Utente:Ida.pucci/sandbox

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Vanni Pucci pseudonimo di Giovanni Pucci (Palermo, 18 agosto 1877Palermo, 9 settembre 1964) è stato uno scrittore, poeta e illustratore italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La Famiglia

Vanni Pucci nasce a Palermo da una famiglia di nobili origini fiorentine, i Pucci di San Giuliano, trasferitisi in Sicilia per motivi politici. Ma Egli, divenuto adulto ricusò il titolo nobiliare perché sosteneva che “la vera nobiltà è quella dell’animo”. Vanni, figlio di Federico e Marianna Di Giorgi, era il secondo di cinque figli: Egidio, magistrato e violinista per hobby, Angela, Teresa e Maria, angeli del focolare fino alla fine dei loro giorni. Il Nonno di Vanni Pucci era un Colonnello dell’Esercito borbonico. Il piccolo Vanni, all’anagrafe Giovanni, ricevette dunque un’educazione abbastanza severa, secondo le regole della buona borghesia dell’epoca, ma ciò non gli impedì di manifestare fin dall'inizio un temperamento forte e indipendente.

La vocazione

Sui banchi di scuola coltiva l’amore per il sapere e affina il suo acutissimo spirito di osservazione sull’animo umano, con le sue grandezze e debolezze, che in seguito lo ispirerà per le sue opere. A 17 anni scrive una straordinaria parodia di un canto dell’Inferno di Dante, dove protagonista tra i dannati è un professore di greco e latino. Ed è forse in quegli anni che si rende conto dell’importanza di educare i giovani non solo al sapere, ma soprattutto a divenire uomini, nell’adesione ai valori fondamentali della vita e ai principi del Diritto Naturale su cui Vanni Pucci fonderà tutta la sua esistenza. Finiti con successo gli studi classici, sperimenta per un triennio la frequenza alla Facoltà di Medicina. In quegli anni fece tesoro dell’anatomia del corpo umano, che continuò a studiare, insieme all’anatomia animale, cosa che gli consentì di riconoscere e riprodurre nei suoi dipinti postura e muscoli dei corpi in movimento con incredibile precisione e capacità evocativa. Ma i suoi veri interessi erano altri dalla medicina, il suo era un genio creativo che non poteva accettare recinti e costrizioni materiali e intellettuali. Decise dunque di seguire la sua vocazione in piena libertà, dando vita alle sue creature, migliaia di dipinti eseguiti in estemporanea e centinaia di scritti letterari, in prosa e in versi, e per il teatro.

Gli anni giovanili

Vanni Pucci

Vanni Pucci frattanto coltivava il sogno di sposare l’amore della sua vita, Ida Bucca, alla quale inviava appassionate lettere d’amore sempre arricchite da delicati e bellissimi disegni di fiori. A lei confida di aver tentato un concorso per accedere all’amministrazione statale e contare su un reddito che gli consentisse di poterla finalmente sposare. Nel 1901, riceve il Decreto di nomina ad “Ufficiale di 5a classe” nell’Amministrazione delle Poste e dei Telegrafi, “coll’annuo stipendio di lire milleduecento”, emesso da Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e Volontà della Nazione Re d’Italia. Il suo impegno nel lavoro, non gli impedisce comunque di continuare nella sua missione artistica e poetica, e nel 1903 pubblica “Amuri dissi” , una raccolta di poesie e poemetti in vernacolo centrate sui temi dell’amore in uno spaccato di vita vissuta, e singolarmente dedicate “alla santa memoria” della madre, al fratello, alle sorelle. Al padre dedica l’intero lavoro, “primo e unico di poesia in vernacolo”. Questa raccolta, che Giuseppe Pipitone Federico definì la “rivelazione di un singolare temperamento di poeta”, gli procurò l’altissimo onore dell’iscrizione nella Storia Letteraria d’Italia. Essa comprende anche un poemetto di ispirazione pastorale, Titiro, che Giovanni Verga definì “permeato di bellezza e di forza greca”.

