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Acidificazione degli oceani

L’acidificazione degli oceani consiste nel costante abbassamento dei livelli di pH delle acque causata dall'assorbimento di anidride carbonica (CO2) dall'atmosfera[1]. Il pH dell’acqua marina è leggermente basico (pH>7) e l’acidificazione delle acque comporta il passaggio verso un pH neutro piuttosto che acido (pH < 7)[2]. Secondo le indagini condotte sul rilascio di anidride carbonica nell'atmosfera, circa il 30-40% è prodotto dall'attività umana e si discioglie negli oceani, fiumi e laghi.[3][4] Al fine di raggiungere l’equilibrio chimico, l’anidride carbonica reagisce con l’acqua formando l’acido carbonico. Alcune delle molecole di acido carbonico si dissociano in ione idorgenocarbonato e ione idrogeno, aumentando l’acidità degli oceani (concentrazione di ioni H+ ). Secondo alcuni studi, nell'arco temporale compreso tra il 1751 e 1996, si è registrato un calo del pH oceanico da 8,25 a 8,14.[5] Questa variazione indica l’aumento di circa il 30% della concentrazione di ioni H+ negli oceani di tutto il mondo.[6][7] I modelli Earth System mostrano che l’acidità degli oceani, associata ad altri cambiamenti biogeochimici dell’oceano, possono compromettere il funzionamento degli ecosistemi marini e interrompere il fornimento di beni e servizi legati all'oceano già a partire dal 2100.[8] Si pensa che la crescente acidificazione degli oceani potrebbe avere conseguenze potenzialmente dannose per i microrganismi marini; fra le conseguenze individuate dagli studiosi vi è il calo dei tassi metabolici e delle risposte immunitarie in alcuni organismi che potrebbe causare lo sbiancamento dei coralli dei coralli.[9] Con l’aumento di ioni di idrogeno liberi, l’acido carbonico che si forma negli oceani porta alla conversione di ioni carbonati in ioni bicarbonati. L’alcalinità (approssimativamente [HCO3-] + 2[CO32-] può rimanere invariata durante il processo o può aumentare in seguito alla dissoluzione del carbonato.[10] Questa diminuzione netta della quantità di ioni carbonati disponibili potrebbe rendere difficile per gli organismi calcificanti, come coralli e plancton, la formazione di carbonato di calcio biogenico. La costante acidificazione degli oceani può mettere a repentaglio la catena alimentare oceanica.[11][12] I membri di 105 accademie della scienza dell’InterAcademy Panel hanno rilasciato dichiarazioni sull'acidificazione oceanica e si auspicano che, entro il 2050, le emissioni globali di anidride carbonica si dimezzino rispetto ai valori del 1990.[13] Mentre l’attuale situazione di acidificazione degli oceani è il risultato delle attività umane, si può affermare che la nascita di questa risalga alle origini della Terra.[14] L’esempio per eccellenza è il Massimo termico del Paleocene-Eocene (Paleocene-Eocene Thermal Maximum,PETM),[15] cambiamento verificatosi circa 56 milioni di anni fa quando elevate concentrazioni di carbonio entrarono in contatto con l’oceano e l’atmosfera che portò alla dissoluzione di sedimenti carbonati in tutti i bacini oceanici. L’acidificazione degli oceani è stata associata ai cambiamenti climatici antropici e definito “il gemello cattivo del riscaldamento globale”[16][17][18] [19][20] e “l’ennesimo problema dovuto alla CO2”.[21][22][23]Infine, anche le acque dei corpi d’acqua dolce risultano essere acidificate, sebbene si tratti di un processo più complesso e meno evidente.[24][25]


