Utente:C.marangi/Sandbox

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Effetti dell’acidificazione degli oceani sui microrganismi artici[modifica | modifica wikitesto]

I fattori di stress dovuti alla vita nell’oceano artico, come le basse temperature, e quelli causati dell’acidificazione degli oceani portano i microrganismi che popolano le acque artiche a manifestare prima degli altri gli effetti di questo processo. Esiste una variazione significativa nella sensibilità degli organismi marini all’aumento dell’acidificazione oceanica. I microrganismi che si calcificano generalmente mostrano più risposte negative dall’acidificazione oceanica rispetto a quelli che non si calcificano oltre le molte variabili di risposta, ad eccezione dei crostacei, che seppur calcificandosi non registrano ripercussioni negative. L’acidificazione dell’oceano artico avrà diverse conseguenze sugli organismi marini che calcificano. L’assorbimento di CO₂ nell’acqua marina aumenta la concentrazione degli ioni di idrogeno, che abbassa il PH e, cambiando l’equilibrio chimico del carbonio inorganico, riduce quindi la concentrazione di ioni di carbonato (CO₃²⁻). Gli ioni di carbonato, e in particolare il carbonato di calcio (CaCO₃), sono indispensabili per la calcificazione di gusci calcarei e scheletri nei plancton, crostacei e pesci. Per aragonite e calcite, i due polimorfi del CaCO₃ prodotti dagli organismi marini, lo stato di saturazione del CaCO₃ nelle acque oceaniche si esprime con il prodotto della concentrazione di CO₂²⁻ e Ca²⁺ nelle acque marine relativa alla (coefficiente) solubilità stechiometrica ottenuta a temperatura, salinità e pressione determinate. Le acque sature di CaCO₃ favoriscono precipitazione e formazione di gusci e scheletri, mentre acque insature corrodono i gusci di CaCO₃, e senza meccanismi di protezione il carbonato di calcio si dissolve. Le fredde acque dell’artico assorbono una quantità maggiore di CO₂ perciò qui la concentrazione di CO₃²⁻ è minore e la saturazione di carbonato di calcio nelle aree oceaniche ad alta latitudine è più bassa rispetto a quelle tropicali o miti. Studi sull’oceano Artico hanno predetto l’abbassamento del livello di saturazione dell’argonite a causa dell’immissione di acqua fresca proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento dell’assorbimento di carbonio dovuto al ritiro del ghiaccio marino. Inoltre studio prevede che le acque artiche di superficie diventeranno insature di argonite nell’arco di un decennio. Un livello basso di saturazione causerà la dissoluzione dei gusci di aragonite degli organismi. Ciò avrà un forte impatto, su una grande varietà di organismi marini, e potrebbe causare un terribile danno per le specie chiave di volta e per la rete trofica dell’oceano Artico. Esperimenti di laboratorio su diversi bioti marini immersi in ambiente ricco di CO₂ mostrano come cambi nella saturazione dell’argonite causino variazioni sostanziali nei tassi di calcificazione per molte specie di organismi marini tra cui Coccolitoforo, Foraminifera, Pteropoda, mitilo e vongole.