Parabola del fattore infedele

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La Parabola del fattore infedele, conosciuta anche come la Parabola dell’amministratore disonesto, è una parabola di Gesù riportata solamente nel Vangelo secondo Luca, 16,1-8[1].

Racconto[modifica | modifica wikitesto]

« Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. »   ( Luca 16,1-8, su laparola.net.)

Interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

La parabola genera diversi interrogativi, per la presentazione di un uomo disonesto come modello da cui imparare. Alcuni commentatori si rifanno alle usanze ebraiche dell’epoca, secondo cui gli amministratori dei proprietari terrieri non venivano stipendiati ma ricavavano il loro guadagno dall'amministrazione delle terre, tolto il profitto pattuito per il proprietario: l'amministratore avrebbe diminuito le quote dovute dai contadini rinunciando alla propria parte di guadagno. Ciò non è però ritenuto convincente da altri commentatori, secondo cui l’amministratore si sarebbe invece comportato da usuraio verso i contadini, gonfiando oltre misura il dovuto; diminuendo le quote, avrebbe richiesto ciò che era giusto, assicurando il giusto profitto a sé e al proprietario.[2][3]

L’aspetto principale da considerare nella parabola non è però l’onestà o disonestà dell’amministratore ma la sua furbizia, per cui dovrebbe essere intitolata "parabola del fattore astuto". In realtà si vuole lodare la furbizia dell’amministratore, che si trova all'improvviso in una situazione difficile e invece di aspettare passivamente gli eventi si mette a cercare una soluzione, mettendola in atto con prontezza e decisione. Allo stesso modo i cristiani dovrebbero agire con decisione facendo ciò che è necessario per entrare nel Regno dei cieli. Gesù inoltre invita a usare correttamente la ricchezza, che viene definita disonesta perché spesso è frutto di disonestà o può diventare fonte di ingiustizia. I beni di questo mondo di cui disponiamo ci appartengono temporaneamente: nei loro confronti dobbiamo considerarci non come padroni ma come amministratori, usandoli per fare del bene. Gli amici da conquistarci con la ricchezza di questo mondo rappresentano i poveri e i bisognosi.[4][5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

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