La chimera (Sebastiano Vassalli)

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La chimera
AutoreSebastiano Vassalli
1ª ed. originale1990
Genereromanzo
Sottogenerestorico
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneLombardia spagnola, 1590-1610

La chimera è un romanzo storico di Sebastiano Vassalli ambientato all'inizio del Seicento, nell'attuale Piemonte. Pubblicato nel 1990, vinse lo stesso anno il Premio Strega e il Premio Napoli, risultando finalista anche al Premio Campiello[1][2][3]. Rivisitando il passato, l'Autore non ne propone un'immagine idealizzata, ma al contrario lo rivisita nelle sue urgenze e nelle sue tensioni cruciali, facendo emergere quel tempo come "pieno di attualità", quindi specchio autentico dell'esistenza dei lettori[4].

Il termine "Chimera" del titolo si riferisce al Monte Rosa così come lo si vede dalla pianura della provincia novarese, ma è anche un rimando all'omonima poesia di Dino Campana:

«...La montagna più grande e più imponente di questa parte d'Europa, il Monte Rosa ... Il paesaggio di questi luoghi è dominato ed è anche fortemente caratterizzato dalla presenza di quella montagna di granito e di ghiaccio che s'innalza sui picchi circostanti quanto quelli sulla pianura: un "macigno bianco" - così lo descrisse all'inizio del secolo il mio babbo matto, il poeta Dino Campana - attorno a cui "corrono le vette / a destra a sinistra all'infinito / come negli occhi del prigioniero". Campana era arrivato a Novara una sera di settembre, in treno, senza vedere niente perché fuori era già buio e la mattina del giorno successivo, attraverso le inferriate di un carcere, gli era apparso il Monte Rosa in un "cielo pieno di picchi / bianchi che corrono": un'immagine inafferrabile e lontana come quell'amore che lui allora stava inseguendo e che non avrebbe mai raggiunto, perché non esisteva... Una chimera! Da lassù, dalla sommità della chimera, per un percorso tortuoso e in più punti scavato nella roccia viva, discende a valle il fiume Sesia

Riassunto[modifica | modifica wikitesto]

Antonia, orfanella abbandonata sul torno della casa di carità di San Michele di Novara, viene allevata con le altre esposte tra le suore e la rigida disciplina del convento e della dottrina cattolica. Conosce suor Livia (la meridionale), suor Clelia (la maestra) e suor Leonarda (la superiora).

Antonia cresce ed è la più bella fra tutte le esposte della Pia Casa. Per i capelli neri e i tratti mediterranei riceve il cognome di Spagnolini. Arrivato il vescovo Bascapè a Novara, Antonia viene scelta per recitare la poesia di benvenuto. Mentre declama il testo davanti a Bascapè, la ragazza sviene a causa dell'emozione e dell'uovo che è stata in precedenza costretta a ingoiare. Si incontra infine con il vescovo stesso, che la perdona.

Antonia, durante la sua permanenza nella Pia Casa, viene incaricata, insieme ad un'altra esposta, a svuotare ogni mattina la ruera, cioè il secchio dove vengono raccolte le feci. Una mattina, durante il trasporto, il secchio le cade dalle mani rovesciandosi su suor Leonarda, che per punizione la rinchiude in uno stanzino. Qui incontra Rosalina, una giovane ragazza che dice di sapere cosa fanno realmente preti e suore e per ciò viene rinchiusa costantemente. Rosalina spiega molto rozzamente tutto ciò che concerne la sessualità all'ignara Antonia, che rimane molto colpita dalle dure parole della compagna, la quale, inoltre, non perde occasione di esprimersi anche su tutti gli insegnamenti che vengono loro impartiti nella Pia Casa; la giovane esposta si rifiuta di crederle.

All'età circa di dieci anni, Antonia viene adottata da una coppia di contadini, Bartolo Nidasio e sua moglie Francesca, che la portano a casa nel paesino di Zardino e l'allevano come se fosse una loro figlia legittima: cosa alquanto strana a quei tempi, dato che spesso le esposte venivano adottate affinché facessero da serve. Durante il tragitto verso Zardino, Antonia vede per la prima volta la bassa (la campagna vicino a Novara) e l'autore spiega il grave problema delle risaie.

