Ode del carpe diem

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(LA)

«Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.»

(IT)

«Non chiedere, o Leuconoe (è illecito sapero) qual fine
Abbiano a te e a me assegnato gli dei,
e non scrutare gli oroscopi babilonesi. Quant’è meglio accettare
quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni,
oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno
contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca
lunghe speranze per la vita breve. Parliamo e intanto fugge l’astioso
tempo. Afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.»

L'ode del Carpe Diem (Odi, I, 11) è un ode del poeta latino Quinto Orazio Flacco, tratta dalla sua opera le Odi, da cui è tratta la celebre locuzione latina del Carpe Diem, traducibile in italiano con "afferra il giorno", o talvolta resa come "cogli l'attimo".

Significato[modifica | modifica wikitesto]

In una manciata di versi Orazio tratteggia il messaggio centrale della sua concezione poetica e filosofica: la precarietà e caducità dell'esistenza umana, che ci invita a far tesoro dei piccoli momenti della vita presente, senza nostalgia per il passato né speranze in un futuro imperscrutabile.

I versi sono rivolti a Leuconoe, interlocutrice femminile il cui nome, dal greco, significa "bianca mente" (con allusione all'ingenuità del personaggio). È compito di Orazio ritagliare il fluire continuo del tempo (aetas). Il tema della fugacità del tempo è ripreso da concetti vicini alla filosofia epicurea.

Carpe diem nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]