Ciclo del carbonio

Il ciclo del carbonio riguarda lo scambio dei flussi di anidride carbonica (CO2) tra la biosfera terrestre, la litosfera [26]e atmosfera. Le attività umane, come la combustione di combustibili fossili e i cambiamenti legati all’uso del terreno, hanno portato alla produzione di un nuovo flusso di CO2 nell’atmosfera. Circa il 45% di anidride carbonica è rimasto nell’atmosfera mentre la restante parte è stata assorbita dagli oceani[27] e in piccole quantità dalle piante terrestri.[28] Il ciclo di carbonio comprende sia composti organici, come la cellulosa, e composti inorganici di carbonio come l’anidride carbonica, i carbonati e gli idrogenocarbonati. I composti inorganici assumono particolare importanza in relazione all’acidificazione degli oceani poiché comprendono diverse forme di anidride carbonica disciolta presente negli oceani della Terra.[29] Quando la CO2 si discioglie, reagisce con l’acqua per formare un equilibrio tra specie chimiche ioniche e non ioniche, producendo anidride carbonica libera(CO2(aq), acido carbonico(H2CO3), idrogenocarbonato (HCO3-) e carbonato. Il rapporto tra queste sostanze dipende da vari fattori, tra cui la temperatura dell’acqua marina, pressione e salinità, come si può osservare nel Diagramma di Bjerrum. Queste forme di carbonio inorganico disciolto vengono trasferite dallo strato superficiale dell’oceano a quello profondo attraverso la pompa di solubilità. La resistenza all’assorbimento di anidride carbonica dallo strato superficiale dell’oceano è noto come fattore Revelle.


Tasso

Fra le raccolte dati utilizzate per esaminare la variazione dei livelli di pH in una specifica zona temperata di una località costiera del Nord, è stato rilevato che l’acidificazione degli oceani è strettamente correlata con le dinamiche delle specie bentiche della zona.[30][31] Thomas Lovejoy, ex Consigliere di World Bank impegnato nel settore della biodiversità, ha suggerito che nei prossimi anni l’acidificazione degli oceani raggiungerà l’apice rendendo improbabile che la vita marina riesca ad adattarsi ai cambiamenti[32] che tale fenomeno produrrà. Se entro il 2100 si verificheranno anche cambiamenti biogeochimici che influenzeranno la distribuzione di beni e servizi oceanici, questi potrebbero provocare importanti conseguenze per coloro che traggono sostentamento dall’oceano come fonte di cibo, lavoro ed entrate.[33][34] Gli attuali tassi di acidificazione oceanica sono stati comparati con la quantità di emissioni di gas serra durante il Massimo Termico del Paleocene-Eocene quando le temperature dello strato superficiale dell’oceano aumentarano di 5-6 gradi Celsius. Sebbene non sia stata registrata una catastrofe negli ecosistemi marini dello strato superficiale dell’oceano, gli organismi marini che popolavano gli strati più profondi dell’oceano sono stati colpiti fortemente. Mantenendo questo ritmo, il tasso di acidificazione raggiungerà picchi mai registrati negli ultimi 65 milioni di anni[35] e la sua crescità è circa 10 volte maggiore rispetto a quella che precedeva l’estinzione di massa del Paleocene-Eocene. L’attuale e futura acidificazione viene considerata un evento geologico senza precedenti.[36] Similmente, anche uno studio condotto dal National Research Council ad aprile 2010 ha mostrato come l’acidificazione degli oceani stia toccando livelli mai raggiunti prima d’ora.[37] [38][39] Anche un altro articolo, comparso sul blog RealClimate e basato su un report della Royal Society britannica del 2005, pone al centro della questione la variazione dei tassi di acidità oceanica, infatti, come si legge:[40]

“Il naturale pH dell’oceano è il risultato di processi che tentano di bilanciare, da un lato, la deposizione e il seppellimento di carbonio sul fondale marino e, dall’altro, le conseguenze dell’accumulo di calcio e ioni carbonato nelle acque oceaniche a causa della meteorizzazione, cioè il processo di disintegrazione delle rocce sulla superficie terrestre. In questo modo, il pH si mantiene stabile grazie al meccanismo della compensazione dei carbonati. Occorre però notare che, se la concentrazione di CO2 nell’atmosfera cambia lentamente, il pH oceanico rimane invariato grazie alla compensazione di CaCO3, mentre, dal momento che l’acidificazione dei combustibili fossili avviene più velocemente del normale, il livello di acidità è destinato ad essere il più elevato che la terra abbia mai registrato negli ultimi 800000 anni.”

