Subalterno (postcolonialismo)

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Il «subalterno» è stato coniato da Antonio Gramsci

Il subalterno nel postcolonialismo significa una classe della gente subordinata, più bassa del proletariato e senza la propria voce, in conseguenza dell’egemonia culturale. Il lemma fu inventato dall’intellettuale e marxista teorico italiano Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. Per Gramsci i subalterni non possono protestare l’ingiustizia della loro oppressione sociale al potere dominato perché non hanno un modo per comunicarla.

Il concetto di subalterno aveva acquisito molte significazioni nel corso degli anni e gli studiosi non possono concordare su una definizione singolare.

L’origine del lemma[modifica | modifica wikitesto]

Il lemma “subalterno” esiste prima di Antonio Gramsci nel senso militare, per descrivere il grado sotto capitano, ed era diffuso principalmente dopo la prima guerra mondiale. Però prima di Gramsci, nessuno ebbe pensato al subalterno nel corrente senso post-coloniale e sociale. Si trovano «subalterni» nelle opere di Gramsci almeno già 1919, quando ha scritto Il paese di Pulcinella nell’edizione piedimontese dell’«Avanti!» il 30 gennaio. Qui Gramsci usa il termine come una rivolta contro lo stato italiano, definito appunto «lo Stato di Pulcinella», perché era uno stato di assoluta dissoluzione e irresponsabilità.[1] La ragione perché egli usò un lemma militare riguardo alle classi si vede nel suo articolo su “Lo Stato operaio,” uscito del 18 ottobre 1923, intitolato Il nostro indirizzo sindacale. In esso scrive Gramsci:

«La classe operaia è come un grande esercito che sia stato privato di colpo di tutti i suoi ufficiali subalterni; in un tale esercito sarebbe impossibile mantenere la disciplina, la compagine, la spirito di lotta, l’unicità di indirizzo colla sola esistenza di uno stato maggiore».[1]

Gramsci usa l’analogia dell’esercito per spiegare il disordine della classe operaia e nel processo il lemma gramsciano di subalterno era nato.

La teoria del subalterno[modifica | modifica wikitesto]

Il subalterno secondo Gramsci[modifica | modifica wikitesto]

Gramsci inoltre scrisse sul subalterno quando fu incarcerato in quanto nemico dello stato fascista, capeggiato da Benito Mussolini. Gramsci non fornisce una definizione sistematica ma si può capire nel contesto in cui la parola è usata. Il suo quaderno XXV, intitolato Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni), era dedicato esclusivamente a questo argomento, dove il subalterno è descritto così:

«I gruppi subalterni, mancando di autonomia politica, le loro iniziative «difensive» sono costrette da leggi proprie di necessità, più semplici, più limitate e politicamente più compressive che non siano le leggi di necessità storica che dirigono e condizionano le iniziative della classe dominante. Spesso i gruppi subalterni sono originariamente di altra razza (altra cultura e altra religione) di quelli dominanti e spesso sono un miscuglio di razze diverse, come nel caso degli schiavi. . . . Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi finché non possono diventare «Stato»: la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una funzione «disgregata» e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati».[2]

Dunque i subalterni mancano dell’autonomia politica, vengono spesso dalle altre razze e non sono unificati. Poiché non sono unificati, non si costituiscono in uno stato unico; a causa di questo, le classi subalterne sono inosservabili, e pertanto, non hanno una storia ricordata. Loro sono sotto il potere della cultura egemonica, in questo caso il borghese. Gramsci fa altri riferimenti al subalterno, dimostrando che i subalterni possono essere persone che sembrano aver autorità ma non ce l’hanno. Scrive per esempio che la Chiesa cattolica «non è più una potenza ideologica mondiale, ma solo una forza subalterna».[3] Quindi anche i subalterni possono cambiarsi. I subalterni per Gramsci sono schiacciati dall'iniziativa della classe dominante, senza l’abilità di scampare dalla loro condizione di incapacità.[4]

In un certo senso Gramsci vive in una condizione di subalternità durante la detenzione: non ha accesso alle risorse sufficienti, sofferse molto in uno stato di incapacità e subordinazione. Alcuni studiosi sostengono che Gramsci non possa determinare pienamente il concetto il subalterno perché egli stesso era un subalterno, senza la consapevolezza del suo proprio stato.[5]

La subalterna secondo Spivak[modifica | modifica wikitesto]

Gyatari Spivak fa un discorso sul subalterno a Goldsmiths College

Dopo Gramsci, il termine «subalterno» non trova particolare diffusione, fino a quando viene reintrodotto nel 1985 dalla studiosa postcoloniale Gayatri Chakravorty Spivak in suo eminente saggio intitolato «I subalterni possono parlare?» (Can the Subaltern speak?, pubblicato poi nel 1988)[6]

