Intelletto agente

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L'intelletto agente (in latino: intellectus agens, tradotto anche come intelletto attivo, intelligenza attiva, ragione attiva o intelletto produttivo) è un concetto della filosofia classica e medievale. Il termine si riferisce alla qualità formale (morphe) dell'intelletto (nous), come è descritta dalla teoria dell'ilomorfismo.

La natura dell'intelletto agente è stata oggetto di un intenso dibattito nella filosofia medievale: vari pensatori musulmani, ebrei e cristiani provarono a conciliare il loro impegno nel commento della concezione aristotelica del corpo e dell'anima con la propria visione teologica. La posta in gioco in particolare era in che modo la concezione di Aristotele di un'anima incorporea potesse contribuire alla comprensione della natura della vita eterna.

La concezione di Aristotele[modifica | modifica wikitesto]

La concezione è esposta per la prima volta nel Libro III del trattato De anima (e in particolare al cap. 5 430a10-25). Si riporta di seguito la traduzione di Joe Sachs con alcune note sul testo greco:

(EN)

«...since in nature one thing is the material (hylē for each kind (genos) (this is what is in potency all the particular things of that kind) but it is something else that is the causal and productive thing by which all of them are formed, as is the case with an art in relation to its material, it is necessary in the soul (psychē) too that these distinct aspects be present;
the one sort is intellect (nous) by becoming all things, the other sort by forming all things, in the way an active condition (hexis) like light too makes the colors that are in potency be at work as colors (to phōs poiei ta dynamēi onta chrōmata energeiai chrōmata).
This sort of intellect [which is like light in the way it makes potential things work as what they are] is separate, as well as being without attributes and unmixed, since it is by its thinghood a being-at-work, for what acts is always distinguished in stature above what is acted upon, as a governing source is above the material it works on.
Knowledge (epistēmē), in its being-at-work, is the same as the thing it knows, and while knowledge in potency comes first in time in any one knower, in the whole of things it does not take precedence even in time.
This does not mean that at one time it thinks but at another time it does not think, but when separated it is just exactly what it is, and this alone is deathless and everlasting (though we have no memory, because this sort of intellect is not acted upon, while the sort that is acted upon is destructible), and without this nothing thinks.»

(IT)

«...poiché in natura una cosa è la materia (hylē) per ogni tipo (genos) (questo è ciò che è in potenza tutte le cose particolari di quel tipo), mentre è qualcos'altro ciò che è l'elemento causale e produttivo del quale tutte quante loro sono formate, come è il caso di un'arte in relazione alla sua materia, è necessario che anche nell'anima (psychē) questi aspetti siano presenti distintamente;
un tipo è l'intelletto (nous) che diventa tutte le cose, l'altro tipo dà forma a tutte le cose, così come una condizione attiva (hexis) quale la luce fa sì che i colori che sono in potenza siano in atto come colori (to phōs poiei ta dynamēi onta chrōmata energeiai chrōmata).
Questo tipo di intelletto [che è come la luce nel modo in cui fa operare le cose potenziali così come esse sono] è separato, oltre ad essere senza attributi e non mescolato, poiché è per sua natura un ente-in-opera, per ciò che agisce si distingue sempre per statura al di sopra di ciò su cui si agisce, come una fonte reggente è al di sopra della materia sulla quale opera.
La conoscenza (epistēmē), nel suo essere all'opera, è la stessa cosa che conosce, e mentre la conoscenza in potenza viene prima nel tempo in ogni conoscente, nell'insieme delle cose non ha la precedenza nemmeno nel tempo.
Questo non significa che esso in un momento pensi, mentre in un altro momento non pensi, ma quando è separato è esattamente ciò che è, e solo questo è immortale ed eterno (anche se non abbiamo memoria, perché questo tipo di intelletto non è agito, mentre il tipo sul quale si agisce è corruttibile), e senza questo non pensa alcunché.»

Il brano cerca di spiegare «come l'intelletto umano passa dal suo stato originario, in cui non pensa, a uno stato successivo, in cui lo fa». La distinzione energeia/dynamis viene dedotta all'interno dell'anima stessa.[2] Aristotele afferma che l'intelletto passivo riceve le forme intelligibili delle cose, e che l'intelletto attivo è necessario per trasformare la conoscenza potenziale in conoscenza attuale, nello stesso modo in cui la luce trasforma i colori potenziali in colori reali.