Nel quindicennio tra il 1995 e il 2010, il tasso di acidità è incrementato del 6% nelle acque più alte di quella zona dell’Oceano Pacifico che va dalle Hawaii all’Alaska.[41] Stando a quanto affermato a luglio 2012 da Jane Lubchenco, capo della National Oceanic and Atmospheric Administration americana, “le acque superficiali stanno cambiando più del previsto. È molto importante considerare la quantità di diossido di carbonio presente attualmente nell’atmosfera e le immissioni che vengono continuamente registrate”.[42] Secondo uno studio del 2013, l’acidificazione sta raggiungendo tassi più alti rispetto a qualsiasi epoca precedente del nostro pianeta. In un report sintetico pubblicato nel 2015 su Science, 22 importanti biologi marini hanno confermato che le emissioni di CO2 prodotte dalla combustione dei combustibili fossili stanno cambiando la struttura chimica dell’acqua molto più rapidamente ora che in passato, dopo la terribile estinzione del Permiano (Grande Moria). Sempre nel report, gli scienziati hanno sottolineato come la decisione presa dai governi per fermare l’aumento di temperatura a 2 gradi rifletta la volontà di ridurre le emissioni al fine di scongiurare conseguenze drammatiche per gli oceani. Infatti, come ribadisce proprio l’autore Jean Pierre Gattuso “nell’ambito della discussione sulle questioni ambientali, i problemi legati agli oceani sono stati quasi tralasciati, perciò la nostra ricerca offre importanti argomenti mirati ad un cambiamento di rotta alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”.[43] Anche il riscaldamento della temperatura superficiale del mare potrebbe influenzare il tasso di acidificazione degli oceani, giacchè gli equilibri chimici che regolano il pH sono sensibili alla temperatura[44] e per questo, se si riscalda, viene prodotta maggiore CO2 e il pH subisce una variazione.[45]


Calcificazione

Panoramica

Una variazione della chimica oceanica può avere diversi effetti, diretti e indiretti, sugli organismi marini e sull’habitat in cui vivono. Una delle conseguenze più gravi dell’acidificazione delle acque oceaniche si ripercuote sulla produzione di carbonato di calcio (CaCO3),[46] usato per la costruzione di gusci e scheletri da parte di alcuni organismi. Questo processo è noto come calcificazione e ha un’importanza biologica e vitale per una grande varietà di organismi marini. La calcificazione implica la precipitazione di ioni disciolti in carbonati, come i coccoliti. Una volta formati, essi sono vulnerabili alla dissoluzione a meno che nelle acque limitrofe non sia presente un’alta concentrazione di carbonati (CO32).

Meccanismi Del diossido di carbonio immesso nell’oceano, parte rimane come CO2 dissolta in acqua, mentre la parte restante contribuisce alla produzione di ulteriore bicarbonato (e di conseguenza di ulteriore acido carbonico). Questo fa aumentare anche la concentrazione di ioni di idrogeno, la cui percentuale è maggiore rispetto a quella di bicarbonato,[47] generando così un disequilibrio nella reazione HCO3− ⇌ CO32− + H+. Per conservare un equilibrio chimico, alcuni ioni carbonato già presenti nelle acque si combinano con ioni idrogeno producendo ioni bicarbonato. In questo modo la concentrazione di ioni carbonati nelle acque si riduce, creando un disequilibrio nella reazione Ca2+ + CO32- = CaCO3 e aumentando la probabilità di dissoluzione del CaCO33 che si è formato. La maggiore concentrazione di diossido di carbonio e bicarbonato e la riduzione dei carbonati viene descritta nel Diagramma di Bjerrum.


