anatomia comparata furono sviluppati da Pierre Belon per gli uccelli nel 1555. Ai primi dell'Ottocento diversi studiosi in Germania e in Francia portarono avanti studi di morfologia comparata, ma il concetto di omologia (e il vocabolo stesso applicato alla biologia) culminarono nel 1843 con gli studi di Richard Owen.

Secondo Goethe l'infinita varietà delle piante diffuse sulla terra non sarebbe apparsa in modo disorganico, ma deriverebbe da un'unica «pianta-tipo» originaria, che Goethe contrapponeva alla rigida suddivisione in generi e specie imposta dai botanici del suo tempo.[1]

La morfologia di Goethe si basa in particolare su due concetti fondamentali: il tipo e la metamorfosi.

Tipo[modifica | modifica wikitesto]

Goethe rileva che le diverse parti di cui è composta una pianta non stanno tra di loro in un semplice rapporto di causalità meccanica: il modo in cui ad esempio si sviluppano le foglie o i petali non è determinato dall'aspetto o dalla conformazione delle radici, ma sia gli uni che le altre sottostanno ad un complesso di leggi formative, il quale non è qualcosa di tangibile o percepibile agli occhi. Si tratta piuttosto di un quid immateriale, afferrabile soltanto col pensiero, ma che si rende manifesto nella forma, nei colori, o nella grandezza dei vari organi. Questo quid rappresenta appunto il prototipo della pianta, le cui infinite e diverse estrinsecazioni tangibili consistono in un adattamento alle differenti condizioni ambientali in cui esso si imbatte di volta in volta.

Tutti gli organi di ogni pianta sono costruiti secondo il medesimo principio formativo, al punto che ogni singola parte contiene in potenza l'intero; le diverse parti, in tal modo, sono in relazione tra di loro, e ognuna con il tutto. Goethe considera in particolare la foglia come l'organo principale in cui consiste la pianta, la quale deriva dalla capacità di metamorfosi di quella: foglie superiori ed inferiori, ma anche petali, stami e pistilli, non sono che foglie metamorfosate, cioè trasformazioni di un medesimo organo.

Metamorfosi[modifica | modifica wikitesto]

Nei diversi stadi evolutivi in cui si esprime la metamorfosi della pianta-tipo prevalgono alternativamente due forze: una di concentrazione in un'entità ristretta, e una di espansione e dispiegamento.

Nel seme si ha la massima contrazione della pianta in un punto, mentre nelle foglie si manifesta la prima espansione della sua forza formativa. Nel calice del fiore questa torna a restringersi, per poi dispegarsi nuovamente nella corolla. Gli stami e il pistillo rappresentano una forma ulteriore di concentrazione, che si espande successivamente nel frutto.

L'alternarsi della medesima forza vitale della pianta, che Goethe chiama entelechia, si ripete dunque attraverso tre fasi:

Dal frutto essa torna infine a celarsi nel seme.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Goethe, Metamorfosi delle piante, ne Il tempo e la metamorfosi, a cura di S. Zecchi, pag. 86, Guanda, Parma 1983.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Traduzioni italiane[modifica | modifica wikitesto]

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PITAGORA[modifica | modifica wikitesto]

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La figura "storica" di Pitagora[modifica | modifica wikitesto]
(GRC)

«Φιλοσοφίαν δὲ πρῶτος ὠνόμασε Πυθαγόρας καὶ ἑαυτὸν φιλόσοφον, ἐν Σικυῶνι διαλεγόμενος Λέοντι τῷ Σικυωνίων τυράννῳ ἢ Φλιασίων, καθά φησιν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἐν τῇ Περὶ τῆς ἄπνου• μηδένα γὰρ εἶναι σοφὸν [ἄνθρωπον] ἀλλ' ἢ θεόν.»

(IT)

«Il primo che fece uso del termine "filosofia" e che chiamò se stesso "filosofo" è stato Pitagora, discutendo a Sicione con Leonte, tiranno di Sicione o di Fliunte, secondo quanto afferma Eraclide Pontico nell'opera Sull'inanimata: nessuno infatti è sapiente tranne Dio.»

La figura del "saggio" di Samo, Pitagora, è una delle più controverse della storia del pensiero, non solo religioso, della Grecia antica. La ragione di questa problematicità risiede sostanzialmente nella scarsa "decifrabilità" quando non "attendibilità" delle testimonianze che lo riguardano[1][2]. Nonostante ciò lo studioso svizzero Christoph Riedweg, filologo classico e specialista di questa figura, ha tentato, in Pythagoras: Leben–Lehre–Nachwirkung (Monaco 2002)[3], di ricostruirne i lineamenti storici.