Antonia, arrivata a Zardino, conosce subito il popolare don Michele, appartenente alla categoria dei quistoni, falsi parroci dediti più agli affari che alla religione, perseguitati a Novara e dintorni dopo l'arrivo del vescovo Bascapè. Esempio della singolarità di questo prete è il fatto che allevi bachi da seta all'interno della chiesetta di Zardino.

Con l'arrivo della primavera a Zardino arrivano anche i risaroli - coloro che lavoravano nelle risaie - e Antonia, incuriosita, va assieme alla sua amica Teresina a osservarli. Costoro, spiega Vassalli, erano persone miserabili, spesso con un ritardo mentale, che venivano indotte a tale lavoro con l'inganno. Antonia, addolorata nel vedere uomini così sciancati e vicini alla morte, progetta di farli scappare; ma Teresina le spiega che ciò non è possibile a causa dei Fratelli Cristiani, uomini preposti a recuperare eventuali risaroli fuggitivi. Per convincere maggiormente Antonia, Teresina la porta nella chiesa e le mostra un quadro raffigurante un santo in piedi e, inginocchiati verso di lui, due Fratelli Cristiani. Durante la giornata, poi, Teresina narra di tutte le credenze popolari che vi sono a Zardino.

Vassalli descrive accuratamente come appariva Zardino nel 1600 spiegando anche alcune fra le più importanti credenze popolari. Tra queste emergono quelle del Dosso dell'albera, attorno al quale si credeva si riunissero le streghe per svolgere i sabba, e quelle del Dosso dei ceppi rossi, dove si immaginava vivessero serpenti che parlavano fra di loro.

In estate, Antonia ha modo di conoscere i risaroli che lavorano i campi del suo padre adottivo Bartolo. Costoro non parlano mai con nessuno e solo durante il lavoro cantano delle canzoni per alleviare le fatiche. In questo periodo diventa amica sia di Biagio, servo delle compaesane sorelle Borghesini, sia del camparo (cioè la guardia) Maffiolo, il quale ogni volta che incontra Antonia le narra delle sue avventure e delle battaglie che ha combattuto viaggiando per l'Europa al servizio del re di Spagna.

Nello stesso periodo, Antonia va, assieme alla madre, da Consolata Barbero e le figlie di questa a Biandrate, dove si tiene una fiera. Durante la visita, il gruppetto si ferma a osservare gli animali imbalsamati, tra cui una tigre, giunti da lontanissimi paesi per opera di alcuni preti, i quali sfruttano la fiera come occasione per chiedere elemosine ai poveri contadini.

Nell'ottobre del 1601 arriva a Zardino don Teresio, giovane prete inviato dal vescovo per subentrare a don Michele. Don Teresio, scacciato il quistone dalla diocesi, costringe gli abitanti di Zardino ad andare in chiesa e a partecipare alla messa nonché a donare importanti offerte in denaro.

Con l'inverno arriva la minaccia del Caccetta, un feudatario novarese realmente esistito, che, per via di bandi e condanne, si stabilisce dall'altra parte del fiume Sesia. Costui, approfittando della secca del fiume, assieme ai suoi bravi attraversa il Sesia per compiere scorrerie nei villaggi della bassa novarese. Ha anche la fama di essere un uomo molto crudele da quando, a causa di una competizione in amore, uccise tutta la famiglia dell'amante della donna. Un giorno egli, uomo basso, robusto e di brutto aspetto, arriva a Zardino insieme ai suoi bravi, ma, per fortuna degli abitanti, non saccheggia né uccide o rapisce nessuno all'interno del villaggio; viene anzi per annunciare che è diretto a Parma e che odia la Spagna.

In quest'epoca, spiega Vassalli, vi è un grande e proficuo commercio di reliquie. Si credeva, infatti, che esse possedessero poteri miracolosi come nessun altro oggetto. Perciò il vescovo Bascapè incarica monsignor Cavagna - detto ''oca bianca più che burro'', citando Dante - di andare a Roma ad acquistarne alcune. Costui, non molto furbo, si lascia ingannare da due sconosciuti, un prete e un pittore, che gli rifilano dei falsi e che poi lo denunciano alla Chiesa. Cavagna, arrivato a Novara con le presunte reliquie, è bene accolto da tutti; ma con l'arrivo dell'inquisitore mandato, appunto, per verificare l'autenticità di tali reliquie, il Cavagna finisce in prigione e la stessa reputazione del Bascapè ne risente tanto da fargli credere che il tutto sia stato architettato dallo stesso papa, suo acerrimo nemico, per umiliarlo.