Stato di saturazione

Lo stato di saturazione (Ω) di un minerale in acqua marina misura l’energia termodinamica necessaria alla sua formazione o dissoluzione e, nel caso del carbonato di calcio, viene descritta dalla seguente equazione:


Ω = [Ca2+] [CO32-] \ Ksp


In questa equazione, Ω è il prodotto delle concentrazioni (anche dette attività) degli ioni reagenti che compongono il minerale, (Ca2+ e CO2-3), diviso per il prodotto delle concentrazioni di tali ioni in condizione di equilibrio chimico (Ksp), ovvero quando non si verifica né la formazione né la dissoluzione del minerale.[48] Nel mare, temperatura, pressione e profondità danno origine ad un confine naturale disposto orizzontalmente chiamato orizzonte di saturazione,[49] oltre il quale Ω assume un valore inferiore a 1 e CaCO3 si dissolve, anche se CaCO3 potrebbe ancora formarsi se presenta un tasso di produzione abbastanza alto da bloccare la dissoluzione. La profondità di compensazione dei carbonati è la profondità nelle acque oceaniche in cui si completa la dissoluzione del carbonato. Una maggiore concentrazione di CO32 fa abbassare il livello di Ω e rende più probabile la dissoluzione di CaCO3.[50] Il carbonato di calcio si trova in due forme polimorfe (o forme cristalline): aragonite e la calcite. L’aragonite è più solubile della calcite, perciò il suo orizzonte di saturazione è più vicino alla superficie dell’acqua rispetto a quello della calcite.[51] Questo implica che gli organismi con gusci a base di aragonite sono più vulnerabili alle variazioni dell’acidità delle acque oceaniche rispetto a quelli con gusci di calcite.[52] In condizione di elevata concentrazione di CO2 e di pH inferiore, lo stato di saturazione di CaCO3 declina, portando verso la superficie l’orizzonte di saturazione di entrambe le forme cristalline.[53] Il declino dello stato di saturazione viene considerato una delle principali cause della minore calcificazione negli organismi marini , dal momento che la precipitazione del CaCO3 è direttamente proporzionale allo stato di saturazione.[54]


Possibili conseguenze

La crescente acidificazione degli oceani avrebbe conseguenze potenzialmente dannose, come il rallentamento del metablismo del calamaro di Humboldt,[55] l’indebolimento del sistema immunitario delle cozze blu e lo sbiancamento dei coralli. Ciononostante potrebbe avere effetti benefici su alcune specie, come l’aumento del tasso di crescita della stella marina Pisaster Ochraceus,[56] così come una maggiore proliferazione di alcune specie di plancton con guscio. Il report “Ocean Acidification Summary for policymakers 2013” descrive i risultati delle ricerche e le possibili conseguenze ecologiche.[57]

Conseguenze sugli organismi marini calcificanti

Benchè il naturale assorbimento di CO2 da parte degli oceani contribuisca a mitigare gli effetti delle emissioni antropiche di CO2 sul clima, è ormai diffusa l’idea che l’abbassamento del pH avrà conseguenze negative, soprattutto sugli organismi marini calcificanti, a partire dagli organismi autotrofi ed eterotrofi, alla base della catena alimentare, a organismi come coccolitofori, coralli, foraminiferi, echinodermi, crostacei e molluschi.[58][59] Come già anticipato, nelle acque in superficie la calcite e l’aragonite sono stabili se i carbonati si trovano in soluzioni supersature. Se invece il pH diminuisce, aumenta la concentrazione di carbonati necessaria per la saturazione e, diventati insaturi, i carbonati sono più vulnerabili alla dissoluzione. Perciò, seppur senza variazioni del tasso di calcificazione, il tasso di dissoluzione del materiale calcareo aumenta.[60]

