Michele Morsero

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Michele Morsero

Consigliere nazionale del Regno d'Italia
LegislaturaXXX[1]

Dati generali
Partito politicoPNF
Professionemilitare

Michele Morsero (Torino, 9 ottobre 1895Vercelli, 2 maggio 1945) è stato un militare e prefetto italiano. Ricoprì la carica di capo della Provincia di Vercelli per la Repubblica Sociale Italiana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Dopo essere stato interventista e volontario della prima guerra mondiale, partecipò alla marcia su Roma. Arruolatosi nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con il grado di 1º seniore (tenente colonnello) partecipò alla guerra d'Etiopia nella 180ª Legione CC.NN. "Alessandro Farnese" venendo decorato con la medaglia d'argento al valor militare.

Partecipò alla guerra civile spagnola nelle file del Corpo Truppe Volontarie, al comando del Battaglione "Laredo" della Brigata "Frecce Nere".[2] Proseguì la carriera nella milizia fino a raggiungere il grado di console comandante della 1ª Legione "Sabauda" di Torino. Combatté inoltre nella seconda guerra mondiale col grado di tenente colonnello dell'esercito e di console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale sul fronte greco-albanese alla guida della 141ª Legione CC.NN. d'Assalto "Volturno" inquadrata nella 51ª Divisione fanteria "Siena"[3].

Capo della provincia di Vercelli[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu nominato federale di Lucca[4]. Sostituito il 20 ottobre da Mario Piazzesi, il 27 fu nominato prefetto di seconda classe e destinato a Vercelli[5] impegnandosi subito a ricostituire la federazione cittadina del PFR anche se con scarse adesioni[6] e dopo le prime segnalazioni di azioni partigiane a prendere le dovute contromisure[7]. Le prime, per il momento incruente azioni dei partigiani si svolsero contro i presidi dei carabinieri cui furono sottratte le armi di ordinanza[6]. Il 25 novembre 1943, Morsero dopo un incontro con i lavoratori predispose un aumento delle retribuzione del cinquanta per cento che secondo il giornale "La Provincia Lavoratrice", doveva apportare "un decisivo adeguamento del salario al costo reale della vita attuale"[8].

L'inizio della guerra civile[modifica | modifica wikitesto]

Il primo vero attacco partigiano fu sferrato il 2 dicembre 1943 contro un presidio di camicie nere a Varallo, in seguito al quale i fascisti riportarono il loro primo caduto nella zona.[9] Anche a seguito di ciò il prefetto Morsero inoltrò spesso lettere presso i vari ministeri e comandi sia repubblicani che tedeschi allo scopo di ottenere contingenti di soldati per integrare le scarse forze a disposizione che potessero presidiare la provincia[6]. Il 7 dicembre a Biella i partigiani danneggiarono la redazione de "La Provincia Lavoratrice" e a Tollegno incendiarono i magazzini di un lanificio che si occupava di forniture militari[10].

Vercelli 1944, Morsero applica i gladi a una ausiliaria del Servizio Ausiliario Femminile

Spalleggiati dai partigiani gli operai delle industrie iniziarono inoltre tra il 15 e il 17 proclamarono lo sciopero[11]. L'11 dicembre 1943 i partigiani uccisero Bruno Ponzecchi, il segretario del fascio di Ponzone, che era anche direttore del Lanificio Giletti[12].

«Ritengo utile informarvi che le deprecate azioni dei ribelli aumentano di giorno in giorno et arrecano danni gravissimi materiali oltre che influire negativamente su orientamento popolazione et quindi su ordine pubblico. Sarebbe necessario reazione immediata ad ogni loro azione, ma per le ragioni più volte esposte in ogni circostanza che vi è stata sempre segnalata, non abbiamo forza di polizia sufficiente per provvedervi. Ho richiesto uomini et armi ma ad oggi Comandi superiori non hanno potuto evadere richieste. Situazione preoccupami per difesa economia nazionale e per affermare prestigio autorità. Pregasi rappresentare situazione superiormente per opportuni interventi.»

