Presenza militare sovietica all'estero

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Dispiegamento delle forze sovietiche all'estero a partire dal 1984 .

Le forze armate dell'Unione Sovietica all'estero erano un insieme di formazioni operative e strategiche di varia composizione e dimensione, che svolgevano missioni di servizio e di combattimento, in conformità con i trattati e gli accordi internazionali, al di fuori dell'Unione Sovietica: nell'Europa centro-orientale e nei Balcani, nel sud-est asiatico, in Africa, nella penisola arabica e nel Medio Oriente, nei Caraibi e nel Sud America, nonché in alcune isole e drift di ghiaccio simili a isole dell'Oceano Atlantico, Indiano e Pacifico.

La presenza di militari sovietici in alcuni paesi era o permanente (con ufficiali, praporščik, mičman ecc. alloggiati nei campi militari con le loro famiglie, mentre l'istruzione nelle scuole locali era aperto per i figli dei militari sovietici), oppure era svolto come missione. Molto spesso la presenza di piccole formazioni di specialisti militari sovietici (da diverse decine a diverse migliaia di persone) in un determinato paese non veniva resa pubblica o era stata accuratamente nascosta al nemico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'Europa venne divisa nel blocco occidentale, sotto l'influenza degli Stati Uniti d'America, e nel blocco orientale, sotto l'influenza dell'Unione Sovietica. Truppe sovietiche furono schierate nella Zona di occupazione sovietica in Germania e in Austria, in Polonia, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia e Bulgaria.

Durante la guerra fredda, le due superpotenze stipularono alleanze militari che portarono alla realizzazione di basi militari estere nei territori europei e alleati.

La maggior presenza estera dell'Unione Sovietica era nei Paesi aderenti o associati al Patto di Varsavia, firmato nel 1955 in risposta alla NATO e alla diffusione di armamenti e truppe statunitensi nell'Europa occidentale. Negli anni cinquanta e sessanta, il governo sovietico inviò armamenti e specialisti militari per sostenere i movimenti di liberazione nazionale in Africa e nel Sud-Est Asiatico.[1][2]

Nel 1962, l'URSS installò a Cuba con il consenso di Fidel Castro una base con missili nucleari a lungo ed intermedio raggio in risposta al posizionamento di missili statunitensi PGM-19 Jupiter in Turchia e in Italia e all'invasione della baia dei Porci, provocando una forte crisi tra le due superpotenze che si concluse con la rimozione dei missili da parte di entrambi gli schieramenti. Sull'isola rimase tuttavia un contingente di specialisti sovietici[3] e fu creato il centro SIGNIT di Lourdes utilizzato dai servizi segreti sovietici e cubani.[4]

Nel 1966, il governo sovietico stipulò un accordo per stanziare le proprie truppe nella Repubblica Popolare Mongola.[5]

Aerei Tupolev Tu-142 dell'aviazione sovietica nell'aerodromo di Cam Ranh.

Il 1º agosto 1966, presso il Ministero della difesa dell'URSS fu creata la "Direzione della costruzione di oggetti all'estero" (in russo Управления строительства объектов за границей, УСОЗГ?, Upravlenija stroitel’stva ob"ektov za granicej, USOZG) su iniziativa del maggior generale del servizio tecnico ed ingegneristico Aleksej Iščenko.[6] L'area d'interesse dell'USOZG era principalmente l'Africa, dove l'URSS sosteneva le forze indipendentiste tramite forniture e addestramenti sul campo, ma la Direzione contribuì alla realizzazione di infrastrutture civili e militari in più di cinquanta paesi del mondo.[6]

Il 2 maggio 1979, due mesi dopo la fine della guerra sino-vietnamita, l'Unione Sovietica e il Vietnam firmarono un accordo sull'utilizzo della base militare di Cam Ranh come centro logistico per la Marina Sovietica per un periodo di 25 anni. Sulla base della direttiva del quartier generale della flotta del Pacifico del 28 agosto 1980, fu creata la base di Cam Ranh come punto logistico permanente.[7][8]

Tra il 1979 e il 1988, l'URSS operò una rete di basi militari sul territorio della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, nel contesto del conflitto afgano contro i mujaheddin finanziati dagli Stati Uniti.[9][10][11]

Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, negli anni novanta la Federazione russa ha condotto il ritiro delle truppe nei territori esteri, continuando però a mantenere basi strategiche in Africa e in Asia.[8]

Contingenti dell'esercito[modifica | modifica wikitesto]

Communist star with golden border and red rims.svg
Simbolo delle forze armate sovietiche.