Il matrimonio e la letteratura per l’infanzia

Nel 1904 Vanni e Ida si sposarono. Quegli anni furono sicuramente i più felici per la coppia, allietata dalla nascita dei loro quattro figli: Anna, Federico, Giulio ed Egidio. Alla piccola Anna, la primogenita, papà Vanni dedica uno dei suoi primi racconti per l’infanzia, “Il romanzo di un tacchino” (1913) con personaggi solo animali, accostato dalla critica a Esopo e a La Fontaine. A i suoi figli, ed in seguito anche ai nipotini, dedica i suoi straordinari ritagli miniaturizzati su carta, fatti a memoria in estemporanea per stupire i suoi piccoli spettatori, e illustranti dettagliatissime scene campestri e di caccia. Alcuni di questi intagli vengono riprodotti dalla rivista Flirt, allora in voga nella “felicissima” Palermo liberty. Vanni Pucci era (e fu fino alla fine) un’anima ardente racchiusa in un corpo esile. Il suo spirito si accendeva per i sentimenti di amore ma anche di sdegno per i vizi e le turpitudini umani: arroganza, violenza, presunzione, menzogna, vanità erano i demoni del Male che prendevano forme animali o di satiri nella sua vena creativa. Ma al Male si contrapponeva il Bello e il Bene: la gentilezza, la generosità, la leggiadria, l’altruismo erano altresì espressioni della sua creatività poetica e pittorica, rappresentati da intensi sguardi, volti e gesti umani e animali. Nel 1905 pubblica la raccolta “Fiabe” con introduzione di Giuseppe Pipitone Federico che così le commenta rivolgendosi all’Autore : “Nelle Fiabe le rare qualità del tuo ingegno risplendono, come in nessun altro degli scritti tuoi. In esse ti riveli moralista; ma la morale tua non è la vecchia scipìta morale del canonico Schimdt, del Soave; né la convenzionale ricetta dei favolisti dal sommo La Fontaine, al Clasio, al Pignotti, al Bertola; è qualche cosa di più profondamente pensato, umano, moderno. Si potrebbe anzi dire che tu abbia scritto un trattato di morale senza quasi averne l'aria, servendoti della favola come mezzo a rendere attraente una materia, che, esposta in forma precettistica, sarebbe riuscita fastidiosa e sazievole.” Ancora in quegli anni pubblica la prima edizione del corso di letture per le scuole, “Limpida Fonte”, in 6 volumi, che aggiornerà periodicamente fino agli anni ‘20. Nel 1920 pubblica “Il taglialegna” una esaltazione dei valori forti ma semplici della famiglia e del lavoro, compromessi, ma non vinti, dal demone della cupidigia. Nel 1924 pubblica “Alba di anima” un altro racconto da lui stesso illustrato. Una recensione pubblicata da “Piccola Tribuna” nel 1924, così si esprime: “Fiorisce e prospera nella città di Palermo, una pubblicazione didattica ed artistica degna di glorioso successo, diretta da un chiaro e brillante ingegno, Luigi Borrello: la Biblioteca “Amore e Luce” questo è il titolo della benemerita azienda editoriale, comprende capolavori immortali di ogni letteratura, delizia di grandi e piccoli lettori. Accanto alle opere di Gorki, di Andersen…. una recentissima pubblicazione di Vanni Pucci, il popolare scrittore palermitano, autore del celebrato dramma “I Navarra” e di apprezzatissimi romanzi. Con questo fine lavoro, Alba di anima, Vanni Pucci parla ai cuori infantili e fornisce ancora una volta, solenne prosa della originalità e vigoria dello intelletto, che dal dramma a forti tinte passa alla prova delicata e gentile per fanciulli e signorine…” Seguono il libro “Ah, quella vacanza! (1938) e “Novelle” (libro per ragazzi comprendente: La pettirossata di Gigi; Barbetta, Il balcone di Beppe)

Gli anni del primo conflitto mondiale

Durante gli anni del primo conflitto mondiale, anche la produzione artistica di Vanni Pucci subisce una pausa per gli effetti sconvolgenti della guerra. Egli si schiera dalla parte di coloro che soffrono in patria, patendo stenti e sofferenze e struggendosi per la sorte dei loro cari al fronte. Inserisce tra i suoi scritti per l’infanzia (Limpida Fonte) lettere dal fronte e testimonianze di vita.

