Utente:Dans/Etiopia

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Storia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia d'Etiopia.

L'Etiopia è considerata uno dei primi siti in cui si svilupparono la specie umana;[1] ossa umane di un Homo sapiens di 200 000 anni fa furono rinvenute nel 1967 nell'Omo Kibish a sud dell'Etiopia.[2] Da questa regione, gli ominidi si sarebbero poi diffusi, occupando le aree del Medio Oriente e oltre.[3][4][5]

Secondo molti linguisti, le prime popolazioni di lingua afro-asiatica arrivarono nella regione durante il Neolitico dalla valle del Nilo[6] oppure dal Vicino Oriente.[7] Altri studiosi suppongono invece che si siano sviluppate nel Corno d'Africa e successivamente si siano sparse in tutto il mondo.[8]

Rovine del tempio di era D'mt a Yeha.

Una delle più antiche culture note dell'area, il Regno di Dʿmt era strettamente legata al regno yemenita dei Sabei (che a sua volta si ritiene corrispondere al biblico Regno di Saba). È verosimile che vi sia una stretta relazione fra il Regno di Dʿmt e il successivo Regno di Axum, ma i dettagli della transizione non sono chiari.[9]

Stele di Axum.

Il primo regno importante della attuale Etiopia di cui si abbiano notizie certe è il Regno di Axum, sorto fra il IV e il I secolo a.C.. Il regno nacque probabilmente dall'unificazione di regni minori, tra cui forse quello di Dʿmt, inizialmente includendo solo la zona dell'acrocoro etiopico. In seguito si iniziò a espandere, soprattutto verso sud. Nel III secolo il regno iniziò a battere moneta e il profeta persiano Mani lo citò nei suoi scritti tra le quattro grandi potenze del mondo, insieme all'Impero Romano, alla Persia ed alla Cina.[10] Nella prima metà del IV secolo, in seguito alla conversione del re Ezana da parte del primo vescovo d'Etiopia Frumenzio, Axum divenne cristiano.[11]

Attorno al 970 la regina Gudit[12] invase il regno di Axum e distrusse tutti i luoghi di culto cristiani. Presentata tradizionalmente dalle cronache etiopi come ebrea, secondo alcuni studiosi potrebbe invece essere stata pagana.[13]

L'imperatore d'Etiopia Davide II, membro della Dinastia Salomonide.

Dal 1137 al 1270 la dinastia Zaguè (agau di ramo cuscita) governò diverse regioni delle odierne Etiopia ed Eritrea. Dal 1270 fino al 1755 fu la dinastia Salomonide a governare l'Impero d'Etiopia.

Nei primi anni del XV secolo, l'Etiopia, per la prima volta dall'era axumita, cercò di stringere degli accordi diplomatici con i regni europei. Dal 1508 l'imperatore Davide II strinse vari accordi col Regno del Portogallo. Ciò consentì all'imperatore e a suo figlio Claudio di difendersi dagli attacchi da parte del generale e imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi[14] del Sultanato di Adal.[15] [16][17] Dopo il 1577 il Sultanato di Adal si scisse tra l'Imamato di Aussa, guidato da Muhammad Jasae, e il Sultanato di Harar

La conversione al cattolicesimo dell'imperatore Susenyos, avvenuta nel 1624, fu la causa di rivolte e disordini civili che causarono migliaia di morti.[18] Il 25 giugno del 1632, l'imperatore Fasilides, figlio di Susenyos, dichiarò il cristianesimo ortodosso religione di Stato in Etiopia, espellendo i missionari gesuiti e gli altri europei.[19]

L'imperatore Teodoro II.
L'imperatore Giovanni IV.
Lo stesso argomento in dettaglio: Zemene Mesafint.

Tra il 1755 e il 1855 l'Etiopia visse un periodo di isolamento denominato Zemene Mesafint o "Era dei Principi". Gli imperatori divennero mere figure di facciata, controllate inizialmente dai capi militari del Tigrè e successivamente dalla dinastia oromo dei Yejju.[20][21]

Nel 1855 l'Etiopia fu riunificata e posta sotto il governo dell'imperatore Teodoro II, che iniziò a modernizzare il paese e a centralizzare il potere. Tuttavia l'impero fu attaccato in numerose occasioni, da parte sia delle milizie oromo, sia dei ribelli tigrè, sia dell'Impero Ottomano e delle forze egiziane nei pressi del Mar Rosso. Teodoro II, fortemente indebolito nel potere, si suicidò nel 1868 dopo la sua ultima battaglia contro un corpo di spedizione britannico.

