Filareto Bracamio

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Filareto Bracamio (in greco Φιλάρετος Βραχάμιος?, Philaretos Brachamios; in armeno Փիլարտոս Վարաժնունի ?, Pilartos Varajnuni; in latino Philaretus Brachamius; ... – 1092?) fu un eminente generale bizantino ed un signore della guerra di origini armene.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Domini di Filareto Bracamio.

Proveniva dalla nobile famiglia armena dei Varajnuni, originari del Vaspurakan; Filareto entrò al servizio dell'Impero bizantino nel X secolo[1], e sembra si sia rapidamente integrato se venne descritto come greco per lingua, costumi e religione[2], anche se in effetti fu calcedoniano[3]. Filareto salì uno ad uno i gradini della gerarchia bizantina; sui sigilli è qualificato come tassiarca (comandante di un reggimento di fanteria), protospatario e topotērētēs (vice comandante) del Tagmata di Cappadocia, poi come magister e duces, ed infine come curopalate e duces.

Egli servì lealmente l'impero sotto Romano IV Diogene[3] - ebbe un alto comando nell'esercito - fino alla sconfitta dei bizantini alla battaglia di Manzicerta del 1071, che aprì le porte dell'Anatolia ai Selgiuchidi di Alp Arslan.

Unico generale bizantino rimasto nel sud-est, Filareto fu a capo della fortezza di Romanopolis e riunì sotto il suo comando le guarnigioni della frontiera orientale, che contavano numerosi armeni; il nucleo del suo esercito, però, era formato da 8000 Ifranj normanni, mercenari comandati da Raimbaud o anche Roussel di Bailleul o Erveo Francopoulo[4].

Aiutato da Gabriele a Melitene e Basilio Apocapa ad Edessa, condusse una lunga resistenza che portò alla formazione di un principato sotto l'autorità nominale bizantina [5], ma in effetti semi-autonomo, che si estendeva dalla Cilicia (comprese Tarso, Mamistra e Anazarbe) ad Edessa; nel 1078, all'inizio del regno di Niceforo III Botaniate, egli divenne duca di Antiochia, il che includeva Edessa. I suoi domini comprendevano anche il corno sud-occidentale dell'Armenia Maggiore e, temporaneamente, la Cappadocia orientale e Cipro[1].

Numerosi sigilli testimoniano come lui fosse mega domestico e protocuropalate, poi sebastos, quindi anche protosebastos.

Durante il regno di Michele VII Ducas, Filareto dovette fronteggiare l'opposizione di alcuni dei suoi compatrioti (appartenenti alla Chiesa apostolica armena), tali Apelgharip Artsruni e Vasak Pahlavouni e, probabilmente, Tornik de Sassoun [3]. Le sue relazioni con Costantinopoli non migliorarono che a partire dal 1078, durante il regno di Niceforo III Botaniate che riconobbe ufficialmente[6] il suo governo autonomo dei territori che i Selgiuchidi avevano strappato all'Impero[7].

Le sconfitte e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Il principato ebbe breve durata[1], Filareto perse i suoi territori uno dopo l'altro nonostante una temporanea conversione all'islam[5]: nel dicembre 1084, Antiochia fu conquistata da Süleyman I, Sultano di Rum[8]; nel 1086 iniziò un'offensiva dell'Impero selgiuchide[6] e nel 1087 Edessa cadde[9] nelle mani di Malik Shah; Filareto fuggì, tornando alla fortezza di Germanicia.

Tuttavia, molti dei suoi luogotenenti riuscirono a resistere, come Gabriele, Thoros e Gogh Vasil (Basilio il Ladro); i Rupenidi si ritirarono sulle montagne della Cilicia e costituirono l'embrione della futura Piccola Armenia, all'origine della quale Filareto si situa, ancorché involontariamente[5].

La data della morte di Philaretus non è certa: se il suo nome scompare dalle fonti nel 1086, Dédéyan la fissa nel 1090[10] mentre Cheynet nel 1092[11].

Egli fu l'ultimo Domestikos tōn scholōn tēs Anatolēs conosciuto. I suoi figli consegnarono Germanicia alla Prima crociata, nel 1098.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Dédéyan (2007),  p. 336.
  2. ^ Garsoïan,  p. 103.
  3. ^ a b c Dédéyan (2007),  p. 316.
  4. ^ (EN) Christopher MacEvitt, The Crusades and the Christian World of the East — Rough tolerance, Filadelfia, University of Pennsylvania Press, 2007, p. 66, ISBN 978-0-8122-4050-4. URL consultato il 7 marzo 2009.
  5. ^ a b c Dédéyan (2007),  p. 317.
  6. ^ a b Dédéyan (2007),  p. 337.
  7. ^ Cheynet (2006),  p. 49.
  8. ^ Cheynet (2006),  p. 51.
  9. ^ Cheynet (2006),  p. 433.
  10. ^ (FR) Gérard Dédéyan, Les princes arméniens de l'Euphratèse et l'Empire byzantin (fin XIe-milieu XIIe siècle), in L'Armènie et Byzance, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1996, pp. 79-88, ISBN 978-2-85944-300-9.
  11. ^ (FR) Jean-Claude Cheynet, Les Arméniens de L'empire en Orient de Constantin Xe à Alexis Comnene (1059-1081), in L'Armènie et Byzance, Parigi, Publications de la Sorbonne, 1996, pp. 67-68, ISBN 978-2-85944-300-9.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) C. J. Yarnley, Philaretos: Armenian Bandit or Byzantine General, in Revue des études arméniennes, n. 9, 1972, pp. 331-353.
  • (EN) Matteo di Edessa, Armenia and the Crusades: Tenth to Twelfth Centuries : the Chronicle of Matthew of Edessa, traduzione di Ara Edmond Dostourian, National Association for Armenian Studies and Research, 1993, ISBN 978-0-8191-8953-0.
  • (EN) Christopher Gravett, David Nicolle, The Normans: Warrior Knights and their Castles[collegamento interrotto], Oxford, Osprey Publishing, 2007, ISBN 978-1-84603-218-9. URL consultato il 14 febbraio 2009.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]