Il primo romanzo: Zio Don Cosimo

Finita la guerra, Vanni Pucci si dedica alla scrittura del suo primo romanzo drammatico, “Zio Don Cosimo” che l’Editore Santi Andò pubblica nel 1920. La rivista “Epoca” così lo recensisce: “….è un romanzo solidamente architettato, profondamente umano senza torture psicologiche da dilettante, romanzo italiano, insomma, che avrebbe dovuto apparire come la più espressiva fra le onoranze che gli editori avrebbero potuto rendere a Giovanni Verga. La naturalezza delle scene, il movimento drammatico, la verità dei caratteri, un soffio di poesia, e quel grottesco terribile con cui il romanzo si chiude, fanno di Zio Don Cosimo uno dei migliori romanzi pubblicatisi in questi anni. Lo Zio Don Cosimo sarà rielaborato da Vanni Pucci per il teatro e interpretato con grande successo per la prima volta a Catania nel 1921 da Tommaso Marcellini. La Compagnia di Marcellini porta il lavoro sulle scene di diversi teatri in Italia (il Fiorentini di Napoli, Teatro Politeama di Palermo, l’Eliseo di Roma, e altri) e all’estero (Tunisia 1922; Libia, Egitto, 1923; America latina,1931). Sono platee di grande successo per Vanni Pucci in quegli anni, e la sua notorietà di scrittore e drammaturgo si diffonde rapidamente. Così scrive la critica della “Rivista Mondana” di Roma nel 1921: “Non sembri esagerata l’asserzione che mai autore drammatico, nella storia del teatro siciliano, ha riportato un così grandioso e colossale trionfo, come il notissimo scrittore Vanni Pucci per il suo capolavoro drammatico, Zio Don Cosimo. È un lavoro cotesto che supera di molto tutti quelli dialettali apparsi finora di qualsiasi autore. Ed esso colloca già Vanni Pucci in primissima linea fra i drammaturghi nostri. Tommaso Marcellini, artista compiutamente maturo e di cui l’arte nulla ha da invidiare di più celebri attori, magistralmente coadiuvato da tutta la compagnia, interpretò con straordinaria potenza il protagonista, facendone risaltare tutta l’anima ferrea e mite, semplice e complessa insieme, come la plasmò l’Autore. Zio Don Cosimo correrà trionfalmente tutte le scene d’Italia. A. Tavidi”. La profezia si avvera , ancora nel 1934 il lavoro è di scena, con il titolo “Il Vinto” con la compagnia di Michele Abbruzzo.

I Navarra: l’opera siciliana più rappresentata nel mondo

Nel 1923 la compagnia Marcellini porta in scena “I Navarra", dramma dell’onore e della follia in una Sicilia di fine ottocento. L’opera teatrale in tre atti fu rappresentata negli anni 1924-30 in numerosi Teatri Italiani e nel Sud America. Nel 1969, con la regia di Andrea Camilleri, fu rappresentata a Roma al Teatro de’ Servi dalla Compagnia di Franco Iamonte. Ancora oggi l’opera I Navarra è riproposta da molte compagnie, tra tutte quella dei fratelli Zappalà. Un cronista di Sicilia Nuova (24.08.1926) così commenta la rappresentazione de I Navarra di Marcellini: “Capolavoro del teatro dialettale dovuto alla penna di Vanni Pucci, Marcellini ricrea il personaggio del vecchio Diego Navarra con una verità incomparabile: attraverso tutta una sapiente sfumatura di toni egli rende in tutta la sua potenza la grandezza veramente titanica di questo vecchio, eroico custode del nome e dell’orgoglio della patriarcale casa siciliana."

Le relazioni culturali

Intorno al 1925 Vanni Pucci inizia a collaborare alla rivista culturale siciliana “Po’ tu cunto”, fondata in quegli anni da un gruppo di intellettuali siciliani. Qui pubblica numerosi racconti e novelle. Questi non appariranno mai in edizioni nazionali probabilmente per motivi di censura. Infatti, Vanni Pucci cominciava a preoccupare il regime per il suo mordace sarcasmo e per il suo indipendentismo culturale e politico. Attraverso questa rivista Vanni Pucci conosce Luigi Natoli, Alessio Di Giovanni, Vincenzo De Simone e altri illustri contemporanei tra cui Turiddu Bella e Vito Mercadante. In seguito Luigi Natoli lo inserisce in una antologia intitolata “Musa” Editore R. Caddeo che raccoglie poeti del primo novecento. Unitamente a S. Platania, A. Di Giovanni, F. Trassari, A. Valore, N. Pappalardo, Giuseppe Foti, Francesco Guglielmino, Nino Martoglio ed altri, Vanni Pucci fu inserito anche nella antologia curata da Amedeo Tosti, editore Carabba di Lanciano, nel 1923.