Il brano viene spesso letto insieme alla Metafisica, Libro XII, ch.7-10, dove Aristotele discute anche della mente umana e distingue tra gli intelletti attivi e passivi. In quel passaggio Aristotele sembra equiparare l'intelletto attivo con il "motore immobile" e Dio.[3][senza fonte]

Interpretazioni[modifica | modifica wikitesto]

Sachs commenta che la natura dell'intelletto attivo era «la fonte di un'enorme quantità di commenti e di feroce disaccordo»; altrove, il capitolo 5 del De Anima è stato definito come una delle «frasi più studiate nella storia della filosofia». Come osserva Davidson:

(EN)

«Just what Aristotle meant by potential intellect and active intellect - terms not even explicit in the De anima and at best implied - and just how he understood the interaction between them remains moot. Students of the history of philosophy continue to debate Aristotle's intent, particularly the question whether he considered the active intellect to be an aspect of the human soul or an entity existing independently of man.»

(IT)

«Proprio ciò che Aristotele intendeva per intelletto potenziale e intelletto attivo -termini nemmeno espliciti nel De anima e nella migliore delle ipotesi implicite- e come intendeva la loro interazione reciproca, rimane controverso. Gli studiosi di storia della filosofia continuano a dibattere sull'intento di Aristotele, in particolare sulla questione se considerasse l'intelletto attivo un aspetto dell'anima umana o un'entità esistente indipendentemente dall'uomo.»

Cultura greca[modifica | modifica wikitesto]

I primi commentatori greci di Aristotele, in particolare Alessandro di Afrodisia e Temistio, diedero diverse interpretazioni della distinzione tra gli intelletti attivi e passivi. Alcuni di loro considerarono l'intelletto attivo come una facoltà esterna alla mente umana, Alessandro arrivò al punto di identificarlo con Dio.

In seguito, entrambe queste interpretazioni, neoplatoniche e forse altre, influenzarono lo sviluppo di un'importante letteratura filosofica araba, che utilizzava il termine 'aql come traduzione di nous. Questa letteratura è stata successivamente tradotta e commentata in latino ed ebraico.[4]

Ebraismo e islam[modifica | modifica wikitesto]

Al-Farabi e Avicenna, e anche il filosofo ebreo Maimonide, erano d'accordo con l'interpretazione "esterna" dell'intelletto attivo, e ritenevano che l'intelletto attivo fosse la più bassa delle dieci emanazioni che discendevano dalle sfere celesti. Maimonide lo citò nella sua definizione di profezia dove:

(EN)

«Prophecy is, in truth and reality, an emanation sent forth by the Divine Being through the medium of the Active Intellect, in the first instance to man's rational faculty, and then to his imaginative faculty.»

(IT)

«La profezia è, in verità e in realtà, un'emanazione emessa dall'Essere Divino per mezzo dell'Intelletto Attivo, in prima istanza alla facoltà razionale dell'uomo, e poi alla sua facoltà immaginativa

I musulmani più strettamente aristotelici (in particolare Avempace e Averroè) scrissero del modo in cui fosse possibile ricongiungersi con l'intelletto attivo, raggiungendo così una sorta di nirvana filosofico.

La ragione degli aristotelici islamici ed ebrei per postulare un unico agente intellettuale esterno è che tutti gli esseri umani (razionali) sono considerati dagli aristotelici come possessori o aventi accesso a un insieme fisso e stabile di concetti, che costituiscono una conoscenza retta e unificata dell'universo. L'unico modo in cui tutte le menti umane potrebbero possedere la stessa retta conoscenza è se tutte avessero accesso a un archivio centrale di conoscenze, come dei terminali che avessero accesso a un computer mainframe (Kraemer, 2003 ). Questo mainframe è l'Intelletto agente, la "mente" dell'universo, che rende possibili tutte le altre conoscenze.