[1] [2] Nonostante sia stato dimostrato che la bassa saturazione dell’acque artiche incida sulla possibilità di precipitazione dei gusci degli organismi, studi recenti hanno evidenziato che il tasso di calcificazione degli organismi, come coralli,[3] [4] [5] coccolitofori,[6] [7] [8] [9] foraminifere [10] e bivalvi,[11] si abbassa se la concentrazione di pCO₂ aumenta, persino in acque con un livello alto di saturazione di CaCO₃. E’ stato inoltre dimostrato che l’innalzamento della concentrazione di pCO₂ abbia importanti ripercussioni sulla fisiologia, crescita e successo riproduttivo di diversi organismi che calcificano. Il livello di tolleranza CO₂ varia tra i diversi organismi marini e le diverse fasi del ciclo vitale. Il primo e più pericoloso, se esposto a alte concentrazioni di CO₂ , stadio della vita dei calcificatori marini è quello larvale planctonico. Innalzamento del livello di pCO₂ condiziona negativamente lo sviluppo delle larve di molte specie marine, soprattutto ricci di mare e bivalvi. Per i test di laboratorio, gli embrioni di ricci di mare vengono allevati in concentrazioni diverse di CO₂ fino al raggiungimento dello stadio larvale. Raggiunto questo stadio, è emerso che con l’aumentare della concentrazione di pCO₂ le dimensioni diminuiscono notevolmente e si evidenziano anormalità a livello della morfologia scheletrica. Risultati simili sono stati riscontrati anche nel trattamento delle larve di mitilo, che hanno evidenziato una diminuzione delle dimensioni delle larve del 20% circa e anormalità morfologiche come cerniere convesse, conchiglie più sottili e deboli e protusioni del mantello. Se le conchiglie in fase larvale sono più piccole o deformi queste saranno più inclini all’inedia (fame estrema). Inoltre, le strutture di CaCO₃ sono utili alle funzioni vitali delle larve calcificate per il nutrimento, per il controllo del galleggiamento, per la regolazione del PH e come difesa dai predatori. Altre specie che potrebbero essere colpite dall’acidificazione dell’oceano sono gli pteropodi, che sono dei molluschi pelagici privi di guscio che hanno un ruolo importante nella rete alimentare di vari ecosistemi. Poiché nascondono un guscio aragonitico, sono molto sensibili all’acidificazione dell’oceano causata dall’aumento dell’emissione antropogenica di CO₂. Test di laboratorio mostrano che la calcificazione registra una abbassamento del 28% del valore del pH dell’oceano Artico previsto per l’anno 2100 se comparato al valore attuale. Quest’abbassamento del 28% del processo di calcificazione in condizioni di pH più basso è nel range riportato anche per altri organismi che calcificano come i coralli. Diversamente dai ricci di mare e dalle larve bivalve, l’acidificazione dell’oceano incide pesantemente i coralli e i gamberi di mare. La variabilità dell’impatto dell’acidificazione dell’oceano sulle diverse fasi del ciclo vitale degli organismi può essere spiegata dal fatto che la maggior parte degli echinodermi e molluschi inizia la sintesi di guscio e scheletro allo stadio larvale, mentre i coralli la iniziano durante la sedimentazione. Perciò queste fasi sono molto sensibili agli effetti potenziali dell’acidificazione degli oceani. La maggior parte dei calcificatori, come coralli, echinodermi, bivalvi e crostacei giocano ruoli importanti negli ecosistemi costieri in quanto specie chiave e responsabili della bioturbazione e ingegneri dell’ecosistema.La rete alimentare dell’oceano artico è breve e semplice perciò anche il più piccolo effetto sulle specie chiave può causare effetti esponenzialmente devastanti su tutto il resto della rete, perché ciò vorrebbe dire mettere in dubbio la fonte di nutrimento. Se questi organismi superiori non hanno più fonte di nutrimento, anche loro potrebbero morire e ciò danneggerebbe l’intero ecosistema artico. Questo si ripercuoterebbe economicamente sulle famiglie che vivono di pesca nell’artico come conseguenza di una così grave carenza di generi alimentari e di fonte di reddito.

