Parlamento delle Due Sicilie

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Parlamento delle Due Sicilie
I chiostri di Monteoliveto, un tempo sede del Parlamento delle Due Sicilie.
StatoBandiera delle Due Sicilie Regno delle Due Sicilie
Tipoparlamento
Istituito1820
Soppresso1849
SedeNapoli

Il Parlamento delle Due Sicilie si insediò a Napoli due volte, nel 1820 e nel 1848. La prima volta fu durante i moti di quell'anno, la seconda, a seguito dei moti rivoluzionari della Primavera dei popoli, e durò fino a marzo del 1849.

Il parlamento del 1820[modifica | modifica wikitesto]

Rientro in Napoli di Ferdinando I nel 1821, scortato dalle truppe austriache

Durante i moti del 1820-1821 un Parlamento delle due Sicilie fu istituito quando nel luglio 1820 re Ferdinando I concesse la Costituzione, su modello della Costituzione spagnola del 1812[1]. Il primo ottobre iniziarono i lavori del nuovo parlamento napoletano eletto alla fine di agosto, nel quale prevalevano gli ideali borghesi diffusi nel decennio francese. Aveva sede nei locali del Monastero di San Sebastiano, nell'omonima via.

A Palermo intanto il governo provvisorio siciliano chiese al governo rivoluzionario di Napoli il ripristino del Regno di Sicilia, seppur sempre a guida borbonica, e il riconoscimento del proprio parlamento (soppresso di fatto nel dicembre 1816), che tornò a riunirsi il 16 luglio. Il generale napoletano Florestano Pepe, con l'accordo di Termini Imerese del 22 settembre, concesse ai siciliani la possibilità di eleggere una propria assemblea di deputati.

Fu inviata una delegazione dalla Sicilia a sostenere queste tesi, ma l'accordo non fu ratificato in ottobre dal neoeletto parlamento di Napoli[2]. Il 19 marzo 1821 ci fu l'ultima seduta dell'assise, e Napoli il 23 marzo venne occupata dalle truppe austriache a sostegno dei Borbone, la costituzione venne sospesa e il parlamento chiuso.

Il parlamento del 1848[modifica | modifica wikitesto]

Lo statuto costituzionale[modifica | modifica wikitesto]

Re Ferdinando II di Borbone concesse una Costituzione del Regno delle Due Sicilie, con il Regio Decreto del 29 gennaio 1848, ispirandosi al modello francese, con il potere legislativo condiviso tra re e Parlamento. Ad aprile 1848 si tennero le elezioni per i deputati, cui non presero parte i siciliani, che dopo la rivolta popolare avevano costituito un regno autonomo con una propria costituzione.

Presidenza[modifica | modifica wikitesto]

Alla presidenza venne acclamato il conte Domenico Capitelli, illustre avvocato ed emerito studioso giusnaturalista, originario di San Tammaro, comune della provincia di Caserta, ed eletto deputato al parlamento, con circa 10.000 voti avuti nelle province di Napoli e di Terra di Lavoro.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Gli scontri del 15 maggio 1848

Il 15 maggio a Napoli, il giorno successivo all'apertura della Camera, ci furono clamorose manifestazioni da parte dei deputati costituzionali (ed in particolare quelli repubblicani). Questi insistettero nella richiesta a re Ferdinando II di modificare parte della Costituzione su cui avrebbe dovuto giurare. Nella notte fra il 14 e 15 maggio, mentre i deputati tentavano le ultime negoziazioni col Re, iniziarono a sorgere delle barricate, una delle quali in via Toledo. I disordini però determinarono la reazione regia e quindi lo scioglimento della Camera da parte di Ferdinando II.[3]

Un deputato, Pasquale Stanislao Mancini, per stigmatizzare la reazione borbonica scrisse una famosa protesta, di cui furono cofirmatari altri 66 parlamentari, che recitava così:

«La Camera dei deputati riunita nelle sue sedute preparatorie in Monteoliveto, mentre era intenta coi suoi lavori all'adempimento del suo sacro mandato, vedendosi aggredita con inaudita infamia dalla violenza delle armi regie e nelle persone inviolabili dei rappresentanti nei quali concorre la sovrana rappresentanza della Nazione, protesta in faccia alla Nazione medesima, in faccia all'Italia, di cui l'opera del suo provvidenziale risorgimento si vuol turbare con il nefando eccesso, in faccia all'Europa civile, oggi ridestata allo spirito di libertà, contro quest'atto di cieco e incorreggibile dispotismo; e dichiara che essa non sospende le sue sedute, se non perché costretta dalla forza brutale; ma, lungi di abbandonare l'adempimento dei suoi solenni doveri, non fa che sciogliersi momentaneamente per riunirsi di nuovo dove ed appena potrà, affine di prendere quelle deliberazioni che sono reclamate dai diritti del popolo, dalla gravità della situazione e dai principi della conculcata umanità e della dignità nazionale.»

Dopo i disordini si tennero comunque nuove elezioni il 15 giugno, ma la nuova Camera dopo la prima seduta d'insediamento il 10 luglio[4], fu rinviata diverse volte fino al 12 marzo 1849, quando Ferdinando II sciolse una seconda, e ultima volta l'assise, ristabilendo di fatto l'assolutismo regio fino al 1860.

Sede[modifica | modifica wikitesto]

Il parlamento ebbe sede nei Chiostri di Monteoliveto, cioè negli edifici del monastero attiguo alla Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi, dove mezzo secolo prima si era riunita la Giunta di Stato per i processi ai giacobini dopo la soppressione della Repubblica Napoletana del 1799.

La concessione della Costituzione del 1860 a Napoli.

Nel 1860[modifica | modifica wikitesto]

Durante la spedizione dei Mille, dopo la presa di Palermo da parte dei garibaldini, re Francesco II delle Due Sicilie con un decreto del 1º luglio 1860, richiamò in vigore la costituzione del 1848. Nell'allegato al decreto era scritto che Il parlamento nazionale è convocato in Napoli pel dì 10 settembre 1860. I collegi elettorali son convocati per procedere alla elezione de' Deputati il dì 19 Agosto. Le elezioni furono rinviate poi al 26 dello stesso mese, con la Sicilia sotto un governo dittatoriale e l'Esercito meridionale già in Calabria, e videro scarsa affluenza di candidati alle liste elettorali e di elettori alle urne. Non fu convocato perché il 6 settembre Francesco II lasciò Napoli sul vapore Messaggero per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. L'indomani Garibaldi entrò nella capitale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Natale Vescio, Nicola Nicolini e la Costituzione napoletana del 1820, Modena: Enrico Mucchi Editore, Archivio giuridico Filippo Serafini : CCXXXV, 1, 2015.
  2. ^ Antonio Maria Orecchia, La difficile unità, 2012, pagina 45, su books.google.it. URL consultato il 30 dicembre 2016 (archiviato l'11 aprile 2016).
  3. ^ Guglielmo Capitelli, Della vita e degli studi di Domenico Capitelli, presidente del parlamento napoletano del 1848, Tip. Monti, Bologna, 1874.
  4. ^ "Protagonista della sessione estiva" della Camera fu Silvio Spaventa: Bernardo Sordi, Spaventa, Silvio, Treccani - Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Diritto (2012).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]