  • La tradizione che vuole gli insegnamenti di Pitagora esclusivamente orali risale al Neopitagorismo e quindi non possiede evidenze antiche[4]; ma, anche nel caso di una esclusiva tradizione orale, possediamo gli akousmata (ἄκουσμα, "cose ascoltate; anche symbola, "parole di riconoscimento") che contengono gli insegnamenti tradizionali pitagorici che possono risalire al "saggio" di Samo.
  • Pitagora, vissuto nel VI secolo a.C., fu originario di Samo, un'isola ionica in Asia minore, ovvero in quella regione del mondo greco ove per prima apparve la riflessione filosofica sulle origini del cosmo, e che darà i natali anche a Erodoto; Pitagora fu anche contemporaneo di Ecateo, discepolo, secondo la tradizione e come Pitagora, di Anassimandro e autore di opere di carattere etnografico e storico culturale.
  • Sono noti i rapporti tra le colonie ioniche in Asia minore e la Magna Grecia, come è abbastanza ricostruibile il trasferimento di Pitagora da Samo a Crotone all'incirca verso il 530 a.C.; nello stesso periodo altri abitanti di Samo fonderanno Dicearchia (oggi Pozzuoli) vicino Napoli.
  • La più antica testimonianza su Pitagora risale a un detto canzonatorio di Senofane (VI secolo a.C.; Pitagora si sarebbe lamentato con un tale perché picchiava un cane dove egli aveva riconosciuto l'anima di un suo amico[5]). Nel IV secolo lo scettico Timone di Fliunte accusa Pitagora di essere stato un ciarlatano; altrettanto Cratino, poeta comico ateniese, accusa i pitagorici di usare la retorica per ingannare i loro uditori. Ciò non dovrebbe stupire in quanto la tradizione di Senofane vuole costui assertore che sugli dèi nulla si può sostenere se non pure congetture.
  • Anche Eraclito (VI-V sec. a.C.) ha sostenuto che Pitagora, figlio di Menarco, fosse un erudito (πολυμᾰθία), ma di "artificiosa astuzia" (κᾰκοτεχνία)[6] e incapace di comprendere ciò che caratterizzava la sua erudizione[7].
  • Sembra accertato il rapporto tra Pitagora e le conoscenze misteriche orfico-dionisiache, rapporto testimoniato da numerose coincidenze tra le regole pitagoriche e il bios proprio dei misteri.
  • Ione di Chio (V sec. a.C.) testimonierebbe la vicinanza di Pitagora agli orfici [8], e collegherebbe il saggio di Samo a Ferecide. successivamente indicato come suo allievo.
  • Empedocle (V sec. a.C.), autore influenzato dall'Orfismo[9], non cita espressamente Pitagora, ma c'è da ritenere che nel frammento di cui al D-K 31 B 129, si riferisca precisamente a lui:
(GRC)

«ἦν δέ τις ἐν κείνοισιν ἀνὴρ περιώσια εἰδώς
ὃς δὴ μήκιστον πραπίδων ἐκτήσατο πλοῦτον,
παντοίων τε μάλιστα σοφῶν 〈τ'〉 ἐπιήρανος ἔργων
ὁππότε γὰρ πάσηισιν ὀρέξαιτο πραπίδεσσιν,
ῥεῖ' ὅ γε τῶν ὄντων πάντων λεύσσεσκεν ἕκαστον
καί τε δέκ' ἀνθρώπων καί τ' εἴκοσιν αἰώνεσσιν»

(IT)

«Vi era tra quelli un umano di sapienza sovrumana
che acquisì immensa ricchezza di senno,
eccellente in opere sagge di ogni genere:
quando tendeva tutte le forze dei suoi precordi
vedeva agevolemente ciascuna delle cose che sono
anche per dieci o venti generazioni di uomini.»

il che unitamente al vegetarismo, al rifiuto di cibarsi di fave e al presentarsi come uomo "divino" rende il filosofo agrigentino se non un seguace del saggio di Samo quantomeno ad esso vicino.
  • Erodoto (V secolo a.C.), si richiama esplicitamente a Pitagora in un passo celebre, quando, riferendosi al costume egiziano di indossare abiti di lana su gonne di lino, proibendo però l'ingresso della lana nei santuari o nelle sepolture, ne evidenzia l'influenza anche pitagorica:
(GRC)

«ὁμολογέουσι δὲ ταῦτα τοῖσι Ὀρφικοῖσι καλεομένοισι καὶ Βακχικοῖσι, ἐοῦσι δὲ Αἰγυπτίοισι καὶ Πυθαγορείοισι: οὐδὲ γὰρ τούτων τῶν ὀργίων μετέχοντα ὅσιον ἐστὶ ἐν εἰρινέοισι εἵμασι θαφθῆναι. ἔστι δὲ περὶ αὐτῶν ἱρὸς λόγος λεγόμενος.»

(IT)

«Coincide quest'uso con le prescrizioni dette orfiche e bacchiche -ma in realtà egiziane e importate da Pitagora-: anche agli iniziati a questi misteri è interdetto farsi seppellire in vesti di lana. E c'è a questo proposito un racconto sacro.»