Le richieste pressanti di Morsero convinsero il governo della RSI ad inviare nel vercellese il 19 dicembre la 1ª Legione d'Assalto "M" "Tagliamento"[13]. Ma quando un ufficiale della GNR creò autonomamente dei reparti da impiegare nelle azioni di controbanda Morsero gli impose di ritirarle poiché l'azione contro i partigiani doveva svolgersi con normali azioni di polizia.[14]

In seguito ad un telegramma firmato dal ministro dell'Interno Guido Buffarini Guidi che disponeva l'internamento degli ebrei in appositi campi di concentramento, il 6 dicembre Morsero ordinò di agire "con massima diligenza e severo criterio" e al podestà Mario Busca di allestire un campo di concentramento presso la cascina Aravecchia, rispettando le "norme di igiene e di pulizia"[15] e di assicurarsi il vettovagliamento dei reclusi tramite la "Sezione provinciale alimentazione" e l'"Ente comunale assistenza"[15], fu previsto inoltre che i reclusi potessero portare con sé "un corredo personale limitato a due coperte di lana, due lenzuola ed alcuni effetti di biancheria personale strettamente indispensabile"[15]. Il 9 dicembre si stabilì che si apponessero i sigilli alle case degli ebrei. Il campo della cascina Aravecchia entrò in funzione il 24 dicembre con l'internamento delle prime sette persone.[16]

Morsero nella vita civile esercitava la professione di commercialista e nello svolgere il suo ruolo esecutivo (limitato in esso dalla pesante influenza tedesca sulla RSI) come primo dirigente dell'amministrazione provinciale si dimostrò sempre attento alle questioni legate a lavoro ed economia, entrando pertanto in contrasto con l'incaricato nazista per l'industria tessile Hermann Rausch in particolare per quanto riguardava la concentrazione dell'industria tessile, che avrebbe distrutto il tessuto di piccole e medie imprese del settore del Biellese oltre che per le scarse forniture destinate alla provincia da parte del comando germanico. Cercò di applicare i decreti di socializzazione industriale e agricola.[17] A partire dal 18 febbraio 1944 Morsero iniziò tutta una serie di visite presso gli impianti industriali del biellese[18].

Volendo punire i datori di lavoro "solidali" con gli scioperanti il 14 aprile chiese "una decina di milioni" di lire. Secondo l'emittente partigiana "Radio Libertà", che diffuse la notizia, i soldi sarebbero serviti all'acquisto di alcuni cannoni.[19]

Lo sciopero dell'aprile 1945[modifica | modifica wikitesto]

Il 18 aprile 1945 iniziarono dei nuovi scioperi e Morsero ordinò che si sarebbe dovuti "essere inflessibili nell'agire".[19] Ma al capitano Sora, del battaglione "Montebello" della GNR, che proponeva di reagire chiudendo preventivamente le fabbriche e anticipando il coprifuoco[20] rispose di "non riscaldarsi troppo".[21] Ordinò comunque la repressione degli scioperi, anche aprendo il fuoco, nel caso in cui gli scioperanti fossero stati visti armati[22]. Il 19 aprile lo sciopero interessò tutta la provincia e alla GNR furono dati ordini contraddittori. Inizialmente fu ordinato di impedire gli scioperi nelle zone in cui esisteva un presidio, in seguito su disposizioni di Giuseppe Solaro, alto commissario per il Piemonte, fu deciso di permetterli[23] e al contempo di cercare di individuarne i capi. Sempre il 19 aprile fu attuata un'offensiva militare per spezzare l'accerchiamento partigiano che porto inoltre all'individuazione dell'emittente partigiana "Radio Libertà" che fu fatta saltare.

La "Colonna Morsero"[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 23 e il 26 aprile 1945 affluirono a Vercelli dai vari presidi della provincia le forze armate della Repubblica Sociale Italiana ancora in armi, ponendosi sotto il comando di Michele Morsero. Si aggiunse anche il battaglione d'assalto "Pontida" della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) giunto da Biella. Le truppe fasciste, cui in taluni casi si erano aggiunti anche civili con i propri familiari,[24] costituirono la "Colonna Morsero" formata da più di 2.000 persone. L'intenzione era di raggiungere Novara per poi dirigersi verso il ridotto della Valtellina. La colonna si arrese poi il 28 aprile ai partigiani presso Castellazzo Novarese. Morsero, tradotto a Vercelli, fu giustiziato sommariamente il 2 maggio.

