Fabrizio Vassalli

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Fabrizio Vassalli

Fabrizio Vassalli (Roma, 1908Roma, 24 maggio 1944) è stato un ufficiale, agente segreto e partigiano italiano, giustiziato a Forte Bravetta e medaglia d’oro al Valor militare, cugino di Giuliano Vassalli.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Studente universitario di scienze economiche e commerciali nell'Università di Roma, prestò servizio militare a Livorno quale sottotenente nel 7º Reggimento di artiglieria pesante da campagna[1]. Laureatosi nel 1933, fu assunto presso l'Azienda Minerali Metallici e impiegato nel ramo commerciale[1]. Nel settembre del 1939 fu richiamato, con il grado di tenente e destinato al XIII Corpo d’Armata, di stanza in Sardegna, dove rimase fino al dicembre del 1941[1]. Promosso capitano, rientrò per breve tempo a Roma, per essere destinato all’isola di Saseno, al comando di una batteria contraerei e contronave[1].

Quando fu proclamato l'armistizio, per evitare di finire in mano ai tedeschi, lasciò il reparto e raggiunse Brindisi, dove si mise a disposizione dei Servizi Informativi del comando militare dipendente dal Maresciallo Badoglio[2]. Meno di un mese dopo, si offrì volontario per una missione rischiosa: il 4 ottobre 1943 passò le linee e raggiunse a Roma il colonnello Cordero Lanza di Montezemolo per stabilire i collegamenti con il quartier generale alleato[2]. Creò un nucleo organizzativo di spionaggio e sabotaggio, operando clandestinamente per cinque mesi[2], con il nome in codice Franco Valenti, in contatto con la rete informativa segreta di Franco Malfatti e l’organizzazione militare partigiana socialista (Brigate Matteotti), guidata da suo cugino Giuliano Vassalli[3].

Il 13 marzo 1944, Fabrizio Vassalli fu arrestato nel centro di informazioni di Via del Babuino con il pittore Giordano Bruno Ferrari e rinchiuso in via Tasso. Per due mesi i tedeschi lo sottoposero ad atroci torture, senza ottenere alcuna informazione[4]. Nel frattempo, le SS arrestarono e rinchiusero in Via Tasso anche Amelia Vittucci, moglie di Vassalli, insieme all'ufficiale Salvatore Grasso, all'elettromeccanico Corrado Vinci, al radiotelegrafista Pietro Bergamini, Bice Bertini e Jolanda Gatti, moglie di Vinci e incinta di sette mesi.

Tutti i patrioti furono sottoposti ad un sommario processo, che si concluse con la condanna a morte. Le tre donne riuscirono a salvarsi per il sopraggiungere a Roma degli Alleati[4]. Vassalli, Ferrari, Grasso, Vinci e Bergamini, invece, furono fucilati, il 24 maggio 1944, sugli spalti di Forte Bravetta.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Capitano di complemento artiglieria di C.A., partigiano combattente. Dopo l’armistizio, dalla Dalmazia raggiungeva, con mezzi di fortuna, un porto nazionale, e quivi giunto si offriva immediatamente come volontario per una rischiosa missione in territorio controllato dai tedeschi. Superando difficoltà e pericoli di ogni genere, riusciva ad attraversare le linee avversarie ed a raggiungere la Capitale. Con operosa e sagace attività collaborava, per oltre cinque mesi, al servizio informativo ed al movimento patriota romano, fornendo preziose informazioni operative al Comando Supremo italiano ed alleato. Arrestato dalle autorità tedesche e sottoposto alle più inumane torture manteneva il più assoluto segreto circa il movimento informativo e patriota della zona, salvando così l’organizzazione e la vita dei propri collaboratori. Dopo circa due mesi di carcere, veniva barbaramente trucidato dalla sbirraglia tedesca, mentre gli eserciti alleati giungevano alle porte della Città Eterna. Con il suo esempio animatore ed il sublime sacrificio della vita, manteneva viva nei patrioti la volontà di resistenza e la fede nella rinascita della Patria.»
— Roma, 24 maggio 1944.[5].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Associazione Nazionale Combattenti
  2. ^ a b c Cronologia della Resistenza romana Archiviato il 4 aprile 2015 in Internet Archive.
  3. ^ Peter Tompkins, Una spia a Roma, Il Saggiatore, Milano, 2002, p. 188
  4. ^ a b Sito ANPI
  5. ^ Dettaglio onorificenza

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]