Utente:Facquis/Sandbox/Biennio nero/3

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Voce principale: Squadrismo.
Biennio nero
parte dello squadrismo
Attacco squadrista a una sede sindacale socialista durante la marcia su Roma
Data1921 - 1922
LuogoBandiera dell'Italia Italia
Esitodimissioni del governo Facta II e insediamento del governo Mussolini
Schieramenti
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Il biennio nero è stato periodo della storia del Regno d'Italia compreso tra il 1921 e il 1922 caratterizzato dall'offensiva squadrista e culminato con la marcia su Roma e la formazione del governo Mussolini. Nel corso del biennio nero si verificarono soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, violenze da parte delle squadre d'azione fasciste le organizzazioni di ispirazione socialista, e in misura minore anche popolare e repubblicana.

L'espansione dello squadrismo (ottobre 1920 - maggio 1921)[modifica | modifica wikitesto]

L'incendio del Narodni dom il 13 luglio 1920 da parte delle squadre triestine di Francesco Giunta

In seguito al II Congresso dei Fasci Italiani di combattimento del maggio 1920, il movimento fascista di Benito Mussolini mirò a diventare l'organizzazione di riferimento dei ceti medi laici e patriottici.[1] Nella primavera del 1920, nel pieno delle proteste del "biennio rosso", il segretario dei Fasci Italiani di combattimento Umberto Pasella si adoperò per organizzare delle "squadre d'azione" fasciste che potessero svolgere durante gli scioperi azioni di crumiraggio in collaborazione con i "Sempre Pronti per la Patria e per il Re" dell'Associazione Nazionalista Italiana e le "leghe antibolsceviche" della piccola borghesia cittadina.[2] Nel corso dell'estate del 1920, su incarico del segretario Umberto Pasella, tutti i fasci cittadini di attivarono per costituire delle squadre d'azione, preferibilmente armate di manganelli, munizioni, bombe a mano e rivoltelle.[2] Su impulso di Francesco Giunta, lo squadrismo fascista si diffuse inizialmente in tutta la provincia di Trieste (ancora sotto occupazione militare) colpendo sistematicamente le sedi delle organizzazioni socialiste e della minoranza slovena, incendiando il 13 luglio 1920 il Narodni dom.[3] Il 23 settembre 1920 Benito Mussolini si recò allora Monfalcone per celebrare le squadre della Venezia Giulia, le quali il 14 ottobre 1920 assalirono una manifestazione socialista a favore della Russia bolscevica incendiando la sede de Il Lavoratore e la Camera del lavoro di Fiume.[4][5] Le proteste del "biennio rosso" terminarono nel settembre del 1920 con l'occupazione delle fabbriche, nel frattempo all'interno del Partito Socialista Italiano (PSI) la frazione comunista era sempre più decisa alla scissione e nella guerra sovietico-polacca l'Armata Rossa sovietica iniziava a riportare le prime sconfitte.[6] In questo contesto di sostanziale indebolimento del movimento operaio, il 16 ottobre 1920 Il Fascio incitò l'avvio di una guerra civile contro i socialisti esaltando le azioni delle squadre triestine dei giorni precedenti.[4] A muoversi contro il socialisti non erano solamente i fascisti, ma anche le forze liberaldemocratiche e nazionaliste, che alle elezioni amministrative del 7 novembre 1920 si coalizzarono con i fasciste nelle liste dei "Blocchi Nazionali" che raccolsero il 56% dei voti ottenendo la maggioranza in 33 consigli provinciali su 69, e in 4655 comuni su 8346.[7] Le elezioni ebbero però anche un esito favorevole, anche se non quanto le politiche del 1919, anche per il PSI che conquistò 26 consigli provinciali e 2022 comuni, di cui 20 capoluoghi tra i quali Milano e Bologna; nello stesso periodo gli iscritti al PSI toccarono i 216327.[7]