La sua definizione qui è diversa da quella di Gramsci: per Spivak, il subalterno rappresenta il soggetto privato di ogni possibilità di affermare la propria voce o la propria posizione nel sistema coloniale, ed è più precisamente la subalterna al femminile, perché storicamente la maggior parte dei "subalterni" nel senso analizzato da Spivak erano donne, coinvolte in un doppio sistema di oppressione coloniale e di genere. Spivak scrive: «la subalterna in quanto donna non può essere udita né letta».[7] Il subalterno secondo Spivak è simile all’idea coloniale dell'altro, ma non rappresenta semplicemente la popolazione oppressa o le classi sociali inferiori. Il subalterno spivakiano si riferisce all'«eterogeneità totale dello spazio decolonizzato», ovvero all'identità artificialmente omogenea, remota ed esoticizzata attribuita dall'ex colonizzatore alle comunità ex colonizzate.[8]

Tuttavia, il tentativo stesso di definire il "subalterno" è problematico secondo Spivak, perché comporta l'accettazione del punto di vista coloniale usato per definire l'"altro" (il "Terzo Mondo", il "non occidentale", etc.). Spivak afferma che tutto ciò che viene scritto sul subalterno è il prodotto di una prospettiva eurocentrica e maschile, considerato che la subalterna per definizione non ha mai ricevuto lo spazio storico per esprimere il proprio punto di vista o affermare la propria voce a livello politico, sociale, e culturale. Nell'analisi di Spivak, il progetto coloniale si appoggia infatti su un ideale di «uomini bianchi che salvano le donne marroni dagli uomini marroni» (white men saving brown women from brown men)[9] strumentalizzato per giustificare l'intervento coloniale.

Per illustrare questo ideale, Spivak usa l’esempio del Sati, una pratica storica diffusa tra alcune vedove indiane che si bruciavano vive sulla pira del marito defunto spinte da pressioni sociali e religiose. Spivak rileva che da un lato, gli occidentali criticano questa pratica perché costituisce un massacro, dall'altro, per gli indiani (maschi) questa pratica rappresenta un atto sacro, mentre la voce o la prospettiva delle donne indiane coinvolte viene completamente ignorata; e in tutto ciò, la pratica del Sati viene strumentalizzata dall'Impero britannico per giustificare l'invasione coloniale come legittimo progetto di civiltà volto a salvare le vedove da tale sacrificio.[10] Questo doppio livello di oppressione - coloniale da un lato, di genere dall'altro - è reso possibile dal fatto che per definizione non si possa mai conoscere davvero il subalterno spivakiano, e che quindi non si possa sentirlo. Anziché venire ascoltato, il subalterno viene spiegato attraverso la parola altrui. I subalterni spivakiani, in sintesi, non possano parlare e rimangono separati a causa delle loro differenze.

L’influenza del subalterno negli studi postcoloniali[modifica | modifica wikitesto]