Nel romanzo viene descritto come Bascapè, rinchiuso nella sua stanza, dopo la terribile umiliazione subita, ripensa ai tempi in cui era a Roma prima dell'elezione del nuovo papa.

Nel frattempo Antonia cresce e allo stesso tempo anche Biagio, il servo delle sorelle Borghesini, che oltre ad avere qualche problema mentale viene trattato dalle due sorelle alla stregua di un animale. Costui si innamora follemente di Antonia, tanto che le sorelle Borghesini, dopo aver perso la pazienza a causa delle continue fughe di Biagio, oltre ad accusare Antonia di averlo stregato, lo fanno castrare.

Un giorno Antonia, mentre porta, assieme alle sue amiche, delle oche al pascolo, incontra per strada un pittore di nome Bertolino, chiamato da Diotallevi a Zardino per dipingere l'edicola votiva che aveva costruito egli stesso. Bertolino, vedendo Antonia, è colpito dalla sua bellezza a tal punto da raffigurare la Madonna dell'edicola con il suo volto. A nessuno in paese piacerà questa scelta e don Teresio si rifiuterà di benedire l'edicola.

Il vescovo Bascapè, sfiancato dall'età e dalle malattie, giunge a Zardino assieme al suo seguito di preti, servitori e guardie del corpo, per donare la tanto attesa reliquia alla comunità del villaggio: un pezzo di stoffa appartenuto alla beata Panacea. Il vescovo, nonostante le sue condizioni, racconta agli abitanti di Zardino la storia di questa giovane santa martire.

Nell'autunno dello stesso anno arriva a Zardino un gruppo di soldati lanzichenecchi, i quali compiono ogni genere di angheria e oscenità durante la loro permanenza nel paesino, pretendendo di essere sfamati e addirittura di usare le pareti della chiesetta come gabinetto - erano infatti luterani. Durante la permanenza dei lanzi, Antonia accetta di ballare con uno di loro al centro della piazza e perciò non viene più ammessa in chiesa.

Durante l'inverno tra il 1609 e il 1610, Antonia ascolta le varie storie sul Caccetta, su animali mostruosi, sul diavolo, i demoni e le streghe, che venivano narrate nelle rigide giornate d'inverno dalle comari. Queste per superstizione arrivano addirittura a collegare Antonia agli strani eventi avvenuti nel villaggio.

Don Teresio, su consiglio di molti abitanti del villaggio, va a Novara a denunciare al Sant'Uffizio Antonia come strega: ivi narra di molti avvenimenti sospetti all'inquisitore Manini, il quale decide di iniziare il processo - storicamente autentico - verso Antonia.

Prima di convocare Antonia, il Manini interroga alcuni abitanti del villaggio per verificare se ciò che ha detto don Teresio è vero. Tutti i testimoni giudicano Antonia una strega, a eccezione di Teresina, che spiega che Antonia esce di notte non per partecipare ai sabba, bensì per incontrarsi con il suo fidanzato.

Antonia, giunta a Novara assieme ai genitori, è ascoltata dall'inquisitore che le pone alcune domande alle quali risponde negando di essere una strega e affermando di incontrarsi semplicemente con il moroso e non con il diavolo. Durante il processo Antonia è vestita da sposa, per dare più credibilità a ciò che dice. L'uomo di Antonia, Gasparo, è un camminante, cioè un uomo senza fissa dimora che viaggia continuamente cercando ospitalità in qualche locanda o abitazione privata, e per mestiere fa il capo dei risaroli. Durante l'estate di quell'anno conosce Antonia e i due si incontrano la notte sotto il colle dell'albera dove Gasparo le racconta le sue avventure passate per mare, promettendole che un giorno la porterà con sé a Genova dove trascorreranno il resto della vita insieme.

Il ritorno del vescovo a Novara complica ulteriormente la faccenda. Difatti, Manini non vuole l'intromissione del Bascapè nel processo, a causa di una disputa fra i Domenicani (l'ordine di cui Manini faceva parte) e il vescovo. Il processo prosegue così sotto il comando del Manini, intenzionato certamente non a salvare Antonia, ma piuttosto a vederla sul rogo al più presto.