I coralli,[61][62][63], le alghe coccolitofore,[64][65][66][67], le alghe coralline,[68],foraminiferi,[69],i molluschi[70] e gli pteropodi[71][72] sono sottoposti ad un processo di calcificazione ridotto o a rapida dissoluzione quando esposti a elevata concentrazione di CO2. La Royal Society nel giugno 2005 ha pubblicato una panoramica generale dell’acidificazione degli oceani e delle sue potenziali conseguenze.[73] Tuttavia, alcuni studi hanno riscontrato risposte diverse all’elevata concentrazione di CO2 da parte di specie diverse,[74][75][76] come la maggiore calcificazione e fotosintesi dei coccolitofori o un eguale declino sia dei processi di produzione primaria che di calcificazione.[77][78] Uno studio condotto nel 2008 su sedimenti oceanicii provenienti dall’Oceano Atlantico ha mostrato che il processo di formazione dei coccolitofori è rimasto invariato durante il periodo industriale tra il 1780 e il 2004 e la loro calcificazione è aumentata del 40%.[79] Uno studio condotto invece nel 2010 dalla Stony Brook University ha mostrato che a seguito del sovrasfruttamento di alcune aree e del ripristino di alcune zone destinate alla pesca, l’acidificazione renderà impossibile la ripopolazione di molte specie di molluschi.[80] Nonostante siano ancora da accertare tutte le conseguenze ecologiche ipotizzate, si può già prevedere che molte specie di molluschi saranno danneggiate. Alcuni esperimenti hanno mostrato che, dopo l’esposizione ad un pH ridotto da 0.2 a 0.4, solo poco più dello 0.1% delle larve della stella serpentina (o ofiure) è sopravvissuto oltre gli 8 giorni.[81] È stato anche ipotizzato che il declino dei coccolitofori possa avere effetti collaterali sul clima, in quanto la diminuzione dell’albedo terrestre intaccherebbe la copertura nuvolosa degli oceani e contribuirebbe al riscaldamento globale.[82] Tutti gli ecosistemi marini saranno sottoposti al fenomeno dell’acidificazione e di conseguenza anche i cicli biogeochimici subiranno cambiamenti.[83] Anche il fluido in cui i coralli costruiscono il loro esoscheletro è estremamente importante per la calcificazione. Quando il tasso di saturazione dell’aragonite nell’acqua marina è a livelli normali, i coralli utilizzeranno l’aragonite per formare rapidamente il loro esoscheletro. Se invece il livello di aragonite è al di sotto del normale, ai coralli tocca lavorare duramente per mantenere in equilibrio le loro strutture interne. Quando ciò accade, questo rallenta il processo di formazione dei cristalli e la crescita dell’esoscheletro. In base alla quantità di aragonite nelle acque circostanti , i coralli potrebbero addirittura smettere si crescere se i livelli di aragonite fossero troppo bassi per pompare acqua al loro interno. Potrebbero addirittura dissolversi prima di aver iniziato a costruire il loro scheletro, sempre in base ai livelli di aragonite delle acque limitrofe.[84] Se le emissioni di carbonio continuano a progredire, quasi il 70% dei coralli di acqua fredda dell’Oceano Atlantico vivranno in acque corrosive entro il 2050-2060.[85] Uno studio condotto a gennaio 2018 dal Woods Hole Oceanographic Institution ha rivelato che la crescita scheletrica dei coralli in condizioni di elevata acidità è prima di tutto influenzata dalla ridotta capacità di produrre esoscheletri densi, piuttosto che influenzare l’estensione lineare dell’esoscheletro. Avvalendosi dei Global Climate Models, hanno mostrato quanto la densità di alcune specie di coralli potrebbe ridursi oltre il 20% entro la fine di questo secolo.[86] Un esperimento in situ condotto su un’area della Grande Barriera Corallina di 400 m² diminuendo il livello di CO2 nell’acqua (aumentare il pH) riportandola al valore dell’epoca preindustriale ha mostrato un aumento della calcificazione netta pari al 7%.[87] Un esperimento simile condotto aumentando il livello di CO2 nell’acqua (pH più basso) portandola a quello che si ipotizza sarà presto il livello nella seconda metà del secolo ha mostrato una diminuzione della calcificazione netta del 34%.[88] In alcune zone, le emissioni di diossido di carbonio risalgono dai fondali, alterando il pH e le proprietà chimiche dell’acqua. Studi relativi a queste infiltrazioni hanno rilevato risposte diverse da parte di organismi differenti.[89] Particolarmente interessanti sono le comunità che vivono attorno alla barriera corallina, dove è presente una certa sensibilità di alcune specie di coralli all’acidificazione. In Papua New Guinea Nuova Guinea, il calo del pH causato dalle infiltrazioni di CO2 comporta una minore di specie coralline,[90] anche se a Palau, ad esempio, questo non accade, mentre la bioerosione degli scheletri dei coralli è molto più alta in zone con un pH basso.