In seguito fu proclamato imperatore Teclè Ghiorghìs II, che tuttavia fu sconfitto nel 1871 nelle battaglie di Zulawu e Adua dal deggiasmac Cassa, proclamato imperatore d'Etiopia col nome di Giovanni IV il 21 gennaio 1872. Nel 1875 e nel 1876, le forze egiziane, accompagnate da ufficiali europei e americani, invasero due volte l'Abissinia, ma furono sconfitte dall'esercito etiope.[22] Nel 1885 l'Etiopia affrontò il Sudan nella Guerra mahdista in alleanza con le forze britanniche, turche ed egiziane; il 10 marzo 1889, durante la battaglia di Gallabat, Giovanni IV fu ucciso dall'esercito sudanese di Khalifah Abdullah, che, seppur vittorioso, subì gravi perdite e per questo sospese le azioni offensive contro l'Etiopia.

L'imperatore Menelik II.
Mappe dell'Etiopia della fine del XIX secolo
Mappa dell'Etiopia nel 1891
Mappa dell'Eritrea ed Etiopia nel 1896.[23]

L'Etiopia, nella sua forma più moderna, ebbe inizio con il regno di Menelik II, imperatore dal 1889 fino alla sua morte nel 1913, che riportò sul trono la dinastia salomonide e unificò l'Etiopia nei suoi confini attuali sottomettendo gli Amara e gli Oromo. Durante il suo regno, Menelik II realizzò molte innovazioni: costruì strade, distribuì l'elettricità, diffuse l'istruzione, sviluppò un sistema di tassazione centrale e fondò la città di Addis Abeba, che nel 1881 divenne la capitale della provincia di Scioà e nel 1889, dopo la salita al potere dell'Imperatore, la nuova capitale dell'Etiopia. Dal 1888 al 1892 l'Etiopia subì una grande carestia.[24][25]

La battaglia di Adua del 1896.
La bandiera etiope nel 1897 con il Leone di Giuda.

Alla fine del XIX secolo, in seguito all'apertura del canale di Suez, prese nuovo slancio la colonizzazione del continente africano da parte dei Paesi europei, che si interessarono anche all'impero etiope. Nel 1870 il porto eritreo di Assab, presso l'entrata meridionale del Mar Rosso, fu acquistato da una compagnia italiana, come cessione di un sultano locale, ponendo le basi per la fondazione di una colonia italiana in Eritrea. Al termine degli scontri della guerra d'Eritrea, nel maggio 1889 il Regno d'Italia e l'Impero d'Etiopia stipularono il trattato di Uccialli, volto a regolare i rapporti reciproci tra i due Paesi e a riconoscere le acquisizioni italiane in Eritrea. Tuttavia, la differente interpretazione delle clausole del trattato, causata dalla non corrispondenza tra le due versioni in italiano e in amarico, comportò l'insorgere di contrasti tra i due governi, che scaturirono nel 1895 nella guerra d'Abissinia.[26] Il conflitto si concluse l'anno seguente con la pesante sconfitta italiana nella battaglia di Adua.[27][28] Il Regno d'Italia e l'Impero d'Etiopia firmarono il 26 ottobre del 1896 il trattato di Addis Abeba, che abrogò il precedente trattato di Uccialli e sancì le nuove relazioni fra i due Paesi: l'Italia riconobbe la piena sovranità etiopica, il confine lungo la linea Mareb-Belesa-Muna rimase inalterato, i prigionieri italiani furono restituiti in cambio del pagamento delle spese per il loro sostentamento e furono avviate nuove trattative commerciali.[29]

L'imperatore Hailé Selassié nel 1934.

Alla morte di Menelik II il regno passò nelle mani del nipote Iasù V, che fu deposto nel corso di una rivolta, e poi in quelle dell'imperatrice Zauditù che divise conflittualmente il potere con l'erede designato, ras Tafarì Maconnèn, che nel 1930 salì al potere con il nome di Hailé Selassié, in seguito all'improvvisa morte dell'imperatrice; fu proprio Hailé Selassié il principale artefice dell'ingresso dell'Etiopia come primo stato africano nella Società delle Nazioni nel 1923.

Mappa dell'Africa Orientale Italiana nel 1936.

