Il racconto del parroco

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Lo stesso argomento in dettaglio: I racconti di Canterbury.
Il racconto del parroco
Il personaggio come rappresentato nel manoscritto Ellesmere (1405-1410)
AutoreGeoffrey Chaucer
1ª ed. originale1387 - 1388
Lingua originaleinglese medio

Il racconto del parroco (The Parson's Tale) è la ventiquattresima e ultima novella scritta da Geoffrey Chaucer nei Racconti di Canterbury.

Al contrario degli altri ventitré, il "racconto", il più lungo dell'opera, non è né una novella né una poesia, bensì un trattato sulla penitenza. Il personaggio del parroco viene spesso citato come l'unica rappresentazione positiva di un membro del clero all'interno dei Racconti di Canterbury,[1] anche se alcuni critici ne dipingono un ritratto più ambiguo che comprende anche accenni all'eresia dei Lollardi.[2]

Trama[modifica | modifica wikitesto]

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L'oste chiede al parroco di raccontare una storia, ma il presbitero rifiuta e condanna aspramente la pratica di raccontare novelle. Improvviserà dunque un racconto in prosa, dato che non è capace di creare rime o allitterazioni.

Il racconto[modifica | modifica wikitesto]

Il parrocco comincia quindi a disquisire sul concetto di penitenza e dalle sue parole si può evincere una sottesa critica ai suoi compagni di viaggio per il loro comportamento o racconti licenziosi. La predicazione del presbitero è così persuasiva che, apparentemente, porta lo stesso Chaucer al pentimento, come sostiene nella rinuncia che conclude l'opera e in cui chiede il perdono del lettore.

Il parroco afferma che ci sono tre tipi di penitenza: la contrizione del cuore, la confessione a parole e l'appagamento finale che segue all'assoluzione. Parlando del sacramento della penitenza, il parroco illustra i sette peccati capitali e suggerisce come rimediare a ciascuno di essi, dato che i vizi della superbia, dell'invidia, dell'ira, dell'accidia, dell'avidità, della gola e della lussuria trovano rimedio e cura nella pratica dell'umiltà, della soddisfazione, della pazienza, della fortezza, della misericordia, della moderazione e della castità.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Le riflessioni sulla penitenza di Chaucer sono ispirate dalla Summa de Casibus Poenitentiae di Raimondo di Peñafort e dalla Summa vitiorum di William Perault, insieme con altri testi religiosi dell'epoca.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Margaret Hallissy, A Companion to Chaucer's Canterbury Tales, Greenwood Publishing Group, 1995, p. 43, ISBN 978-0-313-29189-0. URL consultato il 26 febbraio 2020.
  2. ^ (EN) Katherine Little, Chaucer's Parson and the Specter of Wycliffism, in Studies in the Age of Chaucer, vol. 23, n. 1, 2001, pp. 225–253, DOI:10.1353/sac.2001.0009. URL consultato il 26 febbraio 2020.
  3. ^ (EN) Susan Broomhall e Andrew Lynch, The Routledge History of Emotions in Europe: 1100-1700, Routledge, 25 giugno 2019, ISBN 978-1-351-75009-7. URL consultato il 26 febbraio 2020.

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