Al contempo Erodoto cita la dottrina della μετενσωμᾰτωσις (metensōmátōsis) ovvero il trasferimento della psiché da un corpo a un altro, attribuendola agli Egizi, e diffusa da innominati Greci che la presentarono però come propria. È evidente in questo passo il riferimento alle dottrine orfiche, pitagoriche e alla "filosofia" di Empedocle. Tuttavia il riferimento agli Egizi è errato, allo stato delle conoscenze attuali si può eslcudere che tale cultura fosse in possesso di nozioni inerenti o equivalenti alla metensōmátōsis greca[10].
(GRC)

«πρῶτοι δὲ καὶ τόνδε τὸν λόγον Αἰγύπτιοι εἰσὶ οἱ εἰπόντες, ὡς ἀνθρώπου ψυχὴ ἀθάνατος ἐστί, τοῦ σώματος δὲ καταφθίνοντος ἐς ἄλλο ζῷον αἰεὶ γινόμενον ἐσδύεται, ἐπεὰν δὲ πάντα περιέλθῃ τὰ χερσαῖα καὶ τὰ θαλάσσια καὶ τὰ πετεινά, αὖτις ἐς ἀνθρώπου σῶμα γινόμενον ἐσδύνει: τὴν περιήλυσιν δὲ αὐτῇ γίνεσθαι ἐν τρισχιλίοισι ἔτεσι. τούτῳ τῷ λόγῳ εἰσὶ οἳ Ἑλλήνων ἐχρήσαντο, οἳ μὲν πρότερον οἳ δὲ ὕστερον, ὡς ἰδίῳ ἑωυτῶν ἐόντι: τῶν ἐγὼ εἰδὼς τὰ οὐνόματα οὐ γράφω.»

(IT)

«Dicono gli Egiziani che sovrani degl'Inferi sono Demetra e Dioniso. Gli Egiziani sono anche stati i primi a enunciare la dottrina per cui l'anima dell'uomo sarebbe immortale; entrerebbe quando il corpo perisce in un altro animale di volta in volta nascente, e, fatto il giro di tutti gli animali terrestri, marini ed alati, rientrerebbe in un uomo che nasce, compiendo il suo giro in tremila anni. Chi prima chi dopo, alcuni Elleni hanno professato questa dottrina, come fosse loro propria,. Io ne conosco il nome ma non lo scrivo.»

Sempre Erodoto[11] riferisce dei costumi dei Geti, un popolo tracio, che adorando il dio di nome Σάλμοξις (Sálmoxis) crede nell'immortalità, in quanto chi muore andrebbe a vivere con lui. Erodoto prosegue il racconto riferendo di alcune dicerie dei Greci dell'Ellesponto e del Ponto, secondo i quali tale Sálmoxis altri non sarebbe che un ex schiavo tracio di Pitagora che una volta reso libero e tornato alle sue terre, lì avrebbe trasferito usi e credenze greche, per poi costruirsi una stanza sotterranea, dichiarare di essere morto e ripresentarsi dopo tre anni come un redivivo. Ma Erodoto precisa anche di non credere a tale racconto e che probabilmente tale Sálmoxis è vissuto ben prima del saggio di Samo. Tuttavia è da evidenziare come Erodoto tratti in questo caso di una κατάβασις (discesa negli Inferi) come di una ciarlataneria; d'altronde Sofocle (Elettra, 62) cita il fatto di alcuni "saggi" che scompaiono, e che voci vane davano per morti, per poi riapparire ottenendo in tal modo onori, qui lo scoliaste (scholia ad 62) lo riferisce espressamente a Pitagora.
  • Con Democrito (V secolo a.C.), che titola una delle sue opere Pitagora (opera non giunta a noi), e che un contemporaneo, Glauco di Reggio, indica come discepolo di un pitagorico, terminiamo le testimonianze antiche sulla figura del "saggio" di Samo; agli inizi IV secolo le testimonianze su Pitagora si fanno viepiù positive (cfr. ad esempio Antistene, Aristippo e Androne di Efeso) fino alla progressiva "monopolizzazione" della figura all'interno dell'Accademia platonica.
  • Per Platone[12], Pitagora è un esempio di maestro che insegna uno stile di vita; mentre Isocrate nella sua orazione su Busiride (XI) sostiene anche che «Pitagora di Samo, andato in Egitto e fattosi loro discepolo, portò in Grecia per primo lo studio di ogni genere di filosofia», ma Isocrate continua sostenendo che così Pitagora ottenne l'ammirazione dei suoi contemporanei.