In seguito all'incidente di Ual Ual del dicembre 1934, il Regno d'Italia il 3 ottobre 1935 attaccò dall'Eritrea e dalla Somalia italiana l'Impero d'Etiopia. Hailé Selassié si appellò alla Società delle Nazioni, che deliberò delle sanzioni economiche contro l'Italia;[30] l'Imperatore fu quindi nominato Persona dell'anno dal Time, acquistando notorietà in tutto il mondo.[31] Il comando dell'esercito italiano fu affidato al generale Pietro Badoglio, che riuscì a sconfiggere la resistenza degli etiopi utilizzando in alcuni casi anche armi chimiche;[32] il 2 maggio Hailé Selassié partì in esilio volontario per la Gran Bretagna e tre giorni dopo Badoglio entrò nella capitale Addis Abeba; l'8 maggio il generale Rodolfo Graziani espugnò la regione di Harar e il giorno seguente Mussolini annunciò la nascita dell'Impero, di cui si proclamò Fondatore, mentre il re Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia.[33] L'Etiopia divenne quindi parte dell'Africa Orientale Italiana insieme a Eritrea e Somalia italiana.[33][34]

Ciò nonostante, numerosi ras, tra i quali Immirù Hailé Selassié, non si sottomisero e continuarono a combattere attraverso una efficace guerriglia, nonostante le dure azioni repressive di risposta delle forze italiane.[35] L'episodio più significativo si verificò in seguito al fallito attentato al governatore Graziani del 19 febbraio del 1937, in cui morirono sette persone e ne furono ferite oltre cinquanta:[36] la repressione dei tre giorni seguenti, nota come strage di Addis Abeba, provocò la morte di migliaia di abitanti della capitale e, a Debra Libanos, di centinaia di monaci del monastero.[37] Di conseguenza si accesero qua e là nel paese altri focolai di rivolta contenuti a fatica; solo con la sostituzione di Graziani con il principe Amedeo duca d'Aosta affiancato dal nuovo vicegovernatore Guglielmo Nasi, venne impostato un approccio più morbido e realistico nei confronti dei patrioti ribelli, che consentì agli italiani di stringere una serie di accordi con alcuni notabili locali, senza tuttavia riuscire a stroncare la resistenza che proseguì in varie zone della nazione;[38] una discreta tregua fu raggiunta solo intorno alla metà del 1939, quando le principali vie di comunicazione e la maggioranza delle località dell'Etiopia passarono sotto il completo controllo italiano.[39]

Soldati etiopi ad Addis Abeba mentre ascoltano il proclama che annuncia il ritorno nella capitale dell'imperatore Hailé Selassié.

Nel frattempo il governo italiano pianificò una serie di lavori pubblici in tutto il Paese, tra cui il piano regolatore di Addis Abeba del 1938, ma molte opere non furono completate o neppure avviate a causa dell'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale[40] il 10 giugno del 1940; 13 giorni dopo Hailé Selassié partì per Khartum, per dimostrare il suo sostegno ai patrioti etiopi. Nei mesi seguenti, nel corso della campagna dell'Africa Orientale Italiana, le forze britanniche insieme ai combattenti etiopi arbegnuoc riuscirono a riconquistare il Paese e Hailé Selassié rientrò ad Addis Abeba il 5 maggio del 1941.[41] La nazione fu quindi liberata dalle forze militari britanniche e Hailé Selassié tornò alla guida del'Impero, seppur inizialmente limitato nei poteri in base al trattato anglo-etiope del 1942,[42] mentre l'esercito italiano proseguì fino a novembre 1941 in una sorta di guerriglia; il riconoscimento della piena sovranità dell'Etiopia avvenne infine con la firma del trattato anglo-etiope del dicembre 1944,[43] anche se l'Ogaden e altre aree rimasero ancora per anni sotto il controllo britannico.[42] Il 26 agosto 1942 Hailé Selassié emise un proclama per l'abolizione della schiavitù[44] seguendo le disposizioni amministrative italiane, tra cui quella di De Bono nel Tigrè del 1935.

L'Eritrea divenne una regione autonoma federata dell'Etiopia in base alla risoluzione 390 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2 dicembre 1950, ma nel 1962 fu annessa per decisione unilaterale di Hailé Selassié; ciò scatenò l'avvio della trentennale guerra per l'indipendenza condotta dal Fronte di Liberazione Eritreo e, dal 1973, dal Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo.[45]

L'Imperatore proseguì negli anni l'opera di modernizzazione del Paese e soprattutto della capitale Addis Abeba; incaricò vari architetti occidentali della progettazione di nuovi edifici governativi e, in continuità col piano regolatore italiano, dell'estensione della rete viaria cittadina.[46] Nel 1963 Hailé Selassié svolse un ruolo di primo piano nella fondazione dell'Organizzazione dell'unità africana, con sede ad Addis Abeba.[47] Ciò nonostante, il potere rimase sempre fortemente accentrato nelle sue mani e il Paese non riuscì a uscire dall'organizzazione di stampo feudale; per questo un primo tentativo di colpo di Stato si verificò nel 1960, ma dopo tre giorni la ribellione ebbe termine.[48]