Il teatro satirico

Dopo i successi del teatro drammatico, il genio poliedrico di Vanni Pucci vuol mettersi alla prova con il genere comico-satirico e nasce così la commedia brillante “La Congrega di San Pallario” rappresentata per la prima volta a Palermo nel 1923 da Marcellini, e in seguito al Teatro Vittoria di Sulmona (1924), a Siracusa (1926), a Pisa (1926), al teatro Politeama D. Greco-Cecce (1928), al Teatro Fiorentini di Napoli, per citarne alcuni. È del 1928 la commedia brillante “Tengo il corno e me lo tocco” portata in scena dalla Compagnia di Scarpetta dove, tra i giovani attori, figurano un esordiente Edoardo De Filippo e suo fratello Peppino, allora chiamato ancora Giuseppe. Altre opere teatrali sono rappresentate negli anni ’30, tra cui “Spiritismo” (1931), “Patria” (1933), “i Pescatori” (1933). Nel 1940 Angelo Musco diede la sua maschera a “Football” commedia brillantissima il cui titolo originario era “La giacca rubata”. Nel 1939 la compagnia di Michele Abbruzzo e Rosina Anselmi porta in scena all’Eliseo di Roma un’altra opera teatrale di Vanni Pucci, il Castagno. Si tratta di una commedia drammatica dialettale in tre atti che si svolge intorno al secolare albero, simbolo delle radici di una antica e nobile famiglia siciliana, che il dissipato erede intende abbattere. Si sviluppa così una storia ricca di connotazioni sul senso dell’onore, dei valori della famiglia e dell’appartenenza alla propria terra. Il Castagno riscosse grande successo al suo debutto. Il “Popolo” di Roma nella recensione della serata riferisce di almeno tredici uscite della compagnia e di numerosi e appalusi a scena aperta durante la rappresentazione. Da allora, fino ai giorni nostri, il Castagno è stato rappresentato con successo in molti teatri italiani.

Gli anni del secondo conflitto mondiale

Il Centro storico e la splendida Piazza Marina, dove si trovava l’abitazione dei Pucci, subì gravissimi danni. Frattanto la famiglia si era rifugiata in un paesino vicino Palermo. Quando si rientrò in città, circa due anni dopo, nulla era più uguale a prima della guerra. La vita di relazione di Vanni Pucci, si ridusse ancora di più, schivo delle vanità letterarie dei suoi contemporanei, evitava la vita di relazione, ma era pronto a riaccendersi di interesse quando persone amiche e intervistatori intelligenti andavano a trovarlo. La sua produzione in quegli anni si concentra sul corso di letture educative per le scuole elementari Educare (1947) e sulla produzione di Sonetti dialettali raccolti dal Figlio Egidio. Malgrado le ferite della guerra, Vanni Pucci ritrova l’energia di trasferire nelle letture per la scuola il senso dei valori nei quali Egli aveva sempre creduto: rispetto dell’altro, lealtà, sacralità dei vincoli familiari, amore e rispetto della vita in tutte le sue espressioni, attraversando, spesso con ironia, i grandi temi sociali della giustizia, del lavoro, della povertà dell’ignoranza. Ferraù, un illustre critico e scrittore che Vanni Pucci ebbe tra i suoi Amici negli ultimi anni della sua vita, scrisse: “I suoi testi scolastici per le elementari, molto lodati dalla Commissione Superiore del Ministero, sono dei veri capolavori che starebbero non solo nelle mani del fanciullo, ma anche nella biblioteca del poeta e dello studioso, accanto ai libri di Andersen e di Capuana."

La somparsa

Vanni Pucci morì il 9 settembre 1964 all’età di 87 anni. Lasciò una ricchissima produzione di lavori inediti e di dipinti, soprattutto acquerelli su carta che riportano e illustrano scene e atmosfere delle sue favole.


Il Giornale di Sicilia volle ricordalo come il Trilussa Siciliano.


Questa memoria di Vanni Pucci è stata realizzata dalla nipote Ida Pucci, grazie al cospicuo bagaglio di documenti raccolti e riorganizzati dal figlio Egidio dopo la morte del padre.


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