In sintesi Riedweg evedenzia[13], come anche Bruno Centrone[14], partendo proprio dalle testimonianze più antiche, come la figura di Pitagora abbia esercitato una forte influenza polarizzatrice: da una parte i suoi estimatori (ad esempio Empedocle) dall'altra i suoi critici (ad esempio Senofane o Eraclito). La polarizzazione di tali giudizi ci suggerisce che senza dubbio Pitagora appartiene alla figura del "carismatico" nell'accezione di Max Weber, suscitando ammirazione per le sue facoltà "fuori dall'ordinario" da parte di chi si considerava suo seguace, generando invece sentimenti del tutto opposti da parte di chi non era seguace delle sue dottrine. Viste le testimonianze, è probabile che l'erudito Pitagora, giunto a Crotone da Samo intorno al 530 a.C., abbia impressionate le elité locali e, guadagnando presto la loro fiducia, le abbia infine spinte ad adottare costumi più sobri e a cercare l'armonia all'interno della propria comunità. Tuttavia il "saggio" di Samo entrò presto in conflitto con alcuni importanti notabili locali, condizione che lo indusse, forse verso la fine del secolo, a trasferirsi a Metaponto dove morì.

Le dottrine proprie di Pitagora e il bíos pythagorikós (βίος Πῡθᾰγορικός)[modifica | modifica wikitesto]
Rappresentazione del famoso "teorema" detto di Pitagora. Tale "teorema" è inserito alla proposizione 47 del I libro degli Στοιχεῖα (Elementi) di Euclide (IV-III sec. a.C.), l'attribuzione a Pitagora di detto "teorema" la si deve tuttavia esclusivamente al "commento" che Proclo (V secolo d.C.) compose per questa opera; a sua volta tale attribuzione riposerebbe sulla testimonianza di un oscuro Apollodoro il quale avrebbe sostenuto che Pitagora, dopo la scoperta del "teorema" avrebbe sacrificato un bue. Anche se è probabile che il "saggio" di Samo si sia interessato ad argomenti matematici e di filosofia della natura occorre ricordare Carl Huffman quando sostiene che «fino a Platone e Aristotele inclusi, non esiste ombra di prova diretta che permetta di qualificare Pitagora come filosofo della natura o come matematico».[15].

Intorno alla figura di Pitagora si è presto costituita una scuola che seguiva le indicazioni di vita proprie del maestro. A tal proposito si possono ricostruire alcuni fondamentali insegnamenti:

  • La dottrina della sopravvivenza della psiché alla morte e il suo trasferimento in altro corpo fisico [16] espressa con i termini di "metempsicosi" o, meglio, "metensomatosi", è attribuibile anche a Pitagora che probabilmente si rifaceva a dottrine orfiche, o anche a Ferecide[17][18], fatto dimostrato già dalla prima testimonianza su di lui, quella di Senofane. ->(Porfirio, VdP, XIX). Altrettanto riporta Ione di Chio riferendolo a Ferecide, dove tratta degli insegnamenti di Pitagora su un al di là felice se si conduce una vita moralmente adeguata[19]. In tal senso è evidente la connessione con la mistica eleusina e orfica, laddove, tuttavia e nel caso di Pitagora, la condotta morale è essenziale per ottenere quel genere di risultato dopo la morte, le iniziazioni non sono sufficienti.
  • La condotta di vita pitagorica contiene numerose regole, molte delle quali risultano nelle loro motivazioni a noi incomprensibili, già in antichità si era tentato di fornirne una spiegazione [20]. Di fatto, sappiamo solamente che la vita di Pitagora e dei pitagorici era contrassegnata da numerose regole di condotta nei più disparati campi per lo più centrate sulla condizione di "purezza", tra queste:
    • libare agli dèi (quindi versare il contenuto da una coppa) dal lato dei manici (G.VP 84), questo perché non si può bere dalla stessa porzione dell'orlo delle divinità;
    • non indossare un anello che riporti l'immagine di un dio, questo perché tale immagine sacra deve essere custodita nella propria abitazione;
    • non raccogliere ciò che cade dalla mensa, perché è destinato a un morto o aun eroe;
    • entrare nel tempio a piedi nudi e a piedi nudi sacrificare agli dèi (l'altare dei sacrifici e posto di regola fuori dal tempio);
    • all'interno del santuario incedere verso i propri compiti religiosi senza deviare verso quelli "mondani";
    • non percorrere strade eccessivamente frequentate.