Ulteriori conseguenze biologiche

Oltre a problemi legami al rallentamento e/o inversione del processo di calcificazione, gli organismi marini potrebbero risentire di diverse conseguenze biologiche,[91] sia indirettamente tramite l’alimentazione , sia direttamente tramite problemi riproduttivi e fisiologici. Ad esempio, livelli elevati di CO2 potrebbero portare ad un’eccessiva acidificazione dei fluidi corporei di questi organismi, conosciuta come ipercapnia. Tra le conseguenze dirette dell’acidificazione ci sarebbero la riduzione dei tassi metabolici del calamaro di Humboldt[92] e l’immunodepressione delle cozze blu.[93] L’acidificazione degli oceani, alterando le proprietà acustiche degli ambienti marini e permettendo al suono di propagarsi più a lungo causando un aumento del rumore sottomarino, comprometterebbe anche il senso dell’olfatto e dell’udito del pesce pagliaccio[94] (e quindi la sua capacità di riconoscere prede e predatori)[95] e di tutti gli organismi marini che utilizzano il suono per l’ecolocalizzazione o la comunicazione.[96] Una condizione di acidità elevata aumenterebbe anche il rischio delle cosiddette maree rosse, fenomeno in cui si verifica un accumulo di tossine ( acido domoico, brevetossine e saxitossine) in organismi piccoli come acciughe e molluschi, incrementando il rischio di avvelenamento amnesico da molluschi, avvelenamento neurotossico e sindrome paralitica da molluschi (o mollusco paralitico).[97]


Conseguenze sugli ecosistemi marini intensificate dal riscaldamento globale e dalla deossigenazione

Mentre tutte le possibili implicazioni legate all'elevata quantità di CO2 negli ecosistemi marini vengono costantemente studiate e documentate, numerose ricerche condotte sulla combinazione tra acidificazione ed elevata temperatura negli oceani dimostrano che la combinazione di questi due fattori, causati principalmente dalle emissioni di CO2 e gas serra, aggravano le condizioni in cui versano l’ambiente oceanico e la vita all’interno dell’ecosistema marino tanto che, una simile combinazione supererebbe di gran lunga i potenziali danni e conseguenze che i singoli fattori in questione potrebbero causare.[98][99][100] Inoltre, il riscaldamento degli oceani intensifica la deossigenazione oceanica, ulteriore fattore di stress sugli organismi marini. Il riscaldamento degli oceani aumenta la stratificazione delle acque oceaniche attraverso la densità e solubilità dell’ossigeno, limitando così le sostanze nutritive[101][102] e aumentando così la necessità di ossigeno. Le meta-analisi hanno cercato di identificare l’entità e la direzione che prenderanno gli effetti pericolosi dell’acidificazione, del riscaldamento e della deossigenazione negli oceani.[103][104][105] In più, queste meta-analisi sono state ulteriormente convalidate dagli studi condotti con i mesocosmi, cioè ecosistemi in miniatura,[106][107] creati per simulare l’interazione di questi fattori di stress e individuare l’effetto distruttivo sulla catena alimentare marina.


Conseguenze biologiche indirette

Oltre agli effetti biologici diretti, gli studiosi prevedono che l’acidificazione oceanica porterà in futuro ad una significativa diminuzione del seppellimento di carbonati per molti secoli e addirittura alla dissoluzione dei carbonati esistenti. [108] Tale situazione determinerà un incremento di alcalinità nelle acque oceaniche e renderà l’oceano il contenitore di anidride carbonica con conseguenti effetti sul cambiamento climantico come il rilascio da parte dell’atmosfera di CO2 nell’oceano in quantità più elevate.[109]


