Portale:Televisione/Box-2/31

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Paleotelevisione indica la televisione italiana irradiata dalla Rai nel periodo nel periodo dall’inizio delle trasmissioni (1954) alla fine del monopolio (metà degli anni settanta). Il termine è stato coniato, in contrapposizione a neotelevisione da Umberto Eco e sta a contraddistinguere uno speciale modo di concepire il mezzo televisivo. Era molto sentito il fatto che quello svolto dalla Rai (allora Rai Radiotelevisione italiana) era un servizio pubblico che si sosteneva essenzialmente sul canone di abbonamento e solo in via sussidiaria sugli introiti pubblicitari. Il compito precipuo veniva sentito in quello di svolgere una funzione di divulgazione culturale. Si è parlato di compito pedagogico con trasmissioni come quella di Alberto Manzi, Non è mai troppo tardi. Anche il palinsesto televisivo dava larga importanza ad una netta distinzione di generi. Svolgere un servizio in regime di monopolio affrancava la Rai dalla necessità di inseguire il gusto del pubblico, che cominciava a poter operare delle scelte solo attraverso la pluralità delle reti Rai, che divennero dapprima due e poi tre. Direttore generale dal 1961 al 1974 (gli anni più tipici della paleotelevisione) fu Ettore Bernabei. Il fiorire delle televisioni locali prevalentemente con intenti commerciali, spostò l'attenzione dal prodotto televisivo al gradimento del pubblico, rilevato statisticamente da strumenti sempre più sofisticati come l'Auditel fece cessare la volontà di avere scopi pedagogici e portò all'attenuazione della distinzione dei generi. Era perciò nata la neotelevisione.

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