Possibili soluzioni[modifica | modifica wikitesto]

Riduzione delle emissioni di CO₂[modifica | modifica wikitesto]

I membri della InterAcademy Panel hanno raccomandato la riduzione del 50% delle emissioni di CO₂ antropiche rispetto al livello del 1990 [12] entro il 2050. Il comunicato del 2009 [13] ha invitato i leader mondiali a:

  • Riconoscere che l’acidificazione dell’oceano, conseguenza diretta e reale dell’aumento della concentrazione di CO₂ atmosferico, già nella concentrazione attuale ha ripercussioni sull’ambiente, e probabilmente causerà gravi danni a importanti ecosistemi marini se raggiunge 450 ppm (parti per milione) o se addirittura lo supera;
  • Ammettere che ridurre l’accumulo di CO₂ nell’atmosfera è l’unica soluzione praticabile per mitigare l’acidificazione dell’oceano;
  • Rinforzare i provvedimenti per la riduzione dei fattori di stress per gli ecosistemi marini, come la sovrapesca e l’inquinamento, per aumentare la resistenza all’acidificazione dell’oceano.

Stabilizzare la concentrazione di CO₂ atmosferico a 450 ppm vuol dire pianificare la riduzione delle emissioni a breve termine, con riduzione più ripide nel tempo.[14] La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) ha proposto di limitare il riscaldamento sotto i 2°C rispetto al livello pre-industriale.[15] Per raggiungere questo obiettivo serviranno riduzioni importanti dell’emissione di CO₂ antropico.[16] Limitare il riscaldamento globale di 2°C implica una riduzione, rispetto al livello pre-industriale, di 0.16 del pH delle superfici oceaniche.[17] Il 25 settembre 2015 l’agenzia per la protezione dell'ambiente americana (USEPA) ha respinto [18] la petizione del 30 giugno 2015 in cui i cittadini richiedevano [19] di regolamentare con TSCA le emissioni di CO₂ per mitigare l’acidificazione dell’oceano. Nel rifiuto EPA ha affermato che i rischi derivanti dall’acidificazione dell’oceano venivano affrontati in modo “più efficiente ed efficace” a livello nazionale, esempi sono il piano d’azione per il clima proposto da Obama[20] e le varie possibilità intraprese per collaborare con e per altre nazioni nella riduzione di emissioni e deforestazione e nella promozione dell’energia pulita e dell’efficienza energetica. Il 28 marzo 2017 gli Stati Uniti, con un ordine esecutivo, hanno revocato il piano d’azione per il clima.[21] Il 1 giugno 2017 è stato inoltre annunciata la volontà degli Stati uniti di recedere dagli accordi di Parigi [22] e il 12 giugno dello stesso anno quella di astenersi dal G7 per il cambio climatico [23] ( i due più grandi sforzi internazionali per la riduzione delle emissioni di CO₂).

Ingegneria climatica[modifica | modifica wikitesto]

L’ingegneria climatica (per l'attenuazione degli effetti delle emissioni su temperature e ph) è stata proposta come possibile riposta all’acidificazione dell’oceano. Il comunicato della IAP (Interacademy Panel) del 2009 [24] ha messo in guardia dall’ingegneria climatica come risposta poiché ritenuta: costosa, efficace solo su scala locale e non ancora del tutto attendibile a causa del ridotto numero di ricerche effettuate. Anche la WGBU (nel 2006),[25] la Royal Society inglese (nel 2009)[26] e il US National Research Council (nel 2011)[27] hanno messo in guardia rispetto ai potenziali rischi dell’ingegneria climatica.

Iron fertilization[modifica | modifica wikitesto]

La iron fertilization (teoria che prevede l’introduzione in aree della superficie oceanica carenti di ferro per stimolare la produzione di fitoplancton) dell’oceano potrebbe stimolare la fotosintesi nel fitoplancton. Il fitoplancton convertirebbe il diossido di carbonio dissolto nell’oceano in idrati di carbonio e ossigeno alcuni dei quali potrebbero precipitare prima dell’ossidazione. Più di una dozzina di esperimenti effettuati in mare aperto hanno confermato che l’aggiunta di ferro nelle acque oceaniche aumenta di circa 30 volte la fotosintesi dei fitoplancton.[28] Se questo approccio è stato proposto come soluzione potenziale al problema dell’acidificazione degli oceani, la mitigazione del problema nella porzione superficiale potrebbe incrementarlo nell’oceano meno popolato e più profondo.[29] Questa strategia è stata sottoposta a prove di efficacia, accessibilità, tempestività e sicurezza dalla Royal Society inglese nel 2009.[30] I risultati di questo report hanno classificato l’accessibilità “nella media” o “non molto conveniente” mentre gli altri tre criteri da “basso” a “molto basso”. Ad esempio a livello di sicurezza il report ha evidenziato un “rischio elevato di effetti ambientali collaterali” e che la fertilizzazione degli oceani “potrebbe far aumentare le aree anossiche dell’oceano (zone morte)”.[31]