Una delle ultime foto di Michele Morsero

Dopo essere stato condannato a morte, Morsero, alla presenza di monsignor Picco, scrisse l'ultima lettera alla moglie:

«...Purtroppo tutto questo sacrificio di anni, di una vita spesa nella visione di una Patria grande, rispettata, temuta, in una Italia degli Italiani, di una Fede che ritenevamo giusta e degna di successo concreto e duraturo, appare essere stata sino ad oggi vana per la Patria stessa e, per me... La fine... risultato molto triste, sia dal punto di vista nazionale e sociale, sia, che conta molto meno, dal punto di vista personale. L'avvenire stabilirà la verità storica e pratica, ciò che era buono e ciò che è da scartare: quali furono le grandi affermazioni e quali gli errori. Io però formulo l'augurio che l'Italia e gli italiani ritornino comunque, con quelle forme e sistemazioni ed organizzazioni che saranno ritenute dal popolo più rispondenti ai tempi ed alle situazioni, uniti in se stessi e riprendano la marcia della ricostruzione per un migliore avvenire della Patria immortale che non può, non deve soccombere. Possa questo popolo Italiano trovare con dignità un assetto di nazione unita territorialmente e spiritualmente sì da poter far coincidere il prestigio collettivo al benessere morale, economico e sociale dei singoli. Con questa visione, che fu quella di tutti i Martiri che in tutte le epoche storiche e in tutti i capovolgimenti politici e guerrieri caddero, io lascio questo mondo terreno in serenità di spirito, con la coscienza di aver cercato di contribuire ad un bene supremo: quello della Patria. Senza rancori ed odii per alcuno invoco benedizione all'Italia, alla mia cara Patria, agli italiani tutti.... 2 maggio 1945, ore 12,30.»