Dopo Spivak i «subalterni» di nuovo diventavano pertinenti ma anche ambigui e semanticamente problematici. Nonostante studiosi eminenti come Homi Bhaba e Edward Said hanno già affrontato i problemi del discorso dell’altro negli studi postcoloniali, nessuno dei due ha usato il lemma «subalterno».[11] Infatti molti studiosi non sono d'accordo con Spivak e asseriscono che il subalterno può davvero parlare. Bruce Robbins risponde espressamente a Spivak, dice che «il critico che accuse altrui di parlare per i subalterni … certo sta anche sostenendo di parlare per loro.»[10] Jill Didur e Teresa Heffernan clamano che il saggio di Spivak è soprattutto motivato dai politici identici.[10] J. Maggio propone la traduzione invece della rappresentazione per capire il subalterno, perché è un modo in cui il subalterno può essere udito mentre il traduttore è consapevole che il suo nuovo testo comprensibile non è l’originale.[10] Altri, come Nicoletta Vallorani, sostiene che postcolonialismo debba essere decolonializzato come si può capire meglio le differenze dei subalterni. Ali Ahmida scrive che i subalterni possono parlare, il problema è quando.[12] Alessandro Giardino sostiene che Giorgio Bassani anche scrisse sul subalterno nel Il romanzo di Ferrara, mostrando che il subalterno «è sempre dentro e fuori di sé e che per unirsi a quella differenza che è l’Altro, questa deve essere innanzitutto accettata all’interno di sé.»[13] Ranajit Guha usa il lemma «subalterno» per un serio del libri intitolati «Subaltern Studies» sugli contadini indiani.[14] Il problema principalmente è che non possiamo definire appunto i subalterni e poi, non possiamo capirli. Il problema non è se il subalterno può parlare, è che nessuno stia udendo.[10]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Guido Liguori, Subalterno e subalterni nei “Quaderni del carcere”, in International Gramsci Journal, vol. 2, n. 1, 1º gennaio 2016, pp. 89-125. URL consultato il 17 luglio 2019.
  2. ^ Gramsci, Antonio. Quaderni del carcere: Volume terzo, Quaderni 12-29 (1932-1935). Einaudi, 2001, pp. 2286-2288.
  3. ^ Green, Marcus E. “Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno." Americanismi: sulla ricesione del pensiero di Gramsci negli Stati Uniti, Mauro (ed.) Pala, CUEC, 2009, pp. 72.
  4. ^ Ibid.
  5. ^ Green, Marcus E. “Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno." Americanismi: sulla ricesione del pensiero di Gramsci negli Stati Uniti, Mauro (ed.) Pala, CUEC, 2009, pp. 74.
  6. ^ Gayatri Chakravorty Spivak, "Can the subaltern speak?" in Marxism and the interpretation of culture, a cura di C. Nelson, Urbana, IL, University of Illinois Press, 1988, pp. 271–313.
  7. ^ Gayatri Chakravorty Spivak, “Can the Subaltern Speak?” in Can the Subaltern Speak?: Reflections on the History of an Idea, Columbia UP, 2010, pp. 63.
  8. ^ Spivak, p. 68.
  9. ^ Spivak, p. 48.
  10. ^ a b c d e J Maggio, “Can the Subaltern Be Heard?”: Political Theory, Translation, Representation, and Gayatri Chakravorty Spivak, in Alternatives: Global, Local, Political, vol. 32, n. 4, 2007-10, pp. 419-443, DOI:10.1177/030437540703200403. URL consultato il 17 luglio 2019.
  11. ^ Vallorani, Nicoletta. “Sidelong Thinking: Disobedient Geographies and Subaltern Cultures.” Altre Modernità, vol. 16, 2016, pp. 120.
  12. ^ Ali Abdullatif Ahmida, When the Subaltern Speak: Memory of Genocide in Colonial Libya 1929 to 1933, in Italian Studies, vol. 61, n. 2, 2006-10, pp. 175-190, DOI:10.1179/007516306x142924. URL consultato il 17 luglio 2019.
  13. ^ Alessandro Giardino, Giorgio Bassani e il ‘subalterno’ come esperienza dell’altro: per una nuova lettura degli Occhiali d’oro, Il giardino dei Finzi-Contini, e Dietro la porta, in The Italianist, vol. 33, n. 3, 2013-10, pp. 427-442, DOI:10.1179/0261434013z.00000000054. URL consultato il 17 luglio 2019.
  14. ^ Lance Brennan e Ranajit Guha, Subaltern Studies I. Writings on South Asian History and Society., in Pacific Affairs, vol. 57, n. 3, 1984, p. 509, DOI:10.2307/2759093. URL consultato il 17 luglio 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ahmida, Ali Abdullatif. “When the Subaltern Speak: Memory of Genocide in Colonial Libya 1929 to 1933.” Italian Studies, vol. 61, no. 2, autunno 2006, pp. 175-190.
  • Di Maio, Alessandra. “Subaltern Studies.” Studi culturali. http://www.studiculturali.it/dizionario/lemmi/subaltern_studies.html
  • Giardino, Alessandro. “Giorgio Bassani e il 'subalterno' come esperienza dell'altro: per una nuova lettura degli occhiali d'oro, il giardino dei Finzi-Contini, e dietro la porta." Italianist: Journal of the Department of Italian Studies, University of Reading and of the Department of Italian, Cambridge UP, vol. 33, no. 3, Oct. 2013, pp. 427-442.
  • Gramsci, Antonio. The Gramsci Reader: Selected Writings 1916-1935. A cura di David Forgacs. New York UP, 2000.
  • Gramsci, Antonio. Quaderni del carcere: Volume terzo, Quaderni 12-29 (1932-1935). Einaudi, 2001.
  • Gramsci, Antonio. Pre-Prison Writings. A cura di Richard Bellamy. Cambridge UP, 1994.
  • Gramsci, Antonio. Selections from the Prison Notebooks of Antonio Gramsci. A cura di Quitnin Hoare e Geofrey Nowell Smith. International Publishers, 1971.
  • Gramsci, Antonio. The Southern Question. Bordighera Incorporated, 2004.
  • Green, Marcus E. “Gramsci non può parlare: presentazioni e interpretazioni del concetto gramsciano di subalterno." Americanismi: sulla ricesione del pensiero di Gramsci negli Stati Uniti, Mauro (ed.) Pala, CUEC, 2009, pp. 71-102.
  • Guha, Ranajit. Subaltern Studies I: Writings on South Asian History and Society. Oxford UP, 1982.
  • Liguori, Guido. “Subalterno e subalterni nei ‘Quaderni del carcere.’” International Gramsci Journal, 2 (1), 2016, pp. 89-125. http://ro.uow.edu.au/gramsci/vol2/iss1/24
  • Maggio, J. “‘Can the Subaltern Be Heard?’: Political Theory, Translation, Representation, and Gayatri Chakravorty Spivak.” Alternatives: Global, Local, Political, vol. 32, no. 4, 2007, pp. 419–443.
  • Spivak, Gayatri Chakravorty. “Can the Subaltern Speak?” Can the Subaltern Speak?: Reflections on the History of an Idea. Columbia UP, 2010, pp. 21-66.
  • Vacca, Giuseppe. “Gramsci, Antonio.” Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002). Treccani. http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-gramsci_(Dizionario-Biografico)
  • Vallorani, Nicoletta. “Sidelong Thinking: Disobedient Geographies and Subaltern Cultures.” Altre Modernità, vol. 16, 2016, pp. 120-133.