Manini interroga di nuovo Antonia, questa volta ricorrendo anche alla tortura. Antonia, dopo essere stata violentemente torturata da Taddeo e Bernardo (due mascalzoni al servizio dell'inquisitore all'interno del tribunale), confessa ciò che gli inquisitori vogliono sentirsi dire. Manini, soddisfatto del suo lavoro, fa ricondurre Antonia nelle prigioni.

Anche i genitori di Antonia testimoniano davanti a Manini, dicendo, come anche aveva detto in precedenza Teresina, che Antonia si incontra con l'uomo che ama e non con il diavolo e, infine, dopo aver deposto la loro testimonianza, Bartolo offre all'inquisitore un porco per corromperlo e far terminare così il processo verso sua figlia. Manini rifiuta subito l'offerta, non perché egli sia incorruttibile, ma perché l'offerta di Bartolo è decisamente troppo bassa.

Finisce il mese di giugno e Antonia, ancora sotto processo, deve trascorrere le sue giornate nelle prigioni dove alle comodità inesistenti si aggiunge la molestia dei topi notturni. Oltre lei nel carcere è presente soltanto un chierico omosessuale, in seguito trasferito nelle prigioni vescovili. Antonia è esaminata un'altra volta e sempre con i medesimi mezzi di tortura che la costringono ad ammettere nuovamente colpe che non ha mai commesso.

Bascapè, ormai vecchio e sciancato dalle malattie, decide di intraprendere un viaggio, l'ultimo della sua vita, per staccarsi dall'afa e dal terribile odore di quella città dove è stato mandato a comandare.

Il 20 agosto 1610 si riunisce il collegio per decretare la sentenza verso la strega di Zardino. Di quel collegio non fanno parte solo preti, ma pure laici, come il podestà. Alla fine il collegio condanna Antonia al rogo. Tutte le spese per il processo e l'esecuzione di Antonia vengono addebitate ai Nidasio, che vanno così in rovina. Nel frattempo Taddeo e suo figlio Bernardo ripuliscono per bene la prigione e la notte violentano Antonia, che invano tenta di ribellarsi.

Finisce agosto e Antonia viene trasferita nelle prigioni della torre dei Paratici, dove trascorre gli ultimi giorni prima dell'esecuzione. Qui oltre a lei vi è Rosalina che è stata arrestata poiché si prostituiva davanti ad una caserma e senza la mantella gialla che serviva per distinguere le prostitute. Antonia non socializza molto con la sua compagna di cella. Durante la sua permanenza nella torre, Antonia trascorre le sue giornate a dormire per fuggire dalla realtà. In quei giorni, poi, arriva da Milano mastro Bernardo, il boia, assieme ai suoi collaboratori, il quale ha ricevuto l'ordine di giustiziare Antonia l'indomani, sulla collina dove si crede che andasse ad accoppiarsi con il diavolo.

L'11 settembre 1610 Antonia viene condotta su una carrozza e portata sul dosso dell'albera per essere giustiziata. Durante il tragitto la ragazza osserva dal finestrino della carrozza la gente che urla e che acclama a gran voce la sua morte. Una volta arsa Antonia, inizia la festa tanto attesa da tutti.

Successivamente l'intero villaggio di Zardino sarà travolto da una frana di fango conseguente a un'esondazione del fiume Sesia, finendo per essere cancellato da tutte le mappe e dimenticato a lungo, assieme ai suoi abitanti e alla storia di Antonia.

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Premio Napoli di Narrativa 1954-2002, su premionapoli.it. URL consultato il 16 febbraio 2019.
  2. ^ 1990, Sebastiano Vassalli, su premiostrega.it. URL consultato il 16 aprile 2019 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2019).
  3. ^ Premio Campiello, opere premiate nelle precedenti edizioni, su premiocampiello.org. URL consultato il 24 febbraio 2019.
  4. ^ https://www.academia.edu/1479617/_Il_grado_zero_del_presente_La_morte_di_Marx_e_altri_racconti_di_Sebastiano_Vassalli_Narrativa._29_2008_253-262

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