Europa[modifica | modifica wikitesto]

Asia[modifica | modifica wikitesto]

America[modifica | modifica wikitesto]

Basi della Marina militare sovietica[modifica | modifica wikitesto]

Naval Ensign of the Soviet Union (1950–1991).svg
Insegna navale della Marina militare sovietica, usata dal 1950 al 1991.

Nel mondo, la marina militare sovietica era presente attraverso i "Punti logistici" (in russo пункт материально-технического обеспечения, ПМТО?, punkt material’no-techničeskogo obespečenija, PMTO), aree di cinquanta o più chilometri quadrati e progettati per ospitare diverse migliaia di soldati.[12] Le basi erano dotate di un'infrastruttura sviluppata con posti barca, un molo, un deposito di carburante ed un arsenale, inoltre era obbligatoria la presenza di mezzi di trasporto terrestri e attrezzature speciali.[12] Il sistema di sicurezza di una PMTO comprendeva imbarcazioni e navi da pattuglia, un perimetro fortificato e personale di fanteria marina con armi pesanti e mezzi blindati.[12] Il punto logistico poteva avere un campo d'aviazione con caccia intercettori, aerei antisommergibili, da ricognizione e da trasporto.[12]

Europa[modifica | modifica wikitesto]

Asia[modifica | modifica wikitesto]

America[modifica | modifica wikitesto]

Africa[modifica | modifica wikitesto]

Aviazione navale dell'URSS[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (RU) Konstantin Volkov, Как Африка стала свободной благодаря СССР, su Российская газета, 25 maggio 2020. URL consultato il 12 agosto 2020.
  2. ^ a b OkorokovВоенное сотрудничество с Индонезией.
  3. ^ (RU) Памятник советским воинам-"кубинцам" открыт под Петербургом - штаб ЗВО, su Интерфакс - АВН, 8 settembre 2017. URL consultato il 10 agosto 2020.
  4. ^ (RU) Имеющий уши да вновь услышит, in Коммерсантъ, 16 luglio 2014. URL consultato il 10 agosto 2020.
  5. ^ (EN) Soviet Troops to Leave Mongolia in 2 Years, su Los Angeles Times, 3 marzo 1990. URL consultato il 10 agosto 2020.
  6. ^ a b (RU) Viktor Baranec, Как СССР строил военные базы за рубежом, su Комсомольская правда, 1º agosto 2011. URL consultato il 10 agosto 2020.
  7. ^ a b c (RU) Valerij Korneev, Военная база Камрань, su ТАСС, 18 febbraio 2015. URL consultato il 10 agosto 2020.
  8. ^ a b c d e f g h (RU) Советские и российские военные базы за рубежом, su РИА Новости, 7 ottobre 2016. URL consultato l'11 agosto 2020.
  9. ^ (EN) Donald L. Barlett e James B. Steele, The Oily Americans, in Time, 13 maggio 2003. URL consultato il 12 agosto 2020.
  10. ^ История участия СССР в афганском конфликте, su ТАСС. URL consultato il 12 agosto 2020.
  11. ^ (RU) Афганская война 1979-1989 кратко, причины, ход, итоги, su histrf.ru. URL consultato il 12 agosto 2020.
  12. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t (RU) Сеть зарубежных баз ВМФ СССР, su Военное обозрение, 23 aprile 2013. URL consultato l'11 agosto 2020.
  13. ^ Robert E. Harkavy, Bases Abroad: The Global Foreign Military Presence, Oxford University Press, 1989, ISBN 978-0-19-829131-2.
  14. ^ (RU) Авиация ВМФ СССР после Второй мировой войны, su Красные соколы нашей Родины. URL consultato il 10 agosto 2020.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • A. V. Okorokov, Тайные войны СССР. Советские военспецы в локальных конфликтах XX века, Mosca, Издательство «Вече», 2012.
  • A. G. Lenskij e M. M. Cybin, Советские Сухопутные войска в последний год Союза ССР. Справочник, San Pietroburgo, В&К, 2001.
  • V. I. Fes'kov, K. A. Kalašnikov e V. I. Golikov, Советская Армия в годы «холодной войны» (1945-1991), Tomsk, Издательство Томского университета, 2004.
  • V. I. Fes'kov, K. A. Kalašnikov e S. A. Slugin, Сухопутные войска, in Вооруженные силы СССР после Второй мировой войны: от Красной армии к Советской, Tomsk, Издательство научно-технической литературы, 2013.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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