Palazzo Altieri (Oriolo Romano)

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Voce principale: Oriolo Romano.
Palazzo Santacroce-Altieri
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLazio
LocalitàOriolo Romano
IndirizzoPiazza Umberto I, 2
Coordinate42°09′34.85″N 12°08′17.77″E / 42.15968°N 12.13827°E42.15968; 12.13827
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1579 - 1674
Inaugurazione1585
Stilemanierismo
Usomuseo
Piani3
Realizzazione
ArchitettoCarlo Fontana
ProprietarioMinistero della Cultura
CommittenteSantacroce (1579-1602), Orsini (1603-1670), Altieri (1674)

Il Palazzo Santacroce-Altieri è una residenza nobiliare che si trova ad Oriolo Romano, un comune in provincia di Viterbo. Edificato negli anni 1579-1585 dai Santacroce, fu ampliato dalla famiglia Altieri nel 1674, durante il papato di Clemente X, l'esponente più rilevante della famiglia.[1]

Il palazzo ha annesso un parco delimitato da mura al quale i proprietari potevano accedere tramite un accesso privato costituito da un passetto. La facciata è sobria. L'interno contiene molti affreschi: le sette immagini di Roma, storie dell'Antico Testamento e paesaggi che rappresentano luoghi appartenenti all'epoca alla famiglia: Vicarello, Castello di Rota, Monterano, Viano ed altri. Il palazzo contiene nell'ala est anche la Galleria dei Papi, una collezione di ritratti di tutti i papi della chiesa cattolica. La galleria servì da modello per i ritratti dei papi di San Paolo fuori le mura che erano andati distrutti dopo l'incendio del 1823.[2]

Lo storico dell'arte Costantino D'Orazio ha dedicato al palazzo un episodio della trasmissione AR - Frammenti d'ARte.[3]

Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale del Lazio, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il palazzo Santacroce-Altieri, fu edificato nel corso degli anni 1579-1585 per volontà di Giorgio II Santacroce[4] quale fondatore, e di suo figlio Onofrio III che ha nel tempo proseguito la realizzazione del palazzo la cui costruzione corrisponde ai diversi periodi di presenza delle tre famiglie storicamente proprietarie del palazzo: i Santacroce dal 1579 al 1602, gli Orsini dal 1603 al 1670, gli Altieri dal 1671 al 1971.[1]

A causa dei debiti accumulati dalla famiglia Altieri, le principesse ereditarie nel 1970 misero all'asta gli oggetti d'arte, mobili, libri, strumenti musicali.[5] Per impedire la messa all'asta anche del palazzo lo Stato Italiano lo acquistò con diritto di prelazione; il parco inspiegabilmente escluso dal diritto di prelazione fu acquistato da un noto avvocato romano; solo nel 2010 il parco tornò fruibile al pubblico. Attualmente sia il palazzo sia il parco sono di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Esso risulta un tipico palazzo-villa[6], che sviluppa in senso manieristico lo schema cinquecentesco di edificio a corpo centrale con loggiato tra corpi laterizi elevati in forma di torre. Il loggiato centrale è a cinque arcate e poggia sul sottostante vano rettangolare di pietra dura basaltica. La tradizione attribuisce la paternità del palazzo così come l’intero quadro urbanistico, a Jacopo Barozzi detto il Vignola, ma è un’attribuzione molto dubbia.[7] Il palazzo raggiunse l’attuale configurazione nei secoli XVII-XVIII ad opera degli Altieri sotto la direzione di Carlo Fontana. Ai corpi esterni vennero aggiunte le due ali di direzione nord, così da creare un ampio cortile. Fu elevata in posizione asimmetrica la torretta con l’orologio, abbellito l’ingresso con il ponte in pietra basaltica e rifatta la bella fontana al centro della piazza antistante il palazzo. L’interno è articolato in ampi e ben distribuiti ambienti, decorati con stucchi, affreschi e pitture di buona fattura, alcune attribuite alla scuola di Taddeo Zuccari. L’arredo del palazzo è in gran parte disperso, ciò che attualmente resta è originale del 600.[8]