  1. ^ Mora, C.; et al. (2013). "Biotic and Human Vulnerability to Projected Changes in Ocean Biogeochemistry over the 21st Century". PLoS Biology. 11 (10): e1001682. doi:10.1371/journal.pbio.1001682. PMC 3797030. PMID 24143135.
  2. ^ National Research Council. Overview of Climate Changes and Illustrative Impacts. Climate Stabilization Targets: Emissions, Concentrations, and Impacts over Decades to Millennia. Washington, DC: The National Academies Press, 2011. 1. Print.
  3. ^ Gattuso, J.-P.; Frankignoulle, M.; Bourge, I.; Romaine, S.; Buddemeier, R. W. (1998). "Effect of calcium carbonate saturation of seawater on coral calcification". Global and Planetary Change. 18 (1–2): 37–46. Bibcode:1998GPC....18...37G. doi:10.1016/S0921-8181(98)00035-6.
  4. ^ Gattuso, J.-P.; Allemand, D.; Frankignoulle, M. (1999). "Photosynthesis and calcification at cellular, organismal and community levels in coral reefs: a review on interactions and control by carbonate chemistry". American Zoologist. 39: 160–183. doi:10.1093/icb/39.1.160.
  5. ^ Langdon, C.; Atkinson, M. J. (2005). "Effect of elevated pCO 2 on photosynthesis and calcification of corals and interactions with seasonal change in temperature/irradiance and nutrient enrichment". Journal of Geophysical Research. 110 (C09S07): C09S07. Bibcode:2005JGRC..11009S07L. doi:10.1029/2004JC002576.
  6. ^ Riebesell, Ulf; Zondervan, Ingrid; Rost, Björn; Tortell, Philippe D.; Zeebe, Richard E.; Morel, François M. M. (2000). "Reduced calcification of marine plankton in response to increased atmospheric CO 2". Nature. 407 (6802): 364–367. Bibcode:2000Natur.407..364R. doi:10.1038/35030078. PMID 11014189.
  7. ^ Zondervan, I.; Zeebe, R. E.; Rost, B.; Rieblesell, U. (2001). "Decreasing marine biogenic calcification: a negative feedback on rising atmospheric CO2". Global Biogeochemical Cycles. 15 (2): 507–516. Bibcode:2001GBioC..15..507Z. doi:10.1029/2000GB001321.
  8. ^ Zondervan, I.; =Rost, B.; Rieblesell, U. (2002). "Effect of CO 2 concentration on the PIC/POC ratio in the coccolithophore Emiliania huxleyi grown under light limiting conditions and different day lengths". Journal of Experimental Marine Biology and Ecology. 272 (1): 55–70. doi:10.1016/S0022-0981(02)00037-0.
  9. ^ Delille, B.; Harlay, J.; Zondervan, I.; Jacquet, S.; Chou, L.; Wollast, R.; Bellerby, R.G.J.; Frankignoulle, M.; Borges, A.V.; Riebesell, U.; Gattuso, J.-P. (2005). "Response of primary production and calcification to changes of pCO 2 during experimental blooms of the coccolithophorid Emiliania huxleyi". Global Biogeochemical Cycles. 19 (2): GB2023. Bibcode:2005GBioC..19.2023D. doi:10.1029/2004GB002318.
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  22. ^ Shear, Michael D. (1 June 2017). "Trump Will Withdraw U.S. From Paris Climate Agreement". The New York Times.
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