A queste regole verranno affiancate, in epoca tarda, spiegazioni simboliche. A parte le regole di "purezza", fondamentali per il bíos pythagorikós risultano le regole alimentari:

  • la più nota consiste nella proibizione di cibarsi di essere animati (ἔμψύχον ἀπέχου), nel contempo tuttavia vi sono delle prescrizioni che consentono sia i sacrifici sia la consumazione di carne (solo alcuni tagli e solo di alcuni animali) il che fa sostenere a Riedweg[21] che«il vegetarismo più rigoroso rimase probabilmente limitato alla cerchia più interna della comunità pitagorica, in cui non erano più in vigore i "criteri di socialità" normale, tra l'altro anche a motivo della comunione dei beni.».
  • altra regola fondamentale per i pitagorici riguardava l'astensione del consumo delle fave:

«Dice Aristotele nel libro Sui Pitagorici che Pitagora ordinava: "astenersi dalle fave", o perché sono simili a pudende, o perché assomigliano alle porte dell'Ade; <***> perché è la sola pianta senza articolazioni; o perché nociva; o perché è simile alla natura dell'universo; o perché ha significato oligarchico; e infatti con le fave designano i magistrati.»

Nel bíos pythagorikós compare per la prima volta anche il divieto di avere relazioni extraconiugali[22].

Ma l'importanza fondamentale della figura di Pitagora per la storia religiosa e filosofica dell'umanità è legata a queste regole proprie della vita, del bíos pythagorikós:

«Come ha sottolineato Burkert, la vera importanza di Pitagora è dovuta al fatto che egli fu il primo a stabilire un insieme di regole applicabili non solo a certe occasioni particolari, stabilite dal rituale religioso, ma al comportamento umano in tutto il complesso della vita quotidiana; egli indicò così come vivere ogni giorno della nostra vita su questa terra mostrandone al contempo i legami con la vita dell'aldilà. Sotto questo aspetto Pitagora fu un grande maestro di morale e un vero precursore di Socrate e di Cristo, per quanto strane possano apparire a una sensibilità moderna le prescrizioni di certi akousmata. Bisognerà attendere "quelli che son detti Pitagorici" del V secolo, e in particolare Filolao di Crotone, per vedere il pitagorismo apportare importanti contributi alla filosofia della natura.»

La dottrina pitagorica dei "numeri" (ἀριθμός)[modifica | modifica wikitesto]
(GRC)

«τί τὸ σοφώτατον; ἀριθμός»

(IT)

«Qual è la cosa più sapiente? Il numero»

Nella dottrina pitagorica, la base della realtà e di ogni cosa in essa contenuta è composta dai numeri. Così, non solo gli elementi corporei sono composti da numeri, ma anche il cosmo e i suoi astri, gli dèi, i concetti, la musica con la sua harmonia.

(GRC)

«ἐν δὲ τούτοις καὶ πρὸ τούτων οἱ καλούμενοι Πυθαγόρειοι τῶν μαθημάτων ἁψάμενοι πρῶτοι ταῦτά τε προήγαγον, καὶ [25] ἐντραφέντες ἐν αὐτοῖς τὰς τούτων ἀρχὰς τῶν ὄντων ἀρχὰς ᾠήθησαν εἶναι πάντων. ἐπεὶ δὲ τούτων οἱ ἀριθμοὶ φύσει πρῶτοι, ἐν δὲ τούτοις ἐδόκουν θεωρεῖν ὁμοιώματα πολλὰ τοῖς οὖσι καὶ γιγνομένοις, μᾶλλον ἢ ἐν πυρὶ καὶ γῇ καὶ ὕδατι, ὅτι τὸ μὲν τοιονδὶ τῶν ἀριθμῶν πάθος δικαιοσύνη [30] τὸ δὲ τοιονδὶ ψυχή τε καὶ νοῦς ἕτερον δὲ καιρὸς καὶ τῶν ἄλλων ὡς εἰπεῖν ἕκαστον ὁμοίως, ἔτι δὲ τῶν ἁρμονιῶν ἐν ἀριθμοῖς ὁρῶντες τὰ πάθη καὶ τοὺς λόγους, ἐπεὶ δὴ τὰ μὲν ἄλλα τοῖς ἀριθμοῖς ἐφαίνοντο τὴν φύσιν ἀφωμοιῶσθαι πᾶσαν, οἱ δ᾽ ἀριθμοὶ πάσης τῆς φύσεως πρῶτοι, τὰ τῶν ἀριθμῶν στοιχεῖα τῶν ὄντων στοιχεῖα πάντων ὑπέλαβον εἶναι, καὶ τὸν ὅλον οὐρανὸν ἁρμονίαν εἶναι καὶ ἀριθμόν: καὶ ὅσα εἶχον ὁμολογούμενα ἔν τε τοῖς ἀριθμοῖς καὶ ταῖς ἁρμονίαις πρὸς [5] τὰ τοῦ οὐρανοῦ πάθη καὶ μέρη καὶ πρὸς τὴν ὅλην διακόσμησιν, ταῦτα συνάγοντες ἐφήρμοττον. κἂν εἴ τί που διέλειπε, προσεγλίχοντο τοῦ συνειρομένην πᾶσαν αὐτοῖς εἶναι τὴν πραγματείαν»

(IT)

