Sebastiano Aragonese

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Sebastiano Aragonese (Ghedi, 15101567) è stato un pittore e antiquario italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Scarse e poco note sono le informazioni biografiche circa la vita di Sebastiano, il quale nacque presumibilmente tra il 1510 e il 1523 a Ghedi, in provincia di Brescia, da una famiglia di origine spagnola. Lo stesso cognome Aragonese venne infatti ereditato dal bisnonno Alfonso, giunto in Lombardia forse nella seconda metà del XV secolo, morto sicuramente entro il 1480.[1]

Si sa con certezza che Sebastiano ereditò la passione per la pittura dal padre, che fu appunto pittore ma di scarsa fortuna,[2][3] di cui non restano opere documentate;[4][5] allo stesso modo, non si conosce con certezza il tipo di educazione che ricevette Sebastiano durante il suo apprendistato, seppure si possa ipotizzare che sia stato educato o in uno dei tanti licei allora presenti a Brescia, oppure da un maestro privato.[2] Quasi sicuramente, tuttavia, il giovane poté osservare in prima persona il lavoro svolto nei primi anni del Cinquecento dal Romanino, il quale stava affrescando, proprio in quel periodo, le volte e le sale di palazzo Orsini, dimora situata appunto a Ghedi e commissionata dall'omonimo generale di terraferma della Serenissima.[4] Le cronache inoltre ci testimoniano, riguardo alla vita di Sebastiano, che:[6]

«[...] non havendo niente di buono nella pittura, si diede tutto al disegnar di penna e riuscì in questa professione perfetto, e molto singolare»

L'Aragonese si dedicò dunque alla sistematica copiatura di epigrafi, marmi e iscrizioni di età romana provenienti da Brescia e provincia;[3][7][8] egli diede alle stampe il risultato della sua opera nel 1564, intitolandola «Monumenta antiqua urbis et agri brixiani» e realizzandola non con caratteri tipografici ma, curiosamente, mediante matrici costituite da tavolette lignee incise.[9] Venne così alla luce la prima opera in assoluto dedicata all'epigrafia e storia romana del territorio bresciano, nonché, con tutta probabilità, una delle prime in assoluto in Italia.[9]

Inoltre, 19 delle suddette matrici lignee (in origine dovettero essere 23) con le quali egli operò e stampò la sua opera, sono conservate in buona parte presso la pinacoteca Tosio Martinengo;[7] lo stesso manoscritto originale, invece, come viene anche testimoniato dagli scritti dello medesimo Ottavio Rossi fu conservato per un certo periodo di tempo nello studio di quest'ultimo;[6] in seguito, comunque, il manoscritto originario confluì nelle collezioni della Biblioteca Queriniana, unica a conservarli da allora assieme alla biblioteca apostolica vaticana.[10]

L'intellettuale ed erudito bresciano Giovanni Labus, tra l'altro, ebbe modo di studiare l'opera dell'Aragonese,[11] mediante puntuali osservazioni pubblicate nei primi anni dell'Ottocento dall'Ateneo di Brescia.[9][12][13]

Come testimoniato dal già citato Ottavio Rossi, non si sa per certo se Sebastiano sia morto a Brescia o in altro territorio,[14] seppure si possa ipotizzare il 1567.[5]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Tra le poche notizie certe circa la sua attività pittorica e artistica, si possono ascrivere alla sua mano le seguenti opere:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Lang, p. 95.
  2. ^ a b Fenaroli, p. 9.
  3. ^ a b Antonio Fappani (a cura di), ARAGONESE SebastianoEnciclopedia bresciana
  4. ^ a b c d e Lang, p. 96.
  5. ^ a b Peroni, p. 38.
  6. ^ a b Rossi, p. 517.
  7. ^ a b Lang, p. 100.
  8. ^ Fenaroli, p. 11.
  9. ^ a b c Lang, p. 98.
  10. ^ Antonio Fappani (a cura di), ARAGONESE SebastianoEnciclopedia bresciana
  11. ^ Fenaroli, p. 12.
  12. ^ Giovanni Labus, Dissertazione su d'un libro rarissimo di antichi monumenti bresciani raccolti dall'Aragonese colle notizie biografiche dell'Aragonese, in Commentarii dell'Ateneo di Brescia, vol. 1, Brescia, 1813, pp. 111-118.
  13. ^ Giovanni Labus, Intorno vari antichi monumenti scoperti in Brescia, Brescia, Bettoni, 1823, pp. 131-139.
  14. ^ Rossi, pp. 517-518.
  15. ^ Fenaroli, p. 10.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN53970178 · ISNI (EN0000 0000 8077 3353 · BAV 495/25007 · CERL cnp01228199 · ULAN (EN500091220 · LCCN (ENno2008133760 · GND (DE141894415