Conseguenze sull’industria umana

La minaccia dell’acidificazione delle acque oceaniche comprende un calo nel settore della pesca commerciale, dell’industria ed economia del turismo artico. La pesca commerciale è a repentaglio perché l’acidificazione danneggia gli organismi marini calcificanti che costituiscono la base delle catene alimentari nella regione artica. Gli Pteropodi e le stelle serpentine sono entrambi alla base della catena alimentare della regione artica e allo stesso tempo sono seriamente danneggiati dall’azione di acidificazione delle acque oceaniche. Un effetto dell’acidificazione si può osservare nello scioglimento dell’esoscheletro carbonatico degli pteropodi e nella perdita di massa muscolare durante la ricrescita delle appendici delle stelle serpentine.[110] Gli Pteropodi per formare il loro esoscheletro hanno bisogno dell’aragonite, minerale prodotto tramite gli ioni carbonati e calcio disciolto. Gli Pteropodi ne risentono in particolar modo perché i livelli di acidificazione troppo alti diminuiscono lo stato di saturazione delle acque rispetto al carbonato che è fondamentale per la formazione dell’aragonite. Le acque artiche sono cambiate molto velocemente tanto che sono diventate sottosature rispetto all’aragonite.[111] Inoltre, le uova delle stelle serpentine muoiono nel giro di pochi giorni nel momento in cui vengono esposte alle condizioni dell’acidificazione nell’Artico.[112] Dunque, l’acidificazione delle acque sta seriamente minando la distruzione totale delle catene alimentari della regione artica. Le catene alimentare artiche sono molto semplici, nel senso che sono costituite da pochi anelli (livelli trofici) che vanno dai microrganismi ai predatori più grandi. Ad esempio, gli Pteropodi sono un’importante componente della catena in quanto prede di moltissimi predatori come il plancton, pesci, uccelli marini e balene.[113] Sia gli pteropodi che le stelle serpentine rappresentano la fonte alimentare principale ed eliminarli dalla catena alimentare significherebbe mettere in pericolo l’intero ecosistema. Le conseguenze di un simile fenomeno sugli organismi calcificanti che sono alla base del sistema di alimentazione, potrebbero potenzialmente distruggere la pesca. Secondo le statistiche economiche del 2007, il valore della pesca commerciale americana si aggirava intorno ai 3,8 miliardi di dollari americani il cui 73% proveniva da organismi calcificanti e predatori.[114] Invece, gli altri organismi sono direttamente colpiti dall’azione dell’acidificazione degli oceani che siriflette,ad esempio, nella riduzione della crescita degli organismi marini calcificanti come l’astice americano, la vongola artica e capasanta; questo fenomeno si tradurrebbe in una minore quantità di carne da crostacei disponibile per la vendita e il consumo.[115] Allo stesso modo, la pesca del granchio gigante è a rischio perché questo crostaceo,essendo un organismo marino calcificante, ha bisogno degli ioni carbonati per sviluppare l’esoscheletro ma con tutti gli esemplari di granchio gigante appena nato, morivano dopo 95 giorni di vita nel momento in cui venivano esposti ai livelli di acidificazione presente nelle acque oceaniche.[116] Nel 2006, questa specie di crostaceo rappresentava il 23% delle linee guida per la pesca e l’eventuale riduzione della popolazione dei granchi giganti avrebbe potuto compromettere la raccolta di granchio nell’industria della pesca.[117] Molti beni e servizi legati all’oceano rischiano di essere compromessi dalla futura acidificazione delle acque oceaniche in quanto si stima che la sua azione possa intaccare i mezzi di sostentamento di moltissime persone, ovvero di circa 400 e 800mila.[118]


Conseguenze sulle popolazioni indigene

L’acidificazione rappresenta una potenziale minaccia per l’economia del turismo artico e per lo stile di vita delle popolazioni indigene. infatti, il turismo artico si regge sulla pesca sportiva e sull’industra della caccia di pesci. La pesca sportiva è minacciata dalla distruzione delle catene alimentari che forniscono il cibo necessario per i pesci più pregiati. Un simile calo nel settore del turismo provocherebbe una riduzione dei guadagni nella zona interessata, mettendo, inoltre, a repentaglio le economie che traggono sostentamento dal turismo.[119] Infine, gli studiosi affermano che la scomparsa della vita marina o un calo repentino potrebbe intaccare anche il regime alimentare delle popolazioni indigene.

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