Il museo[modifica | modifica wikitesto]

Villa Altieri, Casino di caccia (o Palazzina della prospettiva)
Villa Altieri, fontana

Il Museo è articolato al suo interno in 14 sale, disposte a destra e sinistra del Salone degli Avi, fulcro del palazzo, la Cappella S. Massimo opera degli Orsini, e la Galleria dei Papi. Il Salone d’ingresso, atrio, ha nella volta rappresentato Fetonte che guida i cavalli del Sole, a seguire il Salone degli Avi con i ritratti degli Altieri con i loro stemmi e blasoni, la Sala di passaggio, la Sala di Giuseppe e delle Belle, dove rimangono nove degli undici ritratti delle sorelle Mancini dipinti da Jacob Ferdinand Voet, tra gli affreschi delle pareti vi è una preziosa immagine del palazzo prima degli interventi operati dagli Orsini e dagli Altieri. La Sala da pranzo, presenta dipinti tardo-settecenteschi che raffigurano i feudi circostanti, il palazzo e la via Altieri di Oriolo Romano. La sala da pranzo, risale alla fine del XVIII sec. È datata 1781 e firmata Giuseppe Barberi[9], che era l’architetto di fiducia degli Altieri, legato agli ambienti francesi giacobini. La decorazione di gusto neoclassico manifesta un’eccezionale unità stilistica nelle pareti e negli arredi ed è realizzata con la tecnica del marouflage tipico modo di decorare le pareti in ambiente nordico e francese fissando alla parete una tela preparata e dipingendo su questa la rappresentazione voluta. Nel soffitto riquadrature geometriche, motivi floreali, grottesche, piccole figure mitologiche e fantastiche.

A seguire vi è la Sala affrescata da Giovanni Baglione,[10] La Sala del sogno di Giacobbe, la Sala di Giosuè, la Sala di David, la Sala di Eliseo, la Saletta delle Vedute o di Riposo, la Sala del Sacrifico di Elia, la Sala dell’Eterno, la Sala del Trono ed infine la Galleria dei Papi. L’attribuzione a Giovanni Baglione del ciclo di affreschi tardocinquecenteschi del palazzo ed in particolare delle sale di David, Eliseo, Giosuè, Giacobbe è incerta; secondo ulteriori studi compiuti nel 2007 da Enrico Guidoni il ciclo degli affreschi sarebbe da attribuire a Andrea Boscoli.[11]

Galleria dei Papi[modifica | modifica wikitesto]

Delle collezioni presenti nel Museo, la più originale e di notevole importanza storico-documentaria è la Galleria dei Papi, voluta da Clemente X, che comprende ritratti raffiguranti i papi che si sono succeduti nella storia della Chiesa. Ideatore della collezione fu il cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni, adottato come nipote dal papa Clemente X, che nella seconda metà del XVII commissionò ad alcuni artisti la realizzazione delle effigi papali, tratte da antiche fonti iconografiche e corredate da stemma araldico, cartiglio con le qualità del pontefice, eventi storici del suo pontificato, un motto in latino.

La raccolta è particolarmente importante poiché è l’unica completa esistente di tutte le serie di ritratti papali, tra cui le più famose sono quelle del palazzo Colonna di Marino e della Basilica di Superga. Quando con l’incendio del 1823 della Basilica di San Paolo fuori le mura vennero distrutti i medaglioni con le effigi dei Papi, la loro copia fu tratta da quelli della galleria di Oriolo, che attualmente consta di 266 ritratti di sommi Pontefici, dal primo S. Pietro, a papa Giovanni Paolo II, sono presenti anche Benedetto XVI e l’attuale Papa Francesco. La lunga galleria si sviluppa per 70  in una sequenza di nove sale, la maggior parte dei ritratti, esattamente 242, è stata eseguita prima della fine del seicento. L’uniformità stilistica e di composizione fa presumere come esecutori artisti della medesima scuola. Il ritratto di molti dei papi del cinquecento e del seicento è copiato da esemplari eseguiti da artisti famosi: Giulio II è copia da Raffaello, Paolo III da Tiziano, Paolo V dal Caravaggio. La disposizione dei quadri è in ordine cronologico: San Pietro è posto sulla prima fila in alto a destra di chi entra dalla porta, mentre il più recente nella fila in basso a sinistra.[1]

