Utente:Ecdlmodulo8/Sandbox

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pagina prove per esame ecdl

Verso la fine dell'XIX secolo, sull'onda delle teorie filosofiche positiviste, si afferma (e rimane a lungo predominante) il cosiddetto positivismo giuridico o giuspositivismo che, contrapponendosi al giusnaturalismo, asserisce tutto al contrario che il diritto è solo ed esclusivamente diritto positivo, cioè diritto effettivamente posto, e non c'è alcuno spazio per alcun diritto naturale trascendente il diritto positivo. Secondo la gran parte degli studiosi giuspositivisti (specie in Italia) il diritto si identifica con la norma giuridica (giuspositivismo normativistico). Il diritto dunque non sarebbe altro che una serie di norme che regolano la vita dei membri di una società, allo scopo di assicurarne la pacifica convivenza. Il diritto (e i princìpi che ne stanno alla base) si sposta così dal campo del trascendente a quello dell'immanente, dal dominio della natura a quello della cultura. Il metodo adottato dai giuspositivisti è, al contrario di quello dei giusnaturalisti, un metodo induttivo: non esistendo princìpi universali ed eterni, i princìpi su cui si basa il diritto vengono ricavati per induzione (cioè per astrazione) dalle norme giuridiche particolari e contingenti.

I fautori del giuspositivismo hanno però qualcosa in comune con quelli del giusnaturalismo: essi rientrano tutti nella categoria filosofica dei "realisti", ossia di coloro che pensano alla realtà come a un "dato" oggettivo, esterno, e come tale indipendente dall'osservatore. Anche il diritto sarebbe, come tutta la realtà, un dato oggettivo, che lo studioso si limita a indagare e il giudice ad applicare, senza modificarlo in alcun modo. Una concezione statica del diritto, insomma.