«Nella stessa epoca di costoro, anzi ancora prima di loro, i cosiddetti Pitagorici si dedicarono per primi alle scienze matematiche, facendole progredire; e poiché trovarono in esse il proprio nutrimento, furono del parere che i principi di queste si identificassero con i principi di tutte le cose. I numeri occupano naturalmente il primo posto tra tali principi, e i Pitagorici credevano di scorgere in quelli, più che nel fuoco o nella terra o nell'acqua, un gran numero di somiglianza con le cose che esistono e sono generate, e asserivano che una determinata proprietà dei numeri si identifica con la giustizia, un'altra con l'anima e con l'intelletto, un'altra ancora col tempo critico, e che lo stesso vale, presso a poco, per ciascuna delle altre proprietà numeriche, e individuavano, inoltre, nei numeri le proprietà e i rapporti delle armonie musicali e, insomma, pareva loro evidente che tutte le altre cose modellassero sui numeri la loro intera natura e che i numeri fossero l'essenza primordiale di tutto l'universo fisico; e per tutte queste ragioni essi concepirono gli elementi dei numeri come elementi di tutta la realtà, e l'intero cielo come armonia e numero; e quante concordanza con le proprietà e le parti del cielo e con l'intero ordine universale essi riscontravano nei numeri e nelle armonie, le raccoglievano e le adattavano al loro sistema.»

Così, e ad esempio, il numero 7 è il "momento opportuno" (καιρός) in quanto corrisponde alla pubertà (14= 2x 7) o alla crescita dei denti a sette mesi dalla nascita; come nel cosmo, il Sole, astro della prosperità, occupa il settimo posto; anche la dea Atena è il numero 7 perché come questo numero non genera e non è generato dai primi dieci numeri (per addizione o moltiplicazione di sé stesso), la dea nata dalla testa di Zeus è priva di madre. La "giustizia", che consiste nel retribuire con una punizione proporzionata il danno inferto, corrisponde al numero 4 (2 x 2) o al numero 9 (3 x 3). Il matrimonio corrisponde al numero 5 in quanto unione tra il maschio (dispari=3) e la femmina (pari=2). Il numero 1 è il noûs (νοῦς), l'intelletto, in quanto "essenza", "uguaglianza", e unità (μονάς, monade); mentre il due è indicato come "opinione" o "movimento". L'"intero" è invece il 3 perché comprende "inizio", "medio" e "fine". Dieci è il numero "perfetto" perché contiene tutta la natura dei numeri.

Particolare riguardo i pitagorici riservavano per la serie dei primi quattro numeri, indicati con il termine di τετρακτύς (tetraktýs, tetrade) su cui giuravano e che consideravano la chiave per comprendere l'intero cosmo.

La comunità pitagorica e il pitagorismo dopo Pitagora[modifica | modifica wikitesto]

Se scansiamo il significato peggiorativo del termine "setta" (termine derivato dal latino sěcta, lett. "linea di comportamento", dal participio passato, *sectus, del verbo sěqui, "seguire"), limitandoci a quello proprio della sociologia della religione, dove tale lemma indica una a) "minoranza religiosa", b) fondata, di regola, da una personalità carismatica, c) organizzata in modo riconoscibile e dotata di una forte cooperazione economica interna, d) ai cui membri si promette la "salvezza", i quali sono ritenuti gli unici a comprendere le problematiche proprie dell'esistenza umana, e) membri che poi si distinguono in qualche forma di vita regolata (alimentazione, vestiario, etc.) dal resto della comunità umana e che si considerano, per tutte queste ragioni, in ua condizione "migliore" rispetto agli altri uomini, il termine setta è certamente applicabile alla scuola pitagorica [30].

La setta pitagorica si distingueva in due rami più tardi indicati come "pitagorici" e "pitagoristi". I primi rappresentavano il nucleo più vicino all'insegnamento del maestro Pitagora, mentre i secondi consistevano in coloro che si limitavano a seguirne gli insegnamenti essenziali: è probabile che la maggioranza degli abitanti di Crotone del VI secolo a.C. abbia appartenuto a questa seconda categoria.

L'ingresso nella "setta" pitagorica era rigidamente regolato, innanzitutto su una preselezione di tipo fisiognomico, rigardante sia l'aspetto che il portamento, poi