Il luogo della strage di Palazzo d'Accursio del 21 novembre 1920

L'offensiva fascista contro le nuove amministrazioni socialiste cominciò il 21 novembre 1920 a Bologna, dove nei mesi precedenti si era consumato un scontro tra Federterra e l'associazione agraria bolognese per il rinnovo dei patti agricoli.[8] Nel corso della manifestazione per l'insediamento della giunta socialista, le squadre d'azione di Leandro Arpinati, irruppero tra la folla ingaggiando uno scontro a fuoco con le "guardie rosse" che provocò cinquanta feriti e in cui morirono undici persone, tra cui il consigliere nazionalista Giulio Giordani.[9][10] In seguito alla strage di Palazzo d'Accursio il comune venne commissariato e in breve tempo le azioni squadriste si diffusero in tutta la penisola, specialmente nelle aree della bassa padana dove la protesta contadina era stata più intensa.[9] In generale si trattava di incursioni compiute da squadre d'azione armate volte a distruggere fisicamente circoli, cooperative e leghe di lavoratori e a intimidire con la violenza, o addirittura ad assassinare, i capi di queste organizzazioni.[11] Lo squadrismo si trasformò rapidamente in un fenomeno di massa: i Fasci italiani di combattimento passarono così dai 20165 iscritti del dicembre 1920 ai 187588 del maggio 1921.[12] In vista della scadenza della XXIV legislatura il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, constatata l'affermazione del fascismo e la nascita del Partito Comunista d'Italia, decise lo scioglimento delle camere e la convocazione di nuove elezioni.[13] Per favorire l'ingresso dei fascisti in parlamento, Giolitti ripropose le liste dei Blocchi Nazionali con l'inclusione di candidati fascisti.[13]consentendo a 37 fascisti l'ingresso in parlamento.[14]

Il 2 dicembre 1920 è invece la volta di Ferrara, dove nel corso di una manifestazione avversa alla nuova giunta socialista, le guardie rosse si scontrarono con i manifestanti provocando la morte di tre fascisti e un socialista.[9] All'eccidio del Castello Estense seguì la protesta non solo dei fascisti, ma anche dei liberali e dei popolari, inducendo il governo a commissariare anche il comune di Ferrara.[9]

Modena 23 gennaio 1921 28 gennaio Gregorio Agnini

20-26 febbraio 1921 Puglia

1 marzo 1921 fatti di Empoli

23 marzo 1921 Strage del Diana

17 aprile 1921 fatti di Renzino

24 aprile 1921 Domenica di sangue (1921)

Il patto di pacificazione (maggio 1921 - novembre 1921)[modifica | modifica wikitesto]

All'apertura della XXVI legislatura Mussolini però votò la sfiducia governo Giolitti, che a causa dell'esigua maggioranza rassegnò le dimissioni, mentre rivolse al PSI una proposta di pacificazione.[15] A luglio re Vittorio Emanuele III affidò l'incarico di governo a Ivanoe Bonomi, ministro del tesoro nel governo uscente, che si adoperò per la buona riuscita del "patto di pacificazione".[15]

Reggio emilia 12 aprile 1921

Assalto squadrista a Treviso

In seguito all'intervento delle forze dell'ordine nei fatti di Sarzana e all'efferatezza della violenza squadrista nel massacro di Roccastrada, nonostante la contrarietà di molto fascisti, Mussolini proseguì per l'approvazione del patto di pacificazione, che fu firmato tra i fasci il PSI e la CGdL il 3 agosto 1921.[16] Le forti resistenze interne alla pacificazione, furono risolte a novembre al III Congresso dei Fasci italiani di combattimento in cui Mussolini si impegnò ad abbondonare la strada della pacificazione a patto di trasformare il movimento in partito, Il Partito Nazionale Fascista (PNF).[17]

L'offensiva nazionale (novembre 1921 - agosto 1922)[modifica | modifica wikitesto]