Nei giorni seguenti altri membri della "Colonna Morsero", dopo essere stati prelevati dal campo di prigionia, furono sommariamente uccisi in varie località del Vercellese e del Novarese. Il prelevamento più corposo avvenne il 12 maggio 1945 e si concluse con l'eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di battaglione lo conduceva all'attacco con grande perizia e bravura. Lanciatosi alla baionetta là dove più viva era la lotta, con l'esempio personale infuse ai dipendenti, l'ardore necessario per vincere decisamente.»
— Torrente Quansquazzè (Tembien) - 27 febbraio 1936 XIV[27]
Croce di guerra al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale superiore a disposizione, durante un combattimento, incaricato di compiere una pericolosa ricognizione e di coordinare l'azione di alcuni reparti adempì al suo compito con slancio e serena fermezza.»
— Monte Raspanera - 14 agosto 1937 XV[27]
Croce di guerra al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di battaglione, durante un'azione offensiva per la conquista di importanti posizioni nemiche, spesso personalmente alla testa delle compagnie avanzate, era d'esempio per i suoi soldati per slancio e ardimento. Raggiungeva brillantemente gli obiettivi assegnatigli, catturando 72 prigionieri e numeroso materiale bellico.»
— Valseca- 22 settembre 1937 XV[27]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Michele Morsero / Deputati / Camera dei deputati - Portale storico
  2. ^ Sandro Piazzoni, Le "Frecce Nere" nella guerra di Spagna (1937-39), Edizioni della Rivista "Nazione Militare", Roma, 1939, p. 79: "Il 22 settembre le «Frecce Azzurre», rinforzate dal Battaglione «Laredo» (Autonomo) delle «Frecce Nere», compiono una brillante rettifica di linea fronte a Zuera ricacciando il nemico di 4 o 5 km. Duecento prigionieri (78 presi dal «Laredo» il cui Comandante 1º seniore Michele Morsero, per quanto appena giunto alla sua unità, ha saputo manovrare i suoi reparti con acuta sagacia, avvolgendo di sorpresa il caposaldo che attaccava) sono avviati a Saragozza, mentre si iniziano i lavori delle nuove posizioni, che vengono poi occupate dalla Brigata «Frecce Nere»".
  3. ^ La 2ª Campagna in Grecia del 1941
  4. ^ http://digilander.libero.it/rsi_analisi/brilucca.htm
  5. ^ Francesca Romana Scardaccione (a cura di), Verbali del Consiglio dei ministri della Repubblica Sociale Italiana. Settembre 1943 - Aprile 1945, vol. 2, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione generale per gli archivi, 2002, ISBN 8871252195, p. 18.
  6. ^ a b c Documenti dicembre 1943, su storia900bivc.it. URL consultato il 19 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2014).
  7. ^ "si era subito impegnato assiduamente da un lato per ricostituire il "fascio" e dell'altro, man mano che gli giungevano segnalazioni di azioni partigiane, per prendere le necessarie misure", su storia900bivc.it. URL consultato il 19 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2014).
  8. ^ La provincia di Vercelli durante la Rsi, su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  9. ^ Piero Ambrosio, La provincia di Vercelli durante la Rsi. Cenni storici Archiviato il 13 aprile 2008 in Internet Archive., dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli: "Il 2 dicembre un reparto di camicie nere inviato a Varallo, per presidiare una zona che stava diventando "nevralgica", era stato attaccato poco dopo il suo arrivo ed i fascisti avevano avuto in quell'occasione il loro primo soldato caduto in provincia, il caposquadra della Milizia Leandro Guida".
  10. ^ a Biella il 7 dicembre alcuni partigiani avevano danneggiato le attrezzature della tipografia che stampava "Il Lavoro Biellese"76; altri partigiani a Tollegno, in quello stesso periodo, avevano incendiato locali di un lanificio in cui erano immagazzinate forniture militari, su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  11. ^ "Zuccari ricevette da Morsero le direttive per un'energica azione contro i partigiani che il 15 e il 17 avevano "imposto" lo sciopero e "dominavano la situazione" in alcuni comuni della Valsesia e della Valsessera", su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  12. ^ "Ponzecchi era stato giustiziato dal distaccamento "Piave", dopo un intervento dei partigiani al Lanificio Giletti, di cui era direttore"., su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  13. ^ "Le ripetute richieste di "reparti per prevenire reprimere ovvero anche [in] alcuni casi solo [per] dimostrazione [di] forza" alla fine furono accolte: fu inviato a Vercelli il 63º battaglione "M"", su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  14. ^ Giorgio Pisanò, Sangue chiama sangue, CDL Edizioni, Milano, 1994, pag 226
  15. ^ a b c Gli anni della persecuzione anti
  16. ^ Cristina Merlo, La Comunità ebraica di Vercelli nel 1943 Archiviato il 22 ottobre 2021 in Internet Archive., op. cit. Si vedano anche le note 19 e 20 Archiviato il 27 ottobre 2007 in Internet Archive..
  17. ^ Marco Neiretti, La socializzazione mancata. Cronache biellesi del nazional-sindacalismo (1943-1945) Archiviato il 29 ottobre 2007 in Internet Archive., op. cit.
  18. ^ "18 febbraio Morsero compì a Biella una serie di visite a enti, stabilimenti industriali e a reparti militari di stanza nella città, accompagnato dal segretario del fascio Giraudi, dal commissario prefettizio, dal comandante tedesco e da altri ufficiali", su storia900bivc.it. URL consultato il 21 marzo 2011 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2008).
  19. ^ a b Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive..
  20. ^ Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive., dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli: "Sora propose alla Prefettura un piano d'intervento contro lo sciopero così concepito: chiusura a tempo indeterminato degli stabilimenti, versamento da parte degli industriali delle paghe, per il periodo di chiusura, alla Prefettura, istituzione immediata del coprifuoco per tutta la popolazione dalle 16 alle 8 del mattino, obbligo ai direttori delle aziende di comunicare la situazione al comando del "Pontida".
  21. ^ Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive., op. cit.: "Morsero accolse con cautela le drastiche proposte e fece comunicare al capitano Sora di non fare passi avventati (testualmente disse di "non riscaldarsi troppo")."
  22. ^ Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive., dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli: "ordinò tuttavia che se vi fosse stato uno sciopero armato avrebbe dovuto fare immediatamente fuoco".
  23. ^ Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive., op. cit.: "Morsero, alla richiesta di istruzioni del segretario del fascio di Biella, Giraudi, raccomandò di prendere misure solo nei centri presidiati dalla Gnr. Successivamente, in seguito a disposizioni dell'alto commissario fascista per il Piemonte, Giuseppe Solaro, ordinò di fare resistenza passiva finché la popolazione si fosse mantenuta calma [...]".
  24. ^ Pavesi, p. 34; per Piero Ambrosio, L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni Archiviato il 16 settembre 2021 in Internet Archive., op. cit., nota 28, la colonna sarebbe stata costituita da "2.000 militari e duecento tra donne e bambini".
  25. ^ Pavesi, pp. 134-135.
  26. ^ Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni Il Borghese e Ciarrapico Editori associati, Cassino, 1975, pag: 239
  27. ^ a b c http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/#

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

  • Domenico Roccia, Il Giellismo Vercellese, Vercelli, Tip. Ed. La Sesia, 1949.
  • Claudio Dellavalle, Operai, industriali e Partito comunista nel Biellese. 1940-1945, Milano, Feltrinelli, 1978.
  • Pierangelo Pavesi, La Colonna Morsero, Copiano (PV), Grafica Ma. Ro. Editrice, 2007, ISBN 88-901807-8-1.
  • Lettere dei condannati a morte della RSI, Edizioni Il Borghese e Ciarrapico Editori associati, Cassino, 1975

Saggi[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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