«Coloro che avevano superato tale esame, egli lasciava che per tre anni fossero lasciati in nessun conto, allo scopo di valutare quale fermezza essi avessero e quanto amore sincero del sapere e di vedere se fossero sufficientemente premuniti contro la gloria al punto da restare indifferenti agli onori. A questo punto imponeva agli aspiranti cinque anni di silenzio, per mettere alla prova la loro padronanza di sé. Perché fra tutte le prove di autocontrollo controllo, tenere e freno la lingua era la più dura, com'è dimostrato dai fondatori dei riti misterici. In questo periodo i beni di ciascuno - le sostanze personali, vale a dire - venivano messi in comune, e affidati ai sodali a ciò preposti, che prendevano il nome di “politici” [politikoi] ed erano in parte "amministratori" (oikonomikoi) e in parte "legislatori" (nomothetikoi). Quanto agli aspiranti, se sulla base della condotta di vita e in generale della buona qualità della loro indole si mostravano degni di essere messi a parte delle dottrine, dopo il quinquennio di silenzio diventavano per sempre "esoterici" (esoterikoi) e avevano la facoltà di ascoltare Pitagora all’interno della tenda. Prima, invece, dovevano limitarsi a fruire del suo insegnamento ascoltando da fuori la tenda, senza avere alcuna possibilità di vederlo. Così davano prova, in un ampio arco di tempo, della loro indole. Se poi venivano rifiutati, recuperavano, raddoppiati, i loro averi, mentre gli "uditori in comune" (homakooi), come venivano chiamati tutti i seguaci di Pitagora, innalzavano loro un monumento funebre, quasi fossero defunti. E se poi i discepoli incontravano i respinti, li trattavano come se non fossero più loro e proclamavano defunti quelli che essi avevano tentato di plasmare [...]»

Tale selettività unito a un sentimento manifesto della propria superiorità e al fatto che i pitagorici detenessoro la guida politica di molte città dell'Italia meridionale, alla lunga non poteva che generare conflitti con la circostante comunità cittadina. Una prima rivolta contro i pitagorici fu guidata da un aristocratico crotonese, Cilone, escluso per ragioni fisiognomiche dalla cerchia stretta degli "iniziati". Tale ribellione avrebbe costretto Pitagora e i pitagorici ad abbandonare Crotone per Metaponto. Ristabilito il controllo "pitagorico" sulla città, i seguaci di Cilone tornarono all'attacco incendiando l'abitazione di uno di questi in cui si erano riuniti. Nell'incendio sopravvissero solo due pitagorici, Archippo e Liside, che riuscirono a fuggire. Le fonti non sono tuttavia molto chiare, ma sembra emergere che intorno alla prima metà del V secolo a.C. presso alcune colonie della Magna Grecia si sia scatenato un vero e proprio pogrom contro le comunità pitagoriche che per questa ragione si dispersero e, infine, scomparvero:

«Si radunarono a Reggio e lì vissero organizzati in comunità. Ma col passare del tempo, poiché l'ordinamento politico entrava sempre più profondamente in crisi... I pitagorici più stimati furono Fantone, Echecrate, Polimnasto e Diocle, nativi di Fliunte, e Senofilo, calcidese di Tracia. Essi preservarono i costumi di vita e gli insegnamenti originari, per quanto la scuola venisse meno via via; infine scomparvero non ingloriosamente.»

Un ulteriore elemento di conflitto che emerge dalle fonti[31], questa volta interno alla comunità pitagorica, è quello che oppose i cosiddetti "acusmatici" (da "insegnamento orale" ἄκουσμα) dai "matematici" (da "scienza" μάθημα). I secondi consideravano i primi come anch'essi "pitagorici" mentre i primi non riconoscevano tale statuto ai secondi, considerandoli alla stregua di "apostati"[32]. I "matematici" anche se considerati negativamente dagli acusmatici consideravano loro stessi superiori in quanto se gli "acusmatici" rivolgevano la loro attenzione agli aspetti prescrittivi e cultuali della dottrina di Pitagora, finendo per condurre una vita pienamente ascetica, mentre i "matematici" erano invece intenzionati a penetrarne le profondità senza soffermarsi sulle "esteriorità". I pogrom antipitagorici del V secolo marcheranno ulteriormente la distanza tra i due gruppi e, nel IV secolo, tale distinzione risulta decisamente sottolineata. Tra i "matematici" si possono annoverare figure come quella di Archita di Taranto, Filolao ed Eurito, mentre tra i loro oppositori si collocano Diodoro di Aspendo e Licone[33].


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ad esempio nella raccolta Diels-Kranz non vengono previste per Pitagora le sezioni B e C.
  2. ^ Le Vita di Pitagora riferibili rispettivamente a Diogene Laerzio, Porfirio e Giamblico sono tutte del III secolo d.C. anche se attingevano a fonti del IV secolo a.C., oggi perdute, come due libri di Aristotele dedicati ai pitagorici e alle opere dei suoi allievi, Dicearco e Aristosseno, sempre dedicate al pitagorismo, oltre che alle opere del platonico Eraclide Pontico e di Timeo di Tauromenio.
  3. ^ In italiano: Pitagora. Vita, dottrina e influenza, presentazione, traduzione e apparati a cura di Maria Luisa Gatti, Milano, Vita e Pensiero, 2007. L'opera è significativamente dedicata a Walter Burkert.
  4. ^ Diversamente, altri autori come Carl Huffman ritengono che «Pitagora non scrisse nulla.» (Carl Huffman, Pitagorismo in Il sapere greco- dizionario critico, vol. II p. 475.
  5. ^ Cfr. Diogene Laerzio, Vite... VIII, 36; D-K 21 B 7
  6. ^ D-K 22 B 129.
  7. ^ D-K 22 B 40.
  8. ^ Avrebbe attribuito agli orfici poesie composte da lui, cfr. D-K 36 B 2; su eventuali scritti di Pitagora, anche Eraclito in D-K 22 B 129
  9. ^ Cfr. C. Riedweg, Orphisches bei Empedocles, Antike und Abendland 41 (1995), p. 34-59.
  10. ^ Cfr. Christoph Riedweg. Pitagora. ..., p.114
  11. ^ Erodoto, IV, 94
  12. ^ Repubblica 600 A B.
  13. ^ Ch. Riedweg Pitagora. ..., p. 119.
  14. ^