Nel 1973 la crisi energetica mondiale e la forte carestia che colpì l'Etiopia causando circa 100 000 morti, unite al malcontento della classe media e all'incertezza sulla successione al trono, esasperarono la popolazione, che nel mese di febbraio dell'anno seguente iniziò i primi scioperi[48] e manifestò contro il governo.[49] Il Primo ministro Aklilu Habte-Wold fu allontanato e sostituito con Endelkachew Makonnen,[50] mentre furono arrestati vari funzionari corrotti e fu promessa una nuova Costituzione.[48]

Dittatura del Derg (1974-1991)[modifica | modifica wikitesto]

Mappa delle province dell'Etiopia durante la dittatura del Derg.
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile in Etiopia e Terrore rosso (Etiopia).
Partito Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRP) che si scontrò con il Derg durante il Terrore Rosso.

Nonostante i tentativi di sedare le rivolte da parte dell'Imperatore, il 12 settembre 1974 scoppiò la guerra civile, condotta dal Derg, giunta militare di stampo marxista-leninista, che depose Hailé Selassié[51] e incoronò al suo posto il figlio Amhà Selassié. Tuttavia, il 12 marzo del 1975 il Consiglio d'amministrazione militare provvisorio proclamò la fine del regime imperiale,[52] trasformando l'Etiopia in uno Stato comunista. Hailé Selassié, imprigionato nel palazzo di Menelik II, morì il 27 agosto di quell'anno, probabilmente soffocato con un cuscino.[48][53] Il colpo di Stato provocò insurrezioni e moti popolari in 8 delle 14 province dell'Etiopia, mentre un'incipiente siccità causò enormi problemi ai rifugiati.[54]

Nella lotta interna tra le diverse fazioni del Derg, prevalse nel 1977 quella più radicale guidata dal maggiore Menghistu Hailè Mariàm, che, sostenuto dall'URSS, divenne il leader incontrastato eliminando tutti gli oppositori e instaurando il cosiddetto Terrore Rosso,[54] durante il quale persero la vita almeno 500 000 persone, in parte anche a causa delle deportazioni forzate o dell'uso della fame come arma.[55][56][57]

Nel frattempo nel 1977 la Somalia invase la regione dell'Ogaden, abitata da somali ma appartenente all'Etiopia, che contrattaccò con l'aiuto militare di una coalizione comprendente URSS, Cuba, Yemen del Sud, Germania Orientale e Corea del Nord, tra cui l'invio di 15 000 truppe da combattimento cubane;[58] gli scontri proseguirono fino alla firma del trattato di pace nel 1988.[59]

Tra il 1983 e il 1985 l'Etiopia fu colpita da una gravissima carestia che causò la morte di almeno 400 000 persone.[60][61] Nel Paese, soprattutto nel Tigrè e in Eritrea, si diffusero le insurrezioni contro la dittatura comunista;[62] nel 1989 venne formata una coalizione conosciuta come Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (EPRDF), nata dalla fusione del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF) con altri movimenti di opposizione.

Bandiera della Repubblica Democratica Popolare d'Etiopia.

Intanto, nel 1987 la dittatura del Derg confluì nella Repubblica Democratica Popolare d'Etiopia, di cui divenne presidente Menghistu Hailè Mariàm.[57] Il Paese subì una forte riduzione degli aiuti da parte dell'URSS durante il segretariato di Mikhail Gorbachev, propugnatore della politica della perestrojka, che aumentò le difficoltà economiche del regime del Negus Rosso e la rottura del fronte di guerra da parte della guerriglia anticomunista presente nel nord del paese. Con la definitiva fine del comunismo in Europa orientale in seguito alle rivoluzioni del 1989, nel 1990 si interruppero completamente gli aiuti sovietici all'Etiopia. La strategia militare e politica di Mengistu subì un colpo fatale. Nel maggio 1991, infatti, le forze dell'EPRDF avanzarono su Addis Abeba, ma l'Unione Sovietica non intervenne per salvare il regime alleato. Menghistu Hailè Mariàm fuggì con la famiglia dal Paese rifugiandosi in Zimbabwe;[57] tre anni dopo l'alta corte federale dell'Etiopia avviò il processo a carico suo e di altri dirigenti del Derg, che si concluse dodici anni dopo[63] con le condanne in contumacia per genocidio e crimini di guerra: Menghistu e numerosi ex funzionari ricevettero la condanna a morte,[64][57] altri l'ergastolo e altri ancora trascorsero almeno 20 anni in carcere, prima di essere graziati.

Repubblica federale Democratica (1991-presente)[modifica | modifica wikitesto]

Il primo ministro Meles Zenawi.