Di fronte alla al fallimento del patto di pacificazione, il 2 febbraio 1922 il governo Bonomi venne sfiduciato, innescando la più lunga crisi di governo della storia del Regno d'Italia.[18] La crisi fu risolta quando re Vittorio Emanuele III affidò a Luigi Facta, ex ministro delle finanze nel governo Giolitti, l'incarico di formare un governo di scopo tra le forze liberaldemocratiche e i popolari per l'organizzazione della conferenza di Genova, ottenendo la fiducia il 18 marzo 1922, col voto favorevole dei fascisti.[19]

Tra la fine di aprile e i primi di giugno del 1922, le squadre fasciste irruppero in tutti i maggiori centri della bassa padana, "occupando" Ferrara, Bologna, Cremona e Ravenna, e causando indirettamente la caduta del governo Facta il 20 luglio 1922.[20]

L'insurrezione (agosto 1922 - ottobre 1922)[modifica | modifica wikitesto]

Barricate contro l'assedio squadrista di Parma nell'agosto del 1922 dopo lo sciopero legalitario

Nel corso della crisi di governo le maggiori sigle sindacali, riunite nell'Alleanza del lavoro, proclamarono il 31 agosto 1922 lo sciopero legalitario in segno di protesta contro le violenze fasciste.[21] Lo sciopero provocò la reazione delle squadre, che intimarono di sostituirsi alle forze dell'ordine, e che col sostegno dell'opinione pubblica borghese riuscirono ad agire anche nelle città più refrattarie al fascismo quali Genova, Milano, Livorno, Parma e Ancona.[21] Con la formazione di un nuovo governo Facta, ancora più debole del precedente, la dirigenza del PNF si organizzò per fare in modo di raggiungere il potere attraverso le elezioni anticipate, oppure nel caso di mancato scioglimento delle camere, attraverso un'insurrezione armata coordinata da Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi.[22] Il 20 settembre 1922 Benito Mussolini nel discorso di Udine esternò il proprio sostegno alla monarchia e condusse da Milano le trattative per la formazione di un nuovo governo che vedesse la partecipazione dei fascisti, rimanendo costantemente in contatto con esponenti della Confindustria e della classe dirigente liberale, tra cui il prefetto Alfredo Lusignoli, emissario di Giovanni Giolitti.[23]

Sfilata delle squadre il 31 ottobre 1922 in seguito alla "marcia su Roma"

Il 24 ottobre 1922, al consiglio nazionale di Napoli, la dirigenza fascista organizzò i tempi e i modi dell'insurrezione, così nella notte tra il 27 e il 28 ottobre circa 25000 squadristi iniziarono ad affluire a Roma, nonostante la presenza di alcuni sbarramenti organizzati dall'esercito e dalle formazioni antifasciste.[24] La mattina della "marcia su Roma" il governo decise di decretare lo stato d'assedio, ma il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmarlo, provocando in questo modo le dimissioni del presidente del consiglio Luigi Facta.[15] Il re conferì allora ad Antonio Salandra l'incarico di formare un governo con la partecipazione dei fascisti, ma Mussolini si oppose, venendo così convocato a Roma il 30 ottobre 1922 per sottoporre al re la lista dei ministri.[15]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gentile, p. 97.
  2. ^ a b Gentile, p. 99.
  3. ^ Gentile, p. 100.
  4. ^ a b Gentile, p. 103.
  5. ^ Franzinelli, p. 297.
  6. ^ Gentile, p. 102.
  7. ^ a b Gentile, p. 104.
  8. ^ Gentile, p. 105.
  9. ^ a b c d Gentile, p. 106.
  10. ^ Franzinelli, p. 299.
  11. ^ Gentile, p. 107.
  12. ^ Gentile, p. 113.
  13. ^ a b Gentile, p. 137.
  14. ^ Gentile, p. 142.
  15. ^ a b c d Gentile, p. 143.
  16. ^ Gentile, pp. 145-147.
  17. ^ Gentile, p. 169.
  18. ^ Gentile, p. 202.
  19. ^ Gentile, p. 203.
  20. ^ Nello, p. 46.
  21. ^ a b Nello, p. 47.
  22. ^ Nello, p. 48.
  23. ^ Nello, p. 49.
  24. ^ Marcia su Roma, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]