    «Surely he was an extraordinary personality and a charismatic chief, venerated by his followers and desecrated by his opponents.»

  15. ^ Carl Huffman, Pitagorismo in Il sapere greco- dizionario critico, vol. II p. 483
  16. ^ In genere tale dottrina viene indicata con il termine "metempsicosi", resa del termine greco μετεμψύχωσις (da μετά o ἐμψύχωσις "rianimazione del corpo"), che tuttavia è tardo, risalente al primo secolo della nostra èra (cfr. Alessandro d'Afrodisia, L'anima, XXVII, 18; Porfirio, Sull'astinenza dalle carni degli animali, IV, 16; Proclo Diadoco, Commento alla Repubblica di Platone, II, 340); Olimpiodoro (in Commento al Fedone, LXXXI, 2) ritiene invece più corretto il termine μετενσωμᾰτωσις ("metensomatosi"), peraltro presente in Plotino (Enneadi I, 1, 12; II, 9, 6; IV, 3, 9); il termine più diffuso oggi in lingua, "reincarnazione" (da re incarnazione), è invece certamente recente essendo attestato al XIX secolo; mentre l'espressione "trasmigrazione dell'anima" è un adattamento dal latino tardo trasmigrātĭo-ōnis derivato da trasmigrāre quindi da migrāre
  17. ^ D-K (Ferecide) 7, A,2: «καὶ πρῶτον τὸν περὶ τῆς μετεμψυχώσεως λόγον εἰσηγήσασθαι»
  18. ^ La più antica testimonianza della dottrina della metemsomatosi/metempiscosi è nella II Olimpica (56-80) di Pindaro.
  19. ^ D-K (Ione di Chio) 36, B, 4 «ὣς ὁ μὲν ἠνορέηι τε κεκασμένος ἠδὲ καὶ αἰδοι καὶ φθίμενος ψυχῆι τερπνὸν ἔχει βίοτον, εἴπερ Πυθαγόρης ἐτύμως ὁ σοφὸς περὶ πάντων ἀνθρώπων γνώμας εἶδε καὶ ἐξέμαθεν.»
  20. ^ Ad esempio Anassimandro il giovane, contemporaneo di Aristotele, nel suo Συμβόλων Πυθαγορείων έζήγεσις.
  21. ^ Riedweg, Op.cit. p.130
  22. ^ Cfr. Giamblico, Vita di Pitagora: al 50 per quanto attiene le condotte degli uomini ("lasciarono andare le concubine"); mentre al 55 per quanto attiene le indicazioni alle donne. Anche Walter Burkert, La religione greca.
  23. ^ Cfr. ad esempio Anassimandro.
  24. ^ Cfr. De caelo.
  25. ^ Cfr. Aristotele, De caelo 293 b.
  26. ^ Filolao lo indicava col termine ἑστία, ovvero quello che sul piano del "microcosmo" era il centro della casa.
  27. ^ Da notare che Plutarco (Platonicae quaestiones 8, su testimonianza di Teofrasto, e Vita Numae 11) riporta che Platone da vecchio si sia ricreduto sul geocentrimo riportato nel Timeo, cfr. anche Leggi 822 A C) il tutto a dimostrare come la teoria del Fuoco al centro dell'universo poteva aver avuto accoglimento nell'Accademia platonica.
  28. ^ Cfr. Aristotele, De caelo 293 b.
  29. ^ Cfr. Pitagorici antichi - testimonianza e frammenti a cura di Maria Timpanaro Cardini p. 3 77.
  30. ^ Cristoph Riedweg, Pitagora ... pp. 166 e sgg.
  31. ^ Giamblico Vita di Pitagora, 81.
  32. ^ Di discendere non da Pitagora ma da Ippaso, ovvero di colui (cfr. Giamblico, Vita di Pitagora, 247) che fu messo a morte per aver svelato la costruzione del "dodecaedro".
  33. ^ Cristoph Riedweg, Pitagora ... pp. 176.