In seguito alla cacciata di Menghistu Hailè Mariàm, fu istituito un governo di transizione composto da un Consiglio di 87 membri e guidato da una carta nazionale quale costituzione provvisoria e di transizione.[65] Si concluse inoltre la guerra con l'Eritrea, che nel 1993 si costituì come Stato indipendente con l'approvazione del Fronte di Liberazione del Tigrè guidato da Meles Zenawi.[45]

Nel 1994 fu promulgata la nuova costituzione, con la formazione di un parlamento bicamerale e di un nuovo sistema giudiziario. La prima elezione formalmente pluripartitica si svolse nel maggio 1995 e comportò l'elezione di Meles Zenawi come primo ministro e Negasso Gidada come presidente.[66]

Nel maggio del 1998 una disputa di confine con l'Eritrea causò lo scoppio di una nuova guerra tra i due Paesi, che si protrasse fino alla stipula dell'accordo di Algeri nel 2000; l'elevato costo del conflitto, stimato per entrambe le parti intorno al milione di dollari al giorno,[67] causò effetti devastanti sull'economia dell'Etiopia.[68]

Nel 2004 il governo diede avvio al piano di ricollocamento di circa due milioni di persone dagli altopiani aridi dell'est verso le regioni dell'ovest, allo scopo di diminuire la scarsità di cibo.[69]

Il 15 maggio 2005 si svolsero le prime vere elezioni multipartitiche, ma furono segnalate gravi irregolarità dall'organismo di controllo indipendente Carter Center e dagli altri osservatori internazionali e i partiti di opposizione denunciarono brogli.[70] I risultati furono resi noti solo il mese seguente, ma fin da subito il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope del premier Meles Zenawi si autoproclamò vincitore; i principali partiti di opposizione, costituiti dalla Coalizione per l'unità e la democrazia (Cud) e dalle Forze unite democratiche etiopiche (Uedf), non ebbero più accesso alla radio e alla televisione;[71] manifestazioni di protesta e scioperi si diffusero nelle settimane seguenti nella capitale, represse violentemente dalle forze di sicurezza, che provocarono almeno 42 morti, centinaia di feriti e numerosi arresti anche tra deputati dell'opposizione e giornalisti,[70] tra i quali il leader del Cud Hailu Shawel,[72] definiti prigionieri di coscienza da Amnesty International.[73]

Il primo ministro Haile Mariam Desalegn.

Nelle successive elezioni legislative del 2010, il partito di Meles Zenawi vinse ancora accaparrandosi oltre il 90 % dei voti; profonde irregolarità, brogli e intimidazioni furono però denunciati dalle forze di opposizione e dagli osservatori internazionali.[74][75]

Nel corso del 2011, l'Etiopia e i Paesi limitrofi subirono le conseguenze della peggiore siccità avvenuta in Africa orientale da circa 60 anni; per attenuare gli effetti della grave carestia, fu istituito un piano, comprendente strategie di lungo periodo, da parte del governo nazionale in collaborazione con la FAO e altre organizzazioni internazionali.[76]

Il primo ministro Meles Zenawi morì improvvisamente il 20 agosto 2012 a Bruxelles[77] e il suo vice Haile Mariam Desalegn ne assunse il ruolo per i tre anni successivi.[78]

Le elezioni parlamentari del 2015 confermarono ancora il partito del premier Haile Mariam Desalegn, che ottenne il 100 % dei seggi; intimidazioni furono denunciate dagli osservatori internazionali, mentre molti dei rappresentanti dei partiti di opposizione furono arrestati, quando ancora vari prigionieri di coscienza si trovavano in carcere dalle elezioni di 10 anni prima; le manifestazioni di protesta furono duramente represse dalle forze di sicurezza, che provocarono almeno 140 morti, parecchie centinaia di feriti e numerosissimi arresti anche tra i giornalisti.[73] Ribellioni contro il governo, espressione della minoranza tigrina, si diffusero l'anno seguente inizialmente nell'Oromia, per allargarsi all'adiacente Amara, da parte dei due principali gruppi etnici del Paese, oromo e amara; secondo l'Human Rights Watch nelle proteste morirono almeno 500 persone, mentre ne furono arrestate circa 1600; le cifre furono contestate dal governo, che il 9 ottobre dichiarò lo stato di emergenza per almeno 6 mesi.[79]

Tra il 2016 e il 2017, probabilmente come conseguenza del Niño,[80] una nuova carestia colpì pesantemente l'Etiopia e i Paesi adiacenti, peggiorata dalla guerra in Somalia e dai mancati aiuti governativi.[81]

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