La Villa[modifica | modifica wikitesto]

Giorgio II Santacroce aveva già previsto il parco annesso al palazzo e i lavori per la sua sistemazione iniziarono nel 1582 e proseguirono a lungo. Il progetto originale, affidato all'architetto Troiano Schiratti, doveva realizzarsi in un’area di 17 ettari per la creazione di un parco per la caccia; nel corso della realizzazione si optò per l'attuale sistemazione compresa su di una superficie di 8 ettari racchiusa da mura.

Alla villa si accede da un ampio portale sormontato dallo stemma della famiglia Altieri; i membri della famiglia nobiliare accedevano invece direttamente dal palazzo tramite un passetto realizzato da tre archi. La particolarità di questo giardino sta nel fatto che non segue i canoni architettonici paesaggistici del manierismo del giardino all'italiana allora in voga ma grazie alla realizzazione di ampie aree di campagna con la presenza di alberi quali tassi e cedri del libano e viali alberati di lecci e olmi anticipa di circa due secoli la forma del giardino all'inglese.[12]

Dal 20 maggio 2010 la Villa Altieri è parco comunale.[13] La villa ad aprile 2017[14] è stata iscritta nella Rete delle dimore storiche del Lazio[15] istituita con L.R. 20 Giugno 2016, n. 8.[16]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Cipollone R.G., Palazzo Altieri. Oriolo Romano. Restauro e la valorizzazione dell'area museale di Palazzo Altieri.
  2. ^ Palazzo Altieri, su polomusealelazio.beniculturali.it. URL consultato il 6 agosto 2020.
  3. ^ Costantino D'Orazio, AR: Oriolo Romano: Palazzo Altieri da favola, 2019, Rai News24, 14 giugno 2019. URL consultato il 16 giugno 2019.
  4. ^ La famiglia Santacroce era presente a Roma dal Mille, abitava nel rione Sant’Angelo dal XII sec. In origine erano mercanti ma riuscirono ad introdursi nell’ambiente curiale con quattro cardinali. Si estinsero nel 1867; le ultime discendenti andarono spose a nobili romani: Luisa al marchese Rangoni, Vincenza al conte Sforza Cesarini e Valeria al marchese Passari.
  5. ^ L'asta si tenne nel palazzo tra il 26 novembre e il 6 dicembre 1970. La maggior parte degli oggetti d'arte di questa asta, tra cui alcuni ritratti del '600 e '700 romano delle principesse Altieri, vennero acquistati dagli avvocati Fabrizio e Fiammetta Lemme che con donazione del 28 maggio 2007 cedettero al Museo del Barocco romano di Palazzo Chigi di Ariccia. Cfr. i cataloghi Asta pubblica degli arredi e oggetti d'arte di palazzo Altieri. 26 novembre - 6 dicembre 1970. Oriolo Romano (Viterbo), 1970, SBN IT\ICCU\UBO\3908803. e Francesco Petrucci (a cura di), Dipinti tra rococò e neoclassicismo da palazzo Chigi in Ariccia e da altre raccolte, Roma, Gangemi, 2013, p. 60, ISBN 978-88-492-2708-6, LCCN 2017423642, OCLC 864561186, SBN IT\ICCU\CFI\0823551.
  6. ^ Per la fase iniziale del progetto di pianificazione del borgo e del palazzo si ipotizza l’attribuzione a Ludovico Agostini, trattatista ed urbanista rinascimentale senza peraltro escludere anche la diretta partecipazione nell’ideazione di Giorgio II Santacroce, cultore delle teorie rinascimentali. Gli studi di R.G. Cipollone e G. Lepri hanno permesso di identificare nell’architetto Troiano Schiratti il progettista degli ampliamenti sui bastioni, della sistemazione della loggia sia in facciata che all’interno, della realizzazione delle mura di cinta del palazzo lungo la via Clodia, per il periodo che va dal 1583 fino alla morte di Onofrio III Santacroce (†1604). Cfr. Cipollone R.G., Palazzo Altieri. Oriolo Romano. Restauro e la valorizzazione dell'area museale di Palazzo Altieri e Giada Lepri, Fondazioni cinquecentesche nell'Alto Lazio tra sviluppo e utopia, p. 118.