Cristianesimo occidentale[modifica | modifica wikitesto]

Nell'Europa medievale e rinascimentale alcuni pensatori, come Sigieri di Brabante, adottarono integralmente l'interpretazione di Averroè, al pari della successiva scuola di "averroisti padovani". Tommaso d'Aquino elaborò la distinzione di Aristotele tra l'intelletto attivo e l'intelletto passivo nelle sue Quaestio disputata de anima e nel suo commento al De anima di Aristotele , sostenendo, contro Averroè, che l'intelletto attivo appartenesse alla personalità umana individuale. Nella sua Summa Theologica, Tommaso d'Aquino affermò che «secondo l'insegnamento della nostra Fede, questo intelletto separato è Dio stesso, che è il creatore dell'anima e nel quale solo l'anima è beatificata».[6] Citando Gregorio di Nissa, egli affermò che «l'uomo possiede la comprensione intellettiva insieme agli angeli» i quali sono chiamati "menti" e "intelletti" in quanto non hanno altro potere che il potere intellettivo e la volontà (Quaestio 79, articolo 1).

Secondo san Tommaso, l'intelletto agente e l'intelletto possibile sono due facoltà dell'essere umano. L'intelletto agente astrae le specie intelligibili dalla materia, che ne è il principio di individuazione, rendendo le specie intelligibili in atto e universali. L'intelletto agente è necessario per spiegare il passaggio dall'ente reale che è individuato alla conoscenza intellettuale delle specie universali. Dove è presente la specie intelligibile impressa o immagine sensibile della cosa percepita, l'intelletto agente ne astrae le note individuanti. Mentre l'intelletto agenda astrae universalizza, l'intelletto possibile conoscere universale e lo esprime a parole mediante il concetto.[7]

Una terza scuola, di "alessandrini", respingeva l'argomento che legava l'intelletto attivo all'immortalità dell'anima, mentre si affrettava ad aggiungere che credevano ancora nell'immortalità come questione di fede religiosa (vedi Pietro Pomponazzi, Cesare Cremonini).

L'intelletto attivo, nel senso descritto, è più propriamente chiamato l'Intelletto Agente, in quanto è la forza che innesca l'intelletto nella mente umana e fa passare i pensieri dallo stato potenziale a quello attuale. Non va confuso con l'"intelletto in atto", che è il risultato di quell'innesco, ed è più affine al termine psicologico "conoscenza attiva". Un altro termine per il risultato finale dell'intelletto, vale a dire la conoscenza accumulata da una persona, è l'"intelletto acquisito". Gli angeli sono chiamati 'menti' e 'intelletti' perché non hanno altro potere che il potere intellettivo e la volontà.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Joe Sachs, Aristotle's On the Soul and On Memory and Recollection, Green Lion Press, 2001.
  2. ^ a b Herbert Davidson, Alfarabi, Avicenna, and Averroes, on Intellect, Oxford University Press, 1992., page 3
  3. ^ Si veda la Metafisica 1072b.
  4. ^ Herbert Davidson, Alfarabi, Avicenna, and Averroes, on Intellect, Oxford University Press, 1992.
  5. ^ Maimonide, Guide for the Perplexed (traduzione di Michael Friedländer), Dover: New York, 1904, p. 225
  6. ^ Summa Theologiae, parte I, questio 79, articolo 4 - Is the active intellect something that belongs to our soul? (PDF), su Università di Notre Dame, traduzione di Alfred J. Freddoso, p. 600.
  7. ^ Sofia Vanni Rovighi, Elementi di Filosofia, 3. La Natura e l'Uomo, Biblioteca (n. 6), Scholé, 2022, pp. 132-137

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Joel L. Kraemer, The Islamic context of medieval Jewish philosophy, in Frank e Oliver Leaman (a cura di), The Cambridge Companion to Medieval Jewish Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, pp. 38–68, ISBN 978-0-521-65207-0.
  • Commentarium magnum in Aristotelis De anima libros, ed. Crawford, Cambridge (Mass.) 1953: traduzione latina del commento esteso di Averroè al De Anima
  • Walter Burley, Commentarium in Aristotelis De Anima L.III edizione critica e trascrizione paleografica a cura di Mario Tonelotto
  • Averroes (tr. Alain de Libera), L'intelligence et la pensée, Paris 1998: traduzione francese del commento esteso di Averroè al Libro III 3 del De Anima
  • Essays on Aristotle's De Anima, ed. Nussbaum and Rorty: Oxford 1992
  • Juan Fernando Sellés (2012), El intelecto agente y los filósofos. Venturas y desventuras del supremo hallazgo aristotélico sobre el hombre, Tomo I (Siglos IV a.C. - XV), EUNSA, Pamplona, p. 650.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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