  7. ^ Tale tradizione non trova fondamento storico in quanto il Vignola muore nel 1573 mentre la costruzione del palazzo avviene a partire dal 1579. Arnaldo Bruschi esclude che Jacopo Barrozzi abbia lavorato al progetto urbanistico del paese e del palazzo, sebbene i Santacroce frequentassero i Farnese, cfr. Bruschi A., Oltre il Rinascimento. Architettura, città, territorio nel secondo Cinquecento, pp. 220-221.
  8. ^ Le sale mantengono parte dell’arredo originario, che risale principalmente alla fase Altieri. Manufatti artistici prodotti da mobilieri romani del seicento e del tardo settecento, come le consolle Luigi XVI, dorate e laccate con ripiani in marmo fior di pesco, giallo di Siena, verde venato e poltrone a “canneté” anch’esse laccate e dorate, risultano studiate in maniera unitaria con l’insieme decorativo delle singole sale e pienamente raccordate con esso in un'eccezionale unità stilistica.
  9. ^ Per i progetti e le opere di Giuseppe Barberi si rimanda a Andrea Busiri Vici, BARBERI, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 6, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1964. e al libro di Piccioni M., Giuseppe Barbèri un architetto per Oriolo 1746-1809.
  10. ^ Le sale con gli affreschi del ciclo biblico, rappresentano il manifesto o programma di vita di Onofrio III Santacroce e della sua famiglia. È manifesta chiaramente la volontà del committente di stabilire una relazione diretta tra le vite dei personaggi biblici e i ruoli “significativi” dei singoli famigliari a cui sono destinate le stanza. È il giovane Giovanni Baglione pittore tardo-manierista romano ad eseguire gli affreschi sulla volta delle quattro sale. Si nota l’influenza degli artisti manieristi emiliani di palazzo Farnese a Caprarola: Bertoja, Raffaellino da Reggio, Giovanni Guerra.
  11. ^ Guidoni E., Gli affreschi con storie bibliche nel Palazzo Santacroce di Oriolo Romano, capolavoro di Andrea Boscoli, p. 27.
  12. ^ Cipollone R.G., Palazzo Altieri. Oriolo Romano. Restauro e la valorizzazione dell'area museale di Palazzo Altieri, p. 10.
  13. ^ Comune di Oriolo, Donata al Comune di Oriolo Romano “Villa Altieri”, in L’Agone, 9 giugno 2010. URL consultato l'8 luglio 2019 (archiviato dall'url originale l'8 luglio 2019).
  14. ^ Determina Area valorizzazione del patrimonio culturale della Regione Lazio n. G05365 del 24/04/2017.
  15. ^ Parco Villa Altieri, su retedimorestorichelazio.it. URL consultato il 5 novembre 2019.
  16. ^ Interventi di valorizzazione delle dimore, ville, complessi architettonici, parchi e giardini di valore storico e culturale della Regione Lazio e disposizioni a tutela della costa laziale, su regione.lazio.